GAMBARUTI, Tiberio
, Tiberio. - Nacque ad Alessandria nel 1571, figlio di Adriano, appartenente a una cospicua famiglia della nobiltà cittadina. Del nome della madre, invece, non è rimasta memoria.
Il G. compì studi giuridici, terminati con il dottorato in diritto civile e canonico, ma si dedicò anche alla letteratura e alla poesia in lingua volgare, frequentando il cenacolo di letterati che si proponeva di dare forma stabile alla locale Accademia degli Immobili: un'istituzione già esistente in Alessandria dal 1562, però trascurata.
Grazie all'appoggio del cardinale Alessandrino Michele Bonelli, intorno ai vent'anni il G. poté trasferirsi a Roma, contando sulla possibilità di impiegarsi alla corte di qualche porporato.
La sua presenza è comunque attestata ad Alessandria l'8 luglio 1592, quando lesse una propria orazione al Bonelli in vacanza nella sua città natale, in occasione della solenne nuova inaugurazione dell' Accademia degli Immobili, della quale il cardinale divenne protettore. Socio dell'Accademia, il G. concorse nel 1596 alla redazione e all'approvazione dei suoi statuti, insieme con A. Guasco (cui dedicò un sonetto in lode delle sue Stanze sulla Natività), N. Dal Pozzo e altri letterati di Alessandria.
La morte del Bonelli, nel 1598, dovette privarlo di occasioni di fare ritorno in patria. A Roma trovò protezione nel cardinale Scipione Borghese Caffarelli, grazie al quale ottenne la nomina a protonotario apostolico, prima del 1612. E in precedenza nel principe di Venafro Michele Peretti, che, come scrisse, aveva servito nei suoi Stati.
Proprio al Peretti è dedicata la prima opera conosciuta del G., la favola pastorale Nova Amarilli, stampata a Roma nel 1605. La successiva, la tragedia La regina Teano, pubblicata pure a Roma nel 1609, è dedicata al Borghese. Tra la data dell'una e quella dell'altra, il G. esercitò le funzioni di segretario del cardinale Giovanni Antonio Facchinetti, nipote di Innocenzo IX, fino alla sua morte nel 1606, e auditore del cardinale Giovan Battista Deti. Dopodiché ritornò segretario, questa volta del cardinale Agostino Galamini.
Nel 1612, sempre a Roma, usci il primo volume dei suoi Discorsi et osservationi politiche, ancora dedicato al Borghese. Per terminare questo libro, decise di rinunciare alla poesia, in cui si giudicava non molto «eminente». Dalla scienza politica invece il G. attendeva fama di studioso e avanzamenti di carriera, ma non ottenne né l'una né gli altri. Continuò anzi a restare un semplice segretario, non trovando i mezzi per stampare il secondo volume dei Discorsi e tantomeno altre orazioni, poesie e lettere, che lasciò manoscritte.
Soppiantato infine da altri cortigiani e dopo aver consumato, vivendo a Roma (secondo G. Ghilini per ben 32 anni), buona parte delle proprie entrate, risolse infine di tornare ad Alessandria. Qui mori improvvisamente, la notte del 6 sett. 1623. I familiari lo seppellirono nella chiesa di S. Andrea, della quale avevano il patronato, senza alcun epitaffio.
Opere: La Nova Amarilli è una convenzionale favola in versi secondo la moda pastorale del tempo, in cui il G. racconta la storia d'amore dei pastori Mirtillo e Clorindo con le ninfe Silvia e Amarilli. Anche La regina Teano si ispira alla mitologia, interpretata però in chiave politica. Nella vicenda della regina Teano si coglie l'allegoria dell'inevitabile punizione celeste che colpisce gli attentatori al sangue dei principi e al diritto divino dei re.
Del resto, mentre componeva questa tragedia, il G. stava già lavorando ai suoi Discorsi et osservarioni politiche, che hanno il medesimo intento di difesa dell'ordine monarchico, temperato da echi giusnaturalistici e contrattualisti. Nata come commento alle storie di Tito Livio, l'opera maggiore del G., ancorché scritta con uno stile valido e una razionale distribuzione degli argomenti, si rivela un libro viziato dal moralismo controriformistico e, nei punti più controversi, come la liceità della guerra, debole e privo di un pensiero originale. Secondo il G., l'uomo ha per fine la felicità. Ma quella attiva, frutto dell'esercizio delle virtù morali, è secondaria rispetto alla contemplativa. Il tipo di governo monarchico resta il migliore, e cosi deve essere per qualità umane e nobiltà di sangue colui che porta la corona. Siccome poi la forza delle leggi dipende da quella dei magistrati, anche questi dovranno essere uomini irreprensibili. Negli affari di governo il principe si servirà, dandogli una giusta remunerazione, di un segretario e dei suoi consiglieri, mentre è bene che abbia un favorito che ne alleggerisca le fatiche. Diffidente dell'adulazione, si mostrerà virtuoso e generoso con il popolo, ma implacabile con fuorusciti, traditori e pretendenti. Potrà far guerra, ma non senza discernimento, e possibilmente combattendo in territorio altrui, per evitare il rischio di subire un assedio. Al cittadino, poi, il G. chiede di possedere
tutte le possibili virtù civiche e morali, che non gli servono per crearsi un'autonoma coscienza civile, ma per meglio obbedire alle leggi e al principe «quietando l'animo suo».
Infine, il Ghilini cita ancora come edita un'orazione per le nozze di Margherita d'Austria, di cui non si conoscono gli estremi di stampa.
Fonti e Bibl.: G. Ghilini, Teatro d'huomini letterati, I, Venetia 1647, pp. 214 s.; F.S. Quadrio, Della storia e della ragione d'ogni poesia, IlI, Milano 1743, p. 78; IV, ibid. 1749, p. 270; VII, ibid. 1752, pp. 195, 240; T. Vallauri, Storia della poesia in Piemonte, I, Torino 1841, pp. 208 s., 295; C. Valle, Storia di Alessandria, III, Torino 1854, p. 247; IV, ibid. 1855, p. 345; F. Cavalli, La scienza politica in Italia, II, Venezia 1873, pp. 344-346; R. De Mattei, L'idea democratica e contrattualista negli scrittori politici italiani del Seicento, in Rivista storica italiana, LX (1948), p. 50; T. Bozza, Scrittori politici italiani dal 1550 al 1650, Roma 1949, pp. 776 s.; Indice biografico italiano, a cura di T. Neppo - P. Noto, II, Miinchen-London-New YorkParis 1993, p. 671.