PACCA, Tiberio
PACCA, Tiberio. – Nacque a Benevento il 31 agosto 1786, secondogenito di Giuseppe, marchese della Matrice, e della nobildonna milanese Maria Teresa Crivelli.
Nel 1785 si trasferì a Roma per studiare al Collegio Clementino, ma dopo poche settimane partì al seguito dello zio paterno Bartolomeo, inviato come nunzio a Lisbona, cui conferì nel febbraio 1801 la berretta cardinalizia e insieme al quale rientrò a Roma nel luglio dell’anno seguente. Nominato cameriere segreto nel 1803, nello stesso anno tornò brevemente in Portogallo come ablegato pontificio in occasione della nomina a cardinale di Miguel José de Noronha e Abranches, avvenuta il 16 maggio.
Entrò in prelatura come referendario il 18 maggio 1809, alla vigilia dell’arresto da parte dei francesi di Pio VII e dello zio, che dal giugno 1808 ricopriva la carica di prosegretario di Stato e che Tiberio seguì nell’esilio al forte di S. Carlo a Fenestrelle ma da cui fu separato nell’agosto per essere trasferito nel vicino Forte Mutin, dove rimase fino al 4 agosto 1811. Da una relazione con una ragazza del luogo ebbe un figlio, Giovanni, che non riconobbe e affidò al suo maestro di casa Filippo Mazzanti. Dopo aver risieduto a Milano presso la famiglia materna e a Mantova, nella primavera 1814 raggiunse a Cesena Pio VII, che il 21 aprile lo nominò protonotario apostolico e il 5 maggio gli affidò la carica di delegato apostolico di Viterbo, primo passo della sua rapida ascesa politica.
Giunto a Viterbo il 10 maggio, diede avvio al ripristino delle istituzioni pontificie nella provincia di Patrimonio ed emanò provvedimenti severi nei confronti degli ecclesiastici e degli impiegati coinvolti nel governo napoleonico, in sintonia con gli indirizzi della prima fase della Restaurazione pontificia diretta dal monsignor Agostino Rivarola e dallo stesso Bartolomeo Pacca. Fu inoltre incaricato del governo di Civitavecchia, che mantenne quando nel settembre le due delegazioni vennero divise.
Civitavecchia aveva assunto un ruolo di grande rilievo per le comunicazioni con Napoleone Bonaparte in esilio all’Isola d’Elba; Pacca riuscì fra l’altro a intercettare il carteggio segreto fra quest’ultimo, il nipote cardinale Joseph Fesch, il fratello Luciano Bonaparte e il re di Napoli Gioacchino Murat.
Promosso a presidente della Reverenda Camera Apostolica il 28 settembre 1814, rimase tuttavia a Civitavecchia fino al luglio 1815 quando, in seguito al ritorno delle Legazioni allo Stato pontificio, si trasferì a Forlì come delegato apostolico di Romagna. Nell’agosto 1815 elaborò insieme al delegato di Bologna Giacomo Giustiniani un piano per la restaurazione dell’amministrazione pontificia nelle legazioni e sottopose a Ercole Consalvi – che nel frattempo, rientrato dal Congresso di Vienna, aveva riassunto la carica di segretario di Stato e che, malgrado la rivalità che lo divideva dallo zio Bartolomeo, prese Pacca sotto la sua protezione – un progetto di governo provvisorio centralizzato che rimase sulla carta. Nel febbraio 1816 intervenne a sedare una rivolta annonaria scoppiata a Rimini. In aprile guidò la delegazione pontificia inviata a Milano per trattare le controversie territoriali ed economiche legate alle risoluzioni del Congresso di Vienna.
Nominato il 22 luglio progovernatore di Roma, rientrò in ottobre nella capitale pontificia per assumere le nuove mansioni, in cui fu confermato nell’aprile seguente con il conferimento delle cariche di governatore e vicecamerlengo. In esecuzione del motuproprio del 6 luglio 1816 che riorganizzava l’amministrazione dello Stato pontificio, Consalvi lo incaricò di redigere un piano per il riordino della pubblica sicurezza in cui prefigurò la costituzione di un corpo di gendarmeria in luogo delle squadre di birri e l’istituzione di una direzione generale di polizia alle dirette dipendenze del segretario di Stato, di cui fu il primo titolare.
In tale veste, di concerto con lo stesso Consalvi, si dedicò alla repressione dei primi moti liberali nelle Marche e in Romagna e nell’estate 1817 dispose il trasferimento a Roma di Pietro Maroncelli, arrestato a Forlì. Il suo progetto di arrestare simultaneamente i capi di tutte le società segrete italiane incontrò l’opposizione del cancelliere austriaco Clemens Wenzel Lothar von Metternich, il quale temeva che misure simili avrebbero finito per intensificare l’attività settaria.
Nel dicembre 1817 si trasferì a Frosinone per dirigere la campagna contro il brigantaggio che si era intensificato nella provincia di Marittima e Campagna. Rientrato a Roma agli inizi del 1818, il 24 aprile fu chiamato a far parte della Congregazione economica, ripristinata nel luglio 1815 allo scopo di definire i provvedimenti di riforma dell’amministrazione pubblica, nel cui ambito propose alcune correzioni formali al progetto di codice civile avversato invece frontalmente dallo zio. Assunse inoltre la presidenza della Commissione consultiva di finanza istituita nel 1819.
La carica di governatore preludeva normalmente alla nomina cardinalizia, preclusa però dall’indisponibilità a prendere gli ordini sacri, che Pacca stesso comunicò al segretario di Stato in due lettere non datate in cui lo pregava di sollevarlo dalle sue incombenze. Infine il timore di un’imminente incriminazione per aver prodotto un mandato di pagamento falsificando la firma dello stesso Consalvi lo indusse a lasciare di nascosto Roma la sera del 7 aprile 1820 e a rifugiarsi in Toscana e poi a Parigi, dove si stabilì sotto lo pseudonimo di Francesco Ceccoli.
Il gesto ebbe enorme risonanza e fu attribuito anche a una relazione sentimentale o a un ingente furto di denaro ai danni del fisco. Scrivendo il 17 aprile al nunzio in Francia Vincenzo Macchi, Consalvi escluse invece che potesse avere motivazioni politiche. A Parigi Pacca sopravvisse grazie alle sovvenzioni dello zio – con cui rimase sempre, salvo brevi intervalli, in corrispondenza – e sotto la protezione del nunzio fino all’agosto 1822.
Dopo un soggiorno a Lille si stabilì ad Auxerre – dove il 4 settembre 1824 sposò con rito civile Marie-Madeleine Joussot, ratificando così le nozze che affermò di aver contratto alcuni mesi prima in Inghilterra – e infine a Seingelay (Yonne). Fece ritorno nella capitale nella primavera 1827 nella speranza di ottenere un impiego presso la Direzione generale di polizia grazie ai suoi numerosi contatti parigini e romani, sfumata la quale nel novembre 1828 si trasferì a Milano, dove rimase circa tre anni per seguire le complesse questioni ereditarie della famiglia materna. Nella primavera del 1829, dopo l’elezione di Pio VIII, inviò allo zio un piano di riforma dello Stato Pontificio, e il 13 giugno inoltrò una supplica al nuovo pontefice in cui attribuì le vicende che lo avevano indotto alla fuga a una macchinazione contro di lui, ma ottenne solo la conferma del permesso – già accordatogli da Leone XII – di rientrare a Benevento. Sempre da Milano seguì l’evolversi dei moti del 1831, continuando a proporre provvedimenti e riforme di stampo centralizzatore e antiliberale.
Agli inizi del 1833 si stabilì a Torino come amministratore del marchese Eugène de Laval-Montmorency, di cui curò gli interessi economici.
Dal carteggio con Bartolomeo Pacca emerge il suo coinvolgimento informale in alcune questioni di rilievo come quella del ristabilimento della nunziatura apostolica a Torino.
Nel febbraio 1835 ricevette la nomina a intendente generale presso il ministero dell’Interno, retto dal reazionario Antonio Tonduti de l’Escarène; già nell’aprile dovette però dimettersi per avere ordito il tentativo di screditare alcuni elementi moderati vicini a Carlo Alberto, episodio che portò al licenziamento di Escarène.
Lasciata Torino, trascorse alcuni mesi a Firenze cercando inutilmente di scagionarsi dalle accuse. Infine si trasferì con la moglie a Napoli, dove giunse l’8 novembre e prese alloggio presso il fratello Paolo. Ritirato dalla vita pubblica, si dedicò ormai esclusivamente agli affari familiari.
Ammalatosi di colera, morì a Napoli il 29 giugno 1837.
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