RUSSILIANO, Tiberio.
– Nacque intorno al 1490 a Gimigliano, nei pressi di Catanzaro, molto probabilmente dalla stessa famiglia del noto commentatore del Pymander di Ermete Trismegisto, Annibale Rosselli.
Interessatosi sin da giovanissimo alla filosofia, dette prova delle sue doti di abile astrologo al servizio del feudatario del luogo, Tiberio Carafa di Nocera; trasferitosi, poi, nel 1515 a Napoli, entrò in contatto con l’ambiente di Giovanni Pontano e completò la sua formazione, tra la città partenopea e Salerno, alla scuola dell’aristotelico Agostino Nifo.
Desideroso di ricoprire un ruolo di spicco in ambito accademico, nel 1518 si recò a Bologna, per dimostrare pubblicamente le sue capacità in una disputa quodlibetale. Affisse dunque le quattrocento tesi che intendeva discutere e, in attesa di essere informato sul giorno in cui si sarebbe svolta la disputa, andò a Ferrara, in visita presso Lucrezia Borgia. Proprio in questa città venne raggiunto da missive che lo mettevano in guardia sullo stato di fermento – e di indignazione – che le sue affermazioni avevano generato. A salvare Russiliano fu l’intervento dello scotista Gerolamo Gadius che, pur non conoscendo personalmente il filosofo calabrese, riuscì a impedirne la scomunica.
Costretto ad abbandonare Bologna, Russiliano si recò a Firenze e la sua disputa fu fissata per il giorno 13 giugno 1519. Ancora una volta, però, le circostanze furono avverse alla realizzazione del progetto e, come registra accuratamente Pier Andrea Gammarus, vicario del cardinal Giulio de’ Medici (futuro Clemente VII), Russiliano abiurò di fronte al celebre inquisitore francescano Paolo da Fucecchio. Nonostante la fama di eretico del pensatore calabrese cominciasse a diffondersi – come rivela l’interesse dimostrato dal domenicano Girolamo Armellini, che nel 1523 pubblicò un’attenta e sottile confutazione delle argomentazioni di Russiliano, intitolata Iesus vincit –, a Padova egli riuscì a discutere le sue tesi, aggiungendone, alle quattrocento precedentemente raccolte, altre sul tema, di ascendenza pichiana, della Aristotelis et Platonis conciliatio. Ritiratosi per mettere per iscritto i contenuti della disputa, Russiliano fece stampare clandestinamente a Parma, alla fine del 1519 o agli inizi del 1520, il suo magnum opus, l’Apologeticus adversus cucullatos.
Strutturata in quattro parti – Apologeticus adversus cucullatos in quatringentas quaestiones disputatas, Philosophiae Declamatio ad Leonem X Pontificem Maximum, Oratio habita Patavii in principio suarum disputationum cum suis disputatis quaestionibus e De propositione de inesse secundum Aristotelis mentem libellus –, quest’opera, nei due unici esemplari a oggi conosciuti (Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio P.III.83; Paris, Bibliothèque Mazarine, 4044), risulta mancante del terzo e del quarto testo. Che quest’ultimo fosse stato effettivamente composto e che constasse di almeno due libri, si evince da due riferimenti presenti in una più tarda opera di Russiliano, gli Universalia porphyriana. L’Apologeticus – incorniciato da una Prefatio, che ripercorre dettagliatamente le vicende biografiche dell’autore, e da una Peroratio conclusiva – raccoglie la discussione di tredici affermazioni e si presenta, agli occhi del lettore attento, come un capolavoro di abilità argomentativa a opera di un convinto averroista che cerca, in modo spesso equivoco, di sostenere la liceità di tesi palesemente eretiche. Strenuo fautore dell’autonomia della filosofia rispetto alla teologia, Russiliano asserisce con vigore, physice loquendo, tesi quali la generazione spontanea, l’eternità del mondo e l’influsso degli astri su tutto ciò che popola il mondo sublunare, traendo, sulla base di queste premesse, conclusioni eversive: al pari degli altri enti, infatti, Cristo, secondo Russiliano, fu sottoposto, in riferimento al corpo, all’influenza delle stelle e per questo il sapere che più di ogni altro permette all’uomo di avere la certezza dell’avvento di Cristo è la magia, per mezzo della quale è possibile conoscere gli enti sublunari. Feroce critico dei costumi viziosi e dissoluti dei monaci, Russiliano si dedica inoltre all’analisi delle contraddizioni interne ai testi sacri, giungendo ad affermare, a partire da esse, che nel sacramento eucaristico non vi è la presenza reale di Cristo, che l’anima di Cristo non si recò all’Inferno e non vi rimase per tre giorni, come ritengono molti teologi, e, animato da un origenismo impossibile da mascherare, che non vi sono pene eterne, neppure per coloro che hanno commesso peccati mortali. Ma il filosofo si spinge persino oltre, argomentando, con un ingegnoso sofisma, che nessuna affermazione è più vera di quella per cui Dio non è uno e trino e sostenendo, sulla scorta di Averroè, che è possibile avere in vita l’intuizione intellettuale del divino, tesi che svuota di senso non solo il culto religioso e la missione ecclesiale, ma anche la vita ultraterrena, che perde ogni sua ‘specificità’.
Fuggito di nuovo in Toscana, Russiliano tenne, il 17 settembre 1520, una lezione all’Università di Pisa in qualità di supplente, in attesa dell’arrivo di Nifo; arrestato, fu incarcerato a Firenze e dovette affrettarsi a fuggire, in quanto appariva ormai, agli occhi delle autorità, come un relapso impenitente.
In una Sicilia in cui i poteri politici e religiosi avevano uno scarso controllo sul territorio, egli poté divenire professore di dialettica e pubblicare a proprio nome, a Palermo nel novembre del 1526, una traduzione commentata dell’Isagoge: Universalia porphyriana ad illustrissimum et reverendissimum D. Henricum Cardonam, cardinale arcivescovo di Monreale.
Esegesi accurata e meticolosa del testo di Porfirio, quest’opera risulta interessante perché in essa l’autore riesce ad aprire spazi di riflessione in cui a emergere sono alcune delle sue idee più radicali e originali, come la tesi della generazione spontanea. Russiliano, inoltre, più vicino all’aristotelismo di Jacques Lefèvre d’Etaples che all’approccio fisico-matematico dei calculatores, fondò la sua trattazione logica su una salda base teorica metafisica, tesa a conciliare Platone e Aristotele e a proporre, rispetto alla vexata quaestio degli universali, una soluzione a un tempo realista e nominalista, per cui secondo l’intelligenza essi sono astratti dagli enti, mentre secondo l’essere sono negli enti.
Stando alla testimonianza del contemporaneo Gabriele Barri, Russiliano fu ucciso durante un viaggio in Africa da un suo stesso schiavo, attorno al 1560.
La memoria di questo intellettuale impetuoso e della sua peregrinatio sarebbe forse andata perduta se la curiositas bibliofila di Gabriel Naudé non avesse riportato alla luce l’Apologeticus e la sua acuta valutazione del filosofo calabrese non lo avesse condotto ad annoverarlo tra i pensatori eclettici e innovativi del suo tempo.
Opere. L’Apologeticus adversus cucullatos è edito e tradotto a cura di L. De Franco, Cosenza 1991. Dell’opera vi è anche un’edizione più recente, a cura di P. Zambelli, Milano 1994.
Fonti e Bibl.: A. Zavarrone, Biblioteca calabra, Napoli 1735, p. 78; In Gabrielis Barrii Francicani de antiquitate et situ Calabriae libros quinque nunc primum ex autographo restituti [...] prolegomena, additiones et notae, quibus accesserunt animadversiones Sertorii Quattromani, Roma 1737, pp. 275-277; L. Aliquò Lenzi, Gli scrittori calabresi, III, Reggio Calabria 19555, p. 159; L. De Franco, Filosofia e scienza in Calabria nei secoli XVI e XVII, Cosenza 1988, pp. 9-61; P. Zambelli, Una reincarnazione di Pico ai tempi di Pomponazzi, Milano 1994; D. Rosselli et al., Rosselli di Gimigliano. Dalle origini a noi, Ascoli Piceno 2014, pp. 72-91.