Tibet
(XXXIII, p. 800; App. II, ii, p. 996; III, ii, p. 954; V, v, p. 497)
La regione autonoma del T. ha una superficie di 1.200.000 km², una popolazione pari a 2.480.000 ab. (secondo una stima del 1998; erano 2.196.000 al censimento del 1990) e una densità che si mantiene mediamente debolissima (2 ab./km²). Il tasso di natalità rimane piuttosto elevato (24,7‰ nel 1996), mentre quello di mortalità è sceso all'8,5‰. Consistente è il numero degli emigrati (si calcola che attualmente circa 2 milioni di Tibetani vivano fuori del paese), spinti dalle modeste condizioni economiche e dalla difficile situazione politica a cercare occasioni di lavoro all'estero. Il capoluogo, Lhasa, nel 1994 contava 118.000 abitanti. *
Storia
di Paola Salvatori
Sottoposto prima alla sovranità dei Mongoli (dal 13° secolo), poi a quella cinese (dal 18° secolo), il T. nel corso della seconda metà dell'Ottocento fu oggetto di un crescente interesse da parte della Gran Bretagna, intenzionata ad aprire il paese al commercio europeo. Nel 1904 truppe britanniche entrarono a Lhasa, operazione cui fece seguito la stipula di un trattato commerciale anglo-tibetano; l'intervento inglese provocò però la reazione della Cina, che a sua volta occupò militarmente il T. nel 1909. In seguito alla caduta dell'impero Manciù (1912), la guarnigione cinese fu espulsa e il territorio rimase di fatto indipendente fino al 1950, quando venne nuovamente occupato e sottoposto (1951) al controllo militare ed economico di Pechino.
Sebbene il governo cinese si fosse impegnato a rispettare le prerogative del Dalai Lama e delle istituzioni religiose, in realtà la sua ingerenza divenne particolarmente gravosa, tanto che a partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta cominciò a manifestarsi nella regione una forte opposizione: nel 1956 iniziarono le prime azioni di guerriglia nel T. orientale e nel 1959 un'insurrezione scoppiata a Lhasa venne violentemente repressa dalle autorità di Pechino. Alla fuga del Dalai Lama, che costituì un governo in esilio a Dharamsala, in India, fece seguito quella di gran parte della nobiltà e dell'alto clero, divenuti oggetto di pesanti persecuzioni.
Negli anni successivi l'occupazione cinese assunse caratteri estremamente cruenti (decine di migliaia di Tibetani persero la vita negli scontri con l'esercito di Pechino) e fu accompagnata da provvedimenti politico-economici, primo fra tutti quello della riforma agraria, volti a destabilizzare i tradizionali assetti sociali. Venne inoltre favorita nella regione (dal 1965 dotata di uno statuto di autonomia) l'immigrazione massiccia di cittadini cinesi e fu avviata una politica di omologazione culturale che divenne particolarmente intensa nel triennio 1966-69, gli anni appunto della 'rivoluzione culturale', durante i quali venne, tra l'altro, attuata una sistematica distruzione degli edifici di culto.
Solo nella seconda metà degli anni Settanta il governo cinese operò un parziale allentamento della politica di repressione, adottando nel decennio successivo una politica di riforme tesa a garantire il parziale ripristino delle usanze tibetane e della libertà religiosa, nonché una limitata ripresa dell'iniziativa privata. A partire dal 1987 il Dalai Lama abbandonò l'opzione indipendentista e lanciò una proposta di compromesso che, incentrata sull'attribuzione al T. di uno status di ampia autonomia, riconosceva di fatto la sovranità cinese. Su tali basi si delineò, verso la fine del 1988, la possibilità di avviare negoziati tra il Dalai Lama e il governo cinese, ma i contatti si interruppero in seguito al riesplodere di manifestazioni indipendentiste a Lhasa e alla dura repressione messa in atto dall'esercito di Pechino.
Cresceva intanto l'attenzione della comunità internazionale nei confronti dei problemi del Tibet. Nel 1989 venne conferito al Dalai Lama il premio Nobel per la pace e si registrò una crescente mobilitazione dell'opinione pubblica mondiale, che coinvolse non solo le organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani ma anche il mondo della cultura e dello spettacolo. In realtà, nonostante il risalto assunto dalla questione tibetana, nel corso degli anni Novanta la situazione rimase di fatto inalterata: seppure mitigata, l'ingerenza cinese nelle pratiche religiose locali non venne meno e continuarono periodicamente a verificarsi violenti scontri tra indipendentisti e truppe di Pechino, mentre il dialogo tra le parti stentava a ripartire. Nel novembre 1998, un incontro informale svoltosi a Washington tra il presidente degli USA Clinton e il Dalai Lama costituì un ulteriore sostegno alla causa tibetana, provocando la ferma protesta della Cina che ribadì la propria sovranità sulla regione.
bibliografia
W.D. Shakabpa, 100.000 moons. A political history of Tibet, New York 1996; N. Dawa, Tibet the road ahead, London 1998, A.T. Grunfeld, The question of Tibet, in Current history, September 1999, pp. 291-95.