TIBIA
. Musica. - Strumento a fiato (gr. αὐλός), di forma tubulare, il cui suono risultava dalla colonna d'aria che veniva immessa nella cavità e che faceva vibrare una sottile lamina o linguetta o "ancia" (lingula, γλῶττα), inserita nell'imboccatura. La varietà. dei suoni derivava dal numero dei fori praticati nella parete del tubo (βομβυκίας), i quali servivano ad allungare o ad accorciare la colonna d'aria immessa nello strumento, e dal numero delle canne che potevano essere più di una e che talvolta si espandevano in basso (κώδων). Il tubo era di canna (κάλαμος αὐλητικός, βόμβυξ, δόναξ, harundo), o di qualche qualità di legno (sicomoro, lauro, bosso), oppure d'osso o d'avorio o, infine, di metallo (argento o bronzo): d'osso o d'avorio era l'imboccatura (ὅλμος). La tibia era semplice o doppia. La tibia semplice comprendeva due varietà: a) il monaulo, che era un semplice tubo lungo m. 0,40 circa e munito di otto fori; b) il plagiaulo (obliqua tibia, ϕώτιγξ) che si suonava tenendolo orizzontalmente perché l'ancia era inserita obliquamente. L'estremità del tubo, munito di cinque o sei fori, era chiusa; il suono di questa specie di strumento era più dolce. Il plagiaulo fu preferito nell'epoca ellenistica, e venne usato nei festini e nel culto di Serapide; non di rado lo riconosciamo in talune rappresentazioni di Eroti o di Satiri.
La tibia doppia consisteva in due tubi che potevano essere di varia lunghezza (tibiae pares o impares); in essa la varietà del suono era accresciuta dalla invenzione delle "chiavi". Dalla doppia tibia derivò sicuramente la cornamusa (ἀσκαύλος, tibia utricularis), strumento pastorale in cui le canne terminavano in un otre che fungeva da riserva d'aria.
Se questi sono i tipi principali di tibie, numerose sono le varietà, un vasto elenco delle quali noi troviamo in Polluce (Onom., IV, 74), varietà che sono dovute o a tradizioni locali (tibie tebane, argive, corinzie, ecc.), o alla materia di cui erano foggiate, al tipo di voci che dovevano accompagnare o al suono che producevano (andreĩoi, gynaikeĩoi, parthénioi, paidikoí, kitharistérioi, téleioi, ypertéleioi). Oltre a queste dobbiamo ricordare le varietà barbare (tibie egizie, fenicie, lidie, etrusche, frigie).
Poco sappiamo di preciso intorno alle origini di questo strumento, la cui invenzione i Greci attribuivano a divinità diverse, come Hyagnis, Marsia, Olimpo, Cibele, ecc., e a svariate località (Frigia, Lidia): possiamo, peraltro, constatare che in Egitto la tibia si conosceva già all'epoca della XVIII dinastia e che in Grecia si trova in alcune statuette arcaiche della civiltà egea e in monumenti cretesi, come nel sarcofago di Hagía Triáda. Non sappiamo se gli Etruschi lo ricevettero dalla Grecia o dall'Oriente: dai Greci lo presero sicuramente i Romani.
L'uso della tibia nella vita dei popoli antichi e massime dei Greci è quanto mai frequente. Il suono di essa accompagnava infatti le cerimonie religiose, ed un posto particolare aveva nelle processioni e nelle funzioni del culto dionisiaco. Si usava negli agoni per segnare l'inizio di una rappresentazione corale o drammatica, e negli esercizi ginnastici per accompagnare lo svolgimento del pentatlo e di altri giuochi. Il suono delle tibie accompagnava spesso determinati lavori, regolandone il ritmo: così quelli della vendemmia (si ricordi l'epilénaion in Grecia), quelli della pulitura del grano, della fabbricazione del pane, dei pescatori, dei pastori. Era inoltre adottato nei banchetti e nelle feste nuziali, nelle mascherate e nei funerali.
Nella milizia l'usarono i Lidî e gli Spartani: il suono delle tibie segnava il ritmo delle marce ed accompagnava le falangi all'attacco, come ravvivava le danze militari (ad es., la pirrica). Nella marina dava la cadenza ai rematori il "trieraules", che suonava l'eretikón.
Nel sec. VI e nel V a. C. l'auletica fu molto coltivata, ma intorno al 450 la sua fortuna diminuì: la tibia fu diffamata e bandita dall'educazione dei giovani. La tibia restò tuttavia nella vita musicale dei Greci e fu molto coltivata ad Alessandria.
A Roma ebbe fortuna nell'età imperiale. L'uso si può dire che ne sia sparito tra il sec. IV ed il V d. C., non solo perché fino allora era stato associato a cerimonie ed usi pagani, ma forse anche per le difficoltà tecniche che presentava. V. anche auletica.