TIBICINI
. Presso i Romani si chiamava tibīcen il musico che suonava il flauto (tibia), corrispondente al suonatore di αὐλός, che i Greci chiamavano αὐλητής. I tibicines formarono in Roma una corporazione o collegium fino dai tempi più antichi. Alcuni erano al servizio dello stato; i più a disposizione di chi chiedesse il loro intervento in cerimonie di carattere privato. La loro opera si esplicava in modo particolare nei funerali e sulla scena con l'accompagnamento musicale dell'azione. I primi suonatori di tibiae sembrano essere venuti a Roma dall'Etruria; durante il sec. II a. C. cominciarono a venire gli auleti dalla Grecia e dall'Oriente, di arte più raffinata, ma di costumi alquanto liberi, specie le donne. Alcuni fra i suonatori di tibia eccelsero nella loro arte divenendo famosi: raggiunsero alta rinomanza, al tempo di Augusto, il tibicen dal nome Princeps, e al tempo di Nerone e di Galba il choraule Canus di Rodi.
Bibl.: A. Howard, The aulos or tibia, in Harvard studies in classical philology, IV (1893), pp. 1-60; X (1899) nota complementare; A. Schneider, Zur Geschichte der Flöte im Altertum, Zurich 1890; Tillyard, Musical instruments in the time of the Romans, in Journal of Hell. studies, 1907, p. 160 segg.; Th. Reinach, in Daremberg-Saglio, Dictionnaire des antiquités grecques et romaines, V, p. 331, s. v. Tibia.