TIFO esantematico (sinonimi: febbre o tifo petecchiale, dermotifo, tifo degli accampamenti, tifo contagioso)
È una malattia infettiva, contagiosa, endemica, trasmessa all'uomo dai pidocchi, caratterizzata clinicamente da insorgenza improvvisa, esantema petecchiale, curva febbrile tipica e grave interessamento del sistema nervoso.
Riconoscibile già attraverso le descrizioni di Ippocrate e dei Greci, meglio noto nel '500 per le descrizioni di Fracastoro (1505 e 1528) e nel '700 per gravi epidemie in Francia, Inghilterra, Irlanda, Ungheria e altrove, il tifo esantematico ha acquistato una triste celebrità con le sue grandi epidemie legate soprattutto alle guerre e alle carestie. La guerra dei 30 anni, la campagna di Russia, quella di Crimea (che provocò una mortalità del 50% fra le truppe francesi), quella russo-turca e la guerra mondiale hanno rappresentato le tappe successive di gravi e diffuse ondate epidemiche. Fra il 1914 e il 1918 furono specialmente colpiti gli eserciti russo e serbo, e i prigionieri in Germania, Austria e Italia. La malattia è endemica in alcuni paesi dell'Africa del Nord (Algeria, Libia), nel Messico e soprattutto nell'Asia (Persia, Cina, Giappone, Indocina); inoltre si riscontra in parecchi paesi europei, come nella Russia, Germania, Romania, Francia e anche in Italia in forma di piccole epidemie o di casi sporadici. Nelle grandi città l'accensione di estese epidemie è eccezionale e praticamente impossibile con gli attuali provvedimenti igienici; fra le ultime epidemie importanti va ricordata quella di Berlino (1878-79).
Dopo infruttuosi tentativi, che costarono la vita a insigni studiosi (H.T. Ricketts, S.E. Prowazek, G. Jochmann, E. Weil, ecc.) si sono riconosciute le modalità di trasmissione e, almeno con grande probabilità, è stata fornita la dimostrazione dell'agente eziologico del tifo petecchiale. La malattia, dato il suo modo di trasmissione, colpisce in forma sia epidemica sia sporadica con grandissima prevalenza certe comunità sociali in cui è particolarmente frequente la pediculosi: così i soldati, i prigionieri, le persone costrette per il loro mestiere ad avere contatto con gl'infermi (medici, infermieri, ecc.), i poveri, i vagabondi, ecc. Non esiste invece una predilezione speciale per il sesso, l'età o per determinati individui. Tutte le condizioni che favoriscono l'affollamento, le trascuranze igieniche e la pediculosi (carestie, guerre, asili, accampamenti, campi per prigionieri, ecc.) rappresentano il più facile incentivo per lo scoppio delle epidemie; così pure la stagione invernale durante la quale la malattia è soprattutto diffusa. Gli studî di C.-J.-H. Nicolle e dei suoi allievi (1909), in seguito largamente confermati, dimostrarono essere l'agente trasmettitore del dermotifo il pidocchio dei vestiti, che riesce contagioso dopo un breve periodo d'incubazione (8-9 giorni), e dal quale si riesce a trasmettere l'infezione alle scimmie e all'uomo. Il pidocchio trasmette l'agente eziologico con la puntura e con le feci; l'optimum di tempertura per la sua azione è intorno ai 25-30 gradi. Anche il pidocchio del cuoio capelluto è capace d'infettare come quello dei vestiti (A. Anderson e J. Goldberger). Con il sangue dell'uomo ammalato si riesce a trasmettere la malattia alle scimmie, all'uomo, parzialmente anche alle cavie; soprattutto i globuli bianchi contengono il virus in forte quantità.
Le ricerche sull'agente causale della malattia dopo aver condotto dapprima all'isolamento di varî germi (protei, B. di Plotz, ecc.) considerati oggi per lo più come esponenti di un'infezione secondaria, hanno richiamato l'attenzione degli studiosi sui parassiti che, già intravisti da Ricketts, da Prowazek, ecc., furono soprattutto studiati in modo sistematico da H. Rocha-Lima. Il quale ne dimostrò la presenza nel sangue degl'infermi, negli organi degli animali da esperimento, nell'apparato digerente e nelle feci dei pidocchi, li ritenne agenti del dermotifo e li denominò Rickettsia Prowazeki in onore dei due scienziati caduti durante le loro ricerche sulla malattia. Si tratta di microrganismi assai piccoli, di forma rotondeggiante, situati a coppie, Gram-negativi, immobili, colorabili col metodo di Romanowsky, coltivabili in coltura pura secondo M. Kuczynski, che si distinguono da analoghi corpuscoli riconoscibili nello stomaco dei pidocchi perché invadono le tuniche e si sviluppano nelle cellule delle pareti gastriche. Le Rickettsie si sviluppano a un optimum di temperatura di 25-30°; al disotto di 24° non sono dimostrabili nell'apparato digerente dei pidocchi e con questi non si riesce a trasmettere la malattia.
Sotto l'aspetto anatomo-patologico il tifo petecchiale accanto ad alterazioni comuni ad altre malattie infettive (iperemia, degenerazione dei parenchimi, ecc.) presenta lesioni caratteristiche messe in luce per primo da E. Fränkel nelle petecchie e quindi riscontrate anche in varî organi (cervello, cute, vasi, fegato, ecc.). Si tratta di piccoli noduli che abbracciano a semisfera le arterie più piccole infiltrandone la parete, costituiti da cellule linfocitarie ed epitelioidi; l'endotelio vasale è rigonfio e desquamato. Nel cervello oltre ai noduli esistono lesioni degenerative spiccate (W. Ceelen).
Dopo un'incubazione che può durare da 1 a 3 settimane, ma che in genere è sui 10-15 giorni, il quadro morboso inizia in modo del tutto improvviso con intensi brividi di freddo e rapido innalzamento della temperatura a 39°-40°, annunziandosi grave fin dal principio per la cefalea, la dolorabilità muscolare diffusa, la congestione del volto e delle congiuntive (occhio di coniglio) e soprattutto per la spiccata depressione nervosa (stato tifoso). Fra il 4° e il 7° giorno compare tutto in una volta e rapidamente (in 2-3 giorni) l'esantema caratteristico, dapprima in forma di macchioline grandi come una lenticchia, non confluenti di color rosso vivo, diffuse alle ascelle, al tronco, alle palme delle mani, alle piante dei piedi, e quindi sparse per tutto il corpo, con minor diffusione al collo e al volto. Le macule sono presto sostituite da papule, si fanno di colore più intenso (rosso cianotico) e quindi diventano emorragiche (petecchie), talora di notevoli dimensioni. Con la comparsa dell'eruzione emorragica la malattia raggiunge il massimo della sua gravità; aumenta la febbre che raggiunge il suo acme e compaiono i gravi sintomi nervosi, il sensorio si fa ottuso e quindi s'inizia il delirio, talora calmo talora furioso e con allucinazioni, durante il quale non di rado il malato cerca di alzarsi dal letto e può commettere atti insani o violenze contro gli altri e contro sé stesso. Esistono altresì movimenti incomposti, insonnia, agitazione, sussulti tendinei, aridità e screpolatura delle mucose, lieve bronchite, albuminuria, aspetto settico. Questo stato di cose dura in media fino al termine della seconda settimana (15°-17° giorno), può condurre anche precocemente all'esito letale per iperemia o per collasso con gravi sintomi nervosi, oppure trapassare nella fase di miglioramento della malattia. La temperatura scende allora rapidamente a cifre di poco superiori alla norma e poi alla norma, scompaiono l'agitazione o la depressione nervosa, sopravviene un profondo sonno ristoratore, il sensorio si ristabilisce rapidamente, il polso si rallenta, l'esantema sbiadisce per regredire più tardi, talora con desquamazione furfuracea. Altri sintomi importanti della malattia oltre la febbre, lo stato tifoso e l'esantema, sono: una modica leucocitosi con neutrofilia, più tardi con linfo-monocitosi, l'interessamento dell'apparato cardiovascolare (tachicardia, ipotensione, talora aritmie), lievi note infiammatorie a carico del liquido cefalo-rachideo. Fra le complicazioni, oltre a broncopolmoniti, otiti, suppurazioni cutanee, ecc., è importante la cancrena delle estremità, ora circoscritta ora diffusa, imputata da alcuni a lesioni arteriose provocate dal virus specifico. Una volta superata, la malattia lascia immunità assoluta.
Per la diagnosi del tifo esantematico, specie nei casi sporadici, riesce di grande ausilio la reazione di agglutinazione di Weil-Felix col proteo X19. Emulsioni di colture assai fresche di questo germe dànno col siero degli infermi entro 2-5 ore un'agglutinazione macroscopica, che acquista valore decisivo quando è ad alto titolo (1: 500-1: 1000 e più). La reazione compare talora precocemente, talora in convalescenza e va a volte aumentando il suo titolo nel corso della malattia. È positiva nel 100% dei casi; può riscontrarsi anche in altri processi morbosi affini al dermotifo, soprattutto nella febbre eruttiva o esantematica mediterranea, dove però compare a titolo assai lieve solo al 14° 15° giorno, per aumentare d'intensità nei giorni successivi, mentre è quasi sempre negativa nel periodo iniziale e di stato della malattia.
La prognosi del tifo esantematico è sempre riservata. La mortalità, secondo le epidemie, varia dal 5 al 50%: così nella guerra mondiale. Elementi sfavorevoli sono la gravità della sindrome nervosa, la tachicardia eccessiva, i segni di debolezza circolatoria, l'insorgenza di complicazioni.
I tentativi di una terapia razionale del tifo petecchiale con sieri di animali immunizzati o con sieri di convalescenti (uomo e animali) non hanno finora fornito risultati concreti, per quanto lascino adito a buone speranze per ulteriori perfezionamenti. La cura è pertanto esclusivamente sintomatica e va diretta sia contro la sindrome nervosa, sia contro la minacciosa debolezza del circolo e le eventuali complicazioni. L'idroterapia (bagno a 36-37° per 1/4 d'ora), la vescica di ghiaccio sul capo, gli antipiretici, i cardiocinetici e gli analettici, i calmanti e gl'ipnotici sono i mezzi da usare con insistenza e oculatezza. È spesso necessaria, soprattutto negli stati deliranti, un'attiva sorveglianza degli ammalati.
La profilassi è possibile solo con l'isolamento dei malati e lo spidocchiamento in appositi locali. Nelle gravi epidemie della guerra mondiale che mietevano strage fra gli eserciti, si riuscì con questi mezzi a impedire o a limitare il propagarsi dell'infezione fra la popolazione civile. L'isolamento, pur non essendo l'ammalato contagioso di per sé, è sempre doveroso per l'impossibilità di un rapido e sicuro allontanamento dei pidocchi dai vestiti o dal cuoio capelluto. Tentativi d'immunizzazione con siero di convalescenti secondo C.-J.-H. Nicolle (10 cc. endomuscolari) potrebbero avere valore profilattico.
Bibl.: S. E. Prowazek, Handbuch der pathogenen Protozoen, Lipsia 1912-15; G. Jochmann, Lehrbuch der Infektionskrankheiten, Berlino 1914; E. Fränkel, Methode zur frühzeitigen Diagnose der Fleckfieberroseola, in Münch. med. Wochenschr., LXII (1915), p. 805; E. Weil, Fleckfieberreaktion, in Wien. klin. Wochenschr. (1916); H. Rocha-Lima, Über die ätiologie des Fleckfiebiers, in Berl. klin. Wochenschr., XXIX (1919), p. 325; M. Kuczynski, Die Erreger des Fleck- und Felsenfiebers, Berlino 1927; W. Ceelen, Entzündungen, spezifische Infektion, in Handb. d. spez. path. Anatomie, Berlino 1929; C.-J.-H. Nicolle, Naissance, vie et mort des maladies infectieuses, Parigi 1930.