TIMANTHES (Τιμάμϑης, Timanthes)
Nome di due pittori greci di età diversa.
1°. - Pittore greco originario di Kythnos nelle Cicladi, attivo nella seconda metà del V sec. a. C.
La provenienza di T. da Kythnos, che è anche la patria del pittore Kydias, è affermata da Quintiliano (Inst., XII, 13, 12), mentre una notizia tarda lo dà nativo di Sicione (Eusth., ad Il., 1343, 60), evidentemente per scambio con l'omonimo pittore del III sec. a. C, (v. timanthes, 2°). Ricordato tra i pittori che praticavano il tetracromatismo (Cic., Brut., xviii, 70) T. era considerato contemporaneo e rivale di Zeusi (Plin., Nat. hist., xxxv, 63), ma era stato anche in gara col più giovane Parrasio e con Kolotes di Teo.
Notevoli elementi si hanno per la ricostruzione del più celebrato quadro di T., Sacrificio di Ifigenia (Plin., Nat. hist., xxxv, 73; Quintil., loc. cit.; Val. Max., viii, 11, ext. 6; Lucil. iun., Aetn., 595; Eusth., loc. cit.): sembra che il pittore avesse rappresentato il momento immediatamente precedente il sacrificio, quando Calcante tagliava con la spada un ciuffo di capelli alla vittima e Agamennone si copriva il volto col mantello. Nell'atteggiamento degli altri partecipanti T. avrebbe infatti "raggiunto la somma espressione del dolore" o "esaurito la capacità di esprimere il dolore", interpretazioni entrambe possibili delle parole di Plinio: tristitiae omnem imaginem consumpsisset, così da non voler dare un volto al dolore supremo del padre. Il rilievo dell'ara di Kleomenes ed un avorio tardo, ripetono con buona fedeltà una composizione degli ultimi decennî del V sec. a. C., raccolta attorno al gruppo centrale di tre figure, ma il tipo di Agamennone velato ha fortuna anche nell'altra versione del sacrificio di Ifigenia nota dall'affresco pompeiano del Museo Nazionale di Napoli (v. ififenia). L'Ifigenia era stata dipinta in gara con Kolotes, mentre l'Aiace nel giudizio per le armi di Achille era il tema della contesa con Parrasio a Samo (Plin., Nat. hist., xxxv, 72; Athen., xli, 543 c; xv, 687 b); la scena del voto con l'intervento di Atena era simile a quella del giudizio di Oreste, nota dal rilievo della coppa Corsini, il cui originale potrebbe risalire a T. (v. oreste; zopyros). Ad Efeso si conservava fino al tempo di Alessandro il quadro con la lapidazione di Palamede (Tzetz., Chil., viii, 403; Ptolom. Hepahaest., in Phot., Bibl., i, p. 146), altro soggetto epico identificato ora nel graffito di uno specchio etrusco (Mansuelli); la presenza su questi oggetti di numerose storie di Palamede, fa pensare ad un intero ciclo di T. ispirato al personaggio della tradizione postomerica (v. palamede). Non sappiamo se fosse questo l'Eroe che si conservava a Roma nel tempio della Pace, a proposito del quale l'espressione di Plinio: pinxit et Heroa absolutissimi operis artem ipsam complexus viros pingendi (Nat. hist., xxxv, 74) fa pensare alla ricerca di un tipo ideale, che corrisponderebbe anche dal punto di vista cronologico al canone di Policleto. Il Ciclope addormentato ha un esatto riscontro nel Polifemo recumbente del cratere àpulo del Pittore del Ciclope, di poco posteriore al 440 a. C. (v. Ciclope, inoltre A. Cambitoglou, A. D. Trendali, Apulian red-figured vasepainters of the plan style, Tok o 1961, p. 3); il particolare del satirello che misura col tirso il pollice del mostro (Plin., Nat. hist., xxxv, 74) rivela inequivocabilmente la dipendenza dal Ciclope di Euripide, dove i satiri sono i piccoli e beffardi servi di Polifemo e che forse fu rappresentato prima del 438 a. C.
Gli antichi lodavano di T. non solo la tecnica (cum sit ars summa) ma soprattutto l'invenzione (ingenium tamen ultra artem est, Nat. hist., xxxv, 74; plurimum adfuit ingenium, Nat. hist., xxxv, 73): come esempio, Plinio cita il satiro col Ciclope, dove evidentemente già i contemporanei avevano lodato la γνώμη, come nella famiglia dei centauri di Zeusi. Sono infatti i primi esempî di pitture in cui il tema mitico non è sviluppato in un episodio determinato, ma è pretesto per una scena piacevole. Il carattere "minore" di questa produzione in T. è accentuato dal fatto che si trattava di una tavoletta di piccole dimensioni (v. genere, pittura di; pinakes, zeusi). La tendenza ad abbassare la produzione di T. all'inizio del IV sec. a. C. porta ad ammettere l'influenza dello psicologismo parrasiano, contenuto da una lontana reminiscenza polignotea (Ferri); in realtà Parrasio considerava il rivale del tutto estraneo alle proprie ricerche, se dichiarava che nella gara di Samo il suo Aiace era stato vinto ancora una volta da un indegno. Anche la scelta degli altri soggetti conferma il gusto per la rappresentazione di momenti di alta sospensione drammatica, già diffuso nei primi decennî del V sec. a. C.: il giudizio per le armi di Achille è noto dalla composizione di Douris (v. aiace) e l'Agamennone velato dipende direttamente dall'Helenos nell'Ilioùpersis di Polignoto. T. sembra infatti portare alle estreme conseguenze l'estetica dell'èthos senza partecipare del nuovo umanesimo della sofistica, trovandosi perciò ad un punto morto, all'ermetismo del non detto, alla retorica dell'inesprimibile, risolta per via di sophismata: intelligitur semper plus quam pingitur. Merita ancora di essere rilevata la rispondenza di questo giudizio, nato a detta di Plinio dalla fortuna dell'Ifigenia presso i retori greci ed ancora echeggiato da Cicerone e da Quintiliano, con la risorsa di Euripide che nel finale dell'Alcesti (438 a. C.) non dà voce alla protagonista rediviva.
Bibl.: H. Brunn, Gsch. Griech. Künstler, II, Stoccarda 1889, p. 290; J. Overbeck, Schriftquellen, nn. 828; 1067; 1649; 1699; 1700; 1734-1744; A. Reinach, Textes grecs et latins rélatifs à l'histoire de la peinture ancienne, I, Parigi 1921, n. 262 s.; 305-314; E. Pfuhl, Malerei u. Zeichnung der Griechen, Monaco 1923, II, p. 695 ss.; G. Lippold, in Pauly-Wissowa, VI A, 1936, c. 1231 s., s. v., n. i; S. Ferri, Plinio il Vechio, Roma 1946, p. 156 ss.; G. Becatti, Arte e gusto negli scrittori latini, Firenze 1951, pp. 104; 148; 186 ss.; 280; A. Rumpf, Handb., IV, i, Monaco 1953, p. 120 ss.; P. Amandry, in Enciclopedia Universale dell'Arte, IV, 1958, c. 522, s. v. Egeo insulari centri e tradizioni; C. L. Ragghianti, Pittori di Pompei, Milano 1963, p. 79; P. E. Arias, in Enciclopedia Classica, XI, 5, 1963, pp. 403 s.; 408.
2°. - Pittore greco di Sicione, attivo nella seconda metà del III sec. a. C.
È ricordato per aver dipinto la battaglia di Pellene, nella quale Arato di Sicione, a capo della Lega Achea aveva vinto gli Etoli (240 a. C.); a detta di Plutarco, "il pittore aveva rappresentato con la massima evidenza (ἐμϕατικῶς) la battaglia nel suo sviluppo", cioè dallo scontro in campo aperto alla rovinosa fuga dei vinti verso la città (Plut., Arat., 32, 3). Sembra dunque trattarsi di una narrazione continua a carattere realistico, notevole come precedente della pittura celebrativa romana, e indubbiamente originale rispetto alla maniera simbolica con cui il contemporaneo Nealkes aveva rappresentato il paesaggio di una battaglia navale. I due pittori parteciparono alla ambasceria di Arato presso la corte di Tolemeo III (Plut., Arat., 12).
Bibl.: H. Brunn, Gesch. Griech. Künstler, II, Stoccarda 1889, p. 290; J. Overbeck, Schriftquellen, n. 2102; W. Klein, Geschichte der Griechischen Kunst, II, Vienna 1905, p. 186; E. Pfuhl, Malerei u. Zeichnung der Griechen, II, Monaco 1923, pp. 807; 812 ss.; G. Lippold, in Pauly-Wissowa, VI A, 1936, c. 1232, s. v., n. 2; S. Ferri, Plinio il Vecchio, Roma 1946, p. 156; A. Adriani, in Enciclopedia Universale dell'Arte, IV, 1958, c. 540, s. v. Ellenistico; E. Paribeni, ibid., X, 1963, c. 518, s. v. Peloponnesiaci centri e tradizioni.