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TIMGAD

di Pietro Romanelli - Enciclopedia Italiana (1937)
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TIMGAD

Pietro Romanelli

(A. T., 112).-È l'antica Thamugadi, fondata da Traiano nell'anno 100 d. C. sulle ultime pendici settentrionali del Monte Aurès, in Numidia. Più che per la sua storia, la città va famosa per le sue rovine metodicamente scavate e restaurate a cominciare dal 1881, che costituiscono uno dei centri archeologici più importanti del Mediterraneo e una località di suggestiva attrattiva turistica.

Di un centro indigeno preesistente alla fondazione romana non si ha traccia né memoria se non nel nome, che è certamente di origine libica. La fondazione avvenne ad opera della terza legione Augusta e del suo legato, L. Munazio Gallo; lo scopo di essa fu quello di creare un centro di romanizzazione e insieme di difesa alla base dell'Aurès. La città nacque come un castro quadrato, di circa m. 350 × 325 di lato, cinto da un muro di m. 3,50 di spessore. Sennonché assai presto, certo già sotto i successori di Traiano, l'abitato si ampliò fuori dell'area cintata; fuori di questa fu abbandonata la regolare disposizione a scacchiera. Fuori del muro sorsero parimenti gli edifici più tardi, chiese, monasteri, e, in età bizantina, alquanto più a sud, una fortezza. Delle quattro porte principali, che si aprivano nel mezzo dei lati, la più importante era quella di ponente, da cui usciva la strada per Lambesi, e di cui fu fatto un grande arco monumentale in onore di Traiano. Nell'interno le strade, incrociandosi ad angolo retto, delimitavano le singole insulae di circa 20 m. di lato. All'incrocio del cardine e del decumano maggiori si apriva il Foro, piazza porticata di circa m. 100 per 60, sui cui lati sorgevano la curia, la basilica, i rostri, delle latrine pubbliche, ecc.; non lontano sono la biblioteca e un mercato. Dietro al Foro, appoggiato a un'elevazione del terreno, era il teatro. Fuori del recinto primitivo, verso ponente, su un'altra elevazione del terreno, che d'altronde per tutta l'area della città era leggermente ondulato, e digradante verso settentrione, si alzava il Campidoglio, tempio esastilo, su podio, cui si accedeva per una gradinata di trentotto scalini, e chiuso entro un recinto quadrangolare porticato. Pure fuori dello stesso recinto primitivo erano situati due edifici termali, uno, il maggiore, fuori della porta settentrionale, o di Cirta, l'altro sul lato opposto; di là dall'arco di Traiano erano il mercato detto di Serzio, dal nome del costruttore, un munifico cittadino di Thamugadi, e il tempio creduto del genio della colonia. Un quartiere di costruzioni più modeste e di pianta irregolare presso le terme meridionali sembra accogliesse varî stabilimenti industriali, un'officina ceramica, una fonderia, ecc.

Fondata sotto Traiano, da cui ebbe il nome di Colonia Ulpia Thamugadi, o Colonia Traiana Marciana Thamugadi, essa rapidamente prosperò, per riflesso della prosperità della provincia e della sicurezza dei confini, sotto Adriano e sotto gli Antonini, fino alla metà del sec. III d. C. Essa non fu mai tuttavia nulla più di un modesto centro provinciale, cui la lontananza dal mare e soprattutto la vicinanza al territorio e alle popolazioni restate fuori del dominio romano davano un tono di vita piuttosto rude e austero.

Gli edifici, anche i maggiori, sono costruiti esclusivamente con pietra, arenaria o calcare, e con mattoni; gli stessi elementi architettonici, colonne, capitelli, fregi sono ricavati dalla pietra, un bel calcare bianco, adatto allo scopo, ma certo meno pregevole del marmo: il quale si limita soltanto, e nemmeno in gran copia, alla decorazione di pavimenti e di pareti. Copiosi i musaici, alcuni a figure, ma i più geometrici o floreali, per quanto di ampia e vaga composizione e policromia; rari i bronzi e anche, relativamente, i marmi scolpiti, che, tranne qualche eccezione, forse prodotto d'importazione, sono di esecuzione non molto fine.

Le case, tranne qualcuna più grande che più si accosta al tipo della casa pompeiana, sono comprese ognuna nell'ambito di un'insula: hanno un piccolo cortile scoperto, intorno a cui si aprono, ma irregolarmente, i varî ambienti, in generale piuttosto angusti. Anche le tombe finora scavate (una necropoli sui fianchi della via per Lambesi è in corso di esplorazione) si rivelano modeste: nei segni esteriori di esse si uniscono forme romane (cippi, are, stele) con forme indigene (cupulae). La diffusione del cristianesimo portò alla costruzione di chiese, sia all'interno della città, in qualche casa trasformata a questo scopo, sia fuori: una, a tre navate, di 36 m. di lunghezza per circa 15 di larghezza, attorniata da cortili a colonne e da altri annessi, sorgeva al di là dell'angolo nord-occidentale del recinto primitivo; più ampia e più importante era quella ad occidente del Campidoglio, lunga m. 63 e larga 22, pure a tre navate: una seconda sala di preghiera era disposta perpendicolarmente alla prima, e tutto all'intorno dell'una e dell'altra si stendevano numerosi ambienti, uno dei quali, con una bella vasca adorna di musaici, serviva da battistero; gli altri dovevano far parte probabilmente di un monastero.

La città, sede episcopale fin dalla metà del secolo III, fu nel sec. IV teatro di discordie sanguinose fra cattolici e donatisti (nativo di Thamugadi fu il famoso vescovo donatista Ottato), e si è pensato, quantunque senza argomenti sicurî, che le due chiese, che si debbono appunto datare fra il sec. IV e il V, dovessero appartenere alle due parti in lotta. Questa, in uno con l'accresciuta baldanza delle popolazioni meridionali, determinarono la decadenza di Thamugadi che si accrebbe durante il periodo vandalico. Nel 535, quando i Bizantini avevano già riavviato la conquista dell'Africa, la città fu presa ed incendiata dai Berberi dell'Aurès; questo non trattenne tuttavia Solomone dallo scendere fino ad essa e dal prenderne saldo possesso, costruendo la fortezza che è a sud dell'abitato. Nulla più sappiamo dopo di allora della città, ma è facile pensare che la fine del dominio bizantino, e le fiere lotte sostenute dai Berberi dell'Aurès, guidati dalla regina al-Kāhinah, contro gli Arabi invasori, ne determinassero l'estrema rovina.

Bibl.: E. Boeswillwald, R. Cagnat, A. Ballu, Timgad. Une cité africaine sous l'empire romain, Parigi 1905; R. Cagnat, Carthage, Timgad, Tébessa, 2a ed., ivi 1910; Ch. Tissot, Géographie comparée de la prov. rom. d'Afrique, ivi 1884-88; Corp. Inscr. Lat., VIII, p. 259; una guida sommaria ma abbastanza recente è quella di A. Ballu, Guide illustré de Timgad, Parigi s. a. (1910). Relazioni di scavi in Bull. archéol. Comité, Compt. Rend. Acad. Inscript., ecc., passim.

Vedi anche
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