TIMOTEO
. Scultore greco: uno dei quattro che decorarono il mausoleo d'Alicarnasso intorno al 350 a. C. Plinio (Nal. Hist., XXXVI, 30) gli attribuisce le sculture del lato meridionale. Colà pure il simulacro colossale acrolitico del tempio di Ares, con la testa e le estremità di marmo, il resto d'altra materia, si dubitava se fosse opera sua o di Leocare (Vitruvio, II, 8, 11). A Roma, nel tempio augusteo d'Apollo, al Palatino, l'Artemide marmorea che fiancheggiava la statua del nume (Properzio, II, 31, 15 segg.) era di T. (Plinio, ibid., XXXVI, 32): la testa era stata "rimessa" da Avianius Evander, commerciante o intermediario d'oggetti d'arte, già noto a Cicerone. A Trezene era di lui un simulacro d'Esculapio (Pausania II, 32, 4), non sappiamo di qual materia: quelli del luogo, nel sec. II d. C., lo chiamavano Ippolito, e da ciò s'argomenta che fosse imberbe. Plinio (XXXIV, 91) menziona l'artista con altri che fecero in bronzo "armati, cacciatori, sacrificanti", ossia statue iconiche. L'iscrizione d'Epidauro, che contiene i contratti per la costruzione del tempio d' Esculapio, dice che T. prese l'impegno di fornire "modelli" delle sculture e che, nel terzo anno dei lavori, fu pagato per la consegna degli acroterî d'un frontone: potrebbero appartenervi le due figure acefale di Nereidi, sedute su cavalli, e il frammento d'una Nike, in marmo pentelico, minori del vero, che si trovarono negli scavi. In rapporto a queste figure, specialmente per lo stile dei drappeggi, F. Winter ha attribuito al maestro una statua di Leda col cigno, della quale rimangono parecchie copie in marmo d'età romana: la più nota è quella del Museo Capitolino.
Due studiosi tedeschi, cercando di distinguere la mano d'ogni artista nominato da Plinio nei marmi del Mausoleo, conservati a Londra, attribuirono a T. una parte dei rilievi, ma il risultato è alquanto opinabile.
La costruzione del tempio d'Epidauro è da ritenersi anteriore di venticinque anni circa al monumento d'Alicarnasso, e, d'altra parte, non sembra che T. abbia lavorato per i re macedoni, come Leocare e Briasside: si può dunque ritenere che fosse alquanto più anziano di essi, coetaneo di Scopa. Il suo stile non è stato identificato con certezza, e i frammenti d'Epidauro non si possono mettere in rapporto con le sculture del Mausoleo, per trarre dal confronto un carattere artistico personale. I drappeggi delle Nereidi mostrano un continuatore, raffinato e vigoroso, della scuola ateniese della fine del sec. V.
Bibl.: H. Brunn, Geschichte der griech. Künstler, II, Stoccarda 1889, p. 208; M. Collignon, Hist. de la sculpture grecque, II, Parigi 1897, p. 195; W. Klein, Gesch. der griech. Kunst, II, Lipsia 1905, p. 289 seg.; P. Wolters e J. Sieveking, in Jahrbuch d. deutsch. arch. Inst., Berlino 1909, p. 186 segg.; R. Kekule, V. Stradonitz e B. Schroeder, Die griech. Skulptur, ivi 1922, p. 201 seg.; G. M. Richter, Sculpture and sculptors of ancient Greece, Yale 1930. Per l'iscrizione d'Epidauro, P. Kavvadias, Fouilles d'Ép.., I, Atene 1891, p. 78 segg.; Inscriptiones Graecae, IV, Berlino 1902, p. 1484.