TINO di Camaino
Scultore e architetto, nato a Siena intorno al 1280 e morto a Napoli nel 1336 (Schulz, 1860, IV, nr. CDXIII; Minieri Riccio, 1883a, p. 205).
È verosimile che si sia formato nella città natale presso il padre Camaino di Crescentino, ma sotto l'ascendente di Giovanni Pisano (v.), nel cui stretto ambito si sono volute rintracciare le sue prime prove. A T. infatti sono stati riferiti la formella con l'Adorazione dei Magi nel pulpito di S. Andrea a Pistoia (Kreytenberg, 1978) e i corrosi rilievi con Storie della Vergine sull'architrave del portale mediano del duomo di Siena (Carli, 1941, pp. 23-25; 1979, p. 57; 1980, p. 15), due interventi che per linguaggio formale e tono espressivo risultano così calzanti con lo stile di Giovanni da giustificare pienamente i dubbi espressi sulla paternità del senese (Valentiner, 1954, p. 132; Dan, 1983-1984, p. 17).
Sulla scorta di un antico referto letterario (Frey, in Vasari, Le Vite, I, 1911, p. 695), giudicato attendibile, salvo poche eccezioni, dalla critica moderna, la prima opera autografa di T. è generalmente ritenuta la smembrata tomba-altare di s. Ranieri (Pisa, Mus. dell'Opera della Primaziale Pisana), in opera già nel 1306 nel transetto meridionale del duomo di Pisa (Supino, 1904, pp. 189-190; Seidel, 1975, pp. 71-78). Il suo impianto originario è riprodotto in ben due dei tre pannelli scolpiti sulla fronte del sarcofago: esso constava di un altare, andato perduto, sovrastato da un'arca pensile su mensole, con la fronte tripartita e istoriata, che a guisa di predella sosteneva una pala cuspidata - uno schema singolarmente concordante con la grande ancona di Giotto con le Stimmate di s. Francesco oggi a Parigi (Louvre) ma già in S. Francesco a Pisa - raffigurante la Vergine in trono con il Bambino affiancata dai ss. Ranieri e Marco, che presentano i donatori, il giudice e notaio Marco Sicchi e l'operario Burgundio di Tado. A parte la novità dell'assetto architettonico, che godette di larga fortuna in Toscana (Bardotti Biasion, 1984, pp. 2-6), e a onta dei molti prelievi giovannei nei tratti fisionomici di alcuni personaggi, soprattutto nelle formelle la condotta plastica rivela un fare pittorico con l'adozione di un respirante rilievo di basso aggetto, sensibile alla modulazione della luce.La scelta di stile di T. non è isolata, ma si innesta in una precisa tendenza della scultura senese a cavallo tra Due e Trecento, stimolata dalla contemporanea pittura toscana. In opposizione al fremente pittoricismo di Giovanni, consentaneo con il suo ardente temperamento, alla sua attitudine a frangere in pura indicazione di moto la compatta unità della materia per imprimere alla luce improvvise, drammatiche accelerazioni, questa nuova generazione di scultori predilige volumi più assestati e saldi ma dolcemente modellati, equilibrio e nitore nelle composizioni. Sul terreno dei contenuti espressivi, al mutamento stilistico corrisponde un maggiore dominio dei sentimenti, voltati in chiave intimamente lirica, ponendo in valore, ma a un livello di elaborazione formale sensibilmente più complesso e maturo, le forme di naturalismo gotico introdotte in Toscana da Nicola Pisano.
La quotidiana frequentazione pisana con Giovanni non restò senza effetto su T.; ne rendono testimonianza due opere firmate dal senese: il fonte battesimale, collocato in origine presso l'altare di s. Ranieri nel duomo, forse in ragione del particolare significato che l'elemento naturale dell'acqua riveste nella vita del santo, e la Madonna in piedi con il Bambino nel Mus. Civ. d'Arte Antica di Torino. Il primo, che fonti seicentesche descrivono "di forma rotonda", "expletum [...] atque repletum, ordine perfecto, sic chavo denique recto", fu eseguito nel 1312 su incarico di Burgundio di Tado, come dichiarava una lunga epigrafe segnata sulla base, ma è andato distrutto nell'incendio del 1595, tranne pochi frammenti conservati nel Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo di Pisa. Dalle trascrizioni dei tituli tramandate da un antico codice (Pisa, Arch. di Stato, Codex Orlandi 339; Bacci 1920, pp. 97-98) si è potuto inferire che i rilievi rappresentavano Storie del Battista e il Miracolo alla piscina probatica. Del fonte battesimale è stata proposta una ricostruzione in forma di vasca rotonda poggiante su una colonna con largo piede (Dan, 1983-1984, pp. 26-36), ornata all'esterno da bassorilievi, quasi certamente colorati, come sembra indiziare l'incipit della stessa iscrizione ("Tini sculptoris / de Senis arte coloris"). Nei due frammenti superstiti più significativi, le figure, pure condotte con il fare abbreviato proprio di Giovanni Pisano, si ancorano saldamente al piano di appoggio evitando i moti violenti e disarticolati non meno che i bruschi contrasti di luce e ombra. Più diretti prelievi tipologici giovannei, soprattutto in direzione della Madonna di Berlino (Staatl. Mus., Bodemus.), manifesta la statua di Torino, bloccata in un flessuoso hanchement, quasi a ricercare con lo scarto del busto un contrappeso al possente bambino accoccolato sul braccio sinistro. L'esito è quello di volgere in elegante bilanciamento, pure innervato da una calda corrente di affetti, l'intensa concentrazione di sguardi del modello, tradotta in figura da Giovanni attraverso l'elastico conchiudersi in cerchio delle incalzanti linee che concatenano i due corpi.Stilisticamente la Madonna di Torino fa da battistrada alle sculture del sepolcro di Arrigo VII (m. il 24 agosto 1313), che segnano il definitivo distacco di T. dalla maniera di Giovanni Pisano a favore di una ponderata monumentalità di forme, per molti aspetti affine al giottismo ornato delle contemporanee opere di Simone Martini, che tocca punte di inedita sintesi plastica, dettata verosimilmente anche dalla loro collocazione in alto, nelle statue che fiancheggiano l'imperatore in trono, tradizionalmente identificate con i suoi 'consiglieri', ma di recente proposte con scarsa attendibilità come le personificazioni dei principi elettori (Wolf, 1990). Ancora imbozzolate nel blocco ma tutt'altro che inerti, per la mirabile capacità di T. di animare il marmo con insuperabile economia di mezzi, attraverso l'impercettibile e raccolto moto rotatorio innescato nei corpi adiposi dalla posizione di un arto o dal volgere del capo, per la loro individuata concretezza fisionomica queste statue si collocano tra i primi esempi di ritratti in scultura, accanto a quelli pungenti di Marco Romano (v.). Potentemente caratterizzato è anche l'ossuto volto di Arrigo VII, mentre il tono si fa generico e insieme più convenzionalmente ornato nei personaggi sacri.La prima nota di pagamento a T., "caput magistrorum [...] pro constructura monumenti domini imperatoris", è del 10 aprile 1315, l'ultima del 5 luglio dello stesso anno (Pisa, Arch. di Stato, Opera del Duomo, 85; Masignani, 1997, pp. 116-117). Lo scultore lavorò al sepolcro con certezza fino al 10 luglio 1315, allorché, per l'insorgere di un conflitto armato tra Pisa e Siena, abbandonò l'incarico e fece ritorno in patria arruolandosi con le milizie guelfe. Delle quattrocento lire pattuite agli inizi di febbraio con l'Opera del Duomo T. non riscosse solo l'ultima rata, corrispondente a venticinque lire. Da una lunga nota di spese del 26 luglio 1315, contenente numerosi pagamenti ai pittori che parteciparono alla coloritura del monumento, si ricava indirettamente che esso era ormai concluso e pronto a ricevere le spoglie del titolare nel secondo anniversario della morte. Una più accurata lettura delle carte di archivio ha indotto a trarre la convincente ipotesi (Masignani, 1997) che si fosse dato inizio al sepolcro ben prima del 12 febbraio 1315, data in cui il cancelliere comunale Leopardo da Morrona venne pagato per la copia dei ricordati 'patti' tra T. e l'Opera del Duomo, intesi pertanto come cosa diversa dal vero e proprio contratto di allogagione del monumento. Nello stesso tempo la certificata attribuzione allo scultore pisano Lupo di Francesco dell'arca di s. Eulalia nel duomo di Barcellona (Bracons i Clapés, 1993) ha consentito di escludere in maniera definitiva, su base stilistica, la sua collaborazione all'opera, insistentemente riproposta dalla critica (Supino, 1904, p. 192; Kreytenberg, 1984, p. 37; 1986, pp. 14, 18-22).
Il grandioso monumento di Arrigo VII rimase fino al 1494 nell'abside del duomo di Pisa, sopra l'altare di s. Bartolomeo, allorché fu smantellato e poi smembrato nei ripetuti traslochi cui andò soggetto. Le parti che hanno le maggiori probabilità di appartenergli tra quelle che via via gli sono state aggregate risultano ora disperse tra il duomo di Pisa (sarcofago con giacente), l'annesso Mus. dell'Opera della Primaziale Pisana (Arrigo VII e i suoi 'consiglieri', angelo annunciante, Vergine Annunziata, una coppia di angeli assistenti, un rocchio di colonna tortile), il Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo a Pisa (S. Bartolomeo, Madonna con il Bambino non finita, gli evangelisti Marco, Luca e Giovanni) e il Vict. and Alb. Mus. a Londra (altri frammenti di colonne tortili). A queste sculture note da tempo si sono aggiunte di recente due nuove accessioni, la testa del sesto consigliere conservata nella villa Reale a Marlia, presso Lucca (Tigler-Passavant, 1991) - la cui esistenza era stata supposta per ragioni di simmetria dopo il ritrovamento della quinta (Carli, 1934, p. 10 n. 2) -, e una coppia di angeli reggicartiglio sugli spioventi del duomo di Pisa, qui trasferiti con la chiara intenzione di neutralizzare, nella mutata situazione politica, il contenuto del lungo epitaffio inciso sui cartigli, prodigo di lodi all'imperatore (Novello, 1993, pp. 217-218; Calderoni Masetti, 1994).Al progressivo recupero delle sue parti hanno fatto seguito ben sette diverse proposte di ricostruzione dell'opera (Kreytenberg, 1984) appoggiate ora alle tipologie sepolcrali messe in opera da T. stesso, ora a quelle documentate in Toscana, tuttavia senza pervenire finora a risultati soddisfacenti a causa delle eccessive perdite, peraltro non surrogabili con la documentazione secondaria, anch'essa estremamente laconica. La doppia rappresentazione dell'imperatore, giacente e in trono, autorizza soltanto a ritenere che il complesso tombale, provvisto di un altare, fosse articolato a due piani, il primo destinato al momento privato del defunto all'interno della camera funeraria, il secondo alla celebrazione della sua maestà. Sembra tramontata definitivamente la tesi, motivata dalla supposta strettezza dei tempi in rapporto alla mole del monumento (Bacci, 1921, p. 78), che il gruppo dell'imperatore con i 'consiglieri' fosse stato realizzato qualche anno prima per essere destinato a una porta urbica di Pisa.Il prestigio che T. si era conquistato a Pisa e la posizione di rilievo ricoperta dal padre Camaino nella fabbrica del duomo di Siena gli aprirono subito la strada per importanti commissioni in patria e in seguito anche a Firenze, rimasta orfana di grandi scultori dopo la scomparsa di Arnolfo di Cambio (v.), un buon palcoscenico per imporsi all'attenzione della corte angioina di Napoli, da tempo legata alle due città toscane da vincoli politico-diplomatici ed economici e, da qualche anno, anche da rapporti artistici (v. Angioini). La quotidiana frequentazione con le opere di Simone Martini, il quale aveva ormai preso in mano le redini della pittura senese, rafforzò la svolta in chiave di naturalismo ornato del linguaggio gotico di T., fiancheggiato su questa strada dal conterraneo Agostino di Giovanni (v.). La prima prova in questa direzione è costituita dal sepolcro del cardinale Riccardo Petroni nel duomo di Siena, già in opera il 13 marzo 1317, al momento della traslazione delle spoglie del prelato senese da Genova, dove aveva cessato di vivere nel 1313 (Carli, 1979, pp. 57-58). Più di una volta spostato e manomesso il monumento è stato correttamente ricomposto nel 1951, fornendo una preziosa traccia per la restituzione ideale di altri sepolcri toscani di T. giunti fino a oggi alterati, oltre che gravemente lacunosi. Su un robusto basamento pensile si levano quattro cariatidi a sostegno della cassa, scompartita sui lati e sulla fronte in cinque formelle figurate intervallate da sei statuette indipendenti di apostoli. Procedendo da sinistra si succedono Maria e un angelo presso il sepolcro vuoto, il Noli me tangere, la Risurrezione di Cristo, l'Incredulità di Tommaso, i Pellegrini in Emmaus. Nella camera funebre giace il defunto assistito da due diaconi a mezzobusto, mentre una coppia di angeli scosta le cortine per mostrarlo alla vista. La sovrasta uno svelto tabernacolo a triplice fornice che ospita nei suoi vani le statue della Madonna in trono con il Bambino tra i ss. Pietro e Paolo; corona infine il complesso un'edicola in forma di bifora gotica. Nel suo progrediente moto ascensionale, alla cui organicità ritmica concorrono in maniera corale tutte le parti (se ne sottraggono, forse per una errata ricollocazione, solo gli apostoli sulla cassa, raggruppati a coppia), il sepolcro Petroni svolge un concetto compositivo specificamente 'senese', mutuato, in una sorta di emulazione competitiva, dai grandi polittici prodotti dai pittori suoi conterranei. Senza rinunciare alle impressioni di peso e volume, tradotte in figura con abbreviazioni di disegno particolarmente ardite nei diaconi assistenti, fuori della portata dell'osservatore, lo scultore ricerca con accanimento effetti di modellato morbido e sensibile nei corpi colti in flessuose attitudini, docilmente assecondate dagli eleganti svolgimenti lineari delle vesti. L'integrità del blocco, così consentanea con la visione serenamente pacificata del senese, si allenta, verosimilmente per l'intervento di un collaboratore, solo in qualcuna delle statue di apostoli sulla cassa, più nervosamente elastica nelle perentorie indicazioni di moto.Con questa precisa fase di sviluppo dello stile di T. si accorda anche l'unica sua opera in legno dipinto finora nota, la notevole Madonna con il Bambino conservata nella prepositura di Anghiari (Ragghianti, 1936, p. 273; Kreytenberg, 1987), un'altra mirabile prova di monumentalità volta in ritmo gotico attraverso l'elastica rotazione, carica d'intimo calore d'affetti, del busto della Vergine sul quadrato blocco delle gambe saldamente ancorato al suolo.
Da questo momento e fino all'atto del suo trasferimento a Napoli ha inizio per T. un'intensissima stagione di impegni, che lo obbligò a fare la spola tra Siena e Firenze. A parte il sepolcro Petroni, nella sua città natale non è stata individuata però alcuna altra sua opera, dopo che sono state persuasivamente dirottate verso Agostino di Giovanni (Previtali, 1987) tre statue di apostoli nel Mus. dell'Opera della Primaziale Pisana, malgrado che nel 1318 e nel 1320 lo scultore risulti impegnato per alcuni mesi con il padre e con altri maestri senesi nella fabbrica del duomo (Milanesi, 1854-1856, I, pp. 181, 185). È in questi anni tuttavia che si colloca l'esecuzione dell'arca di s. Bartolo nella chiesa di S. Agostino a San Gimignano (Kreytenberg, 1988), alla quale, malgrado diverso parere, non è pertinente la coppia di angeli di Francoforte sul Meno (Liebieghaus), e dell'arca di s. Ottaviano nel duomo di Volterra, dispersa tra il locale Mus. diocesano d'Arte Sacra e il North Carolina Mus. of Art di Raleigh (Garzelli, 1969, pp. 147-149).
Assai meglio documentata dalle opere è l'attività fiorentina di T., che si apre con il monumento funerario in Santa Croce di Gastone Della Torre, patriarca di Aquileia (m. a Firenze il 20 agosto 1318), smantellato nel 1566, dopo varie traversie e sottrazioni. Ciò che ne è rimasto in loco (il sarcofago figurato su mensole, la statua giacente del titolare, due angeli reggicortina e la Vergine Annunziata) è stato sistemato nel Mus. dell'Opera di Santa Croce, annesso alla chiesa. Di recente a queste sculture sono stati aggregati su base stilistica due cariatidi loricate, una nel Liebieghaus di Francoforte sul Meno e l'altra nel Mus. Naz. del Bargello di Firenze, una Madonna con il Bambino nello stesso museo, un angelo adorante in palazzo Vecchio a Firenze e infine un angelo che raccomanda il vescovo inginocchiato, pure nel Liebieghaus (Kreytenberg, 1979). L'assetto generale doveva ispirarsi a quello del sepolcro Petroni, sul quale è fedelmente ricalcato il nucleo cariatidi-sarcofago. È ipotesi ragionevole, ma non controllabile, che esso fosse completato da un baldacchino, sul modello del sepolcro napoletano di Maria d'Ungheria. In questa fase i cambiamenti più significativi interessano lo stile, al punto che per il sepolcro Della Torre si è persino posta in dubbio la paternità del senese. Proseguendo lungo la strada di un'accentuazione pittorica del rilievo, T. comprime sul piano i corpi, profilandoli come densi blocchi di materia percorsi da un fluente tracciato lineare, capace di suggestioni di profondità illusionistica nei rilievi narrativi sulla cassa.Per un membro della famiglia Barucci o Beccuti, responsabile della commissione del sepolcro Della Torre, T. eseguì intorno al 1322 un'arca in S. Maria Maggiore, ridotta ora alla sola lastra di copertura con il giacente, di una potenza ritrattistica in tutto degna dei 'consiglieri' di Arrigo VII (Previtali, 1972).Gli incarichi di maggior prestigio ricoperti da T. a Firenze furono l'apprestamento del sepolcro per il vescovo Antonio D'Orso (m. nel 1320), addossato alla controfacciata di S. Maria del Fiore, e i tre gruppi statuari entro edicole gotiche per i portali del battistero. Il primo, in opera il 18 luglio 1321, dopo varie traversie è stato ricollocato nel 1905 nel sito originario (Paatz, Paatz, 1952, p. 400), al di sopra di una lunga iscrizione incisa direttamente nel muro, che con la firma dello scultore ha conservato anche una rara testimonianza di affetto filiale. Si compone di un basamento pensile in forma di due robuste arcate, sormontato da un sarcofago poggiante su tre leoni, sul quale con invenzione nuovissima è rappresentato seduto, ma nell'abbandono mortale, il vescovo. Nei pennacchi del basamento è svolta un'allegoria sulla morte ispirata da Francesco da Barberino, esecutore testamentario delle volontà del defunto. Sulla fronte dell'arca il bassorilievo con la raffigurazione del vescovo D'Orso che, assistito dalla Vergine con il suo seguito di santi e angeli, si presenta al cospetto dell'Eterno per essere sottoposto a giudizio, assume le cadenze di un raffinato cerimoniale cortese, nel quale anche la policromia contribuiva a una preziosità degna della contemporanea pittura senese. Si è supposto che questo nucleo plastico fosse contenuto entro un baldacchino, sormontato dall'angelo tubicino ora conservato sulla porta del campanile del duomo (Kreytenberg, 1978, pp. 36-38), mentre sull'ombracolo dovevano prendere posto due angeli (Firenze, coll. Torrigiani), rappresentati nell'atto della elevatio animae.Ai gruppi statuari per il battistero, rappresentanti il Battesimo di Cristo sul portale meridionale, la Predica del Battista tra un fariseo e un levita sul portale settentrionale e tre Virtù sul portale orientale - sostituiti rispettivamente nel corso del Cinquecento con opere di Andrea Sansovino, Giovan Francesco Rustici e Vincenzo Danti -, T. attese agli inizi del terzo decennio del 14° secolo. Le Virtù vennero poste in opera alla fine del 1321; il 19 novembre 1322 i Consoli di Calimala deliberarono che "le porte di S. Giovanni si cuoprino di rame dorato o di metallo. Maestro Tino Camaino da Siena si conduca a lavorare nell'opera di S. Giovanni nei lavori da porsi quivi come parrà a consoli e offiziali" (Frey, in Vasari, Le Vite, I, 1911, pp. 337, 349). Conservate in frammenti nel Mus. dell'Opera di Santa Croce, le sculture sono state identificate non senza difficoltà dalla critica (Toesca, 1951, p. 264; Brunetti, 1952; Valentiner, 1954, p. 124; Brunetti, in Brunetti, Becherucci, 1969, pp. 228-231). Ai sei pezzi finora riconosciuti come pertinenti al battistero è stata ingegnosamente aggregata anche la Carità (Firenze, Mus. Bardini), con il conseguente spostamento sul portale settentrionale della figura femminile con cornucopia, già creduta una Carità e ora proposta come Sibilla Eritrea (Kreytenberg, 1997). Varie altre sculture erratiche collegate stilisticamente alla fase fiorentina - due angeli reggicortina (Londra, Vict. and Alb. Mus.), la perduta statua di 'francescano' (già Berlino, Kaiser-Friedrich-Mus.; Valentiner, 1923, p. 294; 1927, p. 198; 1935, p. 65), la cariatide e la figura adorante nella Fond. Romano nel Cenacolo di Santo Spirito a Firenze (Toesca, 1951, p. 263), l'angelo con devoto (Firenze, Mus. Naz. del Bargello; Santangelo, 1939-1940), la Celebrazione delle esequie (Torino, coll. Gallino; Bartalini, 1988) - confermano che l'attività fiorentina fu assai più densa di opere di quel che i documenti lasciano trasparire.Il trasferimento di T. a Napoli alla fine del 1323 o agli inizi dell'anno seguente non comportò nel breve periodo alcuna significativa modificazione del suo stile, meno che mai una involuzione per l'assenza di adeguati stimoli culturali, a parte un impreziosimento coloristico per l'uso nel marmo di vetri colorati e tessere musive, in aggiunta al tradizionale mezzo della pittura, e l'adeguamento degli schemi tombali alla volontà autocelebrativa e alle esigenze liturgiche connesse con il culto dei morti propagandato dalla corte angioina (Morisani, 1970, pp. 88-95; Enderlein, 1997). Gli scarti di qualità, talvolta sensibili all'interno dello stesso manufatto, sono stati correttamente ricondotti dalla critica più avvertita (Valentiner, 1935; Morisani, 1945) alla più attiva partecipazione degli aiuti, non sempre all'altezza del maestro, via via che cresceva il carico degli impegni del senese, subito investito del compito di progettazione e controllo di importanti fabbriche religiose e civili - certosa di S. Martino, castello di Belforte, arsenale - in collaborazione con l'architetto napoletano Francesco di Vico (o di Vito; Morisani, 1945, pp. 123-124).
Questa considerazione vale in primo luogo per il monumento della principessa Caterina d'Austria (m. il 15 gennaio 1323) in S. Lorenzo Maggiore a Napoli, riconosciutogli già alla fine del secolo scorso proprio su base stilistica per le calzanti analogie con le opere toscane (Bertaux, 1899, p. 131ss.). Se la condotta più secca dei rilievi sulla cassa denuncia la mano di un collaboratore, tutte le altre sculture, sia quelle autonome sia quelle incorporate come bassorilievi nel baldacchino, risultano così coerenti tra loro per caratteri stilistici da invalidare l'ipotesi, tenacemente coltivata dagli studiosi, di un'opera nata dall'assemblaggio di parti forse eseguite in tempi diversi, comunque ricadenti sotto responsabilità diverse, per le innegabili incertezze nel modo in cui dialogano tra loro architettura e scultura. Fatta la tara di quanto può essere dovuto a successive manomissioni, come l'inserimento dell'alto stilobate che aggrava lo squilibrio verticale del baldacchino, enfatizzato dagli avvitamenti delle colonne tortili e dalla disposizione 'a giorno' del sepolcro tra i pilastri del coro (un hapax in Italia ma comune nei paesi d'Oltralpe), espliciti indizi 'archeologici', in primo luogo i grossolani adattamenti subìti dai santi in piedi nella camera funeraria, hanno indotto a collegare tali scompensi a una variazione di progetto strutturale intervenuta in corso d'opera sotto la suggestione di modelli nordici, imposta verosimilmente da Roberto d'Angiò (1309-1343; Gardner, 1988; Aceto, 1995). Al ritorno del sovrano a Napoli nel giugno del 1324, dopo un soggiorno in Francia che durava dal 1319, i lavori per la costruzione della tomba della giovane consorte di Carlo di Calabria erano in pieno corso, se il 27 maggio il duca impartiva l'ordine ai suoi vicari in Roma perché si procurassero con la massima sollecitudine "certi marmorei lapides" necessari "pro construendo seu faciendo sepulchro vel monumento bone memorie ducisse Calabrie" (Camera, 1841-1860, I, p. 287).
L'avvenuta messa a punto di questa vicenda ha consentito di definire meglio anche la natura dei rapporti di collaborazione tra T. e l'architetto Gagliardo Primario, al quale alcuni critici hanno attribuito parte del merito per l'impeccabile riuscita del sepolcro della regina Maria d'Ungheria (m. il 25 marzo 1323) in S. Maria Donnaregina, un capolavoro per l'equilibrio delle proporzioni e per l'armonioso rispondersi di volumi e spinte dinamiche, destinato a imporsi come modello normativo per la scultura funeraria a Napoli fino agli inizi del Quattrocento. Il coinvolgimento del maestro napoletano, certificato dalle carte d'archivio (Schulz, 1860, IV, p. 146, nr. CCCLXVIII; Minieri Riccio, 1883b, pp. 125-126), dovette configurarsi in termini imprenditoriali, in rapporto alla pratica organizzazione del lavoro, piuttosto che con il ruolo di progettista dell'architettura. Nel sepolcro della regina Maria la scultura di T. s'incammina con più decisione verso la conquista di nuovi valori atmosferici. Il disegno si fa più composto e sobrio per meglio graduare il distendersi luminoso della forma plastica, talvolta levigata fino a una immateriale lucentezza. Senza poter escludere l'impatto di prodotti delle arti minori d'importazione francese, un simile risultato costituisce il sintomo di una interna maturazione, implicita nella particolare attenzione con la quale da tempo il senese seguiva gli esiti formali della pittura toscana contemporanea.Questa tendenza si accentua in connessione con il soggiorno di Giotto (v.) a Napoli (1328-1333), toccando il vertice negli altaroli di devozione privata, traduzione su marmo dei polittici su tavola, come il trittico della coll. Borletti in origine scolpito su ambedue le facce (Kreytenberg, in corso di stampa), quello c.d. della regina Sancia nella Nat. Gall. of Art di Washington e la danneggiata Madonna con il Bambino di Berlino (Staatliche Mus., Bodemus.; Valentiner, 1923), la Madonna nella chiesa di S. Caterina a Galatina (Chelazzi Dini, 1995), lo scomposto altare nel Mus. dell'Opera di S. Chiara a Napoli (Aceto, 1995, pp. 22-23; in corso di stampa), il S. Giovanni Battista già in coll. Loeser e l'Ecce Homo di coll. privata (Seidel, 1988-1989; 1989).L'interesse di T. per l'opera di Giotto si manifesta anche nell'assunzione di schemi compositivi, come rivelano i resti della bella Crocifissione della chiesa di S. Chiara a Napoli e la formella con la Strage degli innocenti nella badia di Cava de' Tirreni, parti di un più vasto complesso di sculture databili tra il 1330 e il 1332, per le quali è stata proposta di recente una più articolata ricomposizione, comprendente, oltre a un'ancona a doppia faccia sull'altare maggiore commissionata dall'abate Filippo de Haya (1316-1331), anche un monumento funerario dello stesso, che includeva molto verosimilmente la ricordata coppia di angeli reggicortina di Francoforte sul Meno (Liebieghaus; 1988-1989; Aceto, in corso di stampa).
Le ultime prove napoletane nelle quali T. mostra di essere intervenuto personalmente con più largo impegno sono le sculture erratiche nel duomo, qualcuna forse in rapporto con i monumenti regali fatti innalzare dalla regina Sancia nel 1332-1333 (De Lellis, Notamenta, IV bis, III, p. 974; Becherucci, 1934), e il coevo sepolcro di Carlo di Calabria (m. nel 1328) in S. Chiara (Minieri Riccio, 1876, p. 38; Enderlein, 1997, pp. 106-107), gravemente compromesso dai danni patiti durante la seconda guerra mondiale, il cui complesso programma iconografico appare rivolto alla celebrazione del suo ruolo pubblico di vicario del Regno, "[...] iusticie precipuus zelator et cultor ac rei publice strenuus defensor [...]", come recita la lunga epigrafe infissa nel muro tra i sostegni della cassa. Al tema familiare e dinastico, già proposto nel sepolcro di Maria d'Ungheria, è invece ispirato l'apparato figurativo del monumento della principessa Maria di Valois (m. nel 1331) in S. Chiara, pagato a saldo alla vedova di T., Landa (De Lellis, Notamenta, III, I, p. 65; Minieri Riccio, 1876, pp. 9-10), privato nel Settecento di una Virtù cariatide (Gaglione, 1997). In quest'opera, come negli scomposti sepolcri di Filippo di Taranto (m. nel 1331) e Giovanni di Durazzo (m. nel 1335) nella basilica di S. Domenico Maggiore, si fa preponderante la mano degli aiuti, tra i quali si segnala il collaboratore responsabile di gran parte del monumento di Enrico Sanseverino nella cattedrale di Teggiano, in opera nel 1336, dove le figure degli apostoli sull'arca sembrano ben degne dello scalpello del senese (Negri Arnoldi, 1990).
Bibl.:
Fonti inedite. - C. De Lellis, Notamenta ex registris Caroli II, Roberti et Caroli ducis Calabriae (ms. del sec. 17°), Napoli, Arch. di Stato.
Fonti edite. - G. Vasari, Le Vite de' più eccellenti pittori scultori ed architettori, a cura di K. Frey, München 1911; M. Camera, Annali delle Due Sicilie, I-II, Napoli 1841-1860; G. Milanesi, Documenti per la storia dell'arte senese, I-III, Siena 1854-1856.
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