Tipologie contrattuali nell’area del lavoro autonomo
Il contributo analizza il riordino delle tipologie contrattuali con riferimento all’area del lavoro autonomo alla luce della l. 15.6.2015, n. 81. In particolare, l’approfondimento riguarda: la norma sulle collaborazioni organizzate dal committente, i nuovi confini tra il lavoro subordinato e il lavoro autonomo e la necessità di una normativa ad hoc sul lavoro autonomo.
La riforma chiamata Jobs Act ridisegna la gran parte della normativa attinente al rapporto e al mercato del lavoro.
Le novità sono molte, non solo quelle da sempre controverse riguardanti la disciplina del licenziamento e quindi il riequilibrio fra sicurezze nel posto e sicurezze nel mercato del lavoro. Una innovazione di grande rilievo per lo svolgimento del lavoro nella moderna economia è quella introdotta dal d.lgs. 15.6.2015, n. 81 nella tipologia dei contratti.
Si tratta di una disciplina oggetto negli ultimi anni di reiterati e in parte contraddittori interventi legislativi, nonché di appassionate discussioni1 fra i giuristi. Le nuove norme del governo Renzi sono di diverso contenuto e portata. Il loro significato si coglie solo considerandole nel complesso e naturalmente verificandone l’applicazione nel tempo.
L’indicazione di fondo è chiara e incide sull’equilibrio fra i diversi tipi di contratto (e di rapporto) in due direzioni. La prima modifica l’equilibrio fra lavoro a termine e lavoro a tempo indeterminato, con indicazione in parte divergenti, ma non prive di coerenza.
Il contratto a termine viene liberalizzato, radicalizzando la tendenza da tempo avviata, con il superamento “definitivo” della necessità delle causali per il periodo massimo del contratto, trentasei mesi.
Il contratto a tempo indeterminato viene agevolato sul piano economico, con l’incentivo economico previsto dalla l. 23.12.2014, n. 190 e sul piano normativo, con la minore rigidità della disciplina del licenziamento. Il favore per ambedue questi contratti viene giustificato dalle diverse funzioni loro attribuite: quello a tempo indeterminato è reso conveniente per renderlo la forma normale di rapporto di lavoro; il contratto a termine è reso accessibile per rispondere a esigenze temporanee dell’impresa, liberamente valutabili, senza necessità del vincolo della causale. L’opportunità di tale scelta legislativa, che scommette sulla razionalità delle scelte imprenditoriali, andrà verificata nell’applicazione della legge.
Le prime indicazioni mostrano in effetti una iniziale correzione nella tendenza, più grave in Italia che altrove, a dare prevalenza ai contratti a termine di prima assunzione, rivelando una crescita delle assunzioni a tempo indeterminato rispetto a quelle temporanee2.
La correzione attuata da questa normativa è parziale, perché le determinanti delle scelte imprenditoriali in tema di assunzione (come di altre decisioni) riguardano l’insieme delle condizioni di contesto; e queste sono più complesse di quelle controllabili con il cambio delle convenienze relative al tipo contrattuale.
La seconda innovazione del d.lgs. n. 81/2015 riguarda l’equilibrio fra vari tipi contrattuali storicamente sviluppatesi negli anni con la diversificazione delle imprese e quindi delle modalità di impiego del lavoro; in Italia con modalità in parte anomale. La modifica di questo equilibrio, pur se appare meno carica di tensioni ideologiche della modifica dell’art. 18 st. lav., non è meno importante.
Infatti rivedere la configurazione dei tipi contrattuali significa non solo introdurre forme di flessibilità in entrata di grande rilevanza pratica, ma incidere direttamente sugli assetti dei rapporti e dei mercati del lavoro. Non a caso proprio su questo terreno si sono susseguiti negli ultimi due decenni interventi legislativi ispirati a logiche diverse, emblematici oscillazioni delle politiche del diritto sopra ricordate.
La l. delega 10.12.2014, n. 183 si propone l’obiettivo, ancora una volta ambizioso, di predisporre un testo organico delle discipline delle tipologie contrattuali e dei rapporti di lavoro (il duplice riferimento a contratti e rapporti è invero ridondante). Lo scopo perseguito è di rendere i contratti vigenti più coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo, anche internazionale, oltre che di rendere più efficiente l’attività ispettiva. E a tal fine il decreto indica fra i principi direttivi «la semplificazione, la modifica e il superamento dei tipi esistenti».
Il riferimento al contesto internazionale, alle regole dell’Unione europea e alle convenzioni internazionali è potenzialmente importante. Quali che siano il numero e i modi con cui si computano i vari tipi di contratto, il nostro assetto contrattuale presenta varianti e complicazioni senza riscontro in altri ordinamenti.
Il riordino attuato del d.lgs. n. 81/2015 attua in misura limitata l’obiettivo della semplificazione dei tipi. Infatti, sono abrogati solo tipi marginali, come l’associazione in partecipazione ed il job sharing. Il lavoro intermittente è confermato. L’ambito del lavoro accessorio viene ampliato, anche se marginalmente e non assume la rilevanza dei mini jobs tedeschi, cui sembrava volersi ispirare.
L’intervento più importante del decreto riguarda la nuova regolazione delle collaborazioni con il superamento dei contratti a progetto.
Il dibattito di questi anni e gli interventi legislativi si sono molto occupati di questo tipo negoziale e delle cd. partite IVA; e non sono mancati gli annunci anche nel corso dell’iter del Jobs Act della volontà di abolirli. Ma non si può dire che una indicazione univoca in questo senso sia contenuta nella l. n. 183/2014, che parla di riordino e anche di superamento dei tipi esistenti, ma senza un esplicito riferimento alle collaborazioni. Tale scelta mi sembra non solo realistica ma giustificabile, perché – come si vedrà meglio in seguito – questo tipo negoziale può corrispondere a effettive esigenze delle imprese e a modalità di impiego del lavoro in sé corrette anche se di fatto spesso distorte. Gli abusi verificatisi nel nostro paese sono dovuti al carattere specifico assunto dalla loro disciplina. E possono essere corretti.
La novità centrale del d.lgs. n. 81/2015 è che non si limita, come annunciato dal governo, ad abolire il contratto a progetto e neppure a lasciare in vita le collaborazioni nella versione originaria, bensì interviene nella ultradecennale querelle qualificatoria riguardante la distinzione fra rapporto di lavoro subordinato e rapporto di lavoro autonomo.
Si tratta di una scelta carica di incognite, perché tale questione qualificatoria affatica da decenni i giuristi e i giudici italiani, anche più di quelli di altri paesi, e ha provocato interventi tanto reiterati quanto incerti del legislatore. Gli interventi recenti in materia sono stati guidati dalla preoccupazione previdente di contrastare l’uso fraudolento delle collaborazioni e delle partite IVA che maschera forme di subordinazione, favorendo quella che è stata definita come vera e propria fuga dal lavoro subordinato. Tale preoccupazione è storicamente ben giustificata e non è assente nei motivi che hanno portato al d.lgs. n. 81/2015. Ma si è tradotta in una indicazione normativa diversa da quelle precedenti, così diversa da modificare il senso dell’intervento.
In primis il d.lgs. n. 81/2015 abbandona il ricorso alle presunzioni relative utilizzabili dalla l. 28.6.2012, n. 92 per contrastare l’uso improprio di contratti a progetto e delle partite IVA. La scelta del 2012 era largamente criticabile per la improprietà e le controindicazioni dell’uso delle presunzioni e inoltre per il fatto che nella l. n 92/2012 tali presunzioni erano usate senza motivazioni convincenti, con diverse accezioni e con diverse implicazioni sia in ordine alle sorti del contratto a progetto sia negli effetti su questi e sulle partite IVA3.
L’aumento dei costi soprattutto previdenziali, che è l’altro strumento per contrastare l’uso improprio di questi contratti parasubordinati, non è abbandonato (ufficialmente) dal governo, ma è sospeso anche dallo schema di legge di stabilità 2016 in corso di approvazione e a causa delle vigorose proteste del cd. popolo delle partite IVA. Esso potrebbe essere riconsiderato nell’ambito di un generale ripensamento del trattamento dei lavori autonomi, non affrontato dal d.lgs. n. 81/2015, ma ora predisposto dal governo, anche a seguito delle innovazioni introdotte dallo stesso decreto e per altro verso non estraneo alle indicazioni della l. n. 183/20154. L’indicazione della delega è sufficientemente ampia per comprendere tutti i lavori, non solo quelli subordinati, ma anche quelli autonomi.
Si è detto che l’obiettivo del d.lgs. n. 81/2015 è funzionalmente equivalente a quello, perseguito dal 2003 in poi, di contrastare le forme abusive di collaborazione5. Effettivamente la direzione è la stessa, ma l’abbandono delle tecniche utilizzate dai precedenti legislatori segnala che il d.lgs. n. 81/2015 persegue un risultato diverso e più ampio di quello proprio delle leggi passate.
L’intervento del decreto è “di sistema”. Non interviene solo a correggere deviazioni dell’uso del lavoro parasubordinato, ma intende ridefinire i confini fra lavoro subordinato e collaborazioni e fra le relative discipline (potenzialmente anche i confini con altre forme di lavoro autonomo).
Sul piano normativo la differenza fra i due approcci è netta. Nei fatti dipenderà da come verrà intesa e applicata questa innovazione di sistema. Oltretutto essa è stata introdotta nel corso della elaborazione della normativa, al di là delle ipotesi originarie come è capitato anche in altre modifiche normative adottate in questa movimentata stagione di riforme. A dire il vero la strada imboccata dal legislatore non è priva di riscontri nei fatti, cioè nella evoluzione delle tipologie del lavoro da tempo in atto nell’economia; e trova anche qualche corrispondenza nelle decisioni giurisprudenziali.
2.1 Una scelta di discontinuità: il lavoro eterorganizzato
Anche per questo aspetto il d.lgs. n. 81/2015 segna una discontinuità con le scelte precedenti, che non hanno affrontato una revisione generale delle forme di lavoro non standard, e nello specifico hanno attribuito al progetto una capacità qualificatoria debole sul piano giuridico e poco o nulla riscontrabile nella realtà dei fatti6.
La scelta del legislatore del 2003 è stata asistematica7 e non incidente sui criteri di identificazione del lavoro dipendente e autonomo, perché circoscritta al lavoro a progetto. Per di più si è rivelata anacronistica, non avendo tenuto conto della evoluzione del lavoro subordinato e della detipizzazione della subordinazione nella economia e nella struttura sociale e di riflesso anche nel diritto. Di questa evoluzione i commentatori e i giudici si sono dovuti occupare nella opera quotidiana di interpretazione dei rapporti di lavoro.
Le reazioni degli operatori sono state diverse. Sul piano interpretativo si sono affinati gli strumenti analitici tradizionali, al fine di cogliere forme del lavoro dipendente che si manifestano con modalità diverse dalla subordinazione identificata con la eterodirezione propria del lavoratore dell’industria fordista. Tali nuove modalità sono state definite, con indicazioni oscillanti che potranno riemergere anche nelle interpretazioni del d.lgs. n. 81/2015. Si è ricorso talvolta alla formula della subordinazione attenuata, per l’affievolimento sovente riscontrabile del potere direttivo del datore, altre volte a quella di subordinazione-coordinamento, la cui caratteristica è la sostituzione della dipendenza gerarchica con la valutazione dei risultati e il coordinamento della attività del lavoratore8.
Una risposta intenzionalmente organica a tale evoluzione può identificarsi nei tentativi di configurare la variegata categoria dei lavori parasubordinati, cui è stato per lo più ricondotto lo stesso contratto a progetto. Le discussioni sollevate da questi tentativi sono note, come lo sono le critiche, cui anche chi scrive ha contribuito, alla scarsa consistenza di questa categoria intesa talora come tertium genus fra lavoro subordinato e lavoro autonomo9.
In realtà non si tratta di ipotizzare categorie intermedie, bensì di prendere atto che i connotati identificativi dei lavoratori nell’impresa, subordinati e autonomi, si sono modificati e sfrangiati, così da richiedere criteri distintivi diversi dal passato10. Anzi, in molti casi la distinzione si è oscurata per la presenza di forme di lavoro e contrattuali che presentano tratti sovrapposti di autonomia, coordinamento e subordinazione. Detto altrimenti, si può affermare che le varie forme del lavoro odierno si presentano non più nettamente distinte in base ai parametri della subordinazione e autonomia, ma collocate in una continuum fra gli estremi della subordinazione gerarchica, al datore di lavoro, e quello della piena autonomia delle prestazioni rispetto a un committente e addirittura nel mercato.
Questo è il retroterra del d.lgs. n. 81/2015, che vuole rispondere alle modifiche in atto nelle forme di lavoro con un intervento appunto di ridefinizione dei confini.
Tale scelta normativa è destinata a incontrare gli ostacoli e le difficoltà propri di un intervento diretto in una materia storicamente così complessa e controversa.
Le questioni centrali sono almeno due. La prima riguarda il significato della formula adottata dal legislatore per segnalare il nuovo confine: «prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche in riferimento ai tempi e luoghi di lavoro». La seconda questione riguarda il significato “strutturale” della nuova formula.
2.2 Allargamento della fattispecie e/o della disciplina
Il significato “strutturale” della nuova formula è una questione di fondo, che può essere riferita all’identità del tipo di contratto di lavoro eterorganizzato invece che eterodiretto, ovvero all’ambito di disciplina applicabile. Il dato testuale dell’art. 2 d.lgs. n. 81/2015, che prevede che «la disciplina del rapporto di lavoro subordinato si applica anche ai rapporti di collaborazione» come nuovamente identificate, sembra deporre nel secondo senso, cioè un allargamento dell’ambito di applicazione della disciplina, che lascerebbe intatti i confini della fattispecie.
La formula ha già dato origine a un intenso dibattito fra i giuristi. Chi sostiene che il legislatore avrebbe inteso operare sull’ambito di applicazione della disciplina e non sulla fattispecie non si richiama solo al dato testuale della norma, ma ritiene che questa lettura del testo sia necessaria per superare le divisioni di costituzionalità della norma del co. 1 in relazione a quella del co. 2, per violazione del principio di intangibilità del tipo negoziale11. Secondo tali autori, sostenere che l’art. 2, co. 1, si riferisce, estendendola, alla fattispecie subordinazione, esporrebbe a censura di incostituzionalità il regime delle esclusioni previste al co. 2 dell’art. 2, perché esse implicherebbero la sottrazione di tutta la disciplina tipica del lavoro subordinato a fattispecie che lo stesso legislatore definisce di lavoro subordinato (un risultato censurato dalla C. cost., 29.3.1993, n. 121 e C. cost., 31.3.1994, n. 115).
Che la disciplina applicabile ai rapporti di cui al co. 2 sia interamente quella del rapporto di lavoro subordinato e non solo una parte, sembra difficile negarlo.
L’indicazione testuale, come la volontà del legislatore, è univoca e non ci sono tracce in senso contrario nell’iter formativo della legge. L’estensione di singoli tratti della disciplina di tutela lavoristica al di fuori dei confini tradizionali del lavoro subordinato è da tempo conosciuta. Si tratta di una modulazione delle tutele che riflette (anch’essa) l’esigenza di superare le rigide categorie legali di subordinazione e autonomia, per rispondere ai differenti bisogni di regolazione dei diversi lavori sviluppatisi anche oltre i confini di quella categoria. Ma al di là delle manifestazioni delle tendenze espansive del diritto del lavoro – non sempre controllate e virtuose – l’esistenza di simili modulazioni va verificata in ogni caso sulla base di indicazioni precise del legislatore. E come si diceva nessuna indicazione in tal senso è presente nel caso in questione.
Le ipotesi avanzate di estendere al lavoro eterorganizzato di cui all’art. 2 solo una parte della disciplina lavoristica, escludendo ad es. la normativa riguardante i contributi sociali e la previdenza, non sono sostenute da alcun fondamento (se non forse quello di ridurre i costi)12.
La disciplina previdenziale come degli ammortizzatori sociali è direttamente connessa e dipendente dalle vicende del rapporto di lavoro e non può quindi essere separata, in mancanza di esplicite indicazioni normative13.
Ma se è così, la sfasatura fra fattispecie e disciplina applicabile si ripresenterebbe rovesciata adottando l’interpretazione letterale dell’art. 2, perché si avrebbe una fattispecie qualificata dal legislatore come lavoro non subordinato – quindi autonomo – cui si applicherebbe tutta la disciplina del lavoro subordinato. D’altra parte sostenere che la norma sia “priva di efficacia propriamente normativa” è una soluzione cui l’interprete non dovrebbe rassegnarsi, perché equivale a una abrogazione della norma in via “interpretativa”.
Né sembra utile, per superare l’impasse, sostenere che il legislatore avrebbe creato una nuova fattispecie di lavoro, intermedia fra lavoro subordinato e non subordinato. Tale fattispecie è di dubbia consistenza e utilità giuridica e rifarsi ad essa non cambierebbe i termini della questione14.
Indubbiamente la norma dell’art. 2 è di difficile lettura e di collocazione incerta nel sistema. Essa costituisce una (ulteriore) conferma delle difficoltà di utilizzare le categorie ricevute dal passato, compresa la categoria tradizionale della subordinazione, per qualificare la diversificata e variabile realtà dei lavori. Del resto è da tempo che non solo la dottrina ma la giurisprudenza riconosce che il concetto di subordinazione, da sempre considerato fondativo del diritto del rapporto di lavoro, ha perso il suo significato definitorio; invero questo non era del tutto univoco neppure in passato, come testimoniano le oscillazioni giurisprudenziali nella identificazione dei vari indici qualificativi del lavoro subordinato.
Non a caso, per salvare la legittimità costituzionale della norma in questione, si è ritenuto configurabile nel nostro ordinamento una nozione di subordinazione parzialmente disponibile, quella dell’art. 2, co. 1, i cui confini sarebbero mobili e aperti alle modifiche legislative e negoziali. Mentre la subordinazione dell’art. 2094 c.c., avrebbe confini più ristretti, che sarebbero intoccabili dal legislatore e a fortiori dall’autonomia contrattuale anche collettiva15.
Una ipotesi del genere indica la necessità di ripensare criticamente il principio dell’indisponibilità del tipo, ereditato da epoche di maggiore certezza e stabilità (non solo) giuridiche. Il ripensamento riguarda la funzione del tipo e quindi le ragioni della sua disponibilità o indisponibilità. Si è sostenuto che i limiti costituzionali andrebbero riferiti alle possibilità del legislatore di disporre degli effetti e non della fattispecie, anche perché la fattispecie tipizzata dall’art. 2094 c.c. non trova una sua definizione nella Costituzione vincolante per il legislatore16.
Le direttive costituzionali vincolano il legislatore a rispettare non un tipo formale, ma ad attuare le garanzie essenziali tracciate nella Carta. Del resto anche le sentenze della Corte costituzionale richiamate a fondamento del principio di indisponibilità del tipo manifestano questa preoccupazione.
Esse indicano la possibilità di censurare il legislatore, quando dalla negazione della natura subordinata di un rapporto che presenti «oggettivamente» tale natura «derivi la inapplicabilità della norma inderogabile a tutela del lavoratore» (C. cost., n. 115/1994 che richiama la indicazione conforme della C. cost., n. 121/1993). Né è privo di significato che le decisioni escludano la censura delle norme sotto esame, perché ritengono che i rapporti considerati presentavano caratteri diversi da quelli del lavoro subordinato.
Anche la recente decisione della C. cost. 7.5.2015, n. 76 esclude ogni dubbio di legittimità costituzionale della normativa che differenzia il trattamento dei medici e degli infermieri incaricati da quelli dei dipendenti di ruolo, osservando che la scelta del legislatore si fonda sulla diversità oggettiva dei due rapporti (diversi vincoli di esclusività e di dipendenza dal potere direttivo del datore) e che tale scelta non può essere ritenuta irragionevole date le caratteristiche del rapporto in esame (quello degli incaricati)17.
Seguendo tale argomentazione la questione in esame si risolve su un piano diverso da quello dell’indisponibilità del tipo, bensì valutando se le esclusioni del co. 2 sono giustificate ragionevolmente dalla specificità dei rapporti: il carattere professionale o istituzionale delle prestazioni per le esclusioni previste dallo stesso co. 2, i caratteri che motivano la specifica disciplina contrattuale dei contratti collettivi e qui qualche dubbio si può porre in concreto (v. oltre).
Se si superano le obiezioni finora discusse è più coerente riferire la modifica dell’art. 2, alla fattispecie piuttosto che all’ambito della disciplina.
Adottare questa seconda interpretazione porterebbe a una sfasatura fra la fattispecie del lavoro subordinato (ma anche di riflesso di quello autonomo) che resterebbe definita secondo i criteri tradizionali, e l’ambito della disciplina che sarebbe più ampio, perché la disciplina del lavoro subordinato si estenderebbe a una serie di rapporti ulteriori identificati dal nuovo criterio della eterorganizzazione. Detto altrimenti, la disciplina tradizionale del lavoro subordinato risulterebbe applicabile anche a rapporti che secondo i criteri tradizionali, non modificati in ipotesi dall’art. 2, sarebbero qualificati di collaborazione autonoma18.
Piuttosto la norma in esame presenta un ulteriore aspetto problematico, in quanto le esclusioni previste al co. 2 dell’art. 2, non solo quelle stabilite dal legislatore, bensì anche quelle previste dai contratti collettivi nazionali.
L’intervento dei contratti sulle caratteristiche e sulla disciplina di tali rapporti potrebbe ritenersi più difficilmente giustificabile in base al principio sopra ricordato. In realtà neppure questa (possibile) obiezione è insuperabile, perché una volta ammesso che il legislatore può modificare i confini e le condizioni di uso dei vari contratti di lavoro niente vieta che possa delegare tali modifiche, con la relativa competenza qualificatoria, in tutto o in parte, alla contrattazione, come del resto risulta essersi più volte verificato.
Per concludere va rilevato che la diversità di lettura dell’art. 2 qui discussa, al di là della sua rilevanza dogmatica, non ha implicazioni giuridiche specifiche dato che, come si è detto, al rapporto eterorganizzato di cui all’art. 2, co. 1, si applica tutta la disciplina propria del lavoro subordinato.
Piuttosto resta da vedere se e come la nuova norma influenzerà i futuri orientamenti giurisprudenziali e il peso che questi attribuiranno ai tratti identificativi della fattispecie o, se si vuole, dell’ambito della disciplina del lavoro subordinato, indicata nell’art. 2.
2.3 I tratti identificativi della fattispecie
Il carattere «esclusivamente» personale della prestazione richiesto dall’art. 2 è un requisito più stretto di quello previsto in altre norme, in cui si parla di prevalenza della prestazione personale, e significa che il collaboratore considerato non può avvalersi di alcun dipendente o collaboratore. È discutibile se e in che misura tale carattere sia compatibile con la presenza di un’organizzazione di beni e servizi per svolgere il lavoro. Mezzi personali come cellulari e computer non possano ritenersi inammissibili perché si tratta di strumenti essenziali per la gran parte dei lavori subordinati e autonomi.
La continuità della prestazione, menzionata nell’art. 2 come secondo connotato della fattispecie conferma il carattere di durata in senso tecnico di questo rapporto19. Tale carattere è presente nelle varie tipologie di collaborazioni, e quindi non riveste rilievo qualificatorio decisivo20. Ma andrebbero esclusi dall’ambito applicativo della norma rapporti di durata nei quali tuttavia non si configuri una disponibilità nel tempo del prestatore di lavoro21.
L’indice di qualificazione più significativo menzionato nell’art. 2, riguarda le modalità di esecuzione della prestazione, che devono essere «organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro», in sintesi al requisito della eterodirezione distintivo della subordinazione di cui all’art. 2094 c.c., si è sostituita la eterorganizzazione quale criterio caratterizzante della nuova area delle collaborazioni “dipendenti”.
L’indicazione di questo criterio non costituisce in sé una novità22. Ma il fatto che sia assunta nella definizione legislativa assume un rilievo che va attentamente considerato soprattutto per valutarne, come si diceva, la possibile influenza sugli orientamenti giurisprudenziali. Il compito non è agevole, perché se la coordinazione è una “formula insincera”23, poco utile per distinguere la posizione di un collaboratore autonomo da quella di un lavoratore subordinato, altrettanto o più incerta è la capacità distintiva del requisito della eterorganizzazione rispetto al concetto di subordinazione. Tanto più che, come si è già rilevato, i contorni tradizionali della subordinazione si sono andati sfrangiando. Il criterio storico della eterodirezione anche nella interpretazione giurisprudenziale ha perso rilievo esclusivo e si è combinato con altri indici. Inoltre la rappresentazione dei possibili indici qualificatori, nella giurisprudenza come nella dottrina più attenta, presenta ampi margini di oscillazione e di ambiguità, che attestano le difficoltà di cogliere anche prima dei recenti interventi la variabile morfologica dei lavori e di distinguere subordinazione da coordinamento.
I riferimenti a tali indici sono diversi, ad es. si menziona la dipendenza intesa come messa a disposizione delle energie lavorative del prestatore di lavoro, con la specificazione ulteriore che tale messa a disposizione è in funzione dei programmi e per il perseguimento dei fini propri dell’impresa; oppure si richiama alla disponibilità continuativa nel tempo del prestatore di lavoro, ovvero ancora all’inserimento continuativo e organico delle prestazioni nell’organizzazione dell’impresa. Indicazioni simili trovano riscontro in ordinamenti ministeriali, (come la cd. Circ. Damiano, 14.6.2006, n. 17), riguardante le prestazioni di attività di call center cd. inbound, che si limitano a mettere a disposizione le proprie energie per un dato tempo senza autonomia (a differenza di quelle outbound).
In altri casi si rileva che il potere direttivo tipico della fattispecie dell’art. 2094 c.c., comprenderebbe un potere di conformazione – in particolare lo jus variandi – che sarebbe invece assente nell’ipotesi di lavoro coordinato24. Ovvero si precisa che la subordinazione-coordinamento si manifesterebbe come soggezione al controllo sul risultato della prestazione, in definitiva come semplice disponibilità continuativa del lavoratore a seguire le direttive del datore, perciò coincidente con la continuità della prestazione.
Su un piano diverso si è rilevato come nelle collaborazioni l’imputazione del rischio sia a carico del committente, come nel lavoro subordinato, contro la regola tradizionale del lavoro autonomo che la colloca in capo al prestatore, il che costituisce un ulteriore segnale dell’indebolirsi delle distinzioni tradizionali e della sovrapposizione delle regole25.
Il richiamo della norma alla fissazione delle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa «anche con riferimento al luogo e ai tempi di lavoro», non ha portata conclusiva, perché il potere di fissare tale modalità si riscontra anche nel lavoro subordinato, in quanto espressione del potere direttivo del datore (con ordini specifici), e non si esprime diversamente dal potere del committente di organizzare la prestazione del collaboratore indicandogli luogo e tempo per eseguirla26.
Come si vede si tratta di un decalage di indici che sconfinano in quelli tradizionalmente attribuiti alle varie forme di lavoro autonomo27.
Tale oscillazione di criteri segnala la fragilità dei confini fra lavoro subordinato e lavoro coordinato e tout court autonomo che sono suscettibili di spostamento in un senso o nell’altro. La scelta del d.lgs. n. 81/2015 di attribuire rilievo qualificatorio al criterio della eterorganizzazione, segnala l’intenzione di spostare i confini tra le fattispecie e fra le relative discipline; più precisamente la volontà di estendere l’area del lavoro subordinato. Sottolinea che l’elemento privilegiato non è necessariamente la presenza e l’esercizio da parte del datore di lavoro di poteri di direzione puntuali nell’esecuzione dell’attività lavorativa, ma appunto la organizzazione complessiva di tale attività.
A ben guardare i due concetti di eterorganizzazione e eterodirezione non coincidono; e la precisazione non è priva di significato, perché, mentre il potere di direzione presuppone quello di organizzazione, non è vero il reciproco. Può darsi eterorganizzazione anche senza eterodirezione e senza l’esercizio di poteri direttivi da parte del datore, come avviene nelle prestazioni di lavoro con contenuto intellettuale elevato o, all’opposto, in quelle con contenuti semplici e ripetitivi28.
Anche gli indici utili per segnare i confini tra la fattispecie individuata dell’art. 2, co. 1, e il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa che sopravvivono per esplicito richiamo del legislatore all’art. 409 c.p.c., sono variamente apprezzati.
Si è già rilevata la debole significatività del richiamo dell’art. 2 alla fissazione delle modalità temporali e di luogo di esecuzione della prestazione.
Un criterio distintivo potrebbe consistere nel dare rilievo alle diverse relazioni fra le singole prestazioni e i lavoratori inseriti in un’organizzazione.
Il coordinamento riguarderebbe i casi in cui i rapporti fra le parti, e i vincoli di luogo e di tempo in capo al collaboratore sono solo quelli necessari al raggiungimento del risultato oggetto della collaborazione; mentre viceversa nelle prestazioni organizzate dal committente, le modalità di esecuzione e i relativi vincoli di tempo e di luogo sono quelli più generali e per certi versi indeterminati propri di chi partecipa in un’organizzazione e vi è inserito (come è per il dipendente soggetto per questo allo jus variandi del datore)29.
Un criterio del genere può essere applicato, ad es. agli addetti al call center. Per la qualificazione del loro rapporto alla stregua della nuova normativa, non sarebbe rilevante tanto il carattere inbound o outbound delle chiamate, quanto il fatto che gli operatori, pur godendo di una discrezionalità nel fare le chiamate, sono parte integrante dell’organizzazione del call center, con tutti i vincoli tipici di questa organizzazione.
Ma si tratta di un’ipotesi più che mai incerta, come ogni proposta interpretativa riguardo a questa fattispecie.
3.1 Le collaborazioni autonome e l’art. 409 c.p.c.
Una indicazione qualificatoria forse più utile, ma non contrastante con quella appena richiamata è di ritenere che nelle collaborazioni autonome dell’art. 409 c.p.c. le modalità di esecuzione delle prestazioni del collaboratore non sono e non possono essere determinate unilateralmente dal committente, bensì vanno concordate fra le parti nel contratto o di volta in volta nel corso della sua esecuzione. Si è peraltro rilevato come la chiarezza delle distinzioni di principio possa offuscarsi nel concreto svolgimento del rapporto specie qualora il collaboratore sia un soggetto debole, come è sovente il caso, e quindi indotto di fatto – non diversamente dal lavoratore subordinato – ad accettare le determinazioni unilaterali del committente datore di lavoro circa le modalità di svolgimento della prestazione.
Resta vero però che il criterio della eterorganizzazione mantiene un rilievo qualificatorio sufficientemente univoco, perché esso è proprio della nuova fattispecie ed è invece estraneo alle collaborazioni dell’art. 409 c.p.c. In questo senso l’introduzione di tale criterio segna l’intenzione del legislatore di spostare il confine fra le fattispecie e le relative discipline, e più precisamente la volontà di estendere l’area del lavoro subordinato. Per questo è presumibile che la scelta del decreto orienti gli interpreti ad adottare valutazioni più rigorose degli indici significativi per qualificare le collaborazioni come autonome.
Ma, per quanto fin qui rilevato la scelta del decreto presenta margini di incertezza interpretativa non diversi, semmai acutizzati, rispetto a quelli presenti nella prassi. Per questo costituisce uno stimolo per gli interpreti e per i giudici, a ripensare le categorie tradizionali e gli strumenti analitici al fine di adeguare la comprensione delle forme di lavoro alla loro realtà e variabilità30. È un’opera da tempo in corso ma da affinare ulteriormente, scontando la necessaria provvisorietà e incertezza delle soluzioni, che è un segno dell’epoca.
Per questo è più che mai pertinente il richiamo ad evitare approcci definitivi rigidi come quello proprio del metodo sussuntivo e a seguire un approccio tipologico per la qualificazione dei vari rapporti, come già praticato dalla giurisprudenza31.
Nei fatti il riesame qualificatorio sarà influenzato dalle altre scelte del Jobs Act sopra ricordate, che hanno modificato l’equilibrio fra i diversi tipi di contratto di lavoro, in particolare dalle modifiche dell’art. 18 st. lav. e dalle agevolazioni del lavoro subordinato a tempo indeterminato.
È prevedibile, come si sta verificando, che le nuove convenienze economiche così introdotte favoriscano l’attrazione nell’ambito del lavoro subordinato specie di quei rapporti di collaborazione connotati da condizioni di svolgimento vicine a quelle tipiche della subordinazione. Una simile tendenza opererebbe nello stesso senso indicato dall’adozione del nuovo criterio di eteroganizzazione al posto di quello tradizionale e ne rafforzerebbe sul piano di fatto la fragile tenuta qualificatoria.
Lo spostamento dei confini si realizza con modalità diverse da quelle del passato, non per la forza di presunzioni affidate agli interventi giudiziari, ma per l’operare congiunto della convenienza economica e della indicazione normativa che propone di interpretare l’evoluzione delle forme del lavoro indipendente nell’impresa, sia pure con le incertezze sopra indicate. L’efficacia e giustizia di tale scelta dipenderà più che mai da come si calerà nella pratica e da come influenzerà gli orientamenti della giurisprudenza e degli operatori chiamati ad applicarla.
3.2 Eccezioni alla norma: art. 2, co. 2, d.lgs. n. 81/2015
In realtà il legislatore del 2015, consapevole delle implicazioni potenzialmente dirompenti dalla nuova normativa, ha voluto circoscriverne la portata introducendo una serie di eccezioni indicate al co. 2 dell’art. 2: attività prestate nell’esercizio di prestazioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi; attività svolte nell’esercizio della loro funzione dai componenti di organi di amministrazione e controllo delle società e dei partecipanti a collegi e commissioni (categoria quest’ultima indicata alquanto genericamente); prestazioni rese istituzionalmente a favore di associazioni sportive dilettantistiche.
L’eccezione più rilevante riguarda le collaborazioni per le quali gli accordi collettivi stipulati dalle confederazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, prevedano discipline specifiche del trattamento economico e normativo in ragione delle particolari esigenze produttive e organizzative del relativo settore.
La scelta di delegare alla contrattazione scelte regolative in questa materia si ritrova con varianti nella normativa precedente; in particolare nella l. n. 92/2012 all’art. 1, co. 23, lett. a). Si ricorderà che questa norma faceva salve le previsioni della contrattazione riguardante il settore specifico dei prestatori di lavoro dei call center (in particolare outbound): un gruppo di consistenti dimensioni così da essere oggetto di interventi anche ministeriali (la cd. circ. Damiano, n. 17/2006).
L’indicazione del 2012, ora estesa dal d.lgs. n. 81/2015, contiene un vincolo di scopo che conferma una tendenza alla funzionalizzazione della contrattazione per delega e che sul piano pratico può orientare i sindacati a dar vita a una contrattazione specializzata per i vari tipi di collaborazioni.
3.3 Ruolo della contrattazione collettiva e costituzionalità
L’introduzione di queste deroghe è stata ritenuta censurabile sul piano costituzionale, oltre che per i motivi già ricordati, anche sotto il profilo della irragionevolezza ex art. 3 Cost. del diverso trattamento riservato ai rapporti di cui al co. 2 rispetto a quelli considerati nel co. 132.
Il rilievo merita una seria considerazione, ma non sembra insuperabile. La scelta dell’art. 2 di modulare diversamente certi aspetti della disciplina anche all’interno di una fattispecie (olim) unitaria, non è priva di precedenti riguardanti la stessa materia (come le deroghe della l. n. 92/2012, art. 1, co. 23) o ambiti diversi. In realtà tale scelta costituisce la manifestazione della tendenza sopra richiamata alla detipizzazione delle discipline. Essa permette di adattare la disciplina, al di là degli schemi legali tipici, in varie direzioni e aspetti diversi: estendendo certe normative di tutela oltre il tipo lavoro subordinato, prevedendo varianti di disciplina all’interno del tipo per certe categorie (es. dirigenti), oppure stabilendo diverse condizioni di uso di certi elementi del contratto (ad es. nel contratto a termine).
Queste modulazioni della disciplina sono previste sia direttamente dalla legge sia per delega alla contrattazione collettiva. L’ipotesi più ampia di delega alla contrattazione è quella prevista dall’art. 8 l. 13.8.2011, n. 138 conv. con mod. dalla l. 14.9.2011, n. 148.; com’è noto tale ipotesi è stata criticata per la sua ampiezza, che non trova limite neppure nelle norme imperative di tutela dei lavoratori.
La deroga dell’art. 2, co. 2, non si può ritenere “irragionevole”, in quanto si fonda su motivi apprezzabili e anche storicamente testati (senza contestazione)33. In alcuni casi la deroga si spiega per la qualità dei titolari della collaborazione e delle attività svolte (prestazioni svolte da iscritti ad albi professionali, da componenti di organi di amministrazione, e istituzionalmente rivolte a favore di associazioni sportive ed enti di promozione sportiva).
I casi elencati sono certo eterogenei fra loro e risentono di una logica “compromissoria” non infrequente in questo tipo di scelte e quindi discutibile sul piano dell’opportunità. Ma, ad avviso di chi scrive, non sembra che sia censurabile sul piano costituzionale. I caratteri funzionali e qualitativi delle attività indicate dalla norma sono tali da poter essere assunte dal legislatore nella sua discrezionalità come indici tipici di autonomia dei rapporti.
Quanto alla deroga riservata alla contrattazione collettiva nazionale, essa si giustifica – come indica il decreto – per le particolari esigenze produttive e organizzative del settore di riferimento. L’indicazione va intesa non come con richiamo generico, ma come la ragione per cui la contrattazione nella sua autonomia – se vuole attuare la delega – è tenuta a prevedere una specifica disciplina economica e normativa del rapporto rispondente alle particolari esigenze del settore.
La contrattazione nazionale può utilizzare la delega, in base alle proprie valutazioni, per escludere, in tutto o in parte, alcune ipotesi di collaborazione dalla disciplina del lavoro subordinato. Ma il testo non esclude che la contrattazione possa individuare tipi di collaborazioni da ricondurre invece all’area del lavoro subordinato, come finora è per lo più avvenuto, anche a prezzo di rinunce nei trattamenti. Nella prima ipotesi alla contrattazione incombe il compito (l’onere) di definire regole e trattamenti adeguati a questo tipo di rapporti34. Sarebbe una scelta importante per segnalare la capacità della contrattazione di avventurarsi su un terreno finora sconosciuto e per sperimentare una moderna disciplina del lavoro autonomo. Indicazioni contrattuali sufficientemente diffuse e attente alle particolarità di tali lavori sarebbero utili per preparare il terreno alla disciplina anche legislativa di tali lavori, finora rinviata35. I primi esempi noti di contratti collettivi sembrano limitarsi a una riproduzione delle condizioni preesistenti, ben poco garantistiche. Casi simili potrebbero esporsi a censure in sede giudiziaria per la inadeguatezza e non specificità della norma.
In conclusione sono proprio i diversi aspetti produttivi e organizzativi presenti nelle moderne economie che stanno modificando i contenuti del lavoro e anche i confini tradizionali fra autonomia e subordinazione. Quindi è “ragionevole” che il legislatore ne tenga conto affidando alla contrattazione il compito di valutare le implicazioni di tali assetti in ordine alla configurazione e alla disciplina dei rapporti di lavoro.
3.4 Motivi per una normativa sul lavoro autonomo
Il d.lgs. n. 81/2015, mentre opera nell’estendere l’intera disciplina del lavoro subordinato alla nuova fattispecie, evita di dare indicazioni, nonostante le sollecitazioni ricevute da più parti circa la disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative, di cui conferma la persistenza; e va aggiunto, circa la normativa delle varie forme di lavoro autonomo. La critica rivolta a tale “omissione” è di aver provocato una lacuna di regolazione che, a seguito del venir meno del lavoro a progetto, si traduce in una riduzione delle tutele, in particolare di quelle previste nel d.lgs. 10.9.2003, n. 276, a favore dei collaboratori a progetto.
Il rilievo è fondato, anche se alcune tutele in ambito previdenziale e assistenziale di quei collaboratori restano applicabili, pure dopo l’abrogazione del relativo tipo di contratto, in quanto previste da normative speciali attinenti a tali ambiti36.
Fra le norme di tutela che vengono meno, la più rilevante è quella prevista dalla l. n. 92/2012 sul compenso minimo spettante ai lavoratori a progetto. Questa “mancanza” del legislatore solleva una questione generale, in quanto influisce sul disegno complessivo del Jobs Act, in particolare sull’equilibrio ricercato fra i vari tipi di lavori e fra la loro regolazione.
Intervenire con una nuova normativa anche sulle varie forme di collaborazione e di lavoro autonomo è essenziale non solo per ovviare alle carenze di tutela sopra segnalate, ma anche per evitare che la revisione delle norme di subordinazione sia guidata dalla preoccupazione di escludere o limitare il ricorso al lavoro autonomo. Tale preoccupazione è stata finora prevalente; ma coltivarla oggi risulterebbe ingiustificato o controproducente rispetto alle esigenze attuali.
L’evoluzione delle forme organizzative e del lavoro mostra un bisogno crescente di lavori genuinamente autonomi, eppure legati, anche nel tempo, alle aziende e al loro servizio. Per tale motivo il lavoro autonomo – specie quello di seconda generazione – non può essere considerato con sospetto, né trascurato come è stato finora o, peggio, caricato di oneri impropri.
Nell’affrontare in modo nuovo la ricerca in questo campo si può far tesoro di una consistente elaborazione analitica ad opera di studiosi di varie discipline che hanno esplorato le configurazioni del lavoro autonomo nei diversi mercati37, e di molteplici proposte di legge avanzate in sede parlamentare38.
In realtà le soluzioni normative prospettate non sono univoche e risentono anch’esse delle incertezze del tempo. Una prima opzione riguarda l’ambito della regolazione, che può riguardare l’intero spettro dei lavori autonomi oppure specificamente quelli contrassegnati da tratti di dipendenza economica.
Queste ultime sono le forme di lavoro che hanno finora attirato l’attenzione prevalente degli osservatori e del legislatore non solo in Italia, per la loro importanza sociale e per l’urgenza dei bisogni di tutela. Ma i motivi che suggeriscono norme specifiche per i lavoratori economicamente dipendenti non comportano che solo per questi sia necessaria una nuova regolazione.
L’intervento normativo in materia dovrebbe costituire l’occasione per affrontare in modo sistematico la revisione di tutte le forme di lavoro autonomo, evitando i limiti e le aporie riscontrate negli interventi degli ultimi anni. Il che potrebbe essere utile in vista di un più ampio progetto di Statuto dei lavori da tempo annunciato.
In realtà neppure i criteri adottati per l’individuazione del lavoro economicamente dipendente sono univoci. In alcune proposte e nella legislazione spagnola gli indici sono fissati in termini definiti: ad es. una percentuale fissa del reddito derivato dal committente principale e il suo livello assoluto in cifra39. In altri casi, come nel sistema tedesco, i criteri rilevanti son più di uno, non devono essere tutti presenti e presentano margini di flessibilità: ad es. il lavoro deve essere svolto normalmente per un solo committente, non deve essere uguale a quello svolto da un dipendente per il medesimo committente e per committenti impegnati in attività simili; e inoltre i giudici del lavoro valutano caso per caso il peso dei vari criteri40.
3.5 Ipotesi di regolazione del lavoro autonomo
La regolazione del lavoro autonomo ha importanza tale da meritare la trattazione in un testo normativo ad hoc, come stanno richiedendo da tempo le varie espressioni di questo mondo e come ha ora deciso anche il governo, annunciando la presentazione di un apposito d.d.l. collegato alla l. di stabilità 2016.
Alcune notazione di sintesi41. La bozza disponibile scioglie l’alternativa sopra accennata prevedendo una normativa generale per tutti i rapporti di lavoro autonomo, senza stabilire alcuna disciplina specifica per il lavoro economicamente dipendente.
Per riprendere in considerazione anche una simile normativa, andrebbero sciolti i nodi finora irrisolti dei criteri di identificazione di questa forma e la gradazione delle tutele e dei sostegni ad essa riferibili. Il testo governativo, pur richiamandosi a precedenti elaborazioni, presenta contenuti meno ambiziosi delle proposte presentate in anni passati, anche da chi scrive (Treu, T., AS 4.12.2022, n. 1872) con il proposito un po’ illuministico di riordinare l’intero spettro dei lavori in un quadro organico. L’attuale proposta risente di un contesto economico e istituzionale profondamente trasformato, più complesso e instabile di allora. Inoltre, le ipotesi allora formulate di modulazione delle tutele nella prospettiva di una loro estensione si dovranno misurare con le ristrettezze delle risorse finanziarie e con i limiti della crescita economica.
Un condizionamento simile riguarda in realtà l’intero assetto del diritto del lavoro e del welfare e impone di valutare criticamente quali parti dell’acquis consolidatosi negli anni costituiscono un patrimonio di diritti irrinunciabili e quali invece rappresentano tutele normative e benefici economici da ridimensionare per renderle fruibili alla generalità dei lavori e difendibili dalle pressioni competitive.
Una simile ricerca è necessaria per adeguare gli strumenti della nostra disciplina alle nuove sfide economiche e sociali, senza rinunciare alla propria missione di difesa e di promozione del lavoro; e anche per evitare che le pressioni della competizione globale si traducano in una «corsa al ribasso» incontrollata e rovinosa specie per i soggetti e per le aree più deboli.
La decisione di intervenire con una proposta generale sul lavoro autonomo è opportuna non solo per riempire la lacuna creatasi con l’abrogazione del lavoro a progetto, ma per attuare un’equilibrata modulazione delle tutele sui diversi lavori. Anzi, come già rilevato, la qualità delle tutele e riservate a questo tipo di lavori dalla legge, e anche dai contratti collettivi, potrà essere rilevante per rispondere a possibili obiezioni di costituzionalità dei rapporti esclusi dalla normativa dell’art. 2, co. 1.L’ambito di applicazione previsto nella bozza è identificato con tutti i rapporti di lavoro autonomo senza ulteriori precisazioni, ma con la esclusione dei piccoli imprenditori, artigiani e commercianti, iscritti alla camera di commercio. Tale definizione apre non poche questioni interpretative. Anzitutto andrà risolto il problema, già sollevato in passato, se la norma si riferisce al lavoro autonomo esclusivamente personale, come nel d.lgs. n. 81/2015, o anche solo prevalentemente personale, come nell’art. 409 n. 3. c.p.c. e nell’art. 2222 c.c. e in precedenti d.d.l. (AS. n. 1872/2002).
La formula più stringente del d.lgs. n. 81/2015 si giustifica, perché l’art. 2 riguarda fattispecie attratte nell’ambito del lavoro subordinato. Tale motivo non ricorre nella fattispecie del nuovo d.d.l., per la quale sembra opportuna una formula ampia, che sarebbe bene non irrigidire eccessivamente, data la molteplicità con cui si presentano questi lavori (mentre andrebbero definite meglio le esclusioni dei piccoli imprenditori, artigiani e commercianti).
Un problema generale riguarda il coordinamento fra la disciplina di questa fattispecie e quella del contratto d’opera, di matrice civilistica.
La (nuova) definizione delle collaborazioni coordinate, in modifica dell’art. 409 n. 3 c.p.c., conferma il criterio caratterizzante le collaborazioni autonome, secondo cui esse si caratterizzano per il fatto che, a differenza che nel lavoro eterorganizzato, le modalità di coordinamento sono stabilite di comune accordo dalle parti. La precisazione secondo cui nel rispetto di tale modalità, il collaboratore organizza autonomamente la propria attività lavorativa, si limita a ribadire lo stesso concetto.
I contenuti di merito del d.d.l. prevedono norme sia di tutela sia di promozione del lavoro autonomo, alcune già presenti in precedenti proposte, altre innovative, ma che non coprono tutti gli aspetti di regolazione del rapporto. La norma che dichiara applicabile il rito del lavoro ai rapporti in questione, è significativa perché ne segna la tipicità e la distinzione rispetto ai rapporti civilistici, a cominciare dal contratto d’opera.
Una norma innovativa che risponde a esigenze espresse ripetutamente dai lavoratori autonomi, in particolare dalle cd. partite IVA, e prevede la integrale deducibilità, entro il limite annuo di 10.000 euro, delle spese di formazione e per l’accesso alla formazione permanente, compresa la partecipazione a convegni e corsi di aggiornamento professionale.
In tema di tutela della gravidanza, malattia e infortunio sono di particolare rilievo la norma secondo cui in caso di malattia di gravità tale da impedire lo svolgimento delle attività per una durata superiore ai 60 giorni, il versamento degli oneri previdenziali è sospeso per l’intera durata della malattia fino a un massimo di due anni; e la disposizione che equipara alla degenza ospedaliera i periodi di malattia conseguenti a trattamenti terapeutici delle malattie oncologiche.
L’avvicinamento alla disciplina tipica del lavoro subordinato è confermato da altre norme. Anzitutto da quella che estende ai lavoratori autonomi (identificati secondo i criteri del d.lgs. n. 151/2001) il congedo parentale di cui all’art. 32 d.lgs. n. 151/2001, compresi il trattamento economico e previdenziale, di cui all’art. 35, per un periodo di sei mesi entro i primi tre anni di vita del bambino.
Così la bozza dichiara applicabili le norme sulla sicurezza del lavoro di cui al d.lgs. 9.4.2008, n. 81 e di tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, quando la prestazione lavorativa si svolga nei luoghi di lavoro del committente.
Un’ulteriore disposizione stabilisce che l’indennità di maternità di cui all’art. 66 d.lgs. n. 151/2001 viene erogata al lavoratore autonomo indipendentemente dalla effettiva astensione dall’attività, a seguito di apposita documentazione.
Una serie di altre norme sia di tutela sia promozionali, rispondono a esigenze specifiche di questi lavoratori: estensione alle transazioni fra imprese e lavoratori autonomi e fra lavoratori autonomi delle disposizioni di tutela contro i ritardi dei pagamenti di compensi, previste dal d.lgs. 9.10.2002, n. 231 (riguardanti i contratti di fornitura); divieto di clausole abusive che, nel contratto di lavoro autonomo, realizzino un eccessivo squilibrio contrattuale tra le parti, a favore del committente con conseguente nullità delle stesse clausole e diritto al risarcimento degli eventuali danni subiti dal lavoratore autonomo; protezione della proprietà intellettuale e diritto di utilizzo economico relativo alle innovazioni fatte nell’ adempimento del contratto di lavoro (salvo che l’attività innovativa sia oggetto dello stesso contratto); previsione di uno sportello dedicato al lavoro autonomo presso i centri per l’ impiego e gli organismi accreditati secondo la normativa vigente, con il compito di fornire a professionisti e imprese informazioni sul mercato del lavoro, sulle opportunità di credito e sulle agevolazioni pubbliche; deducibilità del reddito entro 5.000 euro annui delle spese sostenute dal lavoratore autonomo per servizi personalizzati di orientamento, riqualificazione e ricollocazione, erogati da organismi accreditati; obbligo delle amministrazioni pubbliche nazionali e locali di qualità di stazioni appaltanti di favorire l’accesso alle informazioni relative alle gare e agli appalti pubblici.
Il progetto non considera altri aspetti della regolazione del rapporto di lavoro e dei diritti sindacali, che erano considerati in passate proposte di Statuto dei lavori. Occorrerà decidere come intervenire a regolarli, se con misure ulteriori nel testo o con rinvio alla disciplina generale del contratto d’opera.
La bozza non interviene neppure a disciplinare la materia degli ammortizzatori sociali, oggetto di una revisione in senso universalistico del d.lgs. 4.3.2015, n. 22. L’istituto della Dis.Col. colma meritoriamente un vuoto di tutela riguardo ai collaboratori, peraltro in misura alquanto limitata, essendo legato a un meccanismo di finanziamento di tipo assicurativo.
In realtà una risposta adeguata alle esigenze di protezione dei nuovi lavori, subordinati e autonomi, presuppone una revisione strutturale, in senso effettivamente universalistico, del sistema di welfare, che lo svincoli da un legame esclusivo con le posizioni di lavoro e con la relativa capacità contributiva, e che venga sostenuto anche dalla fiscalità generale.
Nella revisione delle politiche del lavoro, sollecitata anche dalla diversificazione dei lavori, un capitolo a parte – che qui si può solo accennare – riguarda la questione previdenziale. La diffusione dei lavori atipici in genere e delle collaborazioni in specie ha mostrato con particolare evidenza le criticità dell’attuale sistema pensionistico; contributivo, ora accelerata da una crisi di lunga durata.
Il peso della contribuzione è divenuto difficilmente sostenibile specie per i giovani all’inizio del percorso lavorativo. D’altra parte la saltuarietà e la discontinuità propria di molte attività di lavoro –invero anche dipendente – rendono tale contribuzione insufficiente a garantire pensioni adeguate alle esigenze di vita, come richiesto dall’art. 38, co. 2, Cost.
In realtà il sistema contributivo ha rivelato carenze di funzionamento generale che ne rendono necessaria una revisione strutturale per tutti i lavoratori, ma anzitutto per i lavori economicamente dipendente e per i lavori precari in genere.
La legge di stabilità interviene su due punti da tempo oggetto di discussione e di richieste dei lavoratori autonomi. Conferma il blocco dell’incremento dei contributi sociali già previsto dalla precedente legge del 2014 e per altro verso prevede un regime fiscale agevolato per i primi cinque anni di attività.
3.6 Implicazioni di sistema
Le questioni sollevate dal Jobs Act sono rilevanti per il futuro del diritto del lavoro, sia per le discontinuità introdotte nel sistema precedente, sia per il proposito di inserirle in un disegno almeno intenzionalmente organico.
L’impatto delle discontinuità è immediatamente percepibile, anche per l’enfasi di cui queste sono state caricate. Resta invece da testare nella prassi applicativa la portata costruttiva delle singole misure.
Solo quando l’insieme dei provvedimenti presentati nella delega, perfezionati dai decreti attuativi, verrà tradotto in action sarà possibile verificarne la capacità innovativa e l’incidenza razionalizzatrice nel corpo resilient del sistema.
Una prima verifica significativa riguarderà la rispondenza della nuova normativa sul rapporto e sul mercato del lavoro al modello europeo della flexsecurity, nelle sue pratiche migliori, aggiornate a seguito della crisi. Il riequilibrio proposto dalla delega fra i vari tipi di contratto di lavoro, in particolare a sostegno della primazia del contratto a tempo indeterminato, fornirà un test rilevante per l’efficacia e per la razionalità del modello.
Per stare al tema specifico qui trattato, il riequilibrio introdotto fra i diversi tipi di lavoro, lavoro a termine, lavoro a tempo indeterminato, collaborazioni, sarà particolarmente significativo nel nostro ordinamento, perché esso presenta uno squilibrio, tra i tipi contrattuali non riscontrabile in ordinamenti vicini. La spinta alla trasformazione delle collaborazioni continuative in rapporti di lavoro subordinato intende essere una risposta a tale squilibrio.
Il valore di sistema di questa innovazione dipenderà in particolare da come gli strumenti predisposti promuoveranno la trasformazione delle attuali collaborazioni in rapporti di lavoro dipendente senza forzarne i caratteri in nome di una aprioristica centralità del lavoro subordinato. Si sottolinea quanto già osservato. Il nuovo assetto definitorio e regolativo potrà superare senza forzature il test applicativo se verrà integrato da un intervento coerente nella regolazione e nella promozione del lavoro autonomo, approvando e perfezionando le previsioni del d.d.l. sopra ricordate.
Questi interventi, e quelli che dovranno integrarli, confermano quanto l’opera di riorientamento del diritto del lavoro, anche solo del suo nucleo centrale, sia complessa e richieda policies integrate fra i vari ambiti, relative sia alla regolazione dei rapporti individuali, sia alle regole e alle istituzioni del mercato del lavoro.
Detto altrimenti, le riforme introdotte nel sistema, per essere efficaci devono tenere conto delle interdipendenze, oggi più strette di ieri, fra diversi segmenti della normativa e fra le varie componenti dei sistemi economici e sociali.
L’esigenza di coerenza di visione è ulteriormente enfatizzata se si allargano gli orizzonti e i compiti della nostra disciplina, affinché sia capace di costituire non solo un sistema di protezione dei lavoratori dal mercato, ma anche uno strumento di promozione delle persone che lavorano e di bilanciamento fra gli interessi delle imprese e dei lavoratori in vista di una crescita comune.
1 I contratti a termine rappresentano da anni la più alta percentuale di assunzioni e la tendenza si è solo in parte corretta nel 2015: il numero assoluto resta alto, ma la percentuale si riduce per l’aumento dei contratti a tempo indeterminato; favorita dalle recenti innovazioni normative e dagli incentivi economici. Secondo i dati del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (Nota Flash, La dinamica dei contratti di lavoro, in www.cliclavoro.gov.it e v. anche Osservatorio sul precariato, Report mensile, gennaio-luglio 2015, in www.inps.it.,) nei primi sette mesi del 2015 sono stati attivati 1.074.740 contratti a tempo indeterminato: +39,3 per cento sul corrispondente periodo del 2014 (allora furono 771.486). Il saldo positivo di tali contratti rispetto alle cessazioni è di 117.000 unità contro un saldo negativo di 137.000 nel 2014. Le trasformazioni di contratti a tipo determinato in contratti a tempo indeterminato nello stesso periodo del 2015 sono state 201.260, contro 150.462 dello stesso periodo del 2014 (+39,70 per cento). Sono calati invece i contratti di apprendistato (715.538 contro 134.033, 13,8 per cento) e le collaborazioni (340.734 contro 400.936, 15 per cento).
Si tratta peraltro di tendenze che risentono di fattori economici congiunturali, per cui la incidenza delle nuove norme non può che essere apprezzata nel tempo.
2 Santoro Passarelli, G., I rapporti di collaborazione organizzati dal committente e le collaborazioni continuative e coordinate ex art. 409, n. 3, c.p.c. (art. 2), in Carinci, F., a cura di, Commento al d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81: le tipologie contrattuali e lo jus variandi, 2015, Adapt, e-Book series n. 48, rileva che la categoria della collaborazione coordinata e continuativa non identifica una fattispecie contrattuale unitaria, ma indica le modalità concrete di svolgimento della prestazione comuni a una serie di rapporti di natura diversa.
3 Cfr. per tutti Magnani, M., Autonomia, subordinazione, conciliazione nel gioco delle presunzioni, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 174/2013, 10; Magnani, M., Genesi e portata di una riforma del lavoro, in Magnani, M. Tiraboschi, M., a cura di, La nuova riforma del lavoro, Milano, 2012, 1 ss.; Treu, T., Flessibilità e tutele nella riforma del lavoro, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2013, 26 ss.; Perulli, A., Il lavoro autonomo e parasubordinato nella riforma Monti, in Lav. dir., 2012, 541 ss.
4 Così anche Perulli, A., Un Jobs Act per il lavoro autonomo: verso una nuova disciplina della dipendenza economica?, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 235/2014, ora in Dir. rel. ind., 2015, 109 ss.
5 Santoro Passarelli, G., I rapporti di collaborazione organizzati dal committente e le collaborazioni continuative e coordinate ex art. 409, n. 3, c.p.c. (art. 2), cit.
6 Il rilievo è comune : cfr. per tutti Santoro Passarelli, G., Riforma Fornero, Lavoro a progetto e partite IVA nelle riforma del lavoro 2012, in Lav. Giur., 2012, 942 ss.; Perulli, A., Il lavoro autonomo e il perdurante equivoco del lavoro a progetto, in Dir. rel. ind., 2013, 1 ss.
7 Ghera, E., Il lavoro autonomo nella riforma del diritto del lavoro, in Riv. it. dir. lav., 2014, I, 517.
8 La discussione su questi aspetti impegna da tempo la dottrina giuslavoristica: v. tra gli interventi recenti, Ghera, E., Il contratto di lavoro oggi. Flessibilità e crisi economica, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2013, 629 ss.; Id, Il lavoro autonomo nella riforma del diritto del lavoro, cit.; Razzolini, O., La nozione di subordinazione alla prova delle tecnologie, in Dir. rel. ind., 2014, 974 ss.
9 Treu, T., Il diritto del lavoro: realtà e possibilità, in Argomenti dir. lav., 2000, 477 ss.
10 Cfr. in generale per la evoluzione recente, di queste figure Pallini, M., Il lavoro a progetto: ritorno al futuro?, in Pallini, M., a cura, Il lavoro a progetto in Italia e in Europa, Bologna, 2006, 147; Id., Il lavoro economicamente dipendente, Padova, 2013, 177; e già Pedrazzoli, M., Dai lavoratori autonomi ai lavoratori subordinati, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1998, 546 ss.; Persiani, M., Considerazioni sulla nuova disciplina delle collaborazioni non subordinate, in Riv. it. dir. lav., 2013, 842. V. più ampiamente, Treu, T., In tema di Jobs Act: il riordino dei tipi contrattuali, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2015, 155 e ss.
11 Tosi, P., 2015, L’art. 2, 1° co, decreto 81/2015: una riforma apparente?, intervento al convegno di Bertinoro, 2223 ottobre 2015, (in corso di pubblicazione); Magnani, M., Intervento al convegno di Bertinoro, 2223 ottobre 2015, (in corso di pubblicazione).
12 Failla, L.Cassaneti, E., La riforma delle collaborazioni e dell’associazione in partecipazione, in Guida lav., 3.7.2015.
13 Così anche Andreoni, A., I nuovi diritti per i collaboratori eteroroganizzati, (in corso di pubblicazione). L’Autore ritiene viceversa che i contratti collettivi non possano disapplicare la disciplina previdenziale, anche in base alla lettera della norma che affida ai contratti il compito di prevedere una disciplina specifica solo per il trattamento economico e normativo dei collaboratori. Ma questo dato testuale non sembra essere decisivo.
14 Nogler, L., La soluzione del dlgs del 2015: alla ricerca dell’autorità dal punto di vista giuridico, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT–267/2015, 24 ss., ritiene che i criteri indicati dall’art. 2 segnano la sconfitta della tesi del tertium genus. L’Autore sostiene che l’art. 2, co. 1 del decreto non modifica l’art. 2094 c.c., ma si limiti a porre una presunzione (assoluta) di ricorrenza del lavoro subordinato; il che eviterebbe il rischio che le eccezioni del co. 2 ricadano nel cono d’ombra del principio di indisponibilità del tipo contrattuale.
15 Razzolini, O., La nuova disciplina delle collaborazioni organizzate dal committente, prime considerazioni, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT–266/2015. Secondo Nogler, L., op. cit., 29 ss., la subordinazione, quale fattispecie di riferimento della disciplina giuslavoristica, deve essere «prescritta con un termine elastico, come la dipendenza o la subordinazione», proprio per poterla leggere «in riferimento ai problemi e alle possibilità del tempo presente».
16 Cfr. per tutti Pedrazzoli, M., 1998, Dai lavoratori autonomi ai lavori subordinati, in Dir. rel. ind., 509 ss., in Impresa e nuovi modi di organizzazione del lavoro, Atti delle giornate AIDLASS, Salerno, 2223 maggio 1998, Milano,1999, 138.
17 Del resto la diversità cui si riferisce la C. cost., n. 121/1993 non è “oggettiva”, ma è qualificabile tale solo in base a scelte legislative (discrezionali), perché non esiste un tipo sociale giuridicamente indisponibile di lavoro obiettivamente subordinato, Nogler, L., op. cit., 25.
18 Così anche Santoro Passarelli, G., I rapporti di collaborazione organizzati dal committente e le collaborazioni continuative e coordinate ex art. 409, n. 3, c.p.c. (art. 2), cit.
19 Solo la continuità in senso tecnico è compatibile con l’interesse del creditore a esercitare un potere di organizzazione delle attività del prestatore Razzolini, O., La nuova disciplina, cit., 8.
20 Opportunamente, nella versione finale del decreto si è si è omesso di riprendere il requisito della non ripetitività delle mansioni, presente nello schema inviato alle camere, su cui v. Treu, T., In tema di Jobs Act, cit., 165 ss.
21 Razzolini, O., La nuova disciplina, cit., 9.
22 Razzolini, O., La nuova disciplina, cit., 10, richiama non solo precedenti giurisprudenziali ma ascendenze dottrinali illustri, da Barassi a Mengoni.
23 Santoro Passarelli, G., I rapporti di collaborazione organizzati dal committente e le collaborazioni continuative e coordinate ex art. 409, n. 3, c.p.c. (art. 2), cit.
24 Ghera, E., Il lavoro autonomo nella riforma, cit., 561.
25 Ghera, E., Il lavoro autonomo nella riforma, cit., 517.
26 Si è anzi rilevato, Santoro Passareli, G., I rapporti di collaborazione organizzati dal committente e le collaborazioni continuative e coordinate ex art. 409, n. 3, c.p.c. (art. 2), cit., che nelle collaborazioni organizzate il potere del committente può essere paradossalmente più stringente, perché, secondo la nuova normativa (art. 2, co. 2, d.lgs. n. 81/2015) il committente è obbligato a indicare il tempo e il luogo della prestazione lavorativa.
27 Cfr. per indicazioni significative anche di giurisprudenza v. Razzolini, O., La nozione di subordinazione, cit., 993 ss. Sull’allargamento del concetto di subordinazione si sono orientati in vario modo diversi scritti recenti, v. Bavaro, V. Il tempo nel contratto di lavoro subordinato, Bari, 2008, spec. 168 ss.; Martelloni, F., Lavoro coordinato e subordinazione, Bologna, 2012; Pallini, M., Il lavoro economicamente dipendente, cit., spec. 116 ss. La inadeguatezza della dicotomia subordinazione/autonoma a rappresentare l’universo dei lavori esistenti è segnalata fin dagli scritti fondamentali di Pedrazzoli, M., Lavoro sans phrase e ordinamento dei lavori, in Riv. it. dir. lav., 1998, I, 49 e di Supiot, A., Au de la de l’emploi, Paris, 1999.
28 É a questo proposito che la giurisprudenza spesso utilizza il concetto di subordinazione attenuata, alla cui debolezza sopperisce valorizzando indici sussidiari o integrativi. V. Razzolini, O., La nuova disciplina, cit., 14.
29 Indicazioni simili in Razzolini, O., La nuova disciplina, cit., 12, mentre il coordinamento opera in una dimensione individuale, il potere di organizzazione pur traendo origine da un contratto individuale si esprime essenzialmente in una dimensione collettiva.
30 Secondo Nogler, L., La soluzione, cit., esso è un monito alla dottrina e alla giurisprudenza tradizionali che privilegiano norme restrittive di subordinazione e consolida gli orientamenti più innovativi della giurisprudenza.
31 Così Ghera, E., Il lavoro autonomo nella riforma del diritto del lavoro, cit., 519.
32 Santoro Passarelli, G., I rapporti di collaborazione organizzati dal committente e le collaborazioni continuative e coordinate ex art. 409, n. 3, c.p.c. (art. 2), cit.
33 Secondo Nogler, L., La soluzione, cit., 25, essa si giustifica perché nei casi ivi indicati non sussiste una situazione patologica di lavoro mascherato.
34 Razzolini, O., La nuova disciplina, cit., 25, ritiene che l’adeguatezza di tali trattamenti possa misurarsi con i parametri costituzionali minimi di garanzia; per evitare che «al tutto delle tutele storiche del lavoro subordinato si contrapponga il nulla». Tale sfasatura esiste anche fra le tutele del lavoro subordinato e quelle (carenti) del lavoro autonomo, e richiama l’urgenza di una normativa specifica riguardante quest’ultimo (v. infra, § 3.4).
35 Resta da vedere se la norma stimolerà i sindacati a dedicare a questo tipo di rapporto un’attenzione maggiore di quanto sia stato finora. È vero, come afferma G. Santoro Passarelli (op. loc. ultt. citt.), che i sindacati non hanno interesse a concordare trattamenti meno favorevoli di quelli garantiti dalla disciplina del lavoro subordinato, ma possono concordare trattamenti economici e normativi che prevedano una diversa distribuzione di costibenefici rispetto a quella propria del lavoro standard e più adatta ai caratteri dei collaboratori autonomi.
36 Le tutele previste per i casi di malattia, maternità e infortunio non vengono meno, perché sono legate alla normativa specifica di carattere previdenziale: cfr. in particolare l’art. 1, co. 788, l. 27.12.2006, n. 296 che le prevede per i collaboratori a progetto e assimilati, fra i quali rientrano i collaboratori coordinati e continuativi. Vengono meno invece la norma sul compenso minimo previsto per i contratti a progetto della l. n. 92/2012 (art. 1, co. 23) e le altre disposizioni introdotte dal d.lgs. n. 276/2003 sulla disciplina del rapporto (forma del contratto, stabilità del rapporto, obblighi e diritti delle parti).
37 Cfr., anche per ragguagli comparati, Perulli, A., Un Jobs Act per il lavoro autonomo, cit., 119 ss.; Pallini, M., Il lavoro economicamente dipendente, cit., 70 ss.
38 Rinvio a Treu, T., Statuto dei lavori e carta dei diritti, in Dir. rel. ind., 2004, 195 ss.
39 La soluzione spagnola non ha avuto buona accoglienza in Italia né prodotto significativi risultati in quel paese: v. Razzolini, O., La nuova disciplina, cit., 2015, 11, e id., Lavoro economicamente dipendente e requisiti quantitativi nei progetti di legge nazionali e nell’ordinamento spagnolo, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2011, 631.
40 Cfr. oltre a Perulli, A., Un Jobs Act per il lavoro autonomo, cit., 119 ss., il rapporto del Parlamento europeo, (Policy Dpt., Employment Policy, 2013), che illustra la diversità di queste forme di lavoro e la incertezza dei criteri definitori adottati.
41 Cfr. più ampiamente Treu, T., In tema di Jobs Act, cit., 1 ss.