Tiroide
La ghiandola tiroide, o più comunemente tiroide (dal greco ϑυρεοειδής, "a forma di scudo oblungo"), è una ghiandola endocrina, che nei diversi Vertebrati ha morfologia e localizzazione varie; nell'uomo è situata alla base del collo ed è costituita da due lobi laterali riuniti da un segmento breve. Organo impari, mediano, riccamente vascolarizzato, a struttura lobulare, la tiroide produce particolari ormoni (tiroxina, triiodotironina e calcitonina), i quali influenzano la morfogenesi, l'accrescimento, il metabolismo, l'attività nervosa, nonché il funzionamento degli apparati circolatorio, digerente ecc. (v. vol. 1°, II, cap. 5: Collo, Tiroide e paratiroidi).
l. Filogenesi Gli ormoni della tiroide agiscono praticamente su tutti i sistemi dell'organismo: regolano il metabolismo di carboidrati, lipidi e vitamine, aumentano il consumo di ossigeno e la temperatura corporea negli animali omeotermi, la frequenza e la forza di contrazione del cuore e la pressione sanguigna, l'eritropoiesi, l'attività delle altre ghiandole endocrine. A livello del sistema nervoso, la tiroide controlla, per es., il comportamento di alcuni Pesci, l'aggressività dei Rettili nei confronti dei rivali, forse la preparazione degli Uccelli alla migrazione. Inoltre gli ormoni tiroidei sono coinvolti nello sviluppo: per es., negli Anfibi sono tra i responsabili della metamorfosi, il cui inizio è associato a un aumento dell'attività tiroidea; l'asportazione della tiroide, o dell'adenoipofisi, che ne stimola l'attività secretoria, prolunga indefinitamente la vita larvale. La tiroide è coinvolta anche nella muta stagionale delle penne negli Uccelli. Nei Mammiferi che vanno in ibernazione, in inverno l'attività della ghiandola decresce e, di conseguenza, anche la temperatura corporea. La tiroide compare per la prima volta nei Ciclostomi adulti, mentre nei Tunicati e nell'anfiosso è possibile reperire una struttura analoga: l'endostilo, o doccia ipobranchiale. Questo organo si differenzia a partire dalla faringe ed è rivestito da un epitelio in cui si trovano, alternate in strisce longitudinali, cellule ghiandolari e cellule ciliate. La sua funzione è quella di agglutinare le particelle di cibo inalate con l'acqua e di spingerle verso l'apparato digerente vero e proprio. Alcune cellule sono già in grado di concentrare lo iodio, tuttavia non si può parlare di vere ghiandole endocrine, in quanto il secreto viene versato nel canale alimentare. Nelle larve delle Lamprede si forma un endostilo simile a quello dell'anfiosso, come infossatura della parete ventrale della faringe, ma successivamente i margini si chiudono e si forma una tasca ventrale alla faringe, in connessione con quest'ultima soltanto tramite una stretta apertura, che si chiude al momento della metamorfosi. L'epitelio prolifera e l'endostilo si disgrega formando una serie di vescicole, che assumono la struttura ghiandolare tipica della tiroide, con un liquido colloide all'interno, circondato da un epitelio. A partire dai Pesci la tiroide si forma per la proliferazione della parte ventrale delle prime tasche faringee, la quale produce dei cordoni cellulari, che sprofondano nel mesenchima e perdono poi i contatti fisici con l'epitelio da cui sono derivati. Nei Vertebrati adulti la tiroide può essere costituita da un unico lobo (per es., nei Pesci condroitti e nei Rettili), da due lobi uniti da un istmo (nella specie umana e in altri Mammiferi), o da due lobi separati (Anfibi e Uccelli). A seconda degli animali, è localizzata all'altezza della faringe o più in basso verso il cuore. Nei Ciclostomi e in molti Osteitti il parenchima della tiroide è diffuso, con follicoli lungo l'aorta ventrale per tutta la regione branchiale. La capacità di legare lo iodio a molecole organiche non è una caratteristica esclusiva dei Vertebrati, infatti la tiroxina è stata identificata anche in alcune alghe verdi e in Anellidi, Insetti e Molluschi. In tutti gli Gnatostomi, tranne che nei Mammiferi, esistono delle ghiandole endocrine separate, ben definite, le quali contengono cellule che producono calcitonina: si tratta dei corpi ultimobranchiali, derivati dall'ultimo paio di tasche faringee, come le cellule C della tiroide dei Mammiferi.
Gli archi faringei, da cui avrà origine la tiroide, sono già formati dopo circa 4-5 settimane di sviluppo embrionale. La tiroide si forma dietro la bocca, come evaginazione del pavimento faringeo a livello della seconda arcata branchiale. All'inizio si forma una tasca, che poi viene chiusa e perde il contatto con la superficie. Successivamente, una parte della struttura si organizza in follicoli. A seconda della specie, la tiroide può migrare in direzione caudale, fino ad assumere nei Vertebrati terrestri una posizione ventrale alla trachea. Cellule della parete della quinta tasca faringea sono incorporate nella tiroide dove si differenziano in cellule C. Patrizia Vernole
La tiroide, già descritta nel trattato De voce attribuito a Galeno (2° secolo d.C.), è stata a lungo considerata un organo a secrezione esterna, dotato di funzione lubrificatrice della laringe. Ma, alla fine del 19° secolo, con l'isolamento dalla tiroide di un composto contenente elevate quantità di iodio (la iodotirina), è stato riconosciuto il ruolo fondamentale dello iodio nella fisiologia di questo organo. Con l'avvento dell'era endocrinologica, si è pervenuti, all'inizio del 20° secolo, all'isolamento della tiroxina, un aminoacido iodato che costituisce il principio attivo che viene prodotto dalla ghiandola. La tiroide è un organo altamente differenziato che fa parte del sistema endocrino, cioè degli organi privi di dotti escretori preposti alla sintesi di molecole ormonali, vettrici di un messaggio chimico trasmesso, attraverso il sangue, a strutture cellulari bersaglio, e che promuovono l'innesco di reazioni a controllo di specifiche funzioni biologiche. In tale ambito, la tiroide spicca sia per le sue peculiarità anatomofunzionali sia per il ruolo preminente espletato nel regolare lo stato trofico e funzionale di diversi organi e apparati. La tiroide è la più voluminosa delle ghiandole a secrezione interna, pesa mediamente circa 20-30 g, ed ha forma di farfalla; presenta una struttura quasi simmetrica costituta da due lobi, destro e sinistro, connessi da un'esile banda di tessuto denominata istmo; è situata nella regione anteriore del collo, dislocata sul davanti e ai due lati della trachea, al di sotto della cartilagine cricoidea, che serve quale punto di repere. è riccamente vascolarizzata: le sue arborizzazioni arteriose si sfioccano in una cospicua rete capillare che esita in un fitto reticolo venulare circondante i follicoli, le unità anatomofunzionali elementari; si realizza in tal modo una ricca rete vascolare, ematica e linfatica, che, integrata da copiosi plessi nervosi perifollicolari, garantisce un congruo regime irrorativo del parenchima ghiandolare, anche tramite le fibre nervose, le quali, distribuendosi sull'endotelio arteriolare, regolano attivamente il sistema vasomotorio. Così l'attività tiroidea risulta direttamente influenzata da stimoli simpatici e parasimpatici che controllano direttamente la secrezione ormonale. Nell'iperplasia del gozzo iperfunzionante il flusso ematico può aumentare sino a un litro per minuto, e tale aumentata vascolarità si manifesta clinicamente con il soffio, apprezzabile sulla ghiandola. A livello microscopico la tiroide è costituita da formazioni sacciformi, denominate acini o follicoli tiroidei. Il follicolo è una struttura sferoidale, delimitata da un singolo strato di cellule epiteliali contigue (tireociti) di aspetto cuboidale, la cui base è adagiata su una membrana basale continua, che circoscrivono una cavità (cavità follicolare) ricolma di una sostanza gelatinosa, di colore ambra, la colloide, contenente l'ormone tiroideo sintetizzato dai tireociti. Le cellule epiteliali sono finalisticamente preordinate per l'espletamento della funzione concentrante lo iodio; l'alogeno viene attivamente trasportato, contro un gradiente di concentrazione ed elettrochimico, dal torrente circolatorio, per essere accumulato nella ghiandola a una concentrazione circa 100 volte superiore a quella plasmatica. Oltre alle cellule follicolari nella tiroide si riscontra un altro stipite cellulare, le cellule parafollicolari, di derivazione neuroectodermica; esse sono deputate alla sintesi di un altro ormone, la calcitonina, preposto alla regolazione del ricambio calciofosforico. Tale sistema cellulare parafollicolare può essere sede di un raro tumore, il carcinoma midollare, trasmesso geneticamente. L'epitelio follicolare è, inoltre, differenziato per l'espletamento dei processi di sintesi di una molecola proteica, la tireoglobulina, substrato specifico accettore dello iodio inorganico, attivamente trasferito dal compartimento vascolare nel contesto della cellula tiroidea. Lo iodio inorganico, per essere incorporato nello scheletro della tireoglobulina, è attivato da un sistema enzimatico ossidativo, la tireoperossidasi, reagendo così con i residui tirosinici della tireoglobulina; per effetto di questa reazione di iodurazione si formano la monoiodotirosina (MIT) e la diiodotirosina (DIT), i precursori ormonali, la cui condensazione comporta il formarsi della molecola ormonale, biologicamente attiva, sia di quella con quattro atomi di iodio, la tiroxina, o tetraiodotironina (T₄), sia di quella con tre atomi di iodio, la triiodotironina (T₃). Le molecole ormonali, incorporate nel substrato proteico tireoglobulinico, vengono riversate nella cavità follicolare e accumulate nella colloide, che costituisce un'ampia riserva ormonale. A questo deposito intrafollicolare compete un significato omeostatico, in quanto esso consente di sopperire alle variabili esigenze metaboliche, anche quando, a motivo di un deficitario apporto iodico, la sintesi ormonale sia depressa. Il trasferimento degli ormoni iodati dal deposito follicolare al compartimento vascolare avviene per effetto di complesse reazioni che comportano il riassorbimento intracellulare del materiale proteico accumulato nella colloide, la quale va incontro a processi degradativi determinanti la scissione dei legami peptidici; gli ormoni iodati liberati dal substrato tireoglobulinico diffondono nella spazio pericellulare, per essere immessi in circolo, per effetto di un gradiente di concentrazione, nonché del legame che gli ormoni, liberatisi dalla matrice proteica ormonogenetica, contraggono con le proteine del plasma, dotate di elevata affinità per le iodotironine dissociatesi dallo scheletro proteico. In definitiva, l'epitelio del follicolo tiroideo deve essere considerato come una cellula bipolare, nel cui contesto si realizzano due ordini di processi direzionalmente opposti: l'uno, orientato verso il polo apicale, cioè verso il lume follicolare, che presiede al trasporto dello iodio e alla sintesi della matrice tireoglobulinica, l'accettore dello iodio, con il formarsi degli ormoni che sono accumulati nella cavità follicolare; l'altro, orientato verso la membrana basale, prospiciente al letto vascolare perifollicolare, che riguarda le reazioni connesse con il riassorbimento della tireoglobulina dal deposito del follicolo, e la liberazione idrolitica delle molecole ormonali che vengono immesse in circolo. La T₄, che costituisce il 95-98% degli ormoni circolanti, e la T₃, che rappresenta il 2-5% dello iodio ormonale, sono le molecole ormonali metabolicamente attive presenti nel sangue. La massima parte della T₃ circolante deriva dalla trasformazione metabolica della T₄, che a livello dei tessuti periferici, a opera di sistemi enzimatici (desiodasi), con la perdita di un atomo di iodio, acquisisce una maggiore potenza biologica. La T₄ e la T₃ circolanti si legano a specifiche proteine del plasma e formano un complesso ormonoproteico di trasporto: si costituisce così nel plasma un'ampia riserva ormonale. Tale sistema proteico di trasporto plasmatico deve essere considerato come un sistema tampone che trattiene in circolo l'eccesso di ormone, proteggendo i tessuti da un'inondazione ormonale, mentre una quota che si dissocia dal suo vettore proteico, circolando in forma libera (0,05% dell'ormone totale), diffonde nel compartimento cellulare, ove le iodotironine esplicano un effetto pressoché ubiquitario. L'ubiquitarietà dell'effetto ormonale dà conto della sistematicità delle manifestazioni cliniche e metaboliche che contrassegnano le affezioni causate da un'aumentata produzione ormonale, o da uno stato ormonocarenziale. La complessa attività biologica delle iodotironine si traduce in una serie di effetti i quali definiscono la funzione ormonale. La funzione degli ormoni tiroidei può essere identificata nella modulazione dei processi differenziativi, morfogenetici e accrescitivi, nonché nella regolazione dei processi metabolici che implicano il formarsi di legami ricchi di energia e la produzione di calore. Sul piano pratico, gli effetti degli ormoni tiroidei sono classificabili in due principali raggruppamenti: differenziativi e metabolici. Tali effetti possono essere interpretati alla luce delle più recenti acquisizioni che, sul piano molecolare, spiegano sia l'azione plurisistemica sia la molteplicità degli effetti trofici e metabolici. Gli effetti biologici indotti dal segnale iodotironinico sono riconducibili, in via generale, a fenomeni innescati a livello nucleare, con modulazione dell'espressione genica (effetti genomici), oppure a fenomeni regolatori della funzione ormonale, operanti in maniera indipendente dai meccanismi nucleari (effetti non genomici). Sulla base di queste nozioni è possibile riferire l'azione ormonale non più alla specificità della struttura chimica della molecola ormonale, ma soprattutto alla specificità delle variabili strutture recettoriali preposte al riconoscimento del segnale ormonale e alla sua trasduzione in specifici effetti biologici. Per es., è ben conosciuto l'effetto dell'ormone tiroideo sulla metamorfosi del girino, così come è ben documentato l'effetto sincronizzatore svolto dagli ormoni tiroidei nel cadenzare lo sviluppo della corteccia cerebrale, nelle sue fasi di differenziazione pre- e postnatale, così come l'irreversibile danno indotto dal deficitario apporto ormonale durante la fase critica dello sviluppo differenziativo nelle prime fasi della vita extrauterina, che comporta una deficitaria maturazione e differenziazione della corteccia cerebrale. Gli effetti delle iodotironine sull'apparato scheletrico sono imputabili a un'azione diretta sul tessuto osseo e a influenze indirette sul ricambio calcio-fosforico. Gli ormoni iodati promuovono, in sinergismo con l'ormone della crescita, la maturazione scheletrica, la formazione e lo sviluppo delle ossa lunghe e dei nuclei di ossificazione epifisaria. Tale effetto maturativo è dovuto a un'azione diretta sulla matrice proteica dello scheletro, e all'azione indiretta sui processi di mineralizzazione scheletrica. Le iodotironine, infatti, diminuiscono l'assorbimento intestinale del calcio, esaltandone di contro l'escrezione urinaria, e tali effetti si traducono, nell'ipertiroidismo, in un bilancio negativo del calcio che può esprimersi con più o meno diffusa osteoporosi. L'influenza degli ormoni tiroidei sull'apparato cardiovascolare è di entità tale che spesso sono proprio le alterazioni emodinamiche e cardiocircolatorie che costituiscono la più evidente espressione clinica di una condizione di alterata funzione tiroidea. Le modificazioni indotte dall'ormone tiroideo sull'apparato cardiovascolare sono dovute sia a effetti diretti sul muscolo cardiaco, la cui attività contrattile è esaltata, congiuntamente all'accelerata frequenza del battito, registrandosi un aumento della gettata sistolica e della portata, sia a effetti indiretti sul letto vascolare, indotti nei tessuti periferici dall'aumentato consumo di ossigeno, che implica una diffusa vasodilatazione. Ne consegue una condizione emodinamica caratterizzata da uno shunt arterovenoso, analogo a quello che si registra nell'anemia di spiccata entità. Gli ormoni tiroidei, inoltre, esaltano la motilità gastrointestinale, aumentano il flusso renale e la filtrazione glomerulare, favoriscono l'assorbimento gastroenterico della vitamina B₁₂ e del ferro, regolano il trofismo della cute e degli annessi cutanei, modificano, direttamente o indirettamente, il trofismo e la funzione dell'apparato muscolare; tali eventi riflettono gli effetti indotti dagli ormoni tiroidei sul ricambio glucidico, sul metabolismo proteico e lipidico, sul sistema nervoso, sulle funzioni neuromuscolari e, in definitiva, sul ricambio energetico. Infatti gli ormoni tiroidei producono uno specifico aumento del consumo di ossigeno, da correlare con lo specifico effetto stimolatorio della sintesi proteica. Le precipue funzioni ormonosintetiche e ormonosecretive della tiroide sono finemente regolate da meccanismi, intratiroidei ed extratiroidei, finalisticamente preordinati per mantenere costante, nonostante il variabile apporto iodico e la variabilità delle esigenze energetiche dell'organismo, il ritmo ormonosecretivo e il livello dell'ormone circolante. L'ormone tireotropo ipofisario (TSH, Tyroid stimulating hormone) rappresenta il principale modulatore extratiroideo della funzione tiroidea; ma anche meccanismi intrinseci intraghiandolari contribuiscono alla regolazione del ritmo ormonosintetico e ormonosecretivo, soprattutto variando la sensibilità allo stimolo tireotropinico, tendendo a mantenere costante il deposito ormonale intraghiandolare, piuttosto che la concentrazione periferica. L'efficienza di tali fenomeni di adattamento è particolarmente manifesta nel regolare la risposta alle variazioni, acute e croniche, dell'apporto iodico. La regolazione tireotropinica della funzione tiroidea è controllata, con un meccanismo di controregolazione, dall'asse ipotalamo-ipofisario, che, oltre a governare i processi ormonosintetici, modula tramite i suoi ormoni, il TRH (Thyrotropin releasing hormone) e il TSH, la sintesi e la secrezione iodotironinica. Infatti, quando la concentrazione ematica delle iodotironine, soprattutto della frazione libera diminuisce, l'ipofisi aumenta la produzione e la secrezione dell'ormone tireotropo che stimola la tiroide, esaltando la sua attività ormonosintetica e ormonosecretiva, compensando così le variazioni del livello iodotironinico ematico. Al contempo la secrezione tireotropinica è, invece, depressa dall'aumento dell'ormone tironinico circolante. Questo sistema omeostatico di coordinazione ipofisi-tiroide, utilizzato anche nella pratica clinica con il test di soppressione con T₃, è integrato da un meccanismo di controregolazione, a circuito breve, tra ipofisi e ipotalamo, a opera del TRH, l'ormone ipotalamico, la cui secrezione è regolata dal livello del TSH. In ultima analisi, in condizioni di efficienza adattativa, il livello del TSH plasmatico è inversamente proporzionale alla concentrazione delle iodotironine circolanti. Le malattie della tiroide possono essere catalogate in due principali settori: la patologia funzionale e quella proliferativa. La patologia funzionale, in senso sia ipertiroideo sia ipotiroideo, è caratterizzata da un'eccessiva o ridotta esposizione dell'organismo al segnale ormonale tiroideo, il quale può essere prodotto in maniera anormale in conseguenza di alterazioni qualitative o quantitative del tessuto tiroideo. Le principali sindromi ipertiroidee sono rappresentate dal gozzo tossico esoftalmico (morbo di Basedow) e dall'adenoma tossico (morbo di Plummer). Gli stati ipotiroidei sono di variabile intensità, e dalla forma subclinica o preclinica la malattia ormonocarenziale evolve verso l'insufficienza conclamata, più spesso a genesi autoimmune (morbo di Hashimoto) che può esprimersi nel 'mixedema' conclamato, attualmente di assai raro riscontro a motivo della tempestiva diagnosi formulata grazie anche alla disponibilità di accertamenti, che consentono di riconoscere il deficit ormonale anche nella fase asintomatica. La patologia proliferativa comprende diverse malattie, tra le quali possono essere distinte forme benigne, largamente prevalenti (gozzo cosiddetto semplice, diffuso o nodulare; v. gozzo), e rare forme tumorali, perlopiù scarsamente aggressive, e non frequentemente sostenute da proliferazioni carcinomatose, le quali risultano biologicamente più invasive. Per quanto riguarda i meccanismi causali della patologia gozzigena, ha dominato incontrastata la teoria patogenetica che è incentrata sul ruolo del deficitario apporto iodico alimentare, quale fattore causale determinante del gozzo; tale teoria iodocarenziale ha indotto le autorità sanitarie responsabili della sanità pubblica a istituire programmi di prevenzione del gozzo, basati sulla somministrazione di quote addizionali di iodio, distribuito sotto diverse forme (per es., sale iodato, pane iodato, iniezioni di olio iodato, iodurazione delle acque). Attualmente, oltre alla tradizionale teoria iodocarenziale, peraltro tuttora valida soprattutto in aree con ridotta disponibilità iodica alimentare, è possibile formulare anche altre ipotesi fondate sulla predisposizione genetica a sviluppare l'iperplasia gozzigena. Infatti, con l'espandersi dell'attuale endocrinologia molecolare e, soprattutto, grazie al tumultuoso progredire delle spettacolari tecniche dell'ingegneria genetica (v.), si è assistito alla caratterizzazione molecolare delle strutture cellulari e subcellulari che sono preposte alla selettiva funzione iodoconcentrante dell'epitelio del follicolo tiroideo, nonché di quelle deputate alla sintesi e alla secrezione degli ormoni tiroidei, le iodotironine. Inoltre, il vasto sviluppo, sia culturale sia metodologico, dell'endocrinologia ha consentito la definizione molecolare dei meccanismi che presiedono alla trasmissione e alla trasduzione del segnale iodotironinico a livello degli organi bersaglio, nonché degli eventi molecolari che regolano la modulazione trofica e metabolica dell'epitelio follicolare a opera dell'ormone tireostimolante, ovvero il principale dei fattori preposti alla crescita e alla differenziazione della cellula tiroidea, sintetizzato a livello dell'adenoipofisi. Con l'avvento dell'era della biologia molecolare (v. biologia) si è pervenuti alla caratterizzazione delle strutture genomiche della tireoglobulina, la matrice glicoproteica accettrice dello iodio, dotata della specifica funzione ormonogenetica, e si è ottenuta la caratterizzazione del gene codificante per la tireoperossidasi, il sistema catalizzatore dell'organificazione dello iodio. Sono state descritte anche mutazioni responsabili di diverse tireopatie sostenute da processi proliferativi o da alterazioni funzionali. Si è inoltre definito il substrato genetico responsabile delle alterazioni delle funzioni recettoriali per gli ormoni tiroidei, che determinano un'inadeguata espressione del segnale iodotironinico, a livello delle strutture bersaglio, delineando così il quadro della resistenza ormonale. Negli ultimi anni del 20° secolo è stato clonato e caratterizzato il gene coinvolto nel sistema di trasporto attivo dello iodio, che presiede al trasferimento dello iodio dal compartimento vascolare a quello cellulare, il cosiddetto symporter Na+/I‒ (NIS) deputato alla captazione dell'alogeno. Inoltre, si sono effettuate la clonazione e la caratterizzazione di numerosi geni che intervengono nel modulare lo sviluppo della tiroide, le sue attività funzionali implicate nella sintesi e secrezione delle molecole ormonali, i processi proliferativi e replicativi, nonché dei geni che intervengono nella regolazione del metabolismo delle iodotironine e nell'attivazione degli effetti trofici, differenziativi e metabolici ubiquitariamente esplicati dagli ormoni tiroidei. Pertanto, sulla base delle più recenti acquisizioni molecolari può essere intravista la possibilità che, in un futuro non remoto, anche la lesione gozzigena, la più frequente delle tireopatie benigne, possa essere definita a livello molecolare quale alterazione di potenziali geni candidati che codificano per le strutture cellulari preposte al trasferimento dello iodio (symporter), all'ossidazione dell'alogeno (perossidasi), all'organicazione dello iodio nel contesto del substrato proteico (tireoglobulina) e alla regolazione della funzione trofica e ormonogenetica mediata dal recettore del TSH. Più recentemente sono stati condotti brillanti studi sulla caratterizzazione di geni specifici che controllano lo sviluppo ontogenetico della tiroide e le potenziali alterazioni trascrizionali implicate in alcune forme di ipotiroidismo congenito. Le più recenti acquisizioni riguardanti le alterazioni genetiche nelle tireopatie hanno consentito di dimostrare diverse alterazioni a livello dei geni che presiedono, in corrispondenza delle strutture centrali neuroendocrine ipotalamoipofisarie, alla regolazione morfofunzionale della ghiandola tiroide, così come di quelli operanti a livello dell'epitelio follicolare tiroideo, nonché dei geni coinvolti nell'innescare la cascata degli eventi che presiedono all'attivazione della funzione ormonale regolatrice delle specifiche reazioni biologiche, proprie delle strutture cellulari bersaglio. In particolare sono state riscontrate alterazioni genetiche in corrispondenza di: geni che regolano centralmente, a livello dell'asse ipotalamoipofisario, la funzione tiroidea; fattori di trascrizione che presiedono alla differenziazione ontogenetica della tiroide; recettore del TSH e dei suoi meccanismi di trasduzione intracellulare del segnale ormonale; trasportatore dello iodio; apparato ormonosintetico e secretivo ghiandolare; enzimi preposti alla regolazione del metabolismo iodotironinico; recettori nucleari localizzati a livello delle cellule bersaglio. Inoltre sono state registrate risultanze sperimentali e cliniche inerenti al substrato molecolare del processo carcinogenetico tiroideo. Alla luce di queste nozioni di fisiopatologia genetico-molecolare, integrate dalle implicazioni clinico-diagnostiche di queste più recenti acquisizioni, è possibile prospettare possibili trasposizioni applicative di ordine terapeutico. In sintesi, il progredire delle tecniche biomolecolari ha consentito un'impostazione radicalmente innovativa dell'algoritmo diagnostico delle tireopatie, la più frequente patologia endocrina. Si dispone, dunque, di un arsenale diagnostico che consente il riconoscimento della patologia tiroidea in fase preclinica ed è lecito prospettare trasposizioni applicative delle attuali conoscenze biomolecolari, in termini di provvedimenti terapeutici preventivi, così come di non avveniristiche possibilità di terapia genica.
bibl.: m. andreoli, Manuale medico di endocrinologia e metabolismo, Roma, Il Pensiero Scientifico, 2000; m. andreoli et al., Hipothyroidism today: from a multisystemic clinical entity to an experimental model of altered expression of the iodothyronine message, in Frontiers in endocrinology. Highlights in molecular and clinical endocrinology, ed. M. Andreoli, M. Shields, 9° vol., Roma, Ares Serono Symposia, 1994, pp. 19-32; m. andreoli, a. pontecorvi, Tireopatie: diagnostica molecolare e prospettive terapeutiche, "Recenti Progressi in Medicina", 2000, 91, 1, pp. 25-32; m. andreoli, v. summaria, s. sciacchitano, An introduction to benign thyroid disease: pathophysiologic, epidemiologic aspects and diagnostic methodology, "Rays", 1999, 24, 2, pp. 169-181; b.i. balinsky, An introduction to embryology, Philadelphia, Saunders, 1960 (trad. it. Bologna, Zanichelli, 1969); The Cambridge encyclopedia of human evolution, ed. S. Jones, R. Martin, D. Pilbeam, Cambridge, Cambridge University Press, 1992; u. d'ancona, Trattato di zoologia, Torino, UTET, 19733; a. farsetti, d. danese, m. andreoli, Ormoni. Meccanismi di azione degli ormoni, in Enciclopedia Medica Italiana, 2° Aggiornamento, 2° tomo, Firenze, USES, 1978, pp. 4233-59; a.s. romer, t.s. parson, The vertebrate body, Philadelphia, Saunders, 19866 (trad. it. Anatomia comparata dei Vertebrati, Napoli, SES, 19872); s. sciacchitano, m. andreoli, Le tiroiditi: nosografia, meccanismi etiopatogenetici ed attualità cliniche, "Medicina clinica, diagnostica e terapia", 1994, 8, pp. 185-208.