TITHONOS (Τιϑωνός)
È un antico dio della luce e come tale il consueto compagno e complemento di Eos. Nel processo di unificazione delle storie mitiche attraverso regolari genealogie, T. diviene un principe troiano figlio di Laomedonte e fratello di Priamo, rapito ancora fanciullo da Eos e divenuto sposo di quest'ultima. Divenuto immortale, ma soggetto alla degradazione della vecchiaia, T. diviene sempre più fragile e debilitato, sino a ridursi a una piccola voce crepitante come quella di una cicala. Trattandosi di un personaggio di un'esistenza talmente attenuata, è fatale che l'unico momento che ebbe qualche importanza per l'arte figurativa dovette essere il breve dramma del rapimento.
Anche in questo caso una delle maggiori difficoltà che s'incontrano nel definire l'iconografia di T. è quella di distinguere tra quest'ultimo e altri giovani eroi rapiti da Eos, innanzi tutto Kephalos (v. cefalo). Tutta l'iconografia di T. è infatti impegnata nel motivo della dea rapitrice e dell'inseguimento d'amore. La differenziazione normalmente ammessa che Kephalos sia un giovane cacciatore, mentre T. un fanciullo al più contraddistinto dalla lyra dei ragazzi di scuola, non è sempre applicabile con sicurezza. In una pelìke del Pittore di Lykaon nell'Ermitage (CR. 1872, tav. 6) infatti è un giovane cacciatore ad esser contraddistinto con il nome Tithonos. È quindi da ritenere che in molti casi, e in particolare in opere monumentali e di carattere religioso, come il notissimo acroterio di Caere, il vero nucleo essenziale della figurazione sia la dea Eos: non sarà quindi sorprendente una certa indifferenza nel caratterizzare il suo partner o la sua vittima. Kephalos, Orione, T. o altri possono indicare solo la molteplicità degli eletti di Eos, mentre il motivo della dea alata che trasporta nelle braccia il giovinetto amato sembra già preparare e anticipare il momento straziante in cui essa porterà, quasi nello stesso modo, il corpo del suo figliuolo morto Memnone.
Le apparizioni di T. nell'arte figurata sono in realtà abbastanza limitate nello spazio e nel tempo. A parte un ristretto seppure importantissimo gruppo di monumenti etruschi, si tratta unicamente di vasi attici a figure rosse per un periodo che va dal secondo o terzo decennio alla fine del V sec. a. C. con un graduale rallentamento. In definitiva la figurazione non è che una delle tante versioni del popolarissimo motivo dell'inseguimento d'amore che nell'età severa e nella prima classicità sembra determinare e quasi ossessionare la vita degli dèi e degli eroi. T. è un fanciullo con lunghi capelli spioventi, il mantello e la lyra dei ragazzi di scuola, che fugge spaurito dinanzi alla dea che lo insegue, tanto più grande e aggressiva di lui. A volte il giovinetto si difende con la lyra protesa, come ad evocare l'atto di un altro giovane perseguitato e schiantato dall'aggressività femminile, il musico Orfeo. Singolare è il caso di un'anfora di Cambridge (Pittore dei Porci, C. V.A., ii, tav. 10, 2) in cui la lyra è in mano della dea, come se questa l'avesse strappata al fanciullo.
Il fanciullo trepidante ed estatico che Eos solleva tra le braccia nell'acroterio di Caere, in un rilievo melio e in due superbi sköphoi del Pittore Lewis (H. R. W. Smith, Der Lewismaler, tav. 14, A) possiede in realtà più di altri favoriti della dea i caratteri di tenera timidezza e di estrema giovanilità che contraddistinguono Tithonos. Peraltro nella coppa del Pittore di Kodros, Berlino 2537, il fanciullo rapito porta scritto accanto il nome di Kephalos: e di conseguenza non oseremmo chiamare T. neppure il fanciullo rapito del frontone di Delo nel quello come imprigionato sul carro volante di Eos nel noto cratere a volute falisco del Museo di Villa Giulia (v. aurora, pittore dell'). Il nome di T. è invece assegnato a un molle giovinetto accarezzato da una dea seminuda in una di quelle consuete figurazioni erotiche senza carattere in uno specchio etrusco (Gerhard, tav. 290). Una tarda bulla etrusca dovrebbe anche figurare il vecchio T. nel suo talamo ben protetto, vegliato da Eos (Roscher, v, 1029).
Bibl.: J. Schmidt, in Roscher, V, 1916-1924, c. 1021 ss., s. v.: E. Wüst, in Pauly-Wissowa, VI A, 1936, c. 1512 ss., s. v.; Beazley-Caskey, Attic Vasepaintings in the Museum of Fine Arts, II, Boston-Oxford 1954, p. 38.