CARNACINI, Tito
Nato a Bologna il 29 giugno 1909, da Carlo e da Alberta Cianchi, si laureò in giurisprudenza presso l'università di Bologna nel 1930, e conseguì nella stessa università la libera docenza in diritto processuale civile nel 1934. Professore incaricato nell'università di Urbino dal 1934, divenne nel 1937 professore straordinario di diritto processuale civile presso la facoltà di giurisprudenza dell'università di Ferrara. Dal 1939 insegnò la medesima disciplina presso l'università di Modena, della cui facoltà di giurisprudenza fu preside dal 1943 al 1949. In tale anno fu chiamato dall'università di Bologna, ricoprendo fino al 1955 la cattedra di diritto del lavoro; quindi insegnò, fino al collocamento fuori ruolo (1979), diritto processuale civile. Preside della facoltà di giurisprudenza, fu rettore della università di Bologna dal 1968 al 1976; indi, ancora preside della facoltà dal 1982 fino alla morte.
Fu socio dell'Accademia nazionale dei Lincei, dell'Accademia delle scienze, lettere ed arti di Modena. dell'Accademia delle scienze dell'Istituto di Bologna; fu dapprima segretario e quindi, fino alla morte, presidente dell'Associazione italiana fra gli studiosi del processo civile; diresse dal 1963 la Rivista trimestrale di diritto e procedura civile.
Nel 1940 fece parte dei comitato ministeriale che predispose il testo definitivo del vigente codice di procedura civile, e successivamente collaborò alla redazione del sesto libro del codice civile sulla tutela dei diritti e alla redazione della relazione al re.
Presiedette infine la sottocommissione ministeriale che, con sede in Roma, elaborò i principi relativi all'esecuzione forzata e ai procedimenti speciali dei disegno di legge-delega sulla riforma del codice di procedura civile, approvato l'8 marzo 1981 dal Consiglio dei ministri.
Il C. morì a Bologna il 26 sett. 1983.
Il primo oggetto di studio del C. fu, sull'onda dell'interesse suscitato per l'esecuzione forzata dalle Lezioni di F. Camelutti, il problema dell'alienazione dell'immobile pignorato: problema che egli affrontò con tre ampi saggi - dedicati al diritto francese, al diritto tedesco ed al diritto italiano - apparsi sulla Rivista di diritto processuale civile nel 1934 (L'alienazione dell'immobile colpito da pignoramento…, XI, 1, pp.26-55, 160-191, 354-399). L'idea di fondo che ispira la trattazione è quella della piena validità - nonostante l'impropria formulazione dell'art. 2085 codice civile del 1865 - dell'atto di alienazione, il quale rende l'acquirente del bene pignorato proprietario erga omnes e, quindi, anche nei confronti del creditore pignorante; il pignoramento preesistente impedisce soltanto che il debitore esecutato perda la qualità di soggetto passivo del processo esecutivo, il quale prosegue nei suoi confronti incurante dell'alienazione.
Questa impostazione - ed in particolare l'accostamento di siffatta disciplina della res pignorata a quella della res litigiosa - fu ripresa e sviluppata nel Contributo alla teoria del pignoramento (Padova 1936), nel quale sono esaminate la struttura e la funzione dell'atto di pignoramento, nonché gli effetti sia rispetto ai beni mobili che agli immobili, sia a parte debitoris che creditoris. Recensendolo nella Rivista di diritto processuale civile (XIII R936], 1, p. 73), Carnelutti disse dei libro che esso "realizza le mie più belle speranze", attingendo, "con metodo ottimo" per l'osservazione dei fenomeni "estesa al massimo grado, anche in linea storica e comparata", "risultati definitivi".
Del 1937 è, poi, la monografia Il litisconsorzio nelle fasi di gravame (Padova), nella quale, dopo una vasta indagine storica, sono profondamente esaminate non solo la disciplina del codice allora vigente, e le soluzioni adottate dai vari progetti di riforma dei codice di rito, ma anche proposta una organica disciplina fondata sulla distinzione tra "litisconsorzio necessario e litisconsorzio semplice o scindibile". Quella proposta di disciplina è stata integralmente recepita dal nuovo codice di procedura civile, e consacrata negli articoli 331 e 332: al che certamente giovò la partecipazione dei C. al comitato ministeriale incaricato di redigere il testo definitivo del codice, ma altrettanto certamente può dirsi che l'impostazione data dal C., nella sua monografia, al problema della pluralità di parti nei giudizi d'impugnazione appare ancor oggi sorretta da una razionalità che la rende, a giudizio di molti autori, quasi obbligata per il legislatore.
Nell'immediato dopoguerra, il C. fu tra i più fermi difensori del codice di rito contro i tentativi - sovente più ispirati da una facile e demagogica polemica politica che non da reali esigenze di più rapida ed efficace giustizia - di radicale riforma ovvero di ritorno al previgente codice: e ciò fece sia quale relatore al congresso nazionale giuridico-forense del 1947, sia quale incaricato di redigere, per conto della facoltà di giurisprudenza di Modena, le osservazioni al disegno di legge predisposto dal ministro di Grazia e Giustizia Gullo.
Nel 1951 apparve, negli Studi in onore d Enrico Redenti (II, Milano 1951, pp. 6993-772), il lungo saggio Tutela giurisdizionale e tecnica del processo: uno scritto che ben può dirsi essere un classico della letteratura processualistica italiana ed un punto di riferimento, pur con varie precisazioni e distinzioni, per tutta la dottrina. Il C. muove dalla constatazione che "se il processo serve alle parti, alla loro volta le parti servono al processo" fornendo allo Stato l'occasione per attuare il diritto obbiettivo: sicché la parte, in quanto "mediante il processo cerca di realizzare un suo interesse materiale, una sua individuale necessità di vita", mette in gioco un diritto, laddove la parte, in quanto "contribuisce a.dare esistenza e contenuto, si potrebbe dire carne ed ossa, al processo nelle forme che gli sono peculiari", si trova nella necessità di porre in essere un'attività adeguata alla natura ed alle regole che reggono lo strumento prescelto, il processo.
Di ciò, sul piano soggettivo, è un riflesso la necessaria distinzione tra chi si serve del processo (parte in senso stretto) ed al quale soltanto compete la legittimazione al compimento di atti immediatamente incidenti sul diritto, ed il difensore, al quale spetta di agire secondo la tecnica del processo. L'opportunità di tenere distinto, nonostante le reciproche influenze, quanto attiene al regime di tutela dell'interesse materiale da ciò che, invece, attiene al regime interno del processo, è rimasta a lungo inavvertita, e si è profilata - secondo l'acuta ricostruzione compiuta, in poche ma dense e penetranti pagine, dal C. - solo quando si è compresa "la possibilità di conciliare la assoluta dipendenza dalla volontà della parte per quanto riguarda il servirsi dello strumento processo, con una più o meno marcata autonomia del giudice nella scelta dei mezzi di prova ed in genere nell'accertamento dei fatti rilevanti di causa": in breve, quando si è compreso che Dispositionsmaxime e Verhandlungsmaxime non si identificavano, ma l'una esprimeva il momento della richiesta della tutela, e l'altra soltanto un (e non già il) modo di essere dei procedimento. "Tutto quanto consacra il monopolio della parte di fronte al giudice nel ricorrere al processo civile e nel servirsene, e quindi nel perseguire la realizzazione di un interesse materiale attraverso questo strumento, non è riconducibile sotto alcun principio processuale … [perché esprime] il principio fondamentale della dipendenza della tutela dalla volontà dell'interessato … il Dispositionsprinzip in senso stretto non è altro che rispetto dei diritto subbiettivo anche quando si ricorra alla tutela giurisdizionale"; mentre da ciò non deriva affatto la necessità di riconoscere "il monopolio della parte nell'ambito dell'istruttoria della causa", essendo ben possibile e "accettare il contributo della parte nell'opera di ricostruzione degli elementi di fatto senza elevare tale contributo a condizione sine qua non, e accettarlo elevandolo senz'altro fino a tale punto".
Il saggio, delle cui linee fondamentali si è data una rapida sintesi, è pervaso da una forte passione (in senso lato) politica: nel principio che garantisce il "rispetto dei diritto soggettivo" è individuato un baluardo della libertà contro le ricorrenti tentazioni totalitarie ed èrivendicato alla dottrina italiana il merito di aver neutralizzato, nella redazione dei codici, le spinte autoritarie del regime fascista schierandosi a difesa ed esigendo il rispetto del diritto soggettivo; cosi come la dottrina a ragione ha difeso il codice da inconsistenti accuse mossegli in nome della "defascistizzazione". Un saggio, dunque, nel quale si fondono l'impegno politico (che portò il C. ad essere membro del Comitato di liberazione nazionale bolognese), la speculazione dommatica, l'attenta partecipazione all'attività di riforma legislativa.
Altro tema caro al C. fu quello dell'arbitrato, al quale dapprima dedicò, in collaborazione con M. Vasetti, la voce Arbitri per il Nuovo Digesto italiano (I, Torino 1937, pp.648-712), quindi la voce Arbitrato rituale per il Novissimo Digesto (I, 1, Torino 1958, pp. 874-923), e poi altri saggi, tra i quali spicca quello su L'istituto dell'arbitrato nelle controversie di lavoro, in AA.VV., Problemi in tema di arbitrato nelle controversie di lavoro, Milano 1969.
Il C. resse la cattedra bolognese di diritto del lavoro fino a quando (1955) successe al suo maestro, Enrico Redenti, su quella di diritto processuale civile: della fecondità del suo insegnamento - ispirato, ad un tempo, a rigore metodologico ed a vivace curiosità intellettuale per una disciplina in fase di rifondazione dopo l'esperienza corporativa - dà testimonianza la folta scuola di laboristi formatasi sotto la sua guida.
Fonti e Bibl.: Novissimo Digesto italiano, II, Torino 1958, p. 958 s.; U. Romagnoli-F. Carpi-G. Ghezzi, Necrol., in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, XXXVII (1983), pp. 1221-1228; E.T. Liebman, Necrologio, in Rivista di diritto processuale, XXXVIII (1983), p. 621; G. F. Mancini, Il liberale C., in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, XXXVIII (1984), pp.625-632; M. Vellani, T.C. processualista, ibid., p.633-645 (una bibl. delle opere a cura di C. Giovannucci Orlandi, ibid., pp. 646-654).