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TITO imperatore

di Gastone M. Bersanetti - Enciclopedia Italiana (1937)
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TITO (T. Flavius Vespasianus) imperatore

Gastone M. Bersanetti

Fu imperatore romano dal 24 giugno 79 al 13 settembre 81. Nacque da Vespasiano e da Domitilla a Roma il 30 dicembre 39. Sposò prima Arrecina Tertulla, figlia di M. Arrecino Clemente, prefetto del pretorio sotto Caligola, poi, alla morte di questa, Marcia Furnilla, che gli diede Giulia e da cui si separò. Fu educato insieme con Britannico e istruito dagli stessi maestri, dando prova fino dalla puerizia delle sue eccellenti doti fisiche e intellettuali. Fu tribunus militum in Germania e in Britannia; poi esercitò la questura. Quando Vespasiano ricevette la direzione della guerra giudaica, fu da lui incaricato di condurre a Tolemaide come legato la legione XV Apollinaris. Nel 67 T. conquistò, insieme con Traiano, Iapha; ebbe parte attiva nell'espugnazione di Iotapata, adoperandosi dopo la sua caduta in favore dello storico Flavio Giuseppe, fatto prigioniero; si distinse molto nella conquista di Tarichea; al ritorno dalla Siria, dove era stato inviato in missione presso il governatore Muciano, contribuì in maniera decisiva all'espugnazione di Gamala; s'impossessò infine di Giscala, lasciandosi però sfuggire il condottiero nemico Giovanni. Quale parte egli avesse nelle operazioni militari del 68 non è noto. Un ruolo importante T. ebbe dopo la morte di Nerone, specie per l'opera da lui svolta per l'accordo tra Vespasiano e Muciano. Inviato presso Galba per rendergli omaggio e per riceverne onori (si parlò anche di adozione) fu sorpreso durante il viaggio, in Acaia, dalla notizia dell'uccisione di Galba (15 gennaio 69). Allora ritornò in Oriente, fermandosi a consultare l'oracolo di Pafo, che gli predisse l'impero. Quando nel luglio l'esercito giudaico acclamò imperatore Vespasiano, T. si trovava presso Muciano. Alla fine del 69 accompagnò il padre in Egitto. Di lì fu inviato a finire la guerra giudaica. Nell'esercito che era ai suoi ordini c'erano le tre legioni che già avevano combattuto sotto Vespasiano e inoltre la XII Fulminata; gli stava accanto, come capo di stato maggiore, Tiberio Alessandro. L'investimento di Gerusalemme ebbe inizio alla fine di aprile del 70. La difesa dei Giudei fu disperata e l'assedio fu tra i più terribili che la storia ricordi. La massima parte del Tempio fu occupata fino dall'inizio dell'estate: la parte più interna (ναός, sancta sanctorum) resistette a lungo e fu incendiata il 29 agosto (?). In settembre il resto della città fu conquistato e abbattuto. Assolto l'incarico ricevuto, T. inviò la XII legione a Melitene sull'Eufrate, lasciò la X a Gerusalemme e con la V e la XV si recò a Cesarea. Poi fece visita ad Agrippa a Cesarea di Filippo, si fermò a lungo a Berito, andò ad Antiochia e di lì a Zeugma sull'Eufrate, dove ricevette un'ambasceria che gli consegnò da parte del re dei Parti Vologese una corona d'oro per la vittoria sui Giudei. Ritornò ad Antiochia; poi passando da Gerusalemme si recò in Egitto. L'attività esplicata da T. in Oriente dopo la caduta di Gerusalemme deve esser considerata di notevole importanza ed essere messa in relazione con il programma di politica orientale attuato durante il governo di Vespasiano. Dopo avere rimandato le legioni V e XV in Mesia e in Pannonia, T. s'imbarcò ad Alessandria e giunse a Roma nel giugno del 71. Dopo pochi giorni dall'arrivo, celebrò col padre lo splendido trionfo che fu poi eternato sull'arco eretto in suo onore in summa sacra via, dedicato dopo la sua morte. T., che nel 69 era stato nominato Cesare e princeps iuventutis, e il 1° gennaio del 70 era divenuto console insieme con Vespasiano, aveva già ricevuto, sembra, un imperium proconsulare maius per la guerra giudaica, ed era stato salutato imperator dai soldati sulle rovine del Tempio, titolo poi confermatogli, dal 71; investito dell'imperium proconsulare e della tribunicia potestas cessò di essere princeps iuventutis e divenne conreggente del padre. Come particeps imperii fu collega di Vespasiano nel consolato altre 6 volte (72, 74-77, 79), e anche nella censura. Vespasiano lo nominò inoltre, cosa del tutto straordinaria, prefetto del pretorio. Siamo purtroppo poco informati sul suo contributo all'opera di governo del padre; esso dovette essere non lieve specie per l'indirizzo della politica orientale. T. esercitò le sue funzioni di tutor imperii in maniera dura: faceva arrestare e giustiziare alla svelta i sospetti; esempio famoso quello del consolare A. Cecina Alieno, che, reo di cospirazione, invitò a pranzo e fece uccidere all'uscita dal triclinio. A molte critiche si espose per la sua avidità, la vita licenziosa e la relazione con la giudea Berenice, che, per lo sdegno sempre crescente, fu costretto a mandar via da Roma. Tutto ciò gli procurò così cattiva fama che quando successe al padre (24 giugno 79) si temette che sarebbe stato un secondo Nerone. I timori però si rivelarono infondati: T. da imperatore seppe liberarsi dei suoi difetti e mettere invece al servizio del bene pubblico le sue doti non comuni.

Il breve periodo del suo impero fu caratterizzato principalmente da gravissime calamità: nel 79 la famosa eruzione del Vesuvio seppellì Pompei ed Ercolano; nell'80 Roma fu colpita da un incendio che distrusse, fra l'altro, il tempio di Giove sul Campidoglio, la domus Tiberiana sul Palatino, il Portico di Ottavia, i Saepta e il Diribitorium, il Pantheon, le Terme di Agrippa; inoltre una terribile pestilenza fece numerose vittime. Verso i colpiti da tali sventure T. mostrò non solo la sollecitudine di un sovrano amorevole ma l'affetto di un padre; provvide subito alle misure per riparare il disastro che aveva colpito la Campania, dove si recò personalmente e si fermò a lungo, e all'opera di ricostruzione degli edifici distrutti dall'incendio. Molto notevole fu la sua attività edilizia: T. aggiunse il terzo e quarto ordine all'Anfiteatro Flavio, che inaugurò nell'80; costruì le Terme da lui denominate, iniziò il tempio al divo Vespasiano, finito poi da Domiziano che lo dedicò anche a lui; un arco di trionfo gli fu eretto sulla Via Sacra e un altro nel Circo Massimo. Riparò poi gli acquedotti delle acque Marcia e Claudia e numerose strade in Italia e nelle provincie. Nell'amministrazione delle finanze, il governo di T. fu dannoso al bilancio dello stato, per le enormi spese (dovute anche alle feste sontuose) che non ebbero un corrispettivo nelle entrate. In quella della giustizia, benché severissimo verso i delatori, T. fu in genere tanto mite che non pronunciò nessuna condanna a morte. Il principale avvenimento militare fu la continuazione della conquista della Britannia per opera di Agricola che nell'80 estese il dominio romano fino alla linea Clota-Bodotria (Firth of Clyde-Firth of Forth). Si deve ricordare infine che l'Oriente fu turbato dall'apparizione di un falso Nerone, un certo Terenzio Massimo, il quale, dopo aver guadagnato seguito in Asia Minore, fu battuto e si rifugiò presso il re dei Parti. Nell'indirizzo generale della sua politica, T. seguì nell'insieme i principî del padre: ma nella politica dinastica si allontanò in parte da Vespasiano, in quanto, pur riconoscendo Domiziano come consors successorque, non lo elevò alla correggenza.

Mentre nell'81 viaggiava nella Sabina T. fu colto da febbre e morì ad Aquae Cutiliae il 13 settembre. Unanime fu il compianto per la morte dell'imperatore che aveva meritato la qualifica di amor ac deliciae generis humani.

Bibl.: Weymand, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VI, coll. 2695-2729 (con la bibl. precedente); A. von Domaszewski, Geschichte der röm. Kaiser, II, pp. 154-157; G. Mayer, Kaiser Titus, Eger 1909; B. W. Henderson, Five Roman Emperors, Cambridge 1927, pp. 7-11, 78, passim; L. Homo, Le Haut-Empire, in Glotz, Histoire générale, Parigi 1933, pp. 371-77. Cfr., in particolare W. Weber, Josephus und Vespasian, Stoccarda 1921, passim; Gaheis, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., X, coll. 131-135 (per Agricola); G. MacDonald, The Agricolan occupation of North Britain, in Journal of Roman Studies, IX (1919), p. 111 segg.; M. Cary, La Grande-Bretagne romaine, in Revue Historique, CLIX (1928), pp. 7-8; E. Kornemann, Doppelprinzipat und Reichsteilung im Imperium ROmanum, Lipsia-Berlino 1930, pp. 59-66; M. Rostovtzeff, Storia economica e sociale dell'impero romano, ediz. ital., Firenze (1933), p. 137; J. Vogt, Die alexandrinischen Münzen, Stoccarda 1924, I, pp. 43-45; II, pp. 16-17; H. Mattingly e E. A. Sydenham, The Roman Imperial Coinage, II, Londra 1926, pp. 113-148; H. Mattingly, Coins of the Roman Empire in the British Museum, II, Londra 1930, pp. 223-296; Platner-Ashby, A topographical dictionary of ancient Rome, Londra 1929, passim; G. Lugli, I monumenti antichi di Roma e suburbio, I, II, Roma 1930-1934, passim; E. Boise van Deman, The bulding of the Roman aqueducts, Carnegie Institution of Washington, Public. n. 423 (1934), pp. 15, 130-132, 187. V. inoltre B. Stech, Senatores Romani qui fuerint inde a Vespasiano usque ad Traiani exitum, in Klio, X (1912), p. 51 segg.; A. Stein, Der römische Ritterstand, Monaco 1927, passim; C. S. Walton, Oriental senators in the service of Rome, in Journal of Roman Studies, XIX (1929), p. 46; A. Momigliano, Sodales Flaviales Titiales e culto di Giove, in Bull. Comm. archeol. comun., LXIV (1936).

Vedi anche
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