Lucrezio Caro, Tito
Poeta latino (1° sec. a.C). La tradizione antica non è concorde sulle date di nascita e di morte, che si possono collocare rispettivamente nel primo decennio del sec. 1° a.C. e intorno al 55 (secondo alcuni, sarebbe morto il giorno stesso in cui Virgilio prese la toga virile, il 15 ott. del 53). Non è noto il luogo di nascita: elementi di onomastica locale e generici riferimenti contenuti nell’opera hanno fatto pensare a Pompei, ma senza prove sicure. Della sua vita, unico e tutt’altro che certo episodio rilevante a noi noto è la sua follia, dovuta a un filtro amoroso, di cui ci informa Girolamo. Da essa L. sarebbe stato indotto poco più che quarantenne al suicidio, e la sua stessa opera sarebbe stata compiuta negli intervalli di lucidità; si sono anzi volute trovare tracce della follia nel suo poema, in passi dove è descritta l’amara esperienza dei folli tormentati dalle angosciose immagini dei loro terrori e dei loro desideri. È probabile, in ogni caso, che nella notizia di Girolamo (derivata dal libro De poëtis di Svetonio) vi sia un fondo di verità; l’immagine del poeta, quale risulta dalla sua opera, è certamente piena di dolorosa esaltazione, che sconfina talvolta nel trasporto fanatico. È da notare, tuttavia, che a questi momenti di violenta accensione passionale non corrisponde mai uno smarrimento dell’intelligenza, che si fa, semmai, più lucida e penetrante. L. è autore del De rerum natura, a noi giunto nella forma che, a quanto pare, gli dette Cicerone quando alla morte del poeta ebbe tra le mani il manoscritto (compiuto ma non limato) e lo rivide rapidamente per la pubblicazione. Il poema si divide in 6 libri, a ognuno dei quali è premesso un proemio. La filologia moderna si è affaticata a ricostruire il testo, che per molti riguardi appare non definitivo, con soppressioni e spostamenti di versi e di interi passi, secondo criteri di ragionevolezza e di concordanza con i programmi che lo stesso L. enuncia circa l’ordine di trattazione della materia. Tuttavia, nessuna delle ricostruzioni complessive ha interamente soddisfatto, e si tende a tornare a considerare l’ordine tradizionale (salvo particolari) come l’unico sul quale sia veramente legittimo fondarsi.
Il De rerum natura è l’esposizione del mondo secondo i principi della filosofia di Epicuro, della quale L. si mostra eccellente conoscitore e assertore tanto convinto da non introdurre praticamente nulla di proprio. Per quel che riguarda la forma dell’opera, l’idea di un grande poema didascalico è tipicamente presocratica e, in particolare, sembra effettivamente che nella forza espressiva del linguaggio e nell’elevatezza delle immagini L. abbia preso a modello il poema Sulla natura di Empedocle. Ma al di là di ogni imitazione e modello, è chiaro che il soggetto della vasta opera, che non ha confronti nel suo genere nella letteratura latina (nella quale pure si ebbero molti poemi di soggetto didascalico), in quanto autonomo complesso delle norme etiche e dei concetti fisici epicurei, non poteva essere contenuto nella grande tela del poema, se non diveniva esso stesso trascinante motivo di vita interiore, teso nella conquista di un’espressione grandiosa e compiuta, che testimoniasse con la sua imponenza, perfezione e novità, l’indiscutibile superiorità della propria fede su tutte. Nell’atto di concepire il poema, L. era alla ricerca di una certezza morale e filosofica, indispensabile non solo a placare le sue ansie di conoscere e capire, ma soprattutto a tranquillizzare le oscure e profonde angosce del suo animo. In questo senso, il casualismo epicureo, che elimina ogni finalità dall’accadere cosmico, e sgombra con il suo perfetto razionalismo ogni dubbio sul poi e sul perché delle cose, risolvendo dolori e gioie, mutamenti e immobilità, passato e futuro, mente e materia nel fatto chiarissimo e ben descrivibile dell’aggrupparsi e del disgregarsi degli atomi, poteva valere come nessun’altra filosofia a liberare l’uomo capace di coglierne il senso profondo, da ogni dubbio intellettuale, morale, religioso. Naturalmente, la serenità dell’epicureo, che nasce dal sapere, cioè dalla dissoluzione delle illusioni e delle superstizioni circa la vita, le passioni, gli uomini, gli dei, è una serenità militante, che richiede la continua presenza della ragione a sé stessa, la sconfitta perpetua del sempre risorgente fantasma dell’illusione, la scienza a ogni passo confermata. Questa militanza epicurea fu per L. la passione di tutta la vita: la tensione della lotta tra il suo animo sensibilissimo e appassionato e la sua ragione che tenta di svelarne le illusioni per offrirgli la calma perfetta della sapienza, costituisce il nucleo lirico da cui la forza del pensiero, l’impeto del sentimento e l’acuta sensibilità si sviluppano nella forma poetica. Così nasce il De rerum natura, una delle più ricche opere dello spirito umano. La ricerca dell’esattezza concettuale conduce L. a innovare il lessico latino, e a introdurre in esso ingegnosi calchi, rispondenti al pensiero greco; la sensibilità per tutto ciò che è e soffre gli ispira un’altissima poesia delle passioni pietose e delle sventure. Le pagine più aperte del poema, d’altra parte, dai proemi ai famosi episodi delle follie d’amore (alla fine del 4° libro), o della peste d’Atene (alla fine del 6°), non si distaccano dal poema «dottrinale», apparentemente arido e duro, ma sono con esso in un rapporto combattivo e appassionato; la poesia di L. vive nel disperato sforzo di asserire con la scienza una pace e un’indifferenza dell’animo che proprio nel costruire la scienza si rivela incrinata a ogni passo dall’immensa pietà per le cose. Filosofo del cosmo fisico, L. lo descrive, e nel descriverlo trema di passione e di angoscia per esso, troppo vividamente evocato. Così, l’occhio freddo dell’osservatore della natura è pronto ad accendersi nell’osservazione dell’umanità e delle sue vicende, nel nesso che senza scampo lega cosmo e individuo. Nasce perciò in L. una poesia della drammatica storia degli uomini. Nella ricerca della sua singolare espressione, L. foggia la sua lingua e il suo verso, l’esametro, il classico metro del poema presocratico, aprendo nuove vie alla letteratura latina, per le quali Virgilio giungerà alla conquista della forma classica. Sia Virgilio sia Orazio, in modo diverso, subirono l’influenza di L. (ma il nome del poeta è menzionato solo molto di rado nell’età che lo segue e che vide crearsi intorno a L. una congiura del silenzio, dovuta specialmente al pesante giudizio di Cicerone sull’epicureismo). L. esercitò una influenza determinante nella storia della letteratura latina, e la dottrina del maestro Epicuro trovò in lui il mezzo d’espansione nel mondo moderno dall’umanesimo in poi. Il poema, pressoché ignoto nel periodo medioevale, fu riscoperto da Poggio Bracciolini nel 1417 (ed. princeps 1479). Successivamente filosofi, studiosi, letterati tennero il poema di L. in altissimo onore, come uno dei grandi testi dell’eredità pagana, da accettare o da combattere; nel Cinquecento, nel Seicento e nel Settecento la fortuna dell’epicureismo, del sensismo e del materialismo è strettamente legata a quella del De rerum natura.