STROCCHI, Tito
– Nacque a Lucca il 26 giugno 1846 da Stefano e da Giovanna Consolini, ambedue di origine romagnola.
Il padre, originario di Forlì, esercitò il mestiere di locandiere con alterna fortuna.
La formazione culturale del giovane Tito fu abbastanza eterogenea. Frequentò la scuola di disegno e di architettura dell’Accademia lucchese di belle arti. Studiò grammatica latina e ‘umane lettere’ nelle scuole dette di Santa Maria Nera. Compì studi classici e apprese gli elementi di filosofia e di matematica nel liceo di Lucca. Fin da quei primi anni, egli mostrò – scrisse il collega e amico Enrico Del Carlo nella biografia che gli dedicò due anni dopo la scomparsa (Del Carlo, 1882, p. XV) – molta predisposizione per la poesia. Fu la vicenda d’Aspromonte (1862) a rinforzare in lui l’ammirazione per Giuseppe Garibaldi e il desiderio di correre a combattere per la patria sotto il generale. Nel 1863 si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Pisa con scarsi risultati, più attratto dalla vita gaudente e scapigliata dell’ambiente giovanile cittadino che non dai suoi doveri di studente. Poco incline allo studio, nel novembre del 1865 dovette abbandonare l’università per motivi economici. Chiusi i giorni di spensieratezza illimitata, Strocchi trovò conforto nella poesia e scrisse il suo primo componimento – Due poveri cuori! – anche nella speranza di trarre un certo utile dalla sua fatica letteraria.
Nel 1866 poté tornare agli studi grazie all’aiuto paterno, ma il suo rinnovato interesse per la scienza fu distratto da nuovi avvenimenti. Alla vigilia della terza guerra d’indipendenza, l’ambiente universitario pisano era in pieno fermento. «Il nostro desiderio», scriveva allora Strocchi, «sarebbe quello di formare il battaglione universitario, e giuro a Dio che colla nostra bandiera che portarono sì valorosamente i nostri fratelli il 1848 a Curtatone, saremmo invincibili» (Del Carlo, 1882, p. XXV). Distratto da questi sogni, non riuscì a superare la tesi di laurea (26 maggio 1866). Il giorno successivo alla prova, dopo una breve visita a Lucca, ritornò a Pisa per prendere il treno che, assieme ad altri volontari, lo condusse al punto di raccolta a Barletta (30 maggio 1866), soldato della 14ª compagnia del 10° reggimento. Il 27 giugno, vestita orgogliosamente la camicia rossa, si accinse a partire per la guerra con la sua compagnia. Arrivò a Salò il 5 luglio e, da allora in poi fino all’armistizio, fu costretto a marce lunghe quanto inconcludenti sui monti sovrastanti il lago di Garda.
Strocchi visse questa prima esperienza di volontario garibaldino fra momenti di grande slancio patriottico e altri di sconforto per non essere riuscito, come molti altri, a scontrarsi direttamente con il nemico.
Disciolto l’esercito garibaldino ai primi di settembre, il 16 di quel mese tornò a Lucca col grado di caporal furiere. Ripresi poco dopo gli studi, il 28 novembre 1866 conseguì la laurea in scienze giuridiche e politico-amministrative presso l’Università di Pisa. L’anno successivo lavorò, come praticante, presso lo studio dell’avvocato Leonardo Martini e aderì all’universo repubblicano. Più attratto dalla politica che dai suoi impegni professionali, entrò a fare parte del comitato italo-ellenico organizzato anche a Lucca per raccogliere fondi in favore degli insorti greci e strinse amicizia con Enrico Del Carlo, con cui condivise la carica di segretario dell’associazione.
Appresa la notizia della spedizione che Garibaldi pensava di fare su Roma, il 3 settembre 1867 lasciò Lucca con il poco denaro datogli dal padre e da un amico. Il 7 arrivò a Orvieto assieme ad altri tre lucchesi (Fabio Ragghianti, Pertinace Giannini, Enrico Giorgi). Raggiunse quindi Soriano, Bagnaia e Bomarzo per ritornare a Bagnaia in attesa della colonna garibaldina di Girolamo Corseri alla quale si unì il 4 ottobre. Due giorni dopo, 1200 papalini attaccarono il paese costringendo i garibaldini a fuggire. Nel tentativo di passare il Tevere, i fuggitivi furono intercettati, catturati e condotti prima nel carcere di Amelia e poi in quello di Terni. Pochi giorni dopo Strocchi era già libero e, successivamente a un brevissimo ritorno a casa, il 17 di quel mese si diresse nuovamente verso il confine per partecipare all’assalto di Monterotondo sotto il comando di Garibaldi. Il 26 ottobre entrò nel borgo assieme agli altri garibaldini vittoriosi. Nella ritirata seguita alla sconfitta di Mentana (3 novembre), Strocchi restò indietro per soccorrere un ferito. Fatto prigioniero dai francesi, venne condotto a Roma e poi a Civitavecchia. Rimesso in libertà il 24 novembre, si recò subito a Lucca. Evitata la leva obbligatoria alla quale era stata chiamata la sua classe (1846) per problemi alla vista (era miope), nel febbraio del 1868 tornò nuovamente nella città natale, dove riprese la sua attività letteraria e organizzò una società fra volontari che prese poi il nome di Associazione fra reduci dalle patrie battaglie, con Giuseppe Mazzini presidente onorario. Sempre nel 1868 fondò, assieme a Del Carlo e pochi altri, il giornale Il Serchio.
Inizialmente la pubblicazione aveva un programma di «conciliazione fra opinioni diverse, vale a dire una cosa assai moderata» (Del Carlo, 1882, p. LXXI), ma un articolo di Strocchi, intitolato Luce e libertà, collocò subito il giornale fra gli organi di stampa di ispirazione mazziniana.
Nel 1869, tre anni dopo la nascita dell’Alleanza repubblicana universale, divenne presidente del comitato lucchese che si ispirava al progetto mazziniano di conferire ai valori della solidarietà, della democrazia e della pace una dimensione destinata a diventare globale. Sempre in quell’anno scrisse un testo intitolato La figlia di Maria, vera e propria requisitoria anticlericale contro il movimento cattolico femminile. Il 28 luglio 1868 fu arrestato per ordine del procuratore generale di Genova con l’accusa di cospirazione contro lo Stato. Rimesso in libertà il 27 settembre, cercò di separare la loggia Balilla, da lui creata nel 1866 assieme a Giocchino Allegrini, dal Grande Oriente di Firenze per passare all’obbedienza del Supremo Consiglio Palermitano, alla cui guida si trovava, dal 1868, uno dei più stretti seguaci di Mazzini, Federico Campanella. Nella primavera del 1870, in previsione di un’insurrezione repubblicana nell’Italia centrale, organizzò, a Lucca, una banda che avrebbe dovuto operare assieme ad altre di Pisa, Livorno, Carrara e Spezia. L’intento era quello di marciare verso Firenze nella speranza che il movimento prendesse forza anche in Liguria, in Lombardia e nel resto dell’Italia fino alla Sicilia. Il 4 giugno, Strocchi, assieme a settanta giovani lucchesi armati di fucili sottratti al regio liceo – dove venivano utilizzati per gli esercizi militari della scolaresca – raggiunse i monti circostanti (Pizzorne). Gli insorti, però, furono inseguiti e arrestati in territorio pistoiese e quindi condotti in prigione a Lucca. Agli inizi di novembre, dopo molte difficoltà, Strocchi riuscì a raggiungere Marsiglia per arruolarsi, come volontario, nella spedizione garibaldina a sostegno delle truppe francesi contro i prussiani. Durante quella campagna che combatté nella brigata di Ricciotti Garibaldi, oltre ad acquisire i gradi di sottotenente, conquistò la fama – messa in dubbio da alcuni – di avere catturato la bandiera del 61° reggimento prussiano durante la terza battaglia di Digione (23 gennaio 1871).
Tornato a Lucca (19 marzo 1871), riprese a scrivere soprattutto testi teatrali, tra cui le commedie Volti e maschere – subito rappresentata a Lucca e in altre città italiane – e Amore, andata in scena a Firenze il 5 giugno con scarso successo. Sempre afflitto dalla mancanza di denaro, il 9 settembre 1871, con l’aiuto economico di alcuni amici di Massa e accompagnato dalla sorella Livia, si trasferì a Firenze, dove entrò in contatto con la gioventù democratica locale e partecipò all’acceso dibattito sulle teorie dell’Internazionale apertosi all’interno dell’ambiente repubblicano. Durante quel periodo studiò per prepararsi all’esame per il libero esercizio della professione di avvocato e scrisse alcuni articoli per il giornale democratico L’Italia nuova. Profondamente addolorato per la morte di Mazzini, avvenuta a Pisa il 10 marzo 1872, e per non avere adempiuto alla sua richiesta di scrivere per La Roma del popolo, riuscì a fatica a conseguire il titolo di avvocato. A quel periodo risalgono il dramma Sampiero d’Ornano e una commedia in due atti, intitolata Maria.
Il 29 aprile 1871 partì per Roma, dove partecipò, come rappresentante della loggia Dante e Unità di Catania, al congresso della massoneria italiana per la costituzione di un solo Grande Oriente. Con il denaro guadagnato dalla traduzione dal francese di un articolo di Mazzini commissionatagli da Campanella, Strocchi tornò a Lucca per assistere alla morte di suo fratello Ugo. Poi si trasferì a Bologna presso lo studio dell’avvocato Aristide Venturini. Qui frequentò anche l’ambiente dell’ex colonnello garibaldino Francesco Pais, direttore del giornale La Voce del popolo, e Giosue Carducci. Si trasferì poi a Massa per dirigere il Corriere della provincia di Massa, di ispirazione repubblicana, entrando subito in contrasto con la società moderata cittadina. Ammalatosi di pleurite, continuò a vivere in quella città fra alti e bassi della salute e dell’attività di avvocato e giornalista. Verso la metà del 1876 riprese a scrivere Una pagina dei miei ricordi - 1867, con l’aggiunta delle memorie del 1870-71.
Agli inizi del 1877 scrisse la commedia, in quattro atti, Amore e lavoro. Nel marzo di quell’anno la direzione del giornale repubblicano Il Dovere gli offrì l’impiego di corrispondente da Genova e, sempre in quella città, contribuì alla nascita del periodico di ispirazione mazziniana Lo Squillo. Ammalatosi gravemente, fu ricoverato nell’ospedale di Genova dove restò, pressoché abbandonato a sé stesso, per circa quattro mesi. Fu l’associazione Giuseppe Mazzini di Lucca – di cui era presidente onorario – a pagare le spese per ricondurlo nella città natale. Durante il ricovero presso l’ospedale di S. Luca concluse un racconto dedicato a Lucrezia Buonvisi pubblicato postumo (Lucrezia Buonvisi. Racconto storico lucchese del secolo XVI, Lucca 1882). Dimesso dal nosocomio il 2 luglio 1877, si recò a Bagni di Lucca, ospite di un amico dove rimase fino al 6 ottobre. Tornato a Lucca, dopo una breve tregua, la malattia riprese il sopravvento e seguirono mesi di speranze e rassegnazione.
Morì nella notte del 12 giugno 1879.
Oltre che sui giornali citati, Strocchi aveva pubblicato articoli di soggetto politico e scritti di varia natura sui seguenti periodici: II Progresso di Lucca, Lo Scoglio di Livorno, La cometa rossa di Pisa, Fede e avvenire di Messina.
Fonti e Bibl.: Procedura politica per il moto insurrezionale di Livorno, la banda armata di Maremma, la banda armata di Migliarino presso Pisa, la banda armata di Lucca avocata a sé dalla Sezione d’Accusa della Corte d’Appello di Lucca, Lucca 1870, passim; E. Del Carlo, Vita di T. S., Lucca 1882; E. Socci, T. S., in Umili eroi della patria e dell’umanità. Narrazioni stanche ad uso delle scuole, Milano 1903, pp. 208-213; A. Pellegrini, Per T. S., garibaldino nel 1866, nel ’67 e nel ’70, in Miscellanea storica, II (1907), pp. 7-14; E. Lazzareschi, L’ultimo poeta soldato: T. S., in Il secolo XX, XII (1913), 8, pp. 738-744; La Sementa. Periodico settimanale socialista lucchese, XII (1913), 26 (tutto il numero, uscito in occasione dell’inaugurazione del suo monumento sotto la loggia di Palazzo Pretorio, fu dedicato a Tito Strocchi, con interventi di Enrico Del Carlo, Giulio Tanini, Augusto Mancini, Rosolino Guastalla e altri; il testo era corredato da una fotografia di Strocchi e del monumento, opera dello scultore Francesco Petroni); M. Rosi, L’Italia odierna, II, 2, Torino 1924, pp. 1398, 1637; A. Mancini, Corrispondenze mazziniane, in Rassegna storica del Risorgimento, XII (1925), 2, pp. 1-6; M. Rosi, Dizionario del Risorgimento, IV, Milano 1937, pp. 358-361; A. Mancini, Il garibaldino T. S., in Studi romagnoli, VII (1956), pp. 165-170; G. Macchia, Il carteggio Mazzini-S., in Actum Luce, VII (1978), 1-2, pp. 41-62; Id., T. S. Un garibaldino lucchese, a cura di D. Orlandi, Lucca 1979; G. Tramarollo, Un mazziniano toscano: T. S., in Il Risorgimento, XXXII (1980), 3, pp. 341-347; A. Casali, Uomini e vicende del primo socialismo lucchese (1895-1904), in Quaderni del Circolo Rosselli, II (1982), 6, pp. 49 s.; F. Conti, Massoneria e società in Toscana dopo l’Unità (1860-1890), in Le origini della massoneria in Toscana, a cura di Z. Ciuffoletti, Foggia 1989, pp. 224-226; U. Sereni, Per l’Italia giusta. Uomini, vicende e memoria del Risorgimento nella Valle del Serchio, Lucca 2005, pp. 123-135; A. Volpi, Viareggio laica. La massoneria in provincia (1848-1925), Pisa 2005, pp. 29 s.; L. Luciani, L’Eroe di pietra. La statua di Garibaldi a Lucca, in Camicia rossa, XXVI (2006), 2, pp. 17-19; E. Cecchinato, Camicie rosse. I garibaldini dall’Unità alla Grande Guerra, Roma-Bari 2007, pp. 136 s.; Immagini e cimeli risorgimentali della Biblioteca statale di Lucca. Giuseppe Garibaldi - Antonio Mordini - T. S. (catal.), a cura del Ministero per i Beni e le Attività culturali, Lucca 2007, pp. 31 s.; L. Luciani, Minimo Ottocento. Personaggi e vicende di una difficile identità nazionale..., Lucca 2010; R. Pizzi, Squadre e compassi della lucchesia intorno all’Unità d’Italia, Lucca 2011, pp. 82-86; Id., La stampa lucchese dall’Illuminismo al fascismo. Giornali, fatti e personaggi, Lucca 2013, pp. 160-170; C. Sodini, T. S. e il suo taccuino di memorie del 1866, Pisa 2014; «I Savj del Palazzo Santini». Storia del Consiglio comunale di Lucca (1865-2015), a cura di L. Baldissara - G.L. Fruci, Lucca 2016, pp. 15, 72, 155, 238, 249.