titoli
Tra le caratteristiche principali della lingua dei media si rileva quella del riuso, ovvero della citazione (spesso non esplicita, la cosiddetta criptocitazione: Bazzanella 2004) di frasi, locuzioni, nomi e titoli più o meno celebri attinti ai campi più svariati, dalla letteratura al teatro, dalla canzone al cinema, dal melodramma alla radio e alla televisione.
Soprattutto i titoli dei giornali e la pubblicità sono le sedi privilegiate del riuso più o meno deformato di titoli o parti di titolo (➔ cinema e lingua). Tali titoli, a forza di essere usati, diventano a tutti gli effetti lemmi lessicali (➔ lemma, tipi di), e vengono usati anche senza alcun legame con la loro destinazione originaria.
La lista seguente presenta un campione ridotto delle migliaia di titoli di riuso, prediligendo quelli più stabili. Tra parentesi tonde, dopo il titolo (con iniziale maiuscola solo se riportato integralmente), si cita l’autore (o l’interprete più celebre, nel caso delle canzoni; il regista, nel caso dei film).
Alcune espressioni si sono cristallizzate nella nostra lingua, benché sia venuto meno il collegamento con la realtà che le ha prodotte; proprio per questo, le fonti non sono sempre riconosciute dai parlanti comuni (specialmente se giovani), che riportano tali titoli più a mo’ di proverbio (dunque anonimo; ➔ proverbi) che di citazione vera e propria. Talora il fenomeno è prossimo all’➔antonomasia, con transizione da nome proprio a nome comune (dongiovanni, lolita, traviata). In simili contesti, differentemente dall’uso irriflesso del parlante comune, la criptocitazione ha il sapore dell’ammiccamento, della ricerca di condivisione di orizzonti culturali tra l’autore e il pubblico. Queste forme di riuso rientrano dunque nel più ampio fenomeno dello stile brillante, caratteristico della lingua dei giornali almeno a partire dagli anni Ottanta del Novecento (Dardano 1981: 232-252; ➔ giornali, lingua dei).
Benché il peso specifico dell’opera lirica, nell’odierno sistema culturale, sia più ridotto di un tempo, al melodramma e all’operetta i media continuano ad attingere volentieri (Serianni 1989), più ancora che titoli d’opera, titoli di arie celebri: bollenti spiriti (La traviata, di G. Verdi); “Casta diva” (Norma, di V. Bellini); Cavalleria rusticana (P. Mascagni); “Che gelida manina” (La bohème, di G. Puccini); Così fan tutte (W.A. Mozart); “Di quella pira” (Il trovatore, di Verdi); dongiovanni (Mozart); “La donna è mobile” (Rigoletto, di Verdi); La forza del destino (Verdi); L’amico Fritz (Mascagni); “Nessun dorma” (Turandot, di Puccini); “Parigi, o cara” (La traviata, di Verdi); “Pari siam” e “Questa o quella per me pari sono” (Rigoletto, di Verdi); “Ridi pagliaccio” (I pagliacci, di R. Leoncavallo); traviata (Verdi); “Un bel dì vedremo” (Madama Butterfly, di Puccini); vedova allegra (F. Lehár); “Vissi d’arte, vissi d’amore” (Tosca, di Puccini).
Meno saccheggiato il teatro di parola, dal quale provengono, tra le altre, le seguenti espressioni: bisbetica domata (W. Shakespeare); così è se vi pare (L. Pirandello); il piacere dell’onestà (Pirandello); madre coraggio (B. Brecht); malato immaginario (Molière); burbero benefico (Molière); opera da tre soldi (Brecht).
La maggior parte dei prelievi viene fatta dai titoli cinematografici. Oltre a quelli già citati nella voce ➔ cinema e lingua (e anche in Menarini 1955: 25-94; Raffaelli 1979; Medici & Cappelluzzo Springolo 1991; Rossi 2007: 17-18), si possono aggiungere: A qualcuno piace caldo (B. Wilder); Com’era verde la mia valle (J. Ford); Da qui all’eternità (F. Zinnemann); ET (S. Spielberg); Fuga per la vittoria (J. Huston); Gli uomini preferiscono le bionde (H. Hawks); Guerre stellari (G. Lucas); Il tempo delle mele (C. Pinoteau); Il terrore corre sul filo (A. Litvak); Indovina chi viene a cena (S. Kramer); La classe operaia va in paradiso (E. Petri); La febbre del sabato sera (J. Badham); L’amore è una cosa meravigliosa (H. King); Love story (A. Hiller); L’ultima spiaggia (Kramer); Orizzonti di gloria (S. Kubrick); padrino (F. Ford Coppola); Per un pugno di dollari (S. Leone); Polvere di stelle (A. Sordi), a sua volta da una canzone omonima di Hoagy Carmichael; Poveri, ma belli (D. Risi); Profondo rosso (D. Argento); Siamo uomini o caporali? (C. Mastrocinque, e già prima dal libro di Totò e altri); Signori si nasce (M. Mattoli); Il sorpasso (D. Risi); Sussurri e grida (I. Bergman); Tempi moderni (C. Chaplin); Top gun (T. Scott); Torna a casa, Lassie! (F. Wilcox); Ufficiale e gentiluomo (T. Hackford); Un posto al sole (G. Stevens); Uomini duri (D. Tessari); Voglia di tenerezza (J.L. Brooks); zero zero sette e licenza d’uccidere (dal primo film, di T. Young, della celeberrima serie Agente 007).
Spesso un film propaga un titolo già noto, d’ambito letterario o teatrale, com’è il caso, tra i tanti, della Cena delle beffe (A. Blasetti, dal dramma di S. Benelli) o del Postino suona sempre due volte (T. Garnett e poi B. Rafelson, dal romanzo di J. Cain).
Il cinema e la televisione amano poi ricercare la complicità con il pubblico proprio mediante il riuso di titoli di film precedenti. Ne è esempio recente la serie televisiva Un posto al sole (dal 1996), che riprende il già citato titolo italiano del film di Stevens. È anche il caso di numerosi film che aspirano al successo già mediante l’allusione a un precedente titolo famoso. È il cosiddetto fenomeno dell’«emulazione parassitaria» (Menarini 1955: 38), d’antica origine e in voga, tra l’altro, nei film-parodia con Totò: Fifa e arena (M. Mattoli) richiama Sangue e arena (R. Mamoulian); Totò, Peppino e ... la dolce vita (S. Corbucci) parodizza La dolce vita (F. Fellini); Che fine ha fatto Totò baby (O. Alessi) mette in burla Che fine ha fatto Baby Jane? (R. Aldrich; Rossi 2002: 246-249).
Non mancano esempi d’altro genere, nei quali il riferimento all’originale è meramente pretestuoso (accade, per es., in molti titoli pornografici) e, spesso, presente soltanto nella versione italiana di un titolo straniero: Ombre rosse (Stagecoach, di J. Ford) ha evidentemente influenzato titoli consimili, da Ombre malesi (The Letter, di W. Wyler) a Ombre bianche (The savage innocents, di N. Ray), e probabilmente è stato a sua volta condizionato da Ombre bianche (White shadows in the South seas, di W.S. van Dyke; la riscrittura dei titoli genera spesso doppioni); Giungla di cemento (The criminal, rititolato negli USA The concrete jungle, di J. Losey) richiama alla memoria Giungla d’asfalto (The asphalt jungle, di J. Huston); Non aprite quella porta (The Texas chainsaw massacre, di M. Nispel) ha generato un titolo ammiccante solo nella versione italiana: Non aprite quel cancello (The gate, di T. Takacs); il film Balle spaziali 2 - La vendetta non è affatto il seguito di Balle spaziali (Spaceballs, di M. Brooks), bensì la versione italiana di Martians go home, di D. Odell; Tre amici, un matrimonio e un funerale (The pallbearer, di M. Reeves) sfrutta chiaramente il successo di Quattro matrimoni e un funerale (Four weddings and a funeral, di M. Newell).
Talora ad essere riecheggiato dal titolo posticcio può essere un film italiano: Peccato che sia femmina (Gazon maudit, di J. Balasko), così come Peccato che sia maschio (Echte Kerle, di R. Silber), riecheggiano nella sintassi Peccato che sia una canaglia (di A. Blasetti) e rifanno il verso al famosissimo Speriamo che sia femmina (di M. Monicelli); C’eravamo tanto odiati (The ref, noto anche come Hostile hostages, di T. Demme) parafrasa il celebre film di E. Scola, C’eravamo tanto amati.
Per via dell’inveterata prassi italiana di inventare ex novo (quasi mai tradurre alla lettera) i titoli dei film stranieri, infatti, il titolo riciclato dai nostri media è sempre quello della distribuzione italiana, che perlopiù occulta quello originale. Sono noti i casi di errori più o meno vistosi, come nel film di Truffaut Les 400 coups, tradotto in italiano con l’insensato I quattrocento colpi, laddove l’espressione francese vale più o meno «fare il diavolo a quattro». In Nanny la governante (The nanny, di S. Holt) si fraintende il sostantivo nanny «governante», scambiandolo per un nome proprio (Rossi 2006; Bouchehri 2008; ➔ doppiaggio e lingua)
Tra le canzoni, si ricordano i seguenti titoli: “Bocca di rosa” (F. De André); “Ci vuole un fiore” (S. Endrigo); “Finché la barca va” (O. Berti); “Il cielo in una stanza” (G. Paoli); “Malafemmina” (Totò); “Nel blu dipinto di blu” (anche nota come “Volare”: D. Modugno); “Non sono una signora” (L. Bertè); “Papaveri e papere” (N. Pizzi); “Profumi e balocchi” (C. Villa); “Sapore di sale” (Paoli); “Se mi lasci non vale” (J. Iglesias); “Senza fine” (Paoli); “Stasera mi butto” (R. Roberts); “Tintarella di luna” (Mina); “Tu vuò fa’ l’americano” (R. Carosone); “Vengo anch’io, no tu no” (E. Jannacci); “Vita spericolata” (V. Rossi). Tra le canzoni dello Zecchino d’oro sono tuttora citatissime almeno “Il caffè della Peppina” e “Quarantaquattro gatti”.
Titoli di trasmissioni radiotelevisive: “Blob” (da cui anche il derivato blobbare); “Canzonissima”; “Chi l’ha visto”; “Domenica in”; “Grande fratello” (che ha occultato, presso il grande pubblico, l’originaria fonte orwelliana in 1984); “La piovra”; “Lascia o raddoppia”; “Mai dire gol”; “Mamma mia che impressione!”; “Rischiatutto”; “Senza rete”; “Zecchino d’oro”.
Concludono questa elencazione alcuni titoli di libri, comprensibilmente meno presenti dei media audiovisivi, nell’orizzonte del riuso di massa, e, oltretutto, spesso rivitalizzati (o talora occultati) proprio da un film: A ciascuno il suo (L. Sciascia e anche film di E. Petri); Cent’anni di solitudine (G. García Márquez); Cristo si è fermato ad Eboli (C. Levi e anche film di F. Rosi); Cronaca di una morte annunciata (García Márquez e anche film di Rosi); Delitto e castigo (F.M. Dostoevskij); Guerra e pace (L.N. Tolstoj); I promessi sposi (A. Manzoni); Lolita (V. Nabokov e anche film di S. Kubrick); Padre padrone (G. Ledda e anche film di P. e V. Taviani); Se questo è un uomo (P. Levi); Uno nessuno e centomila (L. Pirandello); Cadaveri eccellenti (S. Sciascia).
Accanto ai titoli, andrebbero menzionati anche i prelievi di frammenti di opere letterarie (➔ dantismi; ➔ manzonismi), che riguardano una varietà di autori. Basti citare il famosissimo ei fu (dal “Cinque Maggio” di ➔ Alessandro Manzoni) e t’amo pio bove, che riprende un celebre incipit di ➔ Giosuè Carducci.
Bazzanella, Carla (2004), ‘Ripetizione polifonica’ nei titoli dei giornali, in Generi, architetture e forme testuali. Atti del VII congresso della Società Internazionale di Linguistica e Filologia Italiana (Roma, 1-5 ottobre 2002), a cura di P. D’Achille, Firenze, Cesati, 2 voll., vol. 1°, pp. 241-256.
Bouchehri, Regina (2008), Filmtitel im interkulturellen Transfer, Berlin, Frank & Timme.
Dardano, Maurizio (1981), Il linguaggio dei giornali italiani. Con un saggio su «Le radici degli anni Ottanta», Roma - Bari, Laterza.
Medici, Mario & Cappelluzzo Springolo, Sonia (1991), Il titolo del film nella lingua comune, Roma, Bulzoni.
Menarini, Alberto (1955), Il cinema nella lingua, la lingua nel cinema. Saggi di filmologia linguistica, Milano - Roma, Bocca.
Raffaelli, Sergio (1979) Il titolo e il film: note per uno studio sulla retorica nei titoli cinematografici, in Retorica e poetica, a cura di D. Goldin, Padova, Liviana, pp. 471-480.
Rossi, Fabio (2002), La lingua in gioco. Da Totò a lezione di retorica, Roma, Bulzoni.
Rossi, Fabio (2006), La traduzione dei titoli dei film: adattamento o riscrittura?, «Lingua italiana d’oggi», 3, pp. 271-305.
Rossi, Fabio (2007), Lingua italiana e cinema, Roma, Carocci.
Serianni, Luca (1989), Dalla lingua del melodramma alla lingua corrente, in Id., Saggi di storia linguistica italiana, Napoli, Morano, pp. 369-379.