Vedi TIVOLI dell'anno: 1966 - 1973 - 1997
TIVOLI (Tibur)
Cittadina che sorge a N-E di Roma, al km 32 della S.S. n. 5 (Tiburtina-Valeria), presso il Salto dell'Aniene. La città antica occupava parte del sito dell'odierna, laddove la valle dell'Aniene si stringe in gole profonde fra i colli Catillo e Ripoli; essa si sviluppava a varî livelli sui pendii delle due colline e su un piano fra esse affacciato, a circa m 250 sul livello del mare, sulla vasta campagna romana.
1. - Il nome attuale discende da quello antico di Tibur, sulla cui origine è ancora viva la controversia, non essendo da tutti accettato il collegamento con la voce latina teba, teiba = collina (cfr. Varro, De Re Rustica, iii, i, 6), attraverso le voci Tifernus, Tiberis, ecc. Una ipotesi del Weinstock (in Pauly-Wissowa, S. v. Tibur), ricollega questi nomi ai Liburni, e quindi all'ambiente illirico.
Non mancano notizie circa un'origine leggendaria della città. Solino (Polihist., ii, 7), parla di una fondazione da parte di genti àrcadi guidate da Catillo ed Evandro, sfuggiti alle stragi delle lotte fra Eteocle e Polinice. Antioco siracusano (apud Dionysium, i, 73; viii, 638), riferisce la fondazione di T. ai Siculi e tale opinione non appare del tutto inverosimile, posto che studî recenti hanno postulato una unità latino-sicula. Diodoro Siculo (vii, 5, 9), ritiene la Città fondata dal re latino Silvio (come colonia di Alba Longa?). Presso Virgilio (Aen., vii, 630), la città è annoverata fra quelle alleate con Turno contro Enea. Un'origine etrusca è postulata dallo Schulze (Eigennamen, 551), sulla base del riconoscimento di numerosi nomi e toponimi etruschi.
La prima notizia storica di qualche valore si deve a Catone (apud Priscianum, iv, 129); che ricorda una lega che sarebbe stata costituita- tra la fine del VI e gli inizî del V sec. a. C. - fra nove populi dell'area laziale: Tusculanus, Aricianus, Lanuvinus, Laurens, Coranus, Tiburtis, Pometinus, Ardeatis, Rutulus; l'interpretazione del passo è, tuttavia, ancora oggetto di controversia.
Entrata nell'orbita romana con la firma del Foedus Cassianum (493 a. C.), T. mantenne un certa autonomia per tutto il V sec. a. C., come confermerebbe la notizia di una sua vittoria sui Volsci (Serv., ad Aeneid., viii, 285). Nel 387 a. C., con l'invasione gallica, la lega venne infranta e T. fu tra le prime città che denunziarono il trattato con Roma. Nel 362-1 a. C., i Romani condussero contro i Tiburtini una campagna militare in due tempi giungendo a sottometterli. Due nuove battaglie, tuttavia, furono necessarie ai Romani- che dovettero prima occupare Empulum e Sasula- per costringere la città ad aderire ad una nuova lega latina nel 354 a. C. Nel 339-8 a. C. Pedum dette l'avvio- con Praeneste, Velitrae e T. - ad una nuova ribellione della lega latina contro Roma. Anche questa volta la vittoria fu dei Romani; ma costoro, essendosi resi conto dell'insicurezza dei trattati collettivi, preferirono ora stipularne di singoli. Praeneste e T. ottennero in questa occasione il riconoscimento di civitates foederatae, con l'unico impegno di inviare nell'esercito romano dei contingenti di socii (Liv., vii, 9-21). Al tempo delle guerre sociali T. fu eretta a Municipium ed ebbe la cittadinanza romana, venendo ascritta alla tribù Camilia. All'atto della divisione augustea, fu inclusa nella Regio IV (Sabina et Samnium). Da questo momento T. vive nell'orbita romana e diviene località di villeggiatura fra le più ricercate: Mecenate, Orazio, Cassio, Bruto, Quintilio Varo, Manlio Vopisco, vi costruiscono ville e vi soggiornano Catullo, Sallustio, Properzio, lo stesso Augusto, Stazio. Ai piedi della città, l'imperatore Adriano costruì la sua residenza (v. adriana, villa). L'antichissimo santuario di Ercole e l'Oracolo della Sibilla sulla collina, insieme alle terme di acque sulfuree nella pianura sottostante, costituirono in ogni tempo elemento di richiamo per i cittadini dell'Urbe.
2. - Testimonianze di età preistorica provengono da varie località del territorio: presso il Ponte Lucano, nella Grotta Polesini, sono stati rinvenuti resti del Paleolitico Superiore; una necropoli ad inumazione della facies laziale della prima Età del Ferro è stata messa in luce in località Acquoria; altra necropoli della stessa età, con seppellimenti entro circoli di pietre, è stata scavata in località S. Anna; resti di età orientalizzante provengono da una tomba presso le Cascate; dalla località Acquoria provengono anche una base in tufo litoide con iscrizione del VI-IV sec. a. C. ed una stipe votiva con oggetti databili fra il V ed il II sec. a. C.; una necropoli del V-IV sec. a. C. è stata messa in luce nell'area della Cartiera Amicucci; sarcofagi del III e del II sec. a. C. sono stati rinvenuti casualmente in varî punti della città.
Difficile è ricostruire la pianta dell'antica città sulla base dei monumenti attualmente conservati, ed ancora più difficile seguire lo sviluppo cronologico di essa. La ristrettezza dello spazio disponibile ha fatto sì che nello stesso sito più e più volte si ricostruisse, così da cancellare facilmente le tracce di edifici più antichi.
Disponiamo di sufficienti elementi per ricostruire in linea di massima, nel suo percorso, il perimetro della cinta urbana; particolarmente sono state riconosciute o localizzate alcune porte: a N-O, presso la Via del Colle, Porta Romana; a S, presso la Via della Missione, Porta Aventia; a S-E, non lungi dalla Piazza del Governo, Porta Varana; ancor più a E, presso la Via dei Sosii, Porta Maggiore; a N-E, presso la Piazza Rivarola, Porta Cornuta. Resti delle mura sono stati identificati negli orti Parmeggiani, in Piazza Tani, in Via di Vesta, in località Caropone, in Piazza Rivarola, nella Chiesa del S. Salvatore, nel Palazzo del Comune, in Via della Missione, in Via Campitelli, in Via Taddei, in Via di Postera, in Via del Colle. Una seconda cinta di mura- certamente collegata con quella urbana- racchiudeva il Castro Vetere, l'antica acropoli: tracce di mura sono state rinvenute in varî punti della Via della Sibilla e nel Convento della Chiesa di S. Giorgio. Il Foro della città antica è stato riconosciuto nel quadrilatero costituito approssimativamente dalle vie: del Colle, del Tempio d'Ercole, della Scalinata, Mauro Macera. La basilica forense occupava quasi certamente il lato breve orientale della piazza, nel sito stesso dell'attuale Duomo che conserva nelle sue fondamenta un lungo tratto di muro in opus incertum quasi reticulatum costituente il lato meridionale delle fondazioni della chiesa; dietro l'abside del Duomo, inoltre, si conserva una parete ad andamento curvo della stessa tecnica struttiva, con una nicchia rettangolare con stipiti in travertino e sorretta da pilastri a capitello dorico di stucco. L'esistenza, peraltro, di una basilica a T. è confermata dal rinvenimento di un'iscrizione (C.I.L., xiv, 3671), che la menziona come donata alla città da un tale Orbius. Assai ben conservato- sul lato meridionale del supposto Foro- un edificio rettangolare con copertura a vòlta costruito in parte in opus reticulatum: il Ponderarium della città, edificio destinato a pubblica Pesa e ad ufficio di Annona, che conservava in deposito i campioni dei pesi ufficialmente riconosciuti nelle transazioni commerciali cittadine. L'identificazione dell'edificio è assicurata per la presenza di due mense ponderarie, una delle quali decorata con un tirso ed una clava a rilievo. Adiacente si trova un'aula absidata, anch'essa coperta a vòlta, con pavimento di lastre rettangolari di marmo bianco; si è ritenuto trattarsi di un Augusteum, per la presenza di una statua acefala di imperatore dedicata da M. Varena Difilo (personaggio vissuto, come sembra, in età augustea), pro salute et reditu Caesaris. Nella stessa aula è stata rinvenuta una testa dell'imperatore Nerva, ora al Museo Nazionale Romano, inv. 106538.
All'estremità N della città, sotto la Piazza Tani, si conserva, per buona parte incorporata in edifici moderni, una costruzione monumentale consistente di due gallerie affiancate e separate da pilastri aventi una cadenza di m 1,50; dette gallerie hanno una lunghezza di m 65 ed una larghezza di m 3 ciascuna; sono costruite secondo la tecnica dell'opus incertum di età sillana e sembrano collegarsi con altri muri analoghi nell'altro lato della piazza delimitanti un piano inclinato (una rampa o scala di accesso ad un porticato). Funzione più decisamente di sostegno per terrazzamenti- analogamente a quella della serie di arcate che sorreggono parte della piazza del Foro a Terracina- dovevano ricoprire alcuni criptoportici a vòlta in opus reticulatum messi in luce nel Vicolo del Tempio di Ercole, nel Vicolo della Scalinata e nel Palazzo dei Conti Coccanari-Fornari; è probabile che facessero da sostegno ad edifici di notevole mole adiacenti al Foro.
All'estremità E dell'acropoli (Castro Vetere), su uno sperone affacciato sulla valle dell'Aniene, si conservano due templi di non grandi proporzioni: il Tempio cosiddetto della Sibilla, rettangolare, tetrastilo, pseudo-periptero ed in antis; il Tempio cosiddetto di Vesta (o di Ercole Saxano), circolare con colonnato corinzio di diciotto elementi. Entrambe le costruzioni sembrano potersi datare nella prima metà del I sec. a. C. Esse, e particolarmente il tempio circolare, sono divenuti elementi tipici delle vedute di paesaggio romantico con architetture classiche diffuse nell'arte europea a partire dal sec. XVII.
3. - Fuori della cinta urbana, in località Grotta Oscura, al di là della Porta del Colle, a cavallo della Via TiburtinaValeria, si hanno i resti dell'imponente complesso noto come Santuario (o Tempio) di Ercole, una volta conosciuto come Villa di Mecenate. Esso era costituito da un grande rettangolo chiuso da porticati sui lati N, E, S, ed aperto ad O con la scena del teatro che faceva da sfondo al tempio sorgente in asse con il tradizionale orientamento E-O. Anche qui, come a Terracina, per allargare la stretta piattaforma del vertice della collina, si costruirono possenti sistemi di arcate, su podio in muratura piena, di opus incertum, che facevano da base al porticato. Soprattutto sul lato N, dove la collina strapiombava, queste sostruzioni sono particolarmente complesse, con sistemi di arconi ciechi, ad uno o due piani, e con finestroni. La costruzione va alleggerendosi man mano che si sale verso l'alto ed i robusti pilastri rafforzati da contrafforti nella parte mediana, si trasformano in semicolonne semplicissime di opus incertum, con capitello ridotto all'abaco. Del grande porticato che si appoggiava alle sostruzioni non si conserva che un buon tratto sul lato N, incorporato nella cartiera che oggi occupa parte dell'area del santuario. Esso consiste di archi in conci di pietra inquadrati in un sistema architravato con pilastri ornati di semicolonne in opus incertum con capitello monolitico tuscanico, epistilio in conci di pietra e fregio ancora in opus incertum. Tracce della grande esedra del teatro e della porticus post scaenam ad archi ciechi che chiudeva il lato O, sono ancora in qualche modo riconoscibili. La parte N dell'area del santuario è attraversata in senso E-O, dalla Via Tiburtina, che in questo tratto venne coperta con una galleria, illuminata per mezzo di grandi finestre rettangolari aperte sulla vòlta ad intervalli regolari. Non si conservano più tracce della cella vera e propria del tempio; abbiamo, tuttavia, la pianta dell'architetto francese Terry che eseguì gli scavi. Il tempio sembra constasse di una sola cella con tripartizione interna; al centro della parete di fondo si sarebbe avuta una nicchia posta fra due camerette, una delle quali dava accesso ad un sotterraneo mentre l'altra sarebbe stata una culina (di cui è menzione in una iscrizione); all'interno della cella si sarebbe trovato una sorta di tribunal. Numerose iscrizioni rinvenute nell'area del Santuario confermano la dedica del complesso ad Ercole Vincitore e ricordano alcuni rifacimenti. Una epigrafe, di età flavia, dà notizia della ricostruzione del tempio ad opera di S. Sulpicius Trophimus (aedem, zothecam, culinam pecunia sua a solo restituit / idemque dedicavit) e reca la dedica ad Ercole.
Tracce della occupazione del sito del santuario in età antichissima sono state trovate con la messa in luce di una tomba ad inumazione della facies laziale della seconda Età del Ferro; una stipe votiva del IV-III sec. a. C. conferma, inoltre, la destinazione cultuale del sito a partire almeno da questa epoca. La datazione del complesso sembra potersi ascrivere alla metà del I sec. a. C., con una ricostruzione, almeno parziale, in età flavia, come attesta l'iscrizione rinvenuta nella cella del santuario, sopra menzionata.
Il santuario di Ercole appare strettamente collegato, per la concezione architettonica e per la tecnica struttiva con i coevi santuarî laziali di Giove Anxur a Terracina, della Fortuna Primigenia a Palestrina, di Ercole a Cori, di Giunone a Gabi ed inoltre con gli edifici dell'acropoli di Ferentino e con il Tabularium del Foro a Roma. Tutti questi edifici sono comunemente datati all'età sillana, intesa convenzionalmente per definire quel periodo di vivace attività edilizia che contraddistinse l'area laziale intorno alla metà del I sec. a. C. (Per altre opinioni v. palestrina e romana, arte).
Non lungi dal santuario di Ercole, sulla Via Tiburtina antica, sorgono i ruderi, assai ben conservati, nel complesso, di un edificio circolare (diametro m 12,33) iscritto in un ottagono, con un ampio finestrone ad arco al centro di ogni faccia dell'ottagono, cornice e copertura a calotta. Il basamento è composto di tre strati di mattoni riusati, ed il corpo della costruzione di strati alternati di mattoni e pietre; presso l'edificio ci sono tracce di una precedente costruzione in opus reticulatum, che sembra il muro di recinzione di un tèmenos. Questo tempio è popolarmente detto Tempio della Tosse (sono state proposte varie identificazioni: Tempio di Venere e Cerere, del Sole, di Beleno, ecc.). e può forse intendersi come corruzione del nome della gens Tuscia (nota da iscrizioni a Roma ed a T. stessa), alla quale l'edificio potrebbe in qualche modo esser stato collegato, o come corruzione del nome di L. Turcius Secundus Asterius Aproniani f., vissuto al tempo di Costantino, del quale un'iscrizione trovata presso l'edificio dice che "rese più agevole l'erta del colle tiburtino". Quanto alla destinazione della costruzione, sembra doversi scartare l'ipotesi che si tratti di un tempio; non molto più probabile quell che essa sia un sepolcro; più verosimile, invece, l'ipotesi che possa trattarsi di un ninfeo (v. ninfei e fontane).
Non lungi da questo edificio, i ruderi del cosiddetto Tempio del Mondo, con cunicoli lunghi circa 35 m ed alti più di 10 m. All'estremità S-E della città, presso la chiesa di S. Andrea, sono stati messi in luce dei ruderi, da taluno considerati relativi al Tempio di Diana Trivia; lì presso, i resti più cospicui di un edificio termale, del quale si conservano tratti di muri che attestano adattamenti e ricostruzioni successive, con murature che vanno dall'opus reticulatum di età repubblicana all'opus latericium di epoca adrianea.
In questi ultimi anni, nel cuore stesso della città, presso la Rocca Pia, scavi regolari stanno mettendo in luce larghi tratti dell'anfiteatro, di cui si aveva già notizia. L'edificio orientato in senso NE-SO ha asse maggiore di m 90, mentre l'asse minore misura m 50. Il tipo di muratura indurrebbe a datare l'edificio, almeno nella fase conservata, all'età adrianea.
Al limite E della città, oltre il ponte Gregoriano, e quasi nel greto del fiume, si trova in situ l'ara della vestale Cossinia; essa è ben conservata, sorge su un podio di cinque gradini ed ha forma assai elegante; la datazione del monumento va posta fra la fine del Il e gli inizî del III sec. d. C. Presso l'ara si è rinvenuta la tomba della vestale, che conteneva come unico corredo una graziosa bambola di avorio con le membra articolate (ora al Museo Nazionale Romano). Sul Monte S. Angelo, non lungi dalla città, sotto la chiesa di S. Angelo in Valle Arcese, sono stati individuati i ruderi di una costruzione ritenuta il Tempio della Bona Dea; tale edificio pare sia stato distrutto già in epoca domizianea. Ai piedi di T., presso la Via Tiburtina, al km 26 di essa, si conservano due arcate di un ponte romano- originariamente, forse, a cinque luci- noto oggi col nome di Ponte Lucano; esso è costruito in blocchi squadrati di tufo ricoperti da lastre di travertino. Lì vicino una tomba circolare appartenente alla gens Plautia è costruita con paramento esterno in blocchi di travertino di ottima fattura.
4. - Le fonti ci danno notizia di numerose ville costruite nel territorio tiburtino da personaggi romani e locali. Fra le molte di cui non è stato possibile identificare il sito ricordiamo: Villa di Mario, Villa di Cesare, Villa di Cinzia (l'amica di Properzio), Villa di Q. C. Metello Scipione, Villa di Lepido, Villa di Cesonio Longino, Villa di Valerio Massimo (colui che proseguì oltre T. la Via Tiburtina che, in questo secondo tratto, ebbe appunto il suo nome), Villa della gens Vibia. Di altre si è creduto di identificare il sito: Villa di Orazio (presso la Chiesa di S. Antonio da Padova), Villa dei Munazi (in località Madonna delle Quattro Facce), Villa di Ovinio Paterno (in una contrada detta ancor oggi Paterno), Villa di P. Taplio Capitone (presso la Chiesa di S. Marco), Villa di P. Scipione Nasica Serapione (presso la Chiesa di S. Pietro), Villa di M. Vopisco (sopra la Villa Gregoriana, di fronte ai templi cosiddetti di Vesta e della Sibilla). Altre ville ancora sono state esplorate ed hanno restituito grande massa di materiali: Villa di Quintilio Varo (a N-O della città, presso la Chiesa di S. Maria in località Quintiliolo; essa era costruita su tre ripiani, dei quali l'inferiore comprendeva una piscina e l'intermedio un criptoportico; la costruzione è in opus incertum databile fra la fine della Repubblica e gli inizî dell'Impero); Villa di Cassio (i suoi resti monumentali, anche essi su tre piani, sono stati messi in luce in località Carciano- nome che è, forse, corruzione da Cassio- ed hanno restituito numerosi monumenti); Villa detta di Bruto (il nome non ha giustificazione; esso si deve alla tradizione antiquaria per la vicinanza dei resti a quelli della villa di Cassio; anche la struttura dell'edificio e le sue murature appaiono analoghe a quelle della villa citata); Villa dei Pisoni (in località detta ancor oggi Pisoni; essa ha restituito, fra i numerosi monumenti, una testa di Platone, l'Alessandro del Vaticano e sedici ritratti di filosofi e poeti, ora a Madrid).
Sulla riva dell'Aniene, di fronte alla città, è stata individuata una vasta necropoli circondata da un muro in opus reticulatum con due porte: una verso la Via Valeria, l'altra dalla parte del fiume; essa, come testimoniano le iscrizioni funerarie, fu usata per lungo tempo.
Quattro acquedotti servivano la città, che era ricchissima di acque: Aqua Marcia, Anio Vetus, Anio Novus, Aqua Claudia.
Bibl.: C. Carducci, Tibur (Tivoli), in Italia Romana, Municipi e Colonie, s. I, III, Roma 1940 [contiene una bibliografia dettagliata ed aggiornata fino all'anno di edizione]; G. De Angelis D'Ossat, Primitiva testa di ponte sotto Tivoli, in L'Urbe, XI, 1948, p. 3 ss.; B. M. Felletti Maj, Tivoli, Gruppo di Satiro ed Ermafrodita, in Not. Scavi, S. 8°, I, 1947 (1949), p. 75 ss.; D. Faccenna, Tivoli (Via del Collegio), resti di costruzione e tratto di strada romana, in Not. Scavi, S. 8°, II, 1948 (1950), p. 283 ss.; id., Tivoli, prima notizia intorno al rinvenimento dell'anfiteatro romano, ibid., 1948 (1950), p. 278 ss.; C. Pietrangeli, La villa tiburtina detta di Cassio, in Rend. Pont. Acc., XXV-XXVI, i, 1949-50, 1950-51, p. 157 ss.; D. Faccenna, Tivoli, iscrizioni sulla roccia dell'Arce, in Not. Scavi, S. 8°, IV, 1950 (1951), p. 66 ss.; Inscriptiones Italiae, IV, Regio IV, Fasc. I, Tibur (IV. Mancini), Roma 19532; D. Faccenna, Tivoli (Vicolo dei Granai), muro in opera quadrata e tratto di basolato stradale, in Not. Scavi, S. 8°, V, 1951, p. 79 ss.; id., Tivoli (Vicolo Prassede), costruzione romana con pavimento a mosaico, ibid., V, 1951, p. 77 ss.; G. Coccanari, Itinerario storico-archeologico di Tivoli, Tivoli 1951; D. Faccenna, in Fasti Arch., VIII, 1953, nn. 2260; 3493; 3726; 3727; A. R. Radmilli, Esplorazioni paletnologiche nel territorio di Tivoli; in Atti e Mem. della Soc. Tiburtina di Storia e Arte, XXVI, 1953, p. 157 ss.; Fasti Arch., IX, 1954, nn. 3033; 4735; 5027; D. Faccenna, Rinvenimento di una necropoli dell'età del ferro in Tivoli, in Bull. Paletn. Ital., N. S., IX, 1954-55, p. 413 ss.; G. Beltrame-T. Serpilli, Tivoli, illustrazione antropologica di reperti ossei della necropoli di Tivoli (Cartiera Amicucci) del V-IV sec. a. C., in Not. Scavi, XI, 1957, p. 154 ss.; D. Faccenna, Tivoli, sarcofago di tufo, ibid., XI, 1957, p. 133 ss.; id., Necropoli del V-IV sec. a. C. rinvenuta durante i lavori di ampliamento della Cartiera Amicucci in Tivoli, ibid., 1957, p. 123 ss.; id., Tivoli, strada romana e resti di costruzioni romane, ibid., 1957, p. 135 ss.; id., Tivoli resti di pavimento signino, ibid., 1957, p. 142 ss.; id., Tivoli, cippi della Marcia e dell'Anio Vetus, ibid., 1957, p. 138 ss.; id., Tivoli, rinvenimento di sculture e di strada romana, ibid., 1957, p. 153 ss.; id., Tivoli, resti di costruzioni romane, ibid., 1957, pp. 133 ss. e 137 ss.; id., Tivoli (Via del Governo), muro in opera mixta, base onoraria di M. Ulpia Sossia Calligone e tomba con tegole alla cappuccina, ibid., 1957, p. 139 ss.; id., Tivoli, rinvenimento di un sarcofago in tufo, ibid., 1957, p. 143 ss.; id., Tivoli, resti della parte rustica di una villa, ibid., 1957, p. 148 ss.; G. Zorzi, La Villa di Mecenate ed il Tempio di Ercole nei disegni di A. Palladio, in Palladio, N. S., VII, 4, 1957, p. 149 ss.; G. Pedrocchi, Tivoli e la società di Augusto, Roma 1958; C. Giuliani, Tibur, Roma 1966.