TIZIO (Τιτυός, Tityus)
Gigante dell'isola Eubea, non ignoto a Omero che lo dice padre di Europa (Odyss., VII, 324); compare anche nel famoso passo della Nekyia omerica (Odyss., XI, 576) come uno degli eterni condannati, insieme con Sisifo e Tantalo. La sua pena è di giacere immobile a terra assalito da due avvoltoi che gli rodono il fegato, e così paga la sua tracotanza di aver tentato Latona. Variamente veniva motivata la sua fine violenta, o per le frecce di Artemide, o di Artemide e di Apollo, figlio della dea offesa, oppure per il fulmine di Zeus detto anche suo padre insieme con Elaza; come tutti i giganti, egli è detto anche figlio di Gea, cioè la Terra. I poeti latini parlano del suo sepolcro enorme a Panopeo.
T. aveva culto eroico in Eubea. Questo, la sua tomba in Panopeo, l'importanza dei suoi miti in Beozia fanno ritenere che si trattasse di una divinità antichissima del mondo sotterraneo, venerata in origine nelle regioni sulle due sponde dell'Euripo senza differenza di stirpi. Che divinità siffatte, le quali spesso si immaginavano gigantesche e mostruose, obliterandosi il loro culto, si considerassero come dannati rinchiusi nell'Averno dalla vendetta divina, è facile spiegare. I miti che le rappresentano soggiacenti alle divinità armate di frecce ricordano la lotta fra le tenebre e i raggi solari; e la violenza tentata contro qualche dea, quale che ne sia il sostrato mitico, è caratteristica delle saghe intorno a tali divinità.
L'elemento meno facile da spiegare nel mito di T. è quello dei due avvoltoi che divorano il fegato, elemento che torna con qualche variante nel mito di Prometeo.
Bibl.: O. Gruppe, Griechische Mythologie und Religionsgeschichte, II, Monaco 1906, p. 1017 segg. e passim; Waser, in Roscher, Mythol. Lexicon, V, colonna 1033 segg.