CORONA, Tobia
Nacque a Monza nel 1566 da Giovan Battista Vilanterio detto Corona. Prese i voti, rinunziando al nome battesimale di Francesco, l'8 ott. 1583 presso i chierici regolari di S. Paolo, nel cui collegio di S. Barnaba a Milano compiva i suoi studi. Sempre a S. Barnaba fu ammesso nel settembre 1592 agli ordini sacri e al sacerdozio. Quindi per sette anni fu lettore prima di filosofia poi di sacra teologia a Pavia. Nel 1599 Alfonso Paleotti, arcivescovo di Bologna, chiese a Milano l'invio nella sua città di alcuni padri barnabiti per l'apertura di un collegio dell'Ordine, offrendo loro la carica di penitenzieri della cattedrale e l'ufficio di esaminatori sinodali e revisori delle opere a stampa. Il C. venne quindi inviato a Bologna insieme con il padre Daniello Aristoldi, aprendo il collegio di S. Andrea de' Piatesi. E durante il soggiorno a Bologna entrò in stretto contatto con il cardinal legato Benedetto Giustiniani, del quale divenne confessore e consigliere. Sicché quando questi lasciò Bologna per tornare a Roma il C. lo seguì, come suo confessore, e restò con lui per vari anni, aiutandolo sia nello svolgimento delle sue funzioni alla Curia romana sia in quelle pastorali di vescovo di Preneste, diocesi che il C. visitò con il Giustiniani nel 1614. Durante il suo soggiorno romano fu nominato dall'Ordine preposito del collegio di S. Paolo in piazza Colonna, dove risiedeva. Quindi venne eletto dal capitolo generale procuratore generale dell'Ordine presso la Curia romana e ottenne da Paolo V, con la bolla 15 febbr. 1615 Cum alios, la conferma dei privilegi dell'Ordine.
Durante l'esercizio del suo ufficio, essendo di diritto membro della Curia romana, seppe coltivarsi l'animo di vari membri del Sacro Collegio e dei capi delle più importanti congregazioni romane, dal suo protettore card. Giustiniani, al Boncompagni, al Ludovisi, poi Gregorio XV. Tanto che quando venne nominato nel 1620 dai padri della provincia lombarda, cui ancora apparteneva, superiore del collegio di Casale, per le istanze della Curia romana il trasferimento venne annullato e il C. restò a Roma, riprendendo il suo ufficio di procuratore generale.
L'avvento del card. Ludovisi al soglio pontificio il 9 febbr. 1621 fu l'evento che più contribuì alle fortune del Corona. Pochi mesi dopo infatti, nel luglio dello stesso anno, il C. venne incaricato di una segreta missione diplomatica alla corte di Francia. Scopo del pontefice, come appare dalle istruzioni consegnate al C. il 3 luglio 1621, conservate in numerose copie, era quello di sollecitare l'autorizzazione ad un nuovo tentativo da parte del duca Carlo Emanuele I di Savoia di riprendere con le armi la città di Ginevra.
Come nota finemente il Pastor, la scelta del C. fu dettata non tanto da sue particolari capacità quanto dalla sua estraneità alla diplomazia pontificia, così da permettere l'assoluta segretezza della missione. Nelle istruzioni del 18 luglio il nuovo segretario di Stato card. Ludovico Ludovisi faceva rilevare come la situazione internazionale fosse particolarmente favorevole all'impresa contro Ginevra, essendo gli ugonotti impegnati in Francia, i Grigioni e gli Svizzeri distratti dalle complicazioni valtellinesi. Compito del C. era quindi quello di ottenere non già un impegno francese per aiutare il duca di Savoia, quanto il semplice assenso all'impresa in cambio del quale il papa era disposto a cedere Avignone. Tali istruzioni denotano lo scarso realismo politico del nuovo segretario di Stato. Anche il semplice assenso al nuovo tentativo del duca di Savoia avrebbe comportato per la Francia, sul piano interno, nuove e più gravi complicazioni politiche con gli ugonotti, e all'estero l'ancor più grave rottura del tradizionale buon vicinato con i Cantoni protestanti. Sicché ben si spiega la ferma negazione del duca di Luynes e dei ministri francesi, contro la quale né l'opera del C. né quella dello Arnoux, confessore reale, o del nunzio mons. Ottavio Corsini, ebbero ragione, nonostante Luigi XIII si mostrasse neutrale. Neanche i due brevi pontifici del 28 e 30 agosto dello stesso anno raggiunsero alcun risultato. Allo stesso ambasciatore di Savoia a Parigi venne fermamente consigliato di non tentare l'impresa, mentre al C. si faceva più diplomaticamente notare che forse ancora non ne era giunto il momento. La politica del rinvio infatti nei confronti dell'inviato papale fu quella seguita dalla corte di Francia, forse per non irritare il nuovo pontefice. Ancora il 21 ott. 1621 vi fu un ultimo inutile appello, quindi l'idea, ormai già considerata fallita a Torino, venne lasciata cadere anche a Roma.
Nonostante il fallimento del suo scopo principale il C. continuò a restare alla corte di Francia, dove riuscì a cogliere un vero e proprio successo a favore del suo Ordine. Infatti il 6 marzo 1622 ottenne dal re ampie facoltà ai barnabiti di aprire e stabilire in qualsiasi città del regno collegi dell'Ordine, salva l'approvazione dei vescovi ordinari. E ben presto egli stesso, con altri padri di S. Carlo, fondò il collegio di S. Eligio in Parigi. Fino al giugno del 1623 il C. restò presso la corte francese, riprendendo ancora una volta le trattative per l'impresa di Ginevra, favorite dalla morte, alla fine del 1621, del duca di Luynes. Ma ormai lo stesso Carlo Emanuele I non credeva più nell'impresa, tanto più che ogni possibilità di sorpresa era sfumata da tempo. Sicché il C. lasciò la Francia e, dopo essersi fermato breve tempo a Torino, rientrò a Roma nel 1623 durante il conclave che vide eletto Urbano VIII.
Eletto dal capitolo generale del suo Ordine a capo della provincia romana, il 22 genn. 1624 venne nominato dal nuovo pontefice, in riconoscimento della missione svolta a Parigi, consiliarius ac teologus del rinnovato Ordine militare della milizia cristiana. In tali anni il C., appassionato erudito, indicato dagli agiografi del suo Ordine come dottissimo in filosofia, teologia, giurisprudenza e liturgia, mentre in realtà fu semplice lettore in teologia e filosofia in alcuni collegi dell'Ordine, poté dedicarsi ai suoi studi di storia della liturgia. E nel 1625 uscì in Roma, "appresso Andrea Fei" la sua opera dal titolo I sacri templi dove si rappresenta quanto appartiene al loro culto, venerazione, immunità..., utilizzata più tardi da vari autori, tra i quali lo stesso Muratori.
Il card. Francesco Boncompagni, appena nominato arcivescovo di Napoli (1626), chiamò il C. nella sua diocesi affinché si adoperasse anche a Napoli, come già aveva operato a Bologna, e offrendo all'Ordine l'ufficio di penitenziere della cattedrale. Ma il C., appena giunto a Napoli, si ammalò gravemente e lì morì nel collegio di S. Maria a Porta Nuova il 4 dic. 1626.
Fonti e Bibl.: Bibl. Ap. Vaticana, Vat. lat. 7852, ff. 563-586; Vat. lat. 13.420, ff. 113-142: Instruttione ... per andare in servitio di N. S. al re di Francia et al duca di Savoia (18 luglio 1621; numerose copie nelle biblioteche di Firenze, Bologna, Parigi); Ibid., Barb. lat. 7979, trentaquattro lettere al card. Ludovisi, segretario di Stato, dal 23 maggio 1621 al 15 maggio 1623 da Torino e Parigi. Nell'Archivio di Stato di Torino numerose lettere del C. al duca di Savoia: Arch. di corte, Ginevra. cat. I, m. XIX, con lettere dicembre 1621 fino al febbraio 1624; inoltre Negoziazioni Francia, mm. LIV-LV, Negoziazioni Svizzeri, III, 33; Negoziazioni Roma, cat. I, m. IV per le trattative dell'impresa di Ginevra. Arch. Segr. Vaticano, Segr. di Stato, Nunziatura di Francia, 58-61, lettere di mons. Ottavio Corsini nunzio a Parigi sul C. e le sue trattative per Ginevra. G. P. De Crescenzi, Presidio romano, Piacenza 1648, II, p. 37; F. L. Barelli, Memorie... dei chierici regolari di S. Paolo, II, Bologna 1797, pp. 158, 514, 642; G. Fontanini, Dissertatio de corona ferrea Longobardorum, Romae 1717, pp. 89-103; Ph. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediol., Mediolani 1745, I, 2 col. 478; II, 1, col. 1295; A. M. Ungarelli, Bibliotheca scriptorum e Congregatione cler. reg. S. Pauli, I, Romae 1836, pp. 188 s.; E. Ricotti, Storia della monarchia piemontese, IV, Firenze 1865, pp. 168 ss.; D. Carutti, Storia della diplom. della corte di Savoia, II, Torino-Firenze-Roma, p. 234; G. Colombo, I padri Isidoro Pentorio e T. C. barnabiti e Carlo Emanuele I duca di Savoia, Piacenza 1877, pp. 21 ss.; O. Premoli, Storia dei barnabiti nel Seicento, Roma 1922, pp. 62, 67 s., 89 s., 92, 96; G. Boffito, Scrittori barnabiti..., I, Firenze 1933, pp. 516 ss.; L. M. Levati - I. M. Cierici, Menologio dei barnabiti. Dicembre, XII, Genova 1937, pp. 25-30; L. von Pastor, Storia dei papi..., XIII, Roma 1961, pp. 160 s.; F. A. Zaccaria, Bibliotheca ritualis..., II, Romae 1778, p. 168; G. Mazzantini, Inventari dei manoscritti delle Bibl. d'Italia, IX, p. 123; XV, p. 103; XVII, p. 146; XL, p. 33; XLII, p. 119.