TODI
(lat. Tuder)
Città dell'Umbria (prov. Perugia), sorta su un colle a dominio della valle del Tevere.Occupata in antico da popolazioni umbro-sabelliche, dopo l'89 a.C. entrò nell'orbita politica romana ottenendo la cittadinanza e l'iscrizione alla tribù Clustumina; in età augustea divenne Colonia Iulia Fida Tuder. Grazie alla relativa vicinanza con Roma e all'ubicazione presso la via Amerina, T. conobbe una rapida penetrazione del cristianesimo: la sede vescovile con ogni probabilità venne eretta nella prima metà del 5° secolo. Occupata da Teodorico nel 483, fu presa dalle truppe di Belisario nel 537 e conquistata definitivamente da Narsete nel 552. Inclusa in età franca fra i territori pertinenti al Patrimonium Petri, T. ebbe confermata, sia pure nominalmente, la pertinenza all'autorità papale nel 962 da parte di Ottone I e, ancora, nel 1020 da Enrico II. A partire dal sec. 12° la città si organizzò in libero comune, impegnato in lotte interne fra fazioni ed esterne contro Orvieto, Narni, Spoleto; nel 1237 aderì alla lega delle città umbre guelfe, resistendo efficacemente nel 1240 alle truppe di Federico II. Nel sec. 14° ebbe inizio il declino politico della città, che conobbe la signoria di diverse famiglie. Raniero degli Atti, nominato nel 1329 vicario di Ludovico di Baviera, tentò di rafforzarvi il partito ghibellino: la repressione del tentativo segnò il definitivo passaggio di T. sotto il dominio della Chiesa, esercitato in città attraverso vicari di nomina papale.L'assetto urbanistico che la città ancora oggi presenta si legge tutto in rapporto alle principali vicende che connotarono la storia medievale di T., la cui fase di maggiore sviluppo politico ed economico, fra il sec. 13° e i primi decenni del 14°, coincise di fatto con il più significativo incremento dell'impianto urbano, rimasto pressoché immutato fino all'Ottocento. Sancita dall'erezione di un nuovo circuito di mura, costruite a partire dal 1244, tale espansione si realizzò attraverso la creazione di quattro nuovi borghi, in posizione simmetrica rispetto al nucleo della città preromana e romana, lungo gli assi della viabilità antica: la via Amerina in direzione N-S, la via Ulpiana a E, la Orvietana a O. Scomparso il borgo occidentale, franato a valle insieme con la porta (porta Orvietana) che lungo il perimetro delle mura urbiche vi si apriva in corrispondenza, restano ancora riconoscibili nell'originaria definizione urbanistica il borgo di porta Fratta a S, l'Ulpiano a E e Borgonuovo a N, con le relative porte (porta Fratta o Amerina, porta Romana, porta Perugina) aperte sul circuito murario esterno e con quelle (porta Aurea, porta della Catena, porta Marzia e porta di S. Prassede) che, disposte sul circuito più interno d'età romana, vennero all'epoca restaurate. Anche l'area corrispondente all'antico nucleo preromano e romano conobbe infatti a partire dal Duecento nuova definizione e assetto urbanistico, con la realizzazione delle tre sedi delle magistrature civiche, ideate nei prospetti in funzione di una regolarizzazione del rettangolo allungato della piazza principale, insistente sulle sostruzioni dell'antico foro, e di una connotazione di essa in chiave monumentale.Dei tre palazzi pubblici, il primo a essere costruito, sul lato orientale della piazza, fu il palazzo del Popolo o del Comune; fra i più antichi palazzi pubblici italiani, venne eretto agli inizi del Duecento a partire dal corpo di fabbrica prospiciente l'od. piazza Garibaldi: tracce di una scala e di una porta testimoniano su questo lato del palazzo il primitivo ingresso. Ampliato dell'ala che prospetta sulla piazza 'maggiore' (od. piazza del Popolo), fra il 1228 e il 1233 l'edificio venne sopraelevato di un piano e poi ancora nel 1267, al tempo del podestà Pandolfo Savelli, dotato di nuova scala ad arco unico rampante. Modificata più volte nel corso dei secoli, la fronte sulla piazza 'maggiore', caratterizzata da un basso portico e da due ordini di polifore, si presenta oggi nella veste conferitale dai restauri ottocenteschi, cui si deve il coronamento merlato. All'interno, la sala del Consiglio generale conserva parte dell'originaria decorazione, promossa in occasione della campagna di lavori del 1267 da Pandolfo Savelli: brani ad affresco relativi a un ciclo di soggetto profano, con scene di un torneo cavalleresco, un corteo di dame, cavalieri che rendono omaggio, oltre a un ritratto identificato con quello dello stesso podestà.Accanto al palazzo del Popolo, e a esso unito per il tramite dalla scala, è il palazzo del Capitano. Assai più unitario, nella forma compatta del blocco parallelepipedo aperto sul fronte prospiciente la piazza da un poderoso porticato terreno e da due ordini superiori di bifore cuspidate, esso risulta in effetti eretto in tempi brevissimi: per la sua costruzione si era dato rapido avvio alle operazioni di acquisizione delle aree edificate a ridosso del palazzo del Comune nel 1289; nel 1290 il cantiere poteva dirsi pressoché giunto al termine.Sul lato breve della piazza, opposto alla cattedrale, l'ultimo a essere edificato fu il palazzo dei Priori. Alla necessità di fornire una sede idonea al collegio dei Priori, magistratura istituita nel 1321, si ovviò con la costruzione di un primo provvisorio corpo di fabbrica, che nel 1340 poteva già ospitare un'assemblea; intorno alla metà del secolo, con l'acquisizione da parte del Comune dell'intero isolato compreso tra la piazza 'maggiore', via porta Marzia (od. corso Cavour), via del Macello Vecchio e via Salara, venne portata a termine la fabbrica attuale, dotata all'interno di un ampio salone di rappresentanza scandito da arconi trasversali. Una serie di interventi venne a modificarne l'aspetto già nella seconda metà del Trecento, quando divenuto sede dei vicari e governatori pontifici, il palazzo fu munito di torre. Ulteriori lavori furono promossi al tempo di Bonifacio IX (1389-1404), e poi ancora nel 1513, quando vennero realizzati i due ordini di finestre rinascimentali.Anche per quanto concerne l'architettura religiosa, fu nel corso del Duecento e del Trecento che si realizzarono le principali imprese costruttive; un decisivo impulso in tal senso venne segnato dall'avvento all'interno delle mura degli Ordini mendicanti, impegnati nella costruzione ex novo dei propri edifici di culto e conventi, come nel caso dei Francescani e degli Agostiniani, o nell'ampliamento e nella ristrutturazione di chiese preesistenti (Domenicani e Servi di Maria). Con la creazione dei nuovi borghi si era resa peraltro necessaria la ridefinizione dell'istituto parrocchiale, coincidente in molti casi con il rinnovo delle antiche strutture. Del resto anche per quanto concerne la cattedrale, se le complesse vicende che ne caratterizzarono la storia non consentono di assegnarle una fondazione duecentesca, quelle stesse vicende e il linguaggio espresso dall'architettura attestano come solo nella seconda metà del sec. 13° si realizzassero le condizioni per la sua costruzione.Nella sua valenza negativa, peraltro, l'incidenza di questa politica di rinnovamento del tessuto urbano fu tale da obliterare, in molti casi in forma radicale, le preesistenze. Fatta eccezione per pochissimi frammenti lapidei pertinenti ad arredi liturgici, nulla più si conserva degli oratori e degli edifici di culto che tradizione e fonti documentarie attestano anteriori al Mille, fra i quali, in primo luogo, la primitiva cattedrale di T., che si vuole fondata da s. Callisto fra il 524 e il 528. L'originaria ubicazione di questa va con ogni probabilità individuata nell'area dell'od. piazza Garibaldi dove sono state parzialmente riportate alla luce le fondazioni di una chiesa dedicata ai ss. Giovanni e Paolo che i documenti riconoscono nel titolo, nelle prerogative e nelle funzioni di cattedrale almeno fino alla fine del 12° secolo.In gran parte perduti sono anche i monumenti della prima età romanica. A fronte del consistente numero di fondazioni attestate a partire dalla fine del sec. 11° o all'inizio del 12°, come l'abbazia di S. Leucio, S. Ilario, risalente al 1112, S. Nicolò de Criptis, esistente già nel 1138, S. Arcangelo delle Fontanelle, del 1150, e di tutte quelle tradizionalmente indicate fra le più antiche di T. - S. Salvatore, S. Prassede, S. Silvestro, S. Marco (poi S. Francesco in Borgo), S. Giorgio, S. Maria in Camuccia - solo in rari casi si conservano accanto ai dati archeologici quelli architettonici (S. Salvatore, S. Ilario, S. Nicolò de Criptis), peraltro limitatamente all'impianto di facciata, sormontato da campaniletto a vela, caratterizzato da una modanatura orizzontale a conci disposti di spigolo.Testimoniano un'origine protoromanica le strutture parzialmente recuperate in recenti lavori di restauro nell'ambiente oggi adibito a cripta della chiesa dei Ss. Filippo e Giacomo, una chiesa, questa, oggetto di una vera e propria riedizione seicentesca realizzata in concomitanza con l'incorporazione del primitivo oratorio medievale all'attiguo monastero delle monache di S. Maria Maggiore e S. Filippo.Altrettanto radicali furono gli interventi che nel corso del Seicento e del Settecento rinnovarono le chiese di S. Prassede e di S. Francesco in Borgo, sia nell'uno sia nell'altro caso fondazioni romaniche, che tuttavia già alla fine del Duecento avevano conosciuto importanti rifacimenti. Nel caso di S. Francesco in Borgo, questi avvennero in ragione dello stanziamento dei Servi di Maria, che a partire dal 1282, forse per iniziativa dello stesso Filippo Maria Benizi, insieme con la costruzione del proprio convento intrapresero la ristrutturazione dell'antica parrocchia di S. Marco. Restano a testimoniare questa fase medievale dell'edificio pochi brani superstiti della decorazione absidale; mentre per quanto riguarda gli ambienti conventuali la presenza servita è attestata dallo straordinario affresco rinvenuto nell'ambiente oggi coro delle Clarisse e raffigurante il Purgatorio con la Vergine e s. Filippo Benizi: reca la data 1346 e fu realizzato da un anonimo pittore d'ambito senese, che dall'affresco ha ereditato il nome di Maestro del Purgatorio, in anni recenti accostato alla figura di Jacopo di Mino del Pellicciaio (Dal Purgatorio di S. Patrizio alla città celeste, 1985).
Nel caso di S. Prassede, situata all'interno della cinta muraria romana, l'avvento degli Agostiniani ebbe per conseguenza la ricostruzione a fundamentis dell'antica parrocchia. In concorrenza con il cantiere francescano del S. Fortunato e in ragione di un'esigenza di rinnovamento in chiave monumentale del proprio insediamento, nel 1320 venne eretta la nuova chiesa con l'annesso convento. Di quest'ultimo si conservano in parte le strutture originarie del chiostro; della chiesa resta la facciata, rimasta incompiuta, caratterizzata dall'adozione di un partito bicromo a fasce alternate di pietra bianca e rosa e da un semplice portale ad arco acuto. All'interno i pochi brani superstiti di una decorazione pittorica tardotrecentesca sono stati attribuiti a Cola di Petrucciolo o a Piero di Puccio (Verso un museo della città, 1982).Del primo insediamento domenicano non si conserva più nulla. L'antico cenobio premostratense di S. Leucio, presso il quale i Domenicani si erano stabiliti fin dal 1236, venne infatti distrutto per far posto alla rocca eretta da Gregorio XI nel 1373. In cambio i Domenicani avevano ottenuto di potersi stabilire presso la chiesa di S. Maria in Camuccia, una fondazione, come si è detto, risalente alla fine del sec. 12°, forse su preesistente oratorio altomedievale. Caratterizzata da un complesso impianto a due aule sovrapposte, su di essa i Domenicani intervennero con ingenti lavori di ristrutturazione e ampliamento, ancora in parte riconoscibili nella zona absidale, lungo il fianco nord, e nel corpo di facciata, a terminazione rettilinea. Resti di affreschi dei secc. 14° e 15° sono nella chiesa inferiore, a una sola navata coperta da volta a botte, e nelle cappelle laterali della chiesa superiore, anch'essa a navata unica. Al suo interno si conserva, ancora, il gruppo ligneo noto come Sedes Sapientiae, una Madonna in trono con il Bambino, per il quale la datazione comunemente accolta, fatta eccezione per le teste pertinenti a un restauro tardo cinquecentesco, è riferita al 1190 ca.: con ogni probabilità esso giunse a S. Maria in Camuccia da S. Leucio, insieme con le suppellettili liturgiche che all'epoca del trasferimento i Domenicani provvidero a portare con sé.Un importante rifacimento medievale conobbe anche la chiesa di S. Nicolò de Criptis, fondata sull'area dell'anfiteatro romano, ceduta dalla famiglia degli Atti nel 1093 all'abate del monastero di Santa Croce di Sassovivo, presso Foligno, perché vi istituisse un cenobio: all'originario edificio, già esistente nel 1138, che doveva consistere di una semplice costruzione mononave, pertiene la parte centrale della facciata con portale architravato sormontato da arco a tutto sesto. Nella prima metà del sec. 13° e poi nel corso del 14° la chiesa fu ampliata e trasformata nell'impianto con l'aggiunta delle navate laterali. Direttamente innestata sul fianco sinistro di questa, alla fine del Trecento, si costruì una nuova chiesa, anch'essa con la medesima intitolazione a s. Nicola, a navata unica con tetto a vista e coro voltato. La facciata è a terminazione rettilinea con portale ad arco acuto sormontato da un rosone: soluzione, quest'ultima, che, sia pure in forme semplificate, sembra riflettere una derivazione dalle scelte operate allo scadere del secolo nella facciata della cattedrale.Dedicata alla SS. Annunziata ed elevata sulla testata settentrionale del foro, della cattedrale di T. non si conosce con sicurezza la data di fondazione. La documentazione d'archivio consente solo di attestare nel 1187 l'esistenza a T. di una nuova chiesa, qualificata come maior ecclesia, e di considerare l'incendio che distrusse nel 1190 l'episcopio il termine post quem per i lavori di ricostruzione di questa. Ulteriori, gravi danni furono provocati dal terremoto che sconvolse la regione nel 1246: due anni dopo il priore Rustico non solo cominciò a raccogliere sussidi "in opere episcopatus, scilicet in muro ipsius ecclesiae", ma si adoperò per acquisire altro denaro "in rehedificandis muris dictae ecclesiae" e "pro reparanda dicta ecclesia" (Prandi, Righetti, 1975): i lavori di restauro o di ricostruzione nel 1269 costringevano ancora il priore a ricercare nuove somme in denaro. Al 1298 risale la notizia della traslazione nella nuova chiesa dedicata alla Vergine del corpo di s. Callisto, che le fonti agiografiche celebrano, come si è detto, quale fondatore della prima cattedrale di T., traslazione che lascia supporre come, in quell'anno, i lavori di ripristino seguiti al sisma del 1246 fossero ormai conclusi.Dati gli esigui resti della decorazione pittorica - i pochi brani superstiti di pittura ad affresco non possono datarsi anteriormente alla seconda metà del sec. 14° e l'unico dipinto su tavola che vi si conserva, il crocifisso posto sopra l'altare maggiore, databile al 1255-1265, non possiede alcun legame diretto con la chiesa, trattandosi con ogni probabilità di un'opera di committenza domenicana o vallombrosana -, a fornire le chiavi di lettura del monumento sono l'architettura e il ricco corredo plastico che la decora.Quanto è possibile ricavare dall'analisi del complesso attuale consente di concludere a favore di un iter costruttivo altrettanto complesso e articolato di quello attestato dai dati documentari. A dispetto del carattere di unitarietà con cui si presenta, garantito dall'adozione lungo l'intero perimetro esterno del medesimo sistema di scansione ritmica parietale a lesene e coronamento di archetti pensili, ricorrente ovunque tranne che in facciata, numerosi elementi e incongruenze intervengono a testimoniare la realizzazione dell'impianto in almeno cinque fasi cronologicamente ben distinte, la più antica delle quali può identificarsi nella parte inferiore della zona absidale, che struttura massiva e plastica architettonica qualificano ancora come romanica. Tale parte all'interno pertiene al vasto ambiente della c.d. cripta, dove capitelli e parti di originari sostegni sembrano denunciare l'adesione al medesimo linguaggio dell'esterno.In successione cronologica rispetto a questo primitivo nucleo, databile probabilmente ancora entro il sec. 12° (Prandi, Righetti, 1975) e che dal punto di vista formale dovette condizionare, a costituire una sorta di modello, tutti gli interventi seriori, si pone, nel corpo longitudinale scandito in tre navate, la prima campata verso la facciata, caratterizzata dalla presenza di lesene aggettanti sulle pareti, le cui analogie con il sistema adottato in S. Eufemia di Spoleto spingono a considerare di poco più tarde rispetto al cantiere spoletino e forse come parte residua di un intervento di primo Duecento (Prandi, Righetti, 1975). La terza grande fase di lavori, peraltro condotta a più riprese, s'identifica nel transetto, nella parte superiore della zona absidale, nonché nella copertura a volte della c.d. cripta e in tutte le restanti quattro campate del corpo longitudinale, una sorta di gigantesca cerniera fra le due ipotizzate preesistenze, frutto di un cantiere aggiornato alle forme del Gotico maturo e negli elementi plastici - le mensole del coronamento esterno e soprattutto i capitelli dei pilastri - prodotto di officine al corrente e partecipi degli esiti più significativi della scultura gotica centroitaliana della seconda metà del Duecento.
Un'ulteriore fase s'individua nella c.d. navatina, aperta verso la navata destra da arcate su slanciati sostegni ottagonali e all'esterno, lungo il fianco meridionale della chiesa, da una serie di monofore e bifore tardogotiche, a loro volta frutto di due distinte campagne di lavori realizzate in successione di tempo nel corso del Trecento.Segnano l'ultimo momento del cantiere medievale della cattedrale il campanile e l'od. facciata, compiuti alla fine del Trecento o forse già agli inizi del secolo successivo, come sembrano indicare, nel prospetto, il sistema di impaginazione, a coronamento orizzontale, e il partito decorativo del grande rosone centrale (Prandi, Righetti, 1975).Inserite in facciata fino al 1930, sono oggi conservate nella cripta tre sculture tardoduecentesche, due delle quali, raffiguranti una Madonna in maestà e un vescovo condotto da un angelo, probabilmente pertinenti a un monumento funebre e attribuite alla bottega di Giovanni Pisano; la terza, raffigurante una santa e di fattura più rozza, è assegnata allo scultore Rubeus.Sull'altura opposta a quella della cattedrale, nel 1292 venne inaugurato il cantiere francescano del S. Fortunato, fin dalle origini destinato anche urbanisticamente a sancire il ruolo di primo piano assunto dall'Ordine all'interno della compagine cittadina. Nel 1254-1255 i Francescani avevano ottenuto di permutare il proprio conventino di S. Arcangelo delle Fontanelle, fuori dalle mura urbiche, con l'insediamento vallombrosano sorto presso l'antica chiesa dei Ss. Cassiano e Fortunato. Il trasferimento, sancito da papa Innocenzo IV (1243-1254), non aveva mancato di suscitare, fin dall'inizio, le proteste dei Domenicani, stanziati presso S. Leucio. Decisiva fu, ai fini della risoluzione della controversia, la presenza nelle file dei Francescani di T. di eminenti personalità dell'Ordine, fra cui Pietro da Gaglietole, Bencivenga Bencivenga e Matteo d'Acquasparta, il cui ruolo di mediatore presso papa Bonifacio VIII dovette rivelarsi fondamentale al momento dell'approvazione del progetto per la costruzione della nuova chiesa: un edificio di notevoli dimensioni, per la cui estensione si sarebbe reso necessario l'inglobamento di parte della strada pubblica che serviva anche il convento domenicano. Malgrado l'opposizione di questi, i lavori intrapresi nel 1292 vennero condotti a termine in buona parte entro il terzo decennio del Trecento: l'impianto realizzato, sul piano icnografico assolutamente inedito nel contesto regionale, fu quello di una chiesa 'a sala', con tre navate di uguale altezza divise da arcate ogivali su pilastri polistili, e con cappelle laterali ricavate fra i contrafforti.Una consistente documentazione d'archivio sembra peraltro attestare, giusta la lettura dei dati, una prosecuzione dei lavori del cantiere nel 1392 per il campanile e nel 1405-1407 per l'ampliamento della fabbrica, con l'aggiunta di una campata, e per il corpo absidale (Grondona, 1991). Ulteriori lavori, nel corso della seconda metà del Quattrocento, riguardarono la realizzazione di un nuovo sistema di copertura, a volte, e, per ovviare ai problemi statici che queste avevano cominciato a mostrare, l'inserimento degli archi rampanti di controspinta fra i pilastri e le pareti longitudinali. La facciata attuale, rimasta incompiuta, fu realizzata fra il 1415 e il 1458 da Giovanni di Santuccio da Fiorenzuola.L'assoluta novità dell'impianto, che ebbe in ambito umbro precocissima eco nel duomo di Perugia, l'adesione al modello di spazialità proprio delle chiese 'a sala' nordeuropee, nonché la volontà esplicita di esemplare il S. Fortunato, piuttosto che ai tipi edilizi 'correnti' dell'architettura mendicante, direttamente al cantiere assisiate, sono tutti elementi che concorrono a delineare non soltanto il rilievo assunto dalla comunità francescana di T., favorito nella sua ascesa dalle stesse istituzioni comunali, ma anche e soprattutto l'intervento di una committenza di altissimo livello, in contatto con la cultura d'Oltralpe e aggiornata sulle scelte ivi operate nei grandi cantieri mendicanti di fine secolo.
Ad aumentare il prestigio del S. Fortunato un ruolo fondamentale giocò il giuspatronato esercitato dalle famiglie notabili di T. sulle cappelle laterali, vere e proprie cappelle gentilizie, al cui decoro con cicli affrescati si dovette attendere fin dai primissimi decenni del Trecento: pur ridotto a pochi brani superstiti, è quanto sembra attestare il primo strato di affreschi presente nella cappella del SS. Crocifisso con storie della Vita di s. Giovanni Battista - sinopia del Banchetto di Erode, decorazione a racemi della volta, sottarco con busti di angeli -, attribuiti a un maestro di cultura assisiate, con riflessi della pittura romana di fine Duecento (Todini, 1982). Nella medesima cappella, un secondo strato di affreschi d'analogo soggetto segnò l'esordio, entro la prima metà del Trecento, di un pittore seguace della maniera senese, ma permeato di influssi giotteschi, indicato quale caposcuola della pittura del Trecento a T.: lo si ritrova all'opera, nello stesso S. Fortunato, da cui trae il nome di Maestro di S. Fortunato, sia nella cappella Atti, con affreschi frammentari relativi alla Vita di s. Francesco, sia nella sesta cappella sinistra, con un'Adorazione dei Magi. Gli sono attribuiti anche gli affreschi superstiti dell'antica abside del S. Francesco in Borgo. Educato nella tradizione locale di derivazione senese, ma influenzato dalla pittura orvietana, un tardo epigono di questo maestro s'individua in Niccolò di Vannuccio, documentato a T. dal 1362 e attivo fino allo scadere del secolo, quando eseguì in S. Fortunato i brani affrescati nella cappella Gregoriana e quello, staccato, nella sagrestia.Se nelle scelte operate dal cantiere della fabbrica non può che riflettersi come ipotesi, per quanto suggestiva, il diretto coinvolgimento dei cardinali Bencivenga e Matteo d'Acquasparta, il ruolo da questi svolto nei confronti della chiesa todina emerge chiaramente per quanto attiene la dotazione di arredi e la realizzazione di libri liturgici. Proveniente da S. Fortunato è l'antifonario in tre volumi conservato nella Bibl. Civ. della città (219 A-C): espressamente realizzato ad usum della comunità francescana di T. intorno al 1285 e decorato da un maestro umbro, non sembra si possano nutrire dubbi circa la sua committenza, convincentemente attribuita a Bencivenga (De Benedictis, 1982). È portato recente della critica, del resto, il riesame complessivo di tutto il fondo di manoscritti che, con le soppressioni, entrò a far parte della raccolta comunale. Fra questi vale la pena segnalare la Tabula originalium di Giovanni di Erfurt (Todi, Bibl. Civ., 24), codice miniato nell'atelier parigino di Maître Honoré, databile tra il 1315 e il 1320, che insieme ad altri quattro manoscritti (Todi, Bibl. Civ., 4-8) è stato riconosciuto come proveniente dalla biblioteca personale di Matteo d'Acquasparta, per lascito testamentario donata dal cardinale alle comunità francescane di Assisi e appunto di Todi.Al medesimo ambito di committenza sono state pure ricondotte venti placchette di vetro dorato e graffito, facenti parte della decorazione di un reliquiario e attribuite alla mano di fra Pietro Teutonico. Provenienti anch'esse da S. Fortunato, sono oggi conservate presso il Mus. e Pinacoteca Civ. di T., ordinate nella sezione dedicata alla storia della città, che conta, fra le opere più significative, una lastra altomedievale scolpita raffigurante Cristo e i ss. Fortunato e Cassiano, una croce processionale della fine del Trecento, e una serie di affreschi staccati del 14° e 15° secolo.
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