TOLEDO (A. T., 37-38, 39-40)
Capoluogo dell'omonima provincia, e una delle città spagnole più celebri per la sua storia e la ricchezza di monumenti d'interesse artistico ed architettonico. Il nome, il cui etimo è incerto, ci riconduce al latino Toletum, col quale è ricordato, nei primi tre secoli della nostra era, quale municipio romano pertinente al circolo giuridico di Cartagena. Ma l'insediamento, certo più antico, deve la sua ragion d'essere alla sua felice posizione al punto d'incrocio delle vie provenienti da N. (Madrid, Ávila) e da S. (Orgaz, Navahermosa) con quella, naturale, segnata dal corso medio e inferiore del Tago, e alle opportunità che il sito su cui sorge offre alla difesa (e Livio la dice infatti "parva urbs, sed loco munita"). Toledo è, infatti, costruita in cima ad una emergenza granitica che il fiume, col suo alveo profondamente incassato, ricinge e isola da tre lati (ad E., a S. e ad O.), e che a N. è congiunta con l'ondulata planizie della meseta castigliana solo attraverso un'angusta breccia che s'apre in mezzo a un seguito di colline (in corrispondenza all'attuale Puerta del Sol). La penisola così delimitata ha però una planimetria piuttosto irregolare (il punto più elevato, nell'Alcázar, tocca i 548 m.; coordinate: 39° 51′ 26″ N., 4° i′ 28″ O.); con ciò stanno in rapporto sia l'andamento tortuoso e spesso in pendio delle strade cittadine, sia la mancanza di linee geometriche nella pianta topografica. L'abitato si allaccia alla rete stradale extraurbana per mezzo di due ponti, che sottolineano, con la loro disposizione agli estremi O. (P.S. Martín) ed E. (P. Alcántara) della penisola stessa, la funzione originaria dell'insediamento, lungo una direttrice che il nucleo originario era destinato a comandare. Non lungi dal più vecchio di questi due ponti (qui gettato dai Romani, restaurato nel 997 dagli Arabi che gli lasciarono il nome, e rifatto nel 1258 sotto Alfonso il Saggio) sono la caratteristica Plaza de Zocodover ("mercato del bestiame") - che rappresenta ancor oggi il centro dell'attività cittadina - e l'Alcázar, che occupa il posto dell'antica fortezza. Dalla prima si stacca verso SO. la calle del Comercio - la via più frequentata di Toledo - che mette capo, continuandosi nelle calli Ancha e del Arco, alla plaza del Ayuntamiento, intorno alla quale sorgono la magnifica cattedrale (secoli XIII-XIV), edificata sul luogo di una chiesa gotica del sec. VI, l'Ayuntamiento (sec. XVI) e il palazzo arcivescovile. Da questa seconda piazza, che occupa all'ingrosso il centro della platea su cui si estende la città, irradiano le arterie principali della topografia urbana, che tendono da un lato all'altro passaggio sul Tago (S. Juan de los Reyes) e alla Puerta del Sol (attraverso la Plaza de S. Vicente), dall'altro ai diversi quartieri (barrios) che si raccolgono in pittoresco disordine attorno alle numerose chiese cittadine, per scendere verso S. fino alla riva del fiume (las Tenerías, Tintes e Andaque). Di questi quartieri alcuni conservano, nel nome delle proprie vie, il ricordo della particolare funzione cui erano chiamati nella vita toledana: così, per es., nella zona prossima alla cattedrale, ove trovavano posto l'artigianato e l'industria (calles de las Tornerías, de las Cordonerías, de la Chapinería).
Sebbene la città sia unita da una linea ferroviaria alla non lontana (91 km.) capitale dello stato, la sua posizione l'ha salvata dal pericolo di perdere, nelle inevitabili metamorfosi della vita moderna, il carattere di vecchio centro castigliano, tanto più singolare in quanto riassume, nella sua storia architettonica, una evoluzione iniziatasi addirittura nei primi secoli del Medioevo. Ché Toledo fu già sotto i Visigoti capitale di un regno, la cui prosperità doveva continuarsi con gli Arabi (711-1085) e più ancora coi re castigliani fino all'impero; stato venuto a trovarsi con questi, come prima coi musulmani, al posto decisivo per l'affermazione della supremazia politica su tutta la penisola. Sennonché, come la cacciata degli Ebrei - numerosi e potenti nella Toledo medievale (e ne fa fede la loro sinagoga, El Tránsito, che risale al secolo XIV) - determinò dopo il 1492 la decadenza dell'attività industriale cittadina, così il trasporto della corte a Madrid, deciso da Filippo II nel 1560, segnò per il nucleo urbano l'inizio di una contrazione, da cui Toledo non è più riuscita a rialzarsi. Delle industrie tradizionali - che comprendevano in primo luogo i tessuti di lana e di seta, i ricami ed oggetti artistici d'ogni specie - si continua, pur nelle mutate condizioni del nostro clima economico, quella delle armi, che alimenta una piccola esportazione. Dell'antico splendore non rimane se non il ricordo, e il titolo di primate che spetta all'arcivescovo metropolita.
Toledo, che contava alla metà del sec. XVI non meno di 200 mila ab. non ne aveva, cent'anni fa, più di 25 mila; 22.745 nel 1910; 25.251 nel 1920; 27.347 nel 1930. Oggi la città è essenzialmente un centro agricolo e commerciale, con qualche movimento turistico in special modo durante la settimana santa.
Monumenti. - La cattedrale fu incominciata dal re San Ferdinando e dall'arcivescovo Jiménez de Rada. Pare che autore del disegno sia stato un maestro Martín che dirigeva i lavori nel 1227, quindi intervenne Petrus Petri, probabilmente spagnolo di gusto moresco, che morì nel 1291.
La pianta, senza transetto, è a cinque navate con doppio deambulatorio e mostra la conoscenza delle cattedrali gotiche francesi, come quelle di Bourges e di Parigi. La struttura è puramente gotica nei pilastri, negli archi acuti, nelle vòlte. Delle tre facciate, la settentrionale è la più antica; quella ad ovest, che è la principale, fu incominciata nel 1418 da Alvar Gómez, a cui si debbono pure le figurazioni dei tre portali; in quella meridionale è la porta detta dei Leoni, della seconda metà del sec. XV, composizione del brussellese Van der Eycken (noto nella Spagna col nome di Annequin Egas), con statue fiamminghe di Egas Coman e di Giovanni Alemanno; le sue belle porte di bronzo (1545) sono opera di Francisco de Villalpando e di Ruy Diaz del Corral. La cappella maggiore, chiusa da una cancellata lavorata su disegno del Villalpando ha un retablo, intagliato in stile gotico fiammeggiante, su disegni del borgognone Felipe de Vigarny e di Alfonso Sánchez, da Sebastián de Almonacid, Enrique de Egas, Pedro Gumiel e Diego Copin olandese. Ai due lati dell'altare sono varie tombe reali scolpite verso il 1507 dal detto Diego Copin; a destra notasi la tomba del cardinale González de Mendoza (morto nel 1495), attribuita ad Andrea Sansovino, benché le caratteristiche di questo scultore si scorgano solo in una statua di san Giovanni Battista. Nel 1720, Narciso Tomé eseguì dietro l'altare maggiore il cosiddetto "Trasparente", rompendo la vòlta per far cadere dall'alto la luce sul tabernacolo e fondendo insieme elementi architettonici disparati in un intricato complesso di gusto churrigueresco. Il coro, con una cancellata di Domingo de Céspedes, eseguita nel 1547, ha stalli di Rodrigo Alemán (1495), Felipe de Vigarny e Alonso Berruguete. Dietro al coro è un altare centrale con la Madonna della Stella, che si crede opera francese del sec. XIV, e al di sopra di essa un medaglione dell'Eterno Padre scolpito da Berruguete; ai due lati, statue d'alabastro, di Nicolás de Vergara, rappresentano L'Innocenza e la Colpa. Tra le numerose cappelle si distinguono: quella dei Re nuovi, lavorata nel 1531-1534 da Alonso de Covarrubias, dove i resti dei sovrani castigliani della dinastia dei Trastamara giacciono in sarcofaghi scolpiti da un maestro Enrique; quella di S. Giovanni o "della Torre", dove è collocato il tesoro, in cui figura un ostensorio d'argento riccamente decorato nel 1515-1523 da Enrique de Arfe e una statua di S. Francesco d'Assisi probabilmente di Pedro de Mena; la cappella di S. Giacomo, fatta erigere nel 1442 da Don Alonso de Luna, la cui tomba, lavorata nel 1489 da Pablo Ortiz, sta nel centro sotto la magnifica vòlta stellata; quella mozarabica costruita sotto la direzione di Enrique de Egas nel 1504 per ordine del cardinale Cisneros, con cupola su tamburo ottagonale, e terminata solo nel secolo XVII da Giorgio Emanuele Theotokopulos, figlio del Greco; e finalmente la cappella di S. Ildefonso contenente varî sarcofaghi, tra cui quello del cardinale Alonso Carrillo de Albornoz (morto nel 1514) di Vasco de la Zarza.
Il campanile fu costruito tra il 1380 e il 1440. Il chiostro (1389-1425) fu disegnato da Rodrigo Alfonso. Tra le pitture pendenti nella sacrestia primeggia il quadro Gesù spogliato delle vesti (El espolio), una delle tele più importanti del Greco. La sala capitolare, costruita dal 1504 al 1512 sotto la direzione di Enrique de Egas, allora maestro dei lavori della cattedrale, e di Pedro Gumiel, ha, come il vestibolo, un soffitto moresco.
La chiesa del Crocifisso della Luce è ritenuta per la moschea di Bib-al-Mardom, edificata sopra un tempio visigoto e ritornata nel secolo XII ad essere chiesa cristiana con l'aggiunta di una crociera e di un'abside. Vi restano affreschi del sec. XII. Presso la chiesa di S. Raimondo, forse antica moschea, s'innalza una torre campanaria moresca. La chiesa di S. Maria Bianca, già sinagoga, è ora di pianta quadrilatera irregolare in seguito ai rimaneggiamenti che subì quando fu dedicata al culto cristiano (secolo XV), ma nell'insieme rammenta le moschee almohadiche; si compone di cinque navate separate da archi a ferro di cavallo e pilastri poligonali di mattoni, la centrale più bassa e con soffitto di legno a due spioventi lavorato artisticamente; è decorata di stucchi. S. Giacomo del Arrebal è la più completa delle chiese moresche di Toledo. La chiesa di S. Giovanni dei Re annessa al convento francescano fondato nel 1477 dai Re Cattolici, fu incominciata con gran sobrietà, ma ben presto fu rifatta da Pedro Guas così sontuosa, che i fondatori non poterono vederla finita. Ha una sola navata con cappelle tra i contrafforti; un tiburio di struttura molto complessa; il tutto è ornato riccamente. Resta accanto alla chiesa il chiostro di archi mistilinei finito nel 1504 e restaurato modernamente e una grande aula annessa. La chiesa di S. Domenico Antico possiede cinque tele dipinte dal Greco tra il 1577 e il 1582. La chiesa di S. Tommaso, del sec. XIV, con elegante campanile di stile moresco, vanta la più famosa delle pitture del Greco: Il seppellimento di Gonzalo Ruiz, conte di Orgaz, coi santi Agostino e Stefano. Tralasciando altre chiese, ricordiamo quelle di S. Giovanni della Penitenza, con una bella tomba del vescovo Francisco Ruiz, lavoro lombardo (1528), e di S. Vincenzo, con cinque quadri del Greco, tra cui primeggis una Annunciazione dell'ultima epoca di questo pittore.
La Porta del Cambrón, innalzata nel sec. VII dal re Wamba, fu ricostruita nell'XI e poi molto restaurata nel 1576. L'antica porta di Visagra è l'unica tuttora esistente delle mura arabe. La porta del Sole, probabilmente del sec. XIV, è la più bella e più monumentale delle porte moresche. Il ponte di S. Martino data dal secolo XIII, ma fu ricostruito alla fine del XIV; alle due testate vi sono archi di tipo musulmano. L'antica sinagoga "del Tránsito" eretta nel 1357 da Samuele Levi tesoriere del re don Pedro con la direzione del rabbino Mayr Abd-Elì, poi divenuta chiesa di S. Benedetto, consta di una sola navata, più piccola di quella di S. Maria Bianca ma più ricca, con rilievi in stucco, intramezzati da stemmi di Castiglia e versetti in lingua ebraica. Il palazzo municipale, edificato al tempo dei Re Cattolici e modificato nel sec. XVIII, ha una bella facciata classicheggiante. Nella "Casa de Mesa" è notevole il salone principale con decorazione moresca, finestre geminate, bel soffitto e davanzali di "azulejos". Nella piazza di Zocodover è una bella porta moresca detta "Arco del Sangue di Cristo". Parimenti di tipo moresco è il palazzo dei Conti de Fuensalida (1411). L'ospizio della Hermandad, che un tempo fu prigione con lo stesso nome, ha una stretta facciata di accentuato stile "Isabella". Nell'ospedale di S. Croce, costruito dal 1504 al 1514 da Enrique de Egas, la facciata corrisponde al primo periodo plateresco: nell'interno vi è un bel cortile ottagonale; la cappella è coperta da una cupola a rosoni. L'ospedale di S. Giovanni Battista o "de Afuera", fondato dal cardinale Tavera, è un vasto edificio di pianta quadrata, costruito dal 1541 al 1599 sui disegni del gesuita P. Bartolomé Bustamante e con la collaborazione di González de Lara, Covarrubias e Gregorio Prieto; benché non terminato, è il più grandioso degli ospedali del Rinascimento nella Spagna; nella sua cappella, eretta dal 1567 al 1624, si conserva la tomba del fondatore scolpita da Berruguete, e l'altare maggiore opera del Greco, del quale contiene quattro quadri. Nella cosiddetta "Casa del Greco" è collocato un piccolo museo. La Porta Nuova di Bisagra fu costruita nel 1545-1550 da Covarrubias, che nove anni più tardi fece i disegni per ampliarla e decorarla "alla toscana". L'Alcázar, che appariva nel punto più alto della città, come fortezza e come simbolo grandioso della potenza regia, era stato interamente diretto nella sua ultima ricostruzione da Alonso de Covarrubias nel 1538-1551, ma la facciata meridionale è di Juan de Herrera. Esso è stato in parte distrutto negli avvenimenti del 1936.
V. tavv. CLIII e CLIV.
Storia. - Città di origine assai antica, greca o fenicia, era il più importante centro della Carpetania quando, nel 192 a. C., fu assediata e conquistata dai Romani. Fiorì sotto il dominio romano; ma la sua importanza s'accrebbe enormemente a partire dal sec. VI, quando divenne residenza dei re visigoti (con Leovigildo) e sede dei famosi concilî (v. appresso). Il primo di essi era già stato tenuto nel 400; ma solo col terzo concilio (589) dopo la conversione al cattolicesimo di re Recaredo, ha inizio la partecipazione ufficiale del governo nella vita ecclesiastica, donde l'importanza anche politica dei concilî stessi. Per questi motivi, Toledo fu al centro della vita del regno visigotico. Fu conquistata dagli Arabi già nel 711; e a Toledo, alla fine del 713, il califfo di Damasco fu proclamato sovrano della regione occupata. Dovette allora attraversare un lungo periodo d'irrequietezza. Spogliata a favore di Cordova del privilegio di esser residenza del potere sovrano, Toledo fu più volte ribelle ai califfi di Cordova, accogliendo fra le sue mura principi ribelli e dovendo quindi subire le ire del califfato. Per di più, Toledo rimaneva un centro di aspirazioni all'indipendenza da parte dei cattolici; donde dure repressioni, fra cui quella dell'807. Grossa rivolta nell'853, quando, parteggiando per il governatore arabo ribelle al califfo, i Toletani per la prima volta annodarono rapporti con i principi cristiani del nord della penisola iberica, e precisamente con Alfonso III di León, che inviò aiuti; ma la rivolta fu domata nel sangue, nell'859. Nuovamente a partire dall'886 Toledo è ribelle a Cordova e per un quarantennio circa si regge, come stato indipendente, con un sovrano arabo proprio. Solo con Abd ar-Rahman III (v. Spagna) anche Toledo deve riassoggettarsi al dominio degli Omayyadi. Il sec. X fu pertanto un periodo di pace e di tranquillità, favorevole allo sviluppo edilizio, economico, culturale della città, che fiorisce, economicamente, specie per la lavorazione dell'acciaio (le famose lame di Toledo).
Ma nel dissolversi dell'unità del califfato di Cordova, nei primi decennî del sec. XI, Toledo è un'altra volta centro di movimento particolaristico: e la conseguenza ne è il sorgere, nel 1035, di uno stato (uno dei cosiddetti "regni di Taifas") di Toledo, che riuscì a mantenersi indipendente anche contro gli Abbasidi. Poco più tardi, invece, questa indipendenza veniva minacciata dall'avanzata dei re di León e Castiglia: dopo alcuni anni di guerra (Toledo fu assediata già nel 1080) il 25 maggio 1085 Alfonso VI entrava in Toledo; la quale, anzi, diveniva, due anni più tardi la nuova capitale dello stato castigliano. La conquista di Toledo, come doveva avere conseguenze di prim'ordine nella storia spagnuola, nel senso di dare un più forte impulso alla "riconquista" e all'avanzata cristiana verso il mezzogiorno della penisola iberica, così ebbe per la vita della città un influsso profondo e benefico. Capitale dello stato, centro di una vita culturale attivissima, centro della vita religiosa ed ecclesiastica della Spagna cattolica, T. è per quattro secoli la città più importante della Spagna. Nella sua vita essa conserva sempre nettissima l'impronta della civiltà musulmana; ma altro fatto notevole è il gran numero di ebrei che vi si raccolgono, costituendovi una fiorente colonia: donde, anche nell'attività culturale, un carattere misto arabo-ebraico, specialmente percepibile nel secolo XII. Solo assai più tardi cominciarono le persecuzioni: gli ebrei furono infatti espulsi nel 1492. Ma, allato di questa, si sviluppa presto anche una vita culturale prettamente cattolica; e cresce il potere degli arcivescovi (che sono al vertice della gerarchia ecclesiastica spagnola), divenuti possessori di immense ricchezze e forti di un'autorità politica notevolissima. Con l'età moderna invece Toledo decade. Centro della rivolta dei Comuneros (v.), riceve il più fiero colpo alla sua proprietà dal trasferimento della capitale a Madrid, voluto da Filippo II nel 1560. Da allora la storia della città fu di progressiva decadenza. All'inizio del sec. XIX fu occupata dai Francesi dal 1808 al 1813.
Nell'estate del 1936 il nome di Toledo ha avuto risonanza universale, per l'eroica difesa, ad opera dei cadetti della Scuola Militare, dell'Alcázar contro le truppe rosse. Dopo due mesi di durissimo assedio, l'esiguo manipolo dei difensori dell'Alcázar veniva liberato, il 27 settembre, dalle truppe nazionali che occupavano, dopo accanito combattimento, l'antica capitale della Spagna.
Bibl.: R. Amador de los Ríos, Toledo, in Monumentos arquitectónicos de España, Madrid 1905; V. Lampérez, historia de la arquitectura cristiana española en la Edad Media, I e II, ivi 1908 e 1909; A. L. Mayer, Toledo, Lipsia 1910; M. Gómez-Moreno, Arte mudéjar toledano, Madrid 1916; id., Ornamentación mudéjar toledana, in Arquitectura española, ivi 1925; E. Lambert, Tolède, Parigi 1925; J. Polo y Benito, Dives toletana, Toledo 1928; Marqués de Lozoya, Historia del arte hispánico, I e II, Barcellona 1931 e 1934; O. Czekelias, Las antiguas sinagogas de España, in Arquitectura, Madrid 1931; A. Calzada, Historia de la arquitectura española, Barcellona 1933.
La provincia di Toledo.
Una delle cinque provincie, la terza per ampiezza (15.346 kmq.), la seconda per popolazione assoluta (497.231 ab. nel 1930) e relativa (32 ab. per kmq.) della Nuova Castiglia. Di questa occupa la parte nord-occidentale, sulle due rive del Tago, dal pendio meridionale della Sierra de Gredos all'aspro cimale dei M. di Toledo, che si continua verso SE. con le Sierre del Pozito e de la Calderina. Il paesaggio alterna il ridente aspetto delle vegas lungo il gran fiume (La Sagra, Ribera de Toledo, campiña di Talavera, ecc.) alla selvaggia solitudine della Jara: qui il rilievo, anche se non accentuato (Rocigalco 1447 m., Peñafiel 1420 m.), determina, in uno con le condizioni del clima arido ed eccessivo, lo sviluppo della tipica macchia (onde il nome), entro la quale larghi spazî sono lasciati al pascolo o addirittura del tutto spogli di vegetazione (pedreras), e le colture hanno carattere d'eccezione. Tutta la parte occidentale della provincia è assai scarsamente popolata: nella Jara vera e propria (Sierra de Altamira) si scende a meno di 10 ab. per kmq. Per contro, dove è possibile l'irrigazione, come lungo il Tago e nella valle del suo affluente Alberche, le colture cerealicole e arboree (olivo, vite, frutta, localmente anche agrumi) assumono un rigoglioso sviluppo, nonostante il prevalere del latifondo e la tendenza che ne consegue all'accentrarsi della popolazione in grossi borghi rurali.
Notevole, nell'economia locale, l'importanza della pastorizia, che alleva di preferenza bestiame ovino per ricavarne lana; quasi trascurabile, invece, l'attività mineraria (galena, ferro, manganese, quarzo aurifero).
L'industria ha carattere tradizionale (armi a Toledo, ceramica a Talavera de la Reina, maioliche artistiche in più luoghi) ed è perciò dappertutto in regresso.
La popolazione della provincia, che contava 335.038 ab. nel 1877 (22 ab. per kmq.), è andata, sia pur lentamente, crescendo nell'ultimo sessantennio, per superare ormai (1936) il mezzo milione di ab. Con tutto ciò, la densità (33 ab. per kmq.) rimane inferiore a quella complessiva della Spagna. Dei centri abitati, due soli, oltre Toledo, superano i 10 mila ab.: Talavera de la Reina (14 mila ab.) e Mora; nell'insediamento prevalgono però, come nella vicina Mancia, nella quale la provincia trapassa verso SE., i grossi agglomerati rurali, e manca quasi del tutto la popolazione sparsa.
L'arcidiocesi e i concilî di Toledo.
L'arcidiocesi di Toledo (che ha come sedi suffraganee Ciudad Real, Coria, Cuenca, Madrid-Alcalá, Plasencia, Siguenza) ha avuto - come centro religioso e politico del regno visigotico - un' importanza notevolissima nella storia della chiesa spagnola, specialmente nel periodo anteriore alla conquista araba (712), importanza che si rivela negli atti dei concilî toletani che tanta luce gettano sulla vita religiosa e politica spagnola nel sec. VII.
Il primo concilio che si ricordi riunito a Toledo è quello del settembre del 400 diretto a reprimere lo scisma insorto in Spagna in seguito alla condanna di Priscilliano. Ma il Libellus in modum Symboli, che ha grande importanza per la storia del Simbolo, e che è certamente rivolto contro i Prisciallianisti (Denzinger-Bannwart, Enchiridion, nn. 19-30), non va attribuito, come si è creduto, a questo concilio o ad un supposto concilio toletano del 447, bensì al vescovo galiziano Pastore. Da questo momento i concilî di Toledo, spesso concilî nazionali di tutta la Spagna, si susseguono regolarmente fino al 701. Il toletano secondo (del 17 maggio 527 o 531) emana 5 canoni disciplinari sullo stato ecclesiastico e le obbligazioni dei chierici. Segue un conciliabolo ariano (del 581 o 582), non compreso nella serie ufficiale, il quale stabilisce non esser necessaria la reiterazione del battesimo per i cattolici che facciano professione ariana. Il toletano terzo (8 maggio 589) ha grande importanza perché segna il ritorno della Spagna al cattolicesimo a seguito della conversione di re Recaredo (v. anche spagna). Il toletano quarto (del 5 dicembre 633), preceduto da due altri rispettivamente del 17 maggio 597 e del 23 ottobre 633, fu presieduto da Isidoro di Siviglia (v.) e ha grande importanza per la storia sociale e politica spagnola giacché i suoi canoni sono in parte diretti a regolare la situazione degli ebrei spagnoli (v. canoni 59-65) e pongono con ciò le basi di quelle disposizioni contro gli ebrei che si faranno sempre più aspre nei concilî seguenti. Il concilio è altresì un chiaro indizio della diffusione della schiavitù e della condizione fatta agli schiavi appartenenti alla Chiesa (canoni 66-73). Il toletano quinto (giugno 636); sesto (gennaio 638); settimo (16 ottobre 646); ottavo (16 dicembre 653); nono (2 novembre 655); decimo (Io dicembre 656); undecimo (7 novembre 675); dodicesimo (9 gennaio 681); tredicesimo (4 novembre 683); quattordicesimo (novembre 684); quindicesimo (11 maggio 688); sedicesimo (2 maggio 693); diciassettesimo (9 novembre 694), diciottesimo e ultimo (del 701 o 702), mostrano coi loro decreti, molto spesso di natura più politica che religiosa, la stretta dipendenza della chiesa spagnola dal regno visigotico e lo sforzo sempre più tenace di reprimere il giudaismo, accusato anche di ostilità verso "la patria e il popolo" (canone 8 del concilio XVII), e il paganesimo. Un certo interesse dal punto di vista teologico hanno il simbolo di fede "de trinitate et incarnatione" del toletano undecimo (Denzinger-Bannwart, Enchiridion, nn.275-287) e il Liber responsionis seu Apologia indirizzato da Giuliano arcivescovo di Toledo a papa Benedetto II nel concilio XV a seguito di alcune riserve formulate dal pontefice su alcune frasi di Giuliano stesso al toletano quattordicesimo. Sergio I riconobbe ortodosse le spiegazioni di Giuliano.
Dal concilio III in poi tutti questi concilî furono convocati dal re e oltre ai vescovi vi assistevano i personaggi più notevoli del regno quelli che esercitavano i più importanti uffici nel palazzo reale, e inoltre i duchi e i governatori. I concilî toletani non erano solamente assemblee ecclesiastiche, ma anche l'organo legislativo dei sovrani visigoti, cosicché stabilivano canoni in materia di fede e di disciplina religiosa e - come si è visto - promulgavano leggi di carattere civile; erano, insomma, assemblee politico-religiose che i monarchi solevano convocare al principio del loro regno per affermare la propria autorità, o quando volevano introdurre qualche modificazione nell'ordine civile o politico e ogni qual volta stimavano necessario rafforzare il loro potere con l'appoggio del clero. Nel documento di convocazione del concilio, detto Tomo Regio, il re indicava gli affari da trattarvisi, soprattutto nell'ordine civile; poi col suo consenso si discutevano e si prendevano le deliberazioni ch'egli confermava e sottoscriveva. Così dunque la potestà dei concilî di Toledo era propria dell'ordine ecclesiastico e delegata (dal re) nell'ordine civile. Secondo il canone 4° del concilio IV di Toledo, che riguarda l'Ordo celebrandi concilii, con l'esortazione o via regia, il modo di celebrare queste adunanze era il seguente: un'ora prima della levata del sole si escludevano dalla chiesa i fedeli e si chiudevano tutte le porte meno una; entravano i vescovi a due a due e si sedevano per ordine d'anzianità in semicerchio con le spalle rivolte all'altare; poi venivano i sacerdoti che prendevano posto sedendo dietro ai vescovi, quindi i diaconi, che rimanevano in piedi di fronte a questi; dopo i diaconi entravano i secolari eletti dal concilio per assistere alle deliberazioni, e da ultimo i notari. Chiusa la porta. gli assistenti rimanevano per un lungo tratto seduti in silenzio, fino a che, all'invito che l'arcidiacono di Toledo faceva ad alta voce dicendo Pregate, tutti si prostravano a terra e pregavano. Alzatisi, uno dei metropolitani o dei suffraganei pronunziava la preghiera allo Spirito Santo, e ciascuno degli altri metropoliti recitava a sua volta una prece; finalmente tutti si alzavano e i vescovi coi sacerdoti si sedevano. Allora un diacono in camice leggeva dal libro dei canoni i capitoli riguardanti la celebrazione del concilio o il sermone De pace di S. Ambrogio ovvero altri canoni indicati dal metropolitano, il quale, poi, esortava il concilio con un'allocuzione contenente il rituale. Dopo ciò entrava il re con la sua corte e postosi di fronte all'altare recitava una preghiera, quindi, rivoltosi agli ecclesiastici si prostrava, e, rialzatosi, si raccomandava alle loro preghiere, li esortava a procedere con giustizia e consegnava il Tomo Regio, contenente l'esposizione degli affari ch'egli sottoponeva alla deliberazione dell'assemblea. All'invito del diacono di pregare, i sacerdoti si prostravano a terra e veniva recitata una preghiera per il re, che in questo mentre era rivolto ad oriente. Quindi il presidente del concilio con l'esortazione o via regia del rituale, rispondeva al sovrano, al quale dopo la benedizione dava congedo con le parole: In nome del Signor nostro Gesù Cristo andate in pace. Partito il re, si faceva la lettura del Tomo Regio, poi, ammessi i sacerdoti e i diaconi che dovevano ricevere l'istruzione religiosa, si dava lettura del canone I del concilio XI Toletano, diretto ad evitare la confusione nell'assemblea, degli atti del concilio di Efeso e delle epistole di papa Leone sul mistero della Trinità. Di questo mistero, degli ordini sacri e del loro esercizio si trattava solo nei tre primi giorni, e al quarto, esclusi i chierici venuti per l'istruzione, s'incominciava la trattazione per ordine delle altre cause. Ogni canone era oggetto di una discussione (collatio), circa la quale i vescovi venivano esortati ad essere miti e moderati, evitando la violenza, l'ostinazione e le parole alterate. Trattandosi di affari d'interesse personale i chierici o i laici che si querelavano dovevano rivolgersi all'arcidiacono, il quale, ottenuta la licenza dal concilio, li introduceva affinché esponessero le loro ragioni. L'ultimo giorno si leggevano pubblicamente nella chiesa i canoni, e dopo firmati gli atti, i membri del concilio pregavano di nuovo prostrati a terra, ricevevano la benedizione, si scambiavano il bacio di pace e il diacono dichiarava chiuso il concilio. I concilî di Toledo furono in realtà un freno morale, sociale e religioso, irrobustirono la monarchia, rendendola nello stesso tempo più moderata, perché con certe disposizioni conciliari si ponevano limiti concreti all'autorità regia.
Dopo la riconquista di Alfonso VI (1085) furono tenuti a Toledo alcuni concilî (1086, 1143, 1166, 1323, 1324, 1339, 1354, 1355, 1379, 1582) con importanza secondaria. L'arcivescovo di Toledo è primate di Spagna. Furono, tra gli altri, arcivescovi di Toledo: S. Ildefonso (657-667), lo storico Rodríguez Ximénez (1210-47), il cardinale Pedro González de Mendoza (1482-1495) cancelliere di Ferdinando e Isabella, Francisco Ximénez de Cisneros (1495-1517), e il famoso cardinale Bartolomé de Carranza (1557-1576).
Bibl.: Tutte le storie e raccolte di atti di concilî (v. concilio) e inoltre San Román y Carbonero y Sol, Toledo religioso, Siviglia 1852; A. M. Gamero, Historia de la ciudad de Toledo, voll. 2, Toledo 1862; e inoltre: R. Altamira, Cuestiones de historia del derecho y legislación comparada, Madrid 1914; Pérez Puyol, Historia de las instituciones sociales de la Espana goda, Valenza 1896; Hinojosa, Historia del derecho español, Madrid 1887; R.de Urena, La legislación gótico-hispana, ivi 1905.