TOLEDO
(lat. Toletum; arabo Ṭulayṭula)
Città della Spagna centrale (Castiglia Nuova), sorta in un'ansa del fiume Tago, capoluogo della provincia omonima e della Comunità Autonoma di Castiglia-La Mancia.Le origini di T. risalgono a un villaggio carpetano conquistato nel 192 a.C. dall'esercito romano al comando di Marco Fulvio Nobiliore (Tito Livio, XXXV, 20). Le scarse testimonianze letterarie e archeologiche rendono difficile la conoscenza della città romana, che era un nodo fondamentale sulla via Emerita Augusta tra Mérida e Saragozza. Almeno a partire dal sec. 2° d.C. raggiunse un notevole sviluppo urbano, poiché sembra che esistessero due aree abitate: la collina con un recinto di mura come centro politico, amministrativo, religioso, e la pianura con un agglomerato sparso. In questa zona extra muros si trovavano il circo, costruito nell'ultimo terzo del sec. 1° e del quale si conservano resti che ne hanno permesso la restituzione (Sanchez-Palencía, Sainz Pascual, 1988), e un anfiteatro, oggi scomparso, situato nella zona delle Covachuelas. Sono state localizzate anche alcune villae: una, nella settecentesca Fábrica de Armas, da dove provengono due mosaici datati alla metà del sec. 3° (Balil, 1984), e l'altra, ugualmente con resti di mosaici, sulla Dehesa de la Alberquilla (Rey Pastor, 1929).In epoca visigota T., designata come civitas regia almeno a partire dal 546, diventò capitale della monarchia e sede di concili. L'unica informazione sulla città, raccolta nella Crónica mozárabe de 754, si riferisce alla restauración compiuta da Vamba nel 674, interpretata come ricostruzione delle mura, il cui unico resto potrebbe essere il c.d. muro Azor. La mancanza di resti archeologici rende tuttavia impossibile la restituzione della T. visigota. Alcuni anni fa, dopo uno scavo nella zona dell'attuale cappella del Cristo de la Vega, de Palol (1989) avanzò l'ipotesi dell'esistenza di un complesso palatino extra muros. Parallelamente, sembra probabile che sulla collina continuasse a esistere il nucleo urbano di epoca romana e la tradizione toledana fa risalire a epoca visigota le parrocchie di San Sebastián, di San Ginés, di San Lucas, di Santa Justa, Rufina y Tirso: gli unici resti che si conservano sono un pilastro con rilievi reimpiegato nella chiesa del Salvador (Schlunk, 1971), varie pietre squadrate inserite in diversi edifici e abbondanti frammenti di elementi architettonici o di uso liturgico conservati nella chiesa di San Román (Toledo, Mus. de los Concilios y de la Cultura Visigoda; Zamorano Herrera, 1974).Conquistata dai musulmani nel 711, T. rimase sotto la dominazione islamica fino al 1085, dipendendo prima dal potere centrale instaurato a Córdova (v.), poi, dal 1031, come capitale di un regno di Taifas governata dai Banū Dhū᾽l-Nūn. Questo periodo fu determinante per la configurazione urbana, fino al punto che ancora oggi sorprende l'assenza di piazze e di spazi aperti, a favore di un insieme compatto di case, con strade strette e interrotte, a volte coperte - dette cobertizos - per l'abbondanza nelle facciate di sporti che mettono in comunicazione i piani alti delle case situate sui due lati della strada.L'aspetto più singolare di T. è l'aver conservato il ricordo dei diversi settori che costituirono la città islamica, caratterizzati dalle loro funzioni specifiche: fortezza, madīna, quartieri periferici e ancora, extra muros, cimiteri e orti o almunias. Pertanto si può ancora distinguere l'area commerciale della città - antichi mercati - dai quartieri residenziali, e perfino interpretare i cigarrales che circondano T. come gli eredi delle almunias musulmane (Pérez Higuera, 1984; Delgado Valero, Pérez Higuera, 1991).Le continue insurrezioni dei toledani nei secc. 8° e 9° terminarono con l'intervento di ῾Abd al-Raḥmān III, che sottomise definitivamente la città nel 932 e per assicurarne il controllo ordinò la ricostruzione dell'insieme di fortificazioni utilizzando il recinto visigoto. Restarono così delimitati il perimetro della fortezza, detta al-Ḥizām o Ceñidor, tra il ponte di Alcántara e Zocodover, e la madīna o città propriamente detta, con la moschea maggiore, i mercati e i quartieri residenziali; erano inglobati in essa anche due quartieri periferici: a O quello degli ebrei, che già esisteva nel sec. 9° - tra gli od. Puerta del Cambrón e Paseo del Tránsito - e a N il quartiere noto in seguito come arrabal de Santiago. Ciascuno di questi settori era isolato grazie alle proprie mura e alle corrispondenti porte d'ingresso, alcune delle quali conservate, altre documentate in testi musulmani, mozarabici o cristiani. Da notare la Bāb al-Qanṭara, che dà accesso alla fortezza dal ponte, la Bāb al-Sharā nel quartiere nord e la Bāb al-Yahūd nel ghetto. Tutte conservano resti di epoca islamica, abbondanti anche in gran parte dei tratti di mura e distinti da ricostruzioni posteriori già cristiane per il tipo di apparecchiatura muraria e per la presenza di torri a pianta quadrata (Delgado Valero, Pérez Higuera, 1991, p. 85ss.).La fortezza (al-Ḥizām) era un recinto a pianta rettangolare: si sono conservati sia alcuni resti importanti nel settore N-E, vicino alla Puerta de Alcántara, sia parti del tratto occidentale delle mura che seguono la linea dell'od. plaza de Zocodover. Come previsto dalla sua funzione di centro di potere, la fortezza comprendeva un alcazar, costruito in pietra da ῾Abd al-Raḥmān III, che occupava la stessa area dell'attuale, benché le uniche testimonianze del sec. 10° siano un arco a ferro di cavallo conservato all'interno, tre capitelli e un basamento provenienti da vari ritrovamenti (Toledo, Mus. de Santa Cruz). Nel sec. 11°, diventando T. capitale di un regno di Taifas indipendente, il re al-Ma'mūn costruì nuovi palazzi, scomparsi nel Tardo Medioevo; rimane unicamente la cappella di Belén, nell'antico convento di Santa Fé, tradizionalmente identificata con l'oratorio privato del re; un restauro del 1988 ha però dimostrato l'assenza del miḥrāb, interpretando la struttura come una qubba o padiglione, probabilmente parte dell'alcazar al-Mukarram (il Venerato), cui alludono i testi (Delgado Valero, Pérez Higuera, 1991, p. 171).
All'interno della madīna l'edificio più importante doveva essere la moschea maggiore, sul luogo dell'od. cattedrale gotica. L'unica informazione disponibile si riferisce alla costruzione di un nuovo minareto, dopo la distruzione del precedente nel 871. Intorno all'edificio si raggruppavano i mercati permanenti, divisi in settori specializzati a seconda dei prodotti, in molti casi ancora oggi localizzabili grazie ai toponimi delle strade o ai riferimenti nei documenti di epoca cristiana, soprattutto quelli mozarabici dei secc. 12° e 13° (Gonzáles Palencia, 1926-1930; Molenat, 1981; 1982).Il resto della madīna era occupato da case, mantenendo così l'abituale tendenza islamica a separare i quartieri residenziali dalla zona commerciale. Si sono conservati resti di epoca musulmana come la casa, apparentemente califfale, scoperta recentemente nella calle de la Soledad, e diversi archi risalenti al sec. 11°: al nr. 7 della plazuela del Seco, al nr. 19 della calle de las Bulas e al nr. 7 di Nuñez de Arce. Degli edifici religiosi rimangono due moschee di quartiere, quella nota come moschea del Cristo de la Luz, datata grazie a un'iscrizione al 999-1000, e quella della calle de Tornerías, costruita nel sec. 11° secondo lo stesso modello (Porres Martín-Cleto, 1983; Lavado Paradinas, 1988).Intorno alla città, extra muros, si sviluppava un insieme di giardini e orti, esistenti ancora in epoca cristiana, e tra questi l'orto reale taifa, utilizzato poi dai re castigliani con il nome di orto o giardino del Re, che, molto trasformato, si conserva ancora nei palazzi di Galiana (Pérez Higuera, 1984, p. 36; Delgado Valero, Pérez Higuera, 1991, p. 343ss.).Quando nel 1085 T. passò alla Corona di Castiglia, le condizioni della capitolazione cercarono di evitare che si spopolasse una città che doveva suscitare grande ammirazione nei Castigliani. Si garantirono ai musulmani che vi rimanevano la proprietà dei loro beni e il diritto di conservare la loro religione, la loro lingua e i loro giudici. Questa fu l'origine dei mudéjares, che, insieme a Castigliani, Leonesi, Franchi ed Ebrei, costituirono la popolazione di T. nel Tardo Medioevo. Come ha segnalato Torres Balbás (1958), negli anni immediatamente successivi alla conquista, essi vivevano nelle case dei musulmani e si servivano delle loro moschee, dei loro bagni e dei loro mercati. Poi, con un lungo processo, la città si andò adattando alle abitudini dei nuovi abitanti: si costruirono chiese parrocchiali, che assimilavano la tradizione islamica nella c.d. architettura mudéjar e, soprattutto, una grande cattedrale gotica; mediante la demolizione di case si aprirono alcune strade dritte e larghe e si ottennero spazi più ampi, come la piazza organizzata davanti alla cattedrale, nel 1334, o la tardiva trasformazione del Zocodover nell'abituale piazza porticata delle città castigliane. In questo modo, nell'urbanistica medievale, T. diventò il prototipo di città mudéjar, e fu necessario aspettare il sec. 16° perché il trionfo delle idee italiane giustificasse il desiderio di conferire alla città una nuova immagine urbana, progetto tentato soprattutto dal podestà Gutierrez Tello ai tempi del re di Spagna Filippo II (1556-1598).L'attuale dedicazione di quella che fu la moschea, oggi chiesa del Cristo de la Luz, trae origine nella tradizione toledana da un'immagine di Cristo crocifisso che, illuminata da una lampada, fu miracolosamente scoperta da Alfonso VI il Valoroso (1065-1109) quando entrò nella città nel 1085. Nel 1186, quando fu donata all'Ordine degli Ospedalieri di s. Giovanni di Gerusalemme, venne consacrata come cappella della Santa Cruz, e fu aggiunta allora l'abside mudéjar sul lato orientale del primitivo edificio. La moschea fu costruita nel mese di muḥarram del 390 a.E./3 dicembre 999-11 gennaio 1000, sotto la direzione dell'architetto Mūsā ibn 'Alī e di Sa῾ada, e finanziata da Aḥmad ibn Ḥadīdī, come riporta un'iscrizione in caratteri cufici posta sulla parte alta della facciata sudoccidentale, scoperta nel 1899 e letta correttamente alcuni anni fa (Ocaña Jimenez, 1949).
L'edificio presenta pianta quasi quadrata (m 7,74-8,60) con quattro colonne al centro che lo dividono in nove campate coperte da piccole volte di tipo califfale con archi intrecciati. L'utilizzazione di questa tipologia architettonica come moschea è stata studiata da King (1972; 1989), il quale ha segnalato una serie di esempi che arrivano fino a Balkh, in Afghanistan, anche se per T. esistono precedenti vicini di epoca aghlabide nell'Africa settentrionale, come la moschea di Bū Faṭāṭā a Susa e quella delle Tre Porte a Kairouan (Pérez Higuera, 1984, p. 21; 1999; Delgado Valero, 1996). Il suo grande interesse consiste nell'essere nello stesso tempo il punto finale dell'arte del califfato di Córdova e l'inizio del mudéjar toledano. Contrariamente al parere di alcuni autori (Gómez Moreno, 1951, p. 201), che la inseriscono nel periodo dei regni di Taifas, la data di costruzione e i caratteri architettonici corrispondono in pieno all'arte califfale di Córdova del sec. 10°, come provano il tipo di arco a ferro di cavallo e il suo sistema di appoggio su cimase cruciformi, o il modello delle volte a base di archi intrecciati con diversi tracciati, la cui distribuzione ha suggerito l'ipotesi di un possibile schema a forma di T, che si ispira evidentemente alla maqṣūra della moschea di Córdova (Ewert, 1977). A questa imitazione di Córdova risponde anche l'organizzazione decorativa delle facciate: la sovrapposizione di archi e l'uso dell'arco lobato nella facciata nordorientale, così come gli archi a ferro di cavallo intrecciati della facciata sudoccidentale, sono forme che rimandano agli ordini di archi del miḥrāb o della cappella di Villaviciosa nella moschea di Córdova. A sua volta, però, la moschea del Cristo de la Luz costituisce l'origine del mudéjar toledano caratterizzandosi per l'uso di certi materiali che non hanno confronti in altre opere califfali, come l'apparecchio murario di pietrame e mattoni di tradizione locale, che si fa risalire all'epoca romana, o l'uso di fusti di ceramica invetriata negli archetti ciechi intrecciati, situati nella parte alta del muro interno della qibla, che si ripeté poi nei campanili mudéjares di San Tomé, San Román e San Miguel el Alto. Arrivarono a essere caratteristici del mudéjar toledano anche alcuni elementi formali, come la combinazione dell'arco a ferro di cavallo coperto da un altro lobato, i fregi a dente di lupo o gli archi intrecciati.Con la tecnica locale di pietrame e mattoni, materiali fondamentali per definire l'architettura mudéjar, furono ricostruite nel corso del sec. 12° le antiche parrocchie mozarabiche o furono adattate al culto cristiano alcune moschee, opere che costituiscono la prima fase del mudéjar toledano (Gómez Moreno, 1916). La pianta basilicale con capocroce rettilineo e l'uso dell'arco a ferro di cavallo semicircolare per separare le navate sono le note essenziali che caratterizzano il gruppo, costituito dalle attuali chiese di Santa Eulalia, San Sebastián e San Lucas; nel gruppo si deve includere anche San Román, le cui navate seguono questo modello, mentre il capocroce risponde a un prototipo più tardo che, insieme alla decorazione pittorica dei muri, deve corrispondere alla consacrazione del 1221 riportata negli Anales Toledanos (Delgrado Valero, Pérez Higuera, 1991, pp. 233-241). Lo stesso criterio di adattamento a nuove funzioni è stato applicato ad alcune torri che presentano struttura a pianta quadrata con maschio centrale intorno a cui si dispone la scala, simile al tipo di minareto di epoca califfale, come negli esempi conservati a Santiago del Arrabal, San Bartolomé, San Lucas, San Cipriano e San Sebastián. Tutte le suddette torri ripetono la soluzione di piccole volte a sporto come appoggio per le rampe di scala, che fu poi una costante nel mudéjar toledano, e presentano un esterno di muri lisci con apparecchio di pietrame listato; in periodi diversi è stato poi aggiunto un corpo superiore in mattoni per le campane.Dalla fine del sec. 12° appaiono a T. strutture architettoniche proprie del Romanico, probabilmente come conseguenza dell'insediamento nella città di gruppi di castigliani provenienti dalla zona nord della Meseta. Ebbe inizio una seconda fase del mudéjar, caratterizzata dall'impiego di capocroci a pianta semicircolare di tipo romanico, e l'esempio più antico di cui sia nota la data è l'abside del Cristo de la Luz, consacrata nel 1187, la cui somiglianza con opere del centro di Sahagún, nel León, risulta evidente. In un primo momento le absidi vennero aggiunte semplicemente a un'antica moschea, come nel caso del già citato Cristo de la Luz o nella chiesa di Santa Justa y Rufina. A partire dalla metà del sec. 13°, dopo la vittoria de las Navas de Tolosa, nel 1212, che assicurò il territorio di fronte all'al-Andalus, progetti più ambiziosi sostituirono le modeste costruzioni utilizzate fino ad allora. In questa seconda fase si possono distinguere due modelli. Il primo ispirato chiaramente al mudéjar castigliano, con pianta a tre navate e tripla abside nel capocroce, come nelle chiese di Santiago del Arrabal, Santa Leocadia (Cristo de la Vega) e la primitiva chiesa di San Antolín, della quale si conserva soltanto l'abside laterale sinistra, inglobata nell'od. chiesa di Santa Isabel de los Reyes. Il secondo modello crea una variante locale con un'unica abside di grandi dimensioni, o prolungata in una navata (Cristo de la Vega, San Vicente), oppure combinata con una pianta a tre navate, dove però le laterali terminano con testate rettilinee (San Bartolomé).Per quanto riguarda i sistemi di costruzione, certi caratteri distinguono il mudéjar toledano: le absidi presentano basamento semicircolare di pietrame, ma la parte superiore si trasforma in pianta poligonale di tanti lati quanti sono i moduli che compongono le fasce di archi ciechi in mattoni (Montoya, 1973); tra essi si alternano archi a tutto sesto a doppia ghiera, derivati dal Romanico castigliano, e archi a ferro di cavallo, spesso estradossati da altri lobati, formula che rinvia a precedenti califfali. L'origine califfale è evidente anche per lo schema di composizione delle facciate, con esempi che si conservano a Santiago del Arrabal e a Santa Leocadia: arco a ferro di cavallo coperto da un arco lobato - versione in mattoni dell'arco della cappella di Villaviciosa nella moschea di Córdova - e sopra un fregio di archi intrecciati; tutto l'insieme risulta poi inquadrato da due pilastrini laterali che terminano con mensole per sorreggere la gronda; questa soluzione, che deriva dall'architettura almohade, divenne caratteristica dei portali dei palazzi toledani del 14° e 15° secolo.L'impatto del modello architettonico romanico unito alla tradizione islamica domina questa seconda fase del mudéjar toledano fino al punto che l'influenza gotica si percepisce appena in certi dettagli isolati, come l'inserimento di bande verticali a mo' di contrafforti nell'abside di Santa Fé, una delle poche opere datate dove si stava lavorando nel 1253 e nel 1266, o la comparsa di grossolani rosoni nelle cuspidi, come a Santiago del Arrabal e a Santa Ursula.A questa fase corrisponde un tipo di torre la cui cronologia si inquadra tra la fine del sec. 13° e il corso del secolo successivo. Mantenendo un corpo basso in pietrame, come negli esempi della prima fase, si decorò la parte alta con uno o più fregi di archi ciechi, lobati o intrecciati, a volte su colonnine di ceramica invetriata di colore verde o miele. Il corpo alto, destinato a torre campanaria, presenta su ogni lato un doppio vano con archi a ferro di cavallo a sesto acuto, come a Santa Leocadia, a San Miguel el Alto o alla Concepción Francisca; esso viene sostituito dall'abituale combinazione di archi a ferro di cavallo estradossati da archi lobati a San Román, a San Tomé e a San Pedro Martir.Nel corso dei secc. 12° e 13°, T. non fu soltanto un centro creatore dell'arte mudéjar, a partire dall'eredità califfale e taifa, ma anche un centro che, ricevute nuove influenze dall'alAndalus e dal Maghreb, le trasmetteva poi alle terre settentrionali della Meseta. Così si spiega la comparsa a T., prima della conquista di Siviglia, di forme almoravidi e almohadi in opere di cronologia incerta ma sempre anteriori all'ultimo terzo del sec. 13°, come i resti di un palazzo nel convento di Santa Clara la Real, la sinagoga di Santa María la Blanca, due piccole volte a motivi a intreccio nel transetto di San Andrés e i sepolcri con decorazione a stucco di Fernando Pérez, nel convento di Santa Fé, e di Fernando Gudiel, nella cattedrale. Queste opere sembrano essere legate all'arrivo a T. e nella regione circostante di gruppi di mozarabi provenienti dall'al-Andalus, spinti dall'atteggiamento rigorista di almoravidi e almohadi (Pérez Higuera, 1995, p. 35). Tra gli esempi citati risalta la sinagoga di Santa María la Blanca, opera molto discussa quanto alla filiazione, essendo considerata da vari autori almohade, benché la sua costruzione sotto il dominio castigliano sembri favorirne l'ascrizione all'arte mudéjar. Tuttavia, non è stata identificata tra le sinagoghe esistenti a T. citate in un poema del 1391 di Ya'aqob Albeneh (Cantera Burgos, 1955), né esiste un'opinione comune riguardo alla sua datazione; è perfino possibile ipotizzare diverse tappe o modifiche tra i primi anni e l'ultimo terzo del sec. 13° (Delgado Valero, Pérez Higuera, 1991, pp. 396-381).
L'elevato numero di chiese conservate appartenenti ai secc.12° e 13° ha fatto sì che l'interesse degli studi e delle indagini dell'arte mudéjar si incentrasse sull'architettura religiosa. Non mancano, tuttavia, a T. testimonianze sufficienti per stabilire un'evoluzione della tipologia dei palazzi mudéjares, a partire dal modello ispano-musulmano: un patio a pianta rettangolare sui cui lati brevi, dietro a portici, si trovano le sale da ricevimento che ripetono invariabilmente la disposizione di stanza allungata con alcove quadrate agli estremi. Questa formula appare già nel citato palazzo del convento di Santa Clara la Real, degli inizi del sec. 13° (Martínez Caviró, 1973; Delgado Valero, Pérez Higuera, 1991, pp. 163-169), e si mantiene nel corso del 14°: ne sono esempi il Taller del Moro, del secondo quarto del secolo (Martínez Caviró, 1980, p. 216ss.; Delgado Valero, Pérez Higuera, 1991, pp. 395-403) e il Salón de Mesa, tra il 1360 e il 1380 (Porres Martín-Cleto, 1977; Martínez Caviró, 1977; 1980, p. 274; Delgado Valero, Pérez Higuera, 1991, pp. 359-367). A partire dalla fine del sec. 14° si diffuse il modello propriamente mudéjar, con patio a pianta quadrata e gallerie sui quattro lati, il cui prototipo è il palazzo di Fuensalida, costruito da Pedro López de Ayala intorno al 1440 (Martínez Caviró, 1980, p. 231ss.; Delgado Valero, Pérez Higuera, 1991, pp. 331-341).Questi palazzi, insieme ad altri edifici, permettono di studiare l'evoluzione dei temi decorativi negli stucchi che decorano i muri delle sale, aspetto molto singolare e caratteristico del mudéjar toledano. Negli esempi più antichi - palazzo di Santa Clara; decorazione delle navate di Santa María la Blanca - il motivo fondamentale è la piccola palma doppia, con impronta di chiara origine almoravide, che si mantenne poi come costante negli sfondi della decorazione toledana. Nella prima metà del sec. 14°, lo schema di sebka e il tipo di foglia allungata o 'baccello' pieno di spirali vegetali, caratteristico dell'arte del periodo nazarí, si imposero negli stucchi del Salón de Don Diego o del Taller del Moro; a partire dalla metà del secolo, tali motivi si mescolarono ai temi naturalistici - foglia di vite o di quercia - simili a quelli utilizzati nella decorazione in pietra degli edifici gotici. Questa fusione tra la tradizione islamica e il naturalismo gotico è perfettamente documentata negli stucchi della sinagoga del Transito, costruita tra il 1354 e il 1357 da Samuel ha-Levi Abulafia, tesoriere del re Pietro I di Castiglia (Delgado Valero, Pérez Higuera, 1991, pp. 383-393), e rimase nel mudéjar toledano per la seconda metà del sec. 14°, com'è dimostrato dai palazzi degli Ayala nella Santa Isabel de los Reyes, nel Salón de Mesa e in un arco dell'ormai scomparso palazzo detto del re Don Pedro, trasferito ora nel convento della Concepción Francisca (Martínez Caviró, 1981; Delgado Valero, Pérez Higuera, 1991, pp. 349-351).
Secondo la tradizione toledana, la cattedrale occupa il luogo dove sorgeva la chiesa visigota di Santa María, probabilmente la stessa citata come sede dei concili del 655 e del 675, e dove ebbe luogo l'apparizione della Vergine a s. Ildefonso per consegnargli la pianeta. Ancora oggi, in uno dei pilastri dell'edificio gotico, detto della Descensión, si venera la pietra su cui la Vergine posò i piedi e la sua ubicazione porta a localizzare la chiesa visigota nell'angolo nordoccidentale, dove una prospezione realizzata alcuni anni fa indica i resti di una costruzione, corrispondenti forse a una pianta a croce greca, la cui cappella maggiore coincide con la campata contigua al citato pilastro della Descensión (Conrad von Konradsheim, 1980). Dopo la conquista musulmana, la chiesa diventò moschea maggiore, benché manchino dati relativi all'utilizzazione, all'adattamento o alla riedificazione. Solo Ibn Ḥayyān, nel Muqtabis, segnala che nell'871 l'emiro Muḥammad I autorizzò la ricostruzione del minareto, aggiungendo alla sala di preghiera la chiesa contigua a detto minareto. La prospezione sopra citata localizzò le fondamenta di un edificio a pianta rettangolare che, inglobando la chiesa visigota, si prolunga verso S, e a E quasi fino all'od. transetto; esso potrebbe corrispondere alla moschea musulmana, con probabile disposizione di undici navate perpendicolari al muro meridionale o qibla.Nel 1085, quando T. passò sotto la dominazione cristiana, una delle condizioni di capitolazione della città fu che la moschea maggiore rimanesse dedicata al culto musulmano; la condizione non fu rispettata poiché risulta dagli Anales Toledanos che il 6 novembre 1086 veniva consacrata come tempio cristiano, anche se durante il sec. 12° si continuò a utilizzare l'edificio dell'antica moschea. A partire dal Duecento, consolidatosi il potere castigliano dopo la battaglia de las Navas de Tolosa, si intraprese la costruzione di una nuova cattedrale, la cui prima pietra fu posta il 14 agosto 1226, nel corso di una solenne cerimonia a cui, secondo quanto riportano gli Anales Toledanos, assistettero il re Ferdinando III e l'arcivescovo Rodrigo Ximenez de Rada.Il modello adottato è caratterizzato dalla pianta 'a sala', con cinque navate senza transetto sporgente e con doppio deambulatorio, e, dove la notevole altezza della navata intermedia permette di ripetere la stessa organizzazione di quella centrale, con triforio e finestre. Appartiene pertanto al gruppo denominato da Héliot (1965) 'famiglia monumentale' di Bourges, anche se certi particolari ne dimostrano l'originalità. Così, la scarsa profondità del capocroce fa sì che l'abside con doppio deambulatorio assomigli a uno spazio centralizzato, dove la chiave di volta della cappella maggiore è il centro di una grande circonferenza inserita nel corpo rettangolare delle navate. Questa volontà di enfatizzare la zona del presbiterio è accentuata dalla soluzione applicata al tracciato del deambulatorio, con campate rettangolari separate da altre triangolari, il che si riflette nel sistema di copertura, con alternanza di volte a croce su pianta quadrata o triangolare; questa disposizione, che ha precedenti nelle cattedrali di Bourges (1200) e di Le Mans (1217), raggiunge a T. il suo massimo sviluppo (Lorente Junquera, 1937; Conrad von Konradsheim, 1976). D'altra parte, lo scarso spazio disponibile per la cappella maggiore rimase ridotto a una sola campata, dato che nella metà orientale fu collocata la cappella della Santa Cruz, destinata a pantheon dei re di Castiglia; di conseguenza, il coro dei canonici dovette essere spostato nella navata centrale, ubicazione che, già adottata dal maestro Mateo in Santiago de Compostela, fu poi imitata nelle altre cattedrali spagnole.L'autore del progetto e primo architetto fu un maestro Martin, citato nel 1227 e nel 1234 come maestro dell'opera (de Estella, 1926; Vegué Goldoni, 1926), che iniziò la costruzione dal capocroce, su terreni occupati dagli antichi mercati musulmani. Il 10 luglio 1238 vennero fondate quattordici cappellanie nelle cappelle del deambulatorio, il che dimostra che era già terminata la navata esterna del deambulatorio, e nel 1247, quando morì Ximenez de Rada, l'opera doveva essere giunta al transetto, e si continuò la costruzione sul lato meridionale a causa della presenza della moschea, come conferma l'analisi architettonica (Lambert, 1931). In questi anni, alla metà del sec. 13°, il maestro Petrus Petri, probabilmente di origine francese, dovette farsi carico dei lavori e a lui si attribuisce la costruzione delle parti alte del deambulatorio, dove sono inserite forme decorative ispirate chiaramente all'arte ispano-musulmana, come gli archi lobati del triforio o il sistema di archi intrecciati nel presbiterio. Il deambulatorio dovette essere completamente terminato nel 1289, data di un diploma di Sancio IV (m. nel 1295) nel quale si dispone che in quel luogo fosse costruita la cappella della Santa Cruz come pantheon reale; nello stesso anno vi furono traslati i corpi di Alfonso VII e di Sancio III e successivamente vi fu sepolto lo stesso Sancio IV. Distrutta nel 1498 per modificare il presbiterio, dell'opera primitiva si conservano solo alcune statue installate nell'od. cappella maggiore.Alla morte di Petrus Petri, nel 1291, di nuovo un maestro francese dovette dirigere i lavori. In assenza di dati documentari, l'analisi di ciò che fu costruito nella prima metà del sec. 14° avvalora questa ipotesi, precisando perfino che si trattò di un architetto che conosceva bene lo stile sviluppatosi a Parigi nella metà del sec. 13°, come dimostra la Puerta del Reloj nel transetto settentrionale, datata intorno al 1300. Benché molto rovinata da trasformazioni subìte nel sec. 18°, si può affermare che il modello originale derivi dai portali del transetto di Notre-Dame a Parigi, e ciò è confermato dalla decorazione scultorea del timpano e degli stipiti (Pérez Higuera, 1987). Anche la costruzione delle navate riflette questa influenza parigina e il primitivo progetto venne modificato sopprimendo il triforio, in accordo con il nuovo vocabolario del Gotico rayonnant, che si avvertono anche nel traforo delle finestre delle navate e nei rosoni del transetto. Entro la prima metà del sec. 14° si realizzò la parte inferiore della facciata occidentale, il cui portale centrale, detto del Perdón, presenta incisa la data del 1337 nella decorazione delle porte in bronzo. Alla fine del secolo erano già coperte le navate laterali, il che permise la fondazione e la costruzione della cappella dei Reyes Nuevos come pantheon della casa reale dei Trastámara; essa occupava le due campate più occidentali della navata collaterale nord, vicino al pilastro della Descensión, secondo quanto risulta dal testamento di Enrico II del 1374, anche se i lavori si protrassero per i primi anni del 15° secolo. Fu demolita nel 1534, quando il luogo di culto fu trasferito, insieme ai corpi e alle tombe dei re, in una nuova cappella costruita nel deambulatorio da Alonso de Covarrubias tra il 1529 e il 1534. Da una descrizione coeva si deduce che era un'opera mudéjar, con decorazioni a stucco e volte con motivi a intreccio (Pérez Higuera, 1985).A partire dall'ultimo terzo del sec. 14°, all'epoca dell'arcivescovo Pietro Tenorio (1376-1399), si avvertono la scomparsa dell'influenza francese, che andava dominando fin dall'inizio della costruzione, e la nascita di una scuola locale che si può definire Gotico toledano, poiché estese la sua attività su un'ampia zona di Castiglia ed Estremadura. Una delle sue note caratteristiche è l'assimilazione della tradizione islamica, che si manifesta, per es., nel tipo di portale, ad arco a sesto acuto incorniciato da modanature a mo' di alfiz e dove scompare la decorazione scultorea nel timpano e negli stipiti, modello utilizzato nei portali di S. Caterina e di S. Biagio nel chiostro della cattedrale. Attraverso i libri dell'Opera e della Fabbrica si conosce l'attività dei maestri che fecero parte di questa bottega toledana. Il più antico registrato è un maestro Enrique, che nel 1383 era 'maestro principale', incarico che nel 1389 era già svolto dal suo successore, il maestro Rodrigo Alfonso. In questo periodo venne portata a termine la cappella di S. Ildefonso nel deambulatorio, per la sepoltura del cardinale Albornoz, considerata l'origine del tipo di cappella funeraria a pianta centrale, coperta da volta a croce stellata, tanto frequente nel Gotico ispanico del 15° e 16° secolo. Si realizzò anche la copertura del coro, nella navata centrale, decorato con un'interessante serie di rilievi con scene dell'Antico Testamento, in un ciclo che va dalla Creazione fino alla Consegna della Legge a Mosé sul Sinai (Franco Mata, 1987). Nel 1389 si iniziarono infine i lavori del chiostro, dove l'arcivescovo Tenorio costruì la sua cappella funeraria (SanchezPalencía, 1975; 1985), decorata con dipinti murali, oggi quasi scomparsi, che segnano l'introduzione a T. dello stile trecentesco italiano (Angulo Iñiguez, 1931; Bosque, 1962; Piquero López, 1984), e dove si conserva ancora la sua tomba, opera firmata da Fernán Gonzales (Pérez Higuera, 1978).Come immagini di culto la cattedrale conserva la Virgen del Sagrario (fine sec. 12°), nell'omonima cappella, e la Virgen Blanca, opera francese (fine sec. 13°), presso l'altare del coro.Il Mus.-Tesoro Catedralicio conserva una Bibbia moralizzata, detta Biblia Rica di s. Luigi, dono del re di Francia ad Alfonso X il Saggio (1252-1284), come attesta il suo testamento, e donata poi da Sancio IV alla cattedrale. L'ambiente ottagonale, detto Ochavo, è parte del complesso della cappella della Virgen del Sagrario e fu concepito per custodire le reliquie della cattedrale, conservate entro reliquiari nelle nicchie che occupano ciascuno dei lati; tra quelli di epoca medievale risaltano il Tablero, manufatto del sec. 13° in argento dorato con ventotto reliquie, e numerose statue-reliquiario del 14° e 15° secolo. Nel museo della sacrestia si conservano: il cofanetto d'argento di S. Eugenio (sec. 12°); due cofanetti di smalto della bottega di Limoges (inizi sec. 13°); una Vergine francese d'avorio (fine sec. 13°); vari manufatti di oreficeria (secc. 14°-15°); gli oggetti provenienti dalla tomba di Sancio IV (corona, spada, speroni, tessuti musulmani). All'interno del museo delle stoffe, situato nei pressi dell'antico 'vestuario' della cattedrale, sono conservati, tra gli altri, il piviale dell'arcivescovo Sancio, tessuto mudéjar del sec. 13°, e il piviale del cardinale Albornoz, della prima metà del 14° secolo. Nell'ambito della produzione di tessuti in opus anglicanum occorre ricordare due bandiere marinare provenienti dalla battaglia del Salado (1344) e una mitra ricamata del cardinale Cisneros. Nel museo della Casa del Tesoriere, allestito nel 1980-1985, si conservano opere medievali, come una scultura raffigurante Mosè (sec. 14°) e una della Vergine con il Bambino, proveniente da San Tomé, che prende a modello la Virgen Blanca del coro, nonché vesti e oggetti di uso liturgico.Il Mus. de Santa Cruz conserva, tra l'altro, i fondi dell'antico Mus. Arqueológico creato nel 1887 e trasferito in questo edificio nel 1919, e fu inaugurato come museo nel 1935. Dopo il restauro, portato a termine tra il 1956 e il 1958, fu inaugurato nuovamente nel 1958. La sezione archeologica raggruppa i resti della cultura ispano-musulmana, con una importante collezione di lapidi con epigrafi e di elementi architettonici del 10° e 11° secolo.Il Mus. Taller del Moro fu creato nel 1961 e inaugurato nel 1963. L'allestimento museografico è condizionato dall'edificio: il salone di un palazzo mudéjar formato dalla sala centrale rettangolare e da due alcove quadrate agli estremi. Ospita mostre delle arti suntuarie e dell'artigianato mudéjares, e notevoli sono i pannelli di azulejas toledane, gli orci e i parapetti di pozzo in terracotta, a volte invetriata. Nell'alcova di destra sono inoltre raggruppati oggetti di legno provenienti da edifici di T., risalenti per la maggior parte al sec. 14°, e nell'alcova di sinistra un fonte battesimale di ceramica invetriata in verde e bianco, proveniente dalla parrocchia di Santo Tomé.Il Mus. Sefardi, nella sale annesse alla sinagoga del Transito, venne creato nel 1964 con lo scopo di riunire e conservare le testimonianze disperse della cultura ebraico-spagnola. In esso sono esposti i resti archeologici conservati in Spagna dall'arrivo degli ebrei in epoca romana; oltre alle lapidi sepolcrali, tra gli altri oggetti, vi è custodita la piletta trilingue trovata a Tarragona e datata al 5° secolo.Il Mus. de los Concilios y de la Cultura Visigoda, allestito nella chiesa di San Román, fu creato nel 1969 per custodire le testimonianze della cultura visigota; vi si espongono resti architettonici, provenienti per la maggior parte da T., e testimonianze dei concili di T., tra cui di speciale interesse è un frammento del Credo epigrafico trovato nel 1956 nella basilica di Santa Leocadia, datato al sec. 7° (De Jorge Aragoneses, 1957; Schlunk, 1970), nonché il corredo funerario proveniente dalla necropoli di Caripo de Tajo, riportata alla luce nel 1924.
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