TOLOMEO Claudio (Πτ. Καύδιος)
Astronomo, matematico, geografo fisico e cronologo, nato in Egitto (Tolemaide Hermeia?) e fiorito all'epoca degli Antonini (138-180 d. C.). In base a induzioni suggerite da alcuni passi delle sue opere, F. Boll fissa gli anni di nascita e di morte di T. rispettivamente nel 100 e nel 178 d. C. Certo è che egli viveva ad Alessandria nel secondo quarto del sec. II d. C. La sua popolarità come astronomo deriva soprattutto dal famoso sistema geocentrico che, dal suo nome, è detto tolemaico, e che imperò nell'insegnamento dell'astronomia per ben quattordici secoli, cioè fino a quando Copernico espose, alla metà del sec. XVI, il nuovo sistema eliocentrico. Si può dire, in linea generale, che l'influenza del pensiero di T. fu fino a quell'epoca così profonda ed estesa, in tutto l'Oriente e in Europa, che nessun'altra influenza, se si eccettua quella di Aristotele, si può ritenere di effetto maggiore.
La principale opera di T. è un grande trattato astronomico-matematico dal titolo Μαϑηματικὴ σύνταξις, sostituito già nell'antichità conΜεγάλη μαϑηματικὴ σύνταξις τῆσ ἀστρονομίας. Gli Arabi che ne intrapresero la traduzione fin dai tempi di Hārūn ar-Rashīd (786-809), trovarono nel loro testo sostituito l'epiteto μεγάλη con il superlativo μεγίσπη; lo conservarono nella forma greca, quasi fosse un nome proprio, designante per sé solo l'opera, solo premettendogli l'articolo arabo, e ne fecero elMagisṭī, che divenne prima Almagesti, poi Almagestum presso i traduttori latini medievali. Tal nome ebbe fortuna in Occidente, dove continua ad essere usato tuttora.
L'Almagesto di T. rappresenta il massimo punto raggiunto dall'astronomia sferica e di osservazione dell'antichita; esso dà la dimostrazione matematica dei metodi di calcolo da seguire, ed espone le osservazioni di varie epoche mediante le quali furono determinati gli elementi astronomici dei calcoli e quindi delle tavole dei moti celesti. Esso si fonda principalmente sulle ricerche e sulle dottrine di Ipparco, che T. chiama ϕιλόπονος καὶ ϕιλαληϑής e verso il quale esprime più volte la più grande ammirazione. Disponendo dei lavori e delle osservazioni di Ipparco, T. si adoperò a perfezionarne le teorie, quantunque confessi, d'altra parte, di non aver potuto, il più delle volte, che confermare quello che era stato trovato dal suo grande predecessore.
L'Almagesto consta di tredici libri: il I tratta dei principî dell'astronomia e della trigonometria sferica, il II dei problemi relativi alla sfera celeste. L'autore ammette che i cieli sono sferici e girano come una sfera. mentre la Terra, sferica anch'essa e situata al centro dei cieli, è semplicemente un punto in confronto alla distanza delle stelle fisse, e non ha nessun movimento. Nel libro III si tratta dei moti del Sole e della durata dell'anno, e nel IV della teoria della Luna e del mese. In questo libro T. espone una delle sue più importanti scoperte, quella cioè di una seconda ineguaglianza nel movimento della Luna, oggi nota con il nome di evezione. T. riuscì con questo a rappresentare così bene le sue osservazioni lunari, che l'errore raramente superava 1°, quantità molto piccola rispetto allo stato dell'astronomia dell'epoca. Nel libro V, proseguendo l'esposizione della teoria della Luna, discute la distanza di questo astro e del Sole dalla Terra, e trova che la distanza della Luna è 59 volte il raggio terrestre, quella del Sole 1200 volte. Questo secondo valore, che è sostanzialmente quello ottenuto da Ipparco, è molto lontano dal vero (23.439 raggi terrestri), rappresentandone circa 1/20. Nel libro V, T. descrive il più importante strumento astronomico dell'epoca, inventato da Ipparco, cioè l'astrolabio armillare, col quale T. osservava gli angoli con la precisione di circa 4′. Nel libro VI egli parla delle eclissi di Sole e di Luna. I libri VII e VIII contengono un catalogo di 1028 stelle e una discussione sulla precessione. Recenti ricerche di C. H. F. Peters e E. B. Knobel confermano quanto già Tycho Brahe aveva detto, cioè che il catalogo di T. è stato dedotto da quello di Ipparco, costituito due secoli e mezzo prima, con l'applicazione di una costante di precessione inesatta. L'epoca del catalogo si riferisce all'anno 137 d. C., il che prova che l'opera non può essere il frutto delle osservazioni proprie di T. Infatti il catalogo non contiene che le stelle visibili sull'orizzonte di Rodi (dove osservava Ipparco), e quantunque Alessandria (dove viveva T.) si trovi 5°,25′ più al sud di Rodi, il catalogo comprende 58 stelle di meno, mentre ne avrebbe dovuto contenere un numero più grande. Sembrerebbe, anzi, che T. avesse soppresso una cinquantina di stelle, se dobbiamo ritenere esatto quanto dice Achille Tazio (400 d. C.) e cioè che le stelle di Ipparco erano 1080. Ad ogni modo, il catalogo di T. ha servito di base, durante più di 14 secoli, ad un numero considerevole di cataloghi che si potrebbero dire derivati, perché formati con le stelle di Ipparco-Tolomeo, alle quali veniva applicata una precessione più o meno bene calcolata. Quanto al valore della precessione annuale, T. commise un errore abbastanza forte, ritenendo che fosse di 36″ (il vero valore è di 50″), ossia attenendosi al minimo dei due valori estremi (36″ e 46″,8), che Ipparco, due secoli e mezzo prima, avesse trovato per tale precessione. Alla fine del libro VIII T. parla della Via Lattea e della costruzione dei globi celesti.
Gli ultimi cinque libri (IX-XIII) trattano della teoria dei pianeti, ed è questo il più importante contributo originale recato all'astronomia da T. Egli vi espone il suo sistema geometrico, fondato su gli epicicli e gli eccentrici, ai quali unì l'equante, pervenendo, attraverso una rappresentazione geometrica eomplicata, ma indubbiamente geniale, a rendere conto in modo abbastanza soddisfacente delle osservazioni possedute in quei tempi sul moto del Sole, della Luna e dei cinque pianeti allora conosciuti.
Notevole è il contributo recato da T. ai fondamenti della trigonometria piana e sferica; nel libro I egli spiega il modo di costruire una tavola di corde e ne dà il valore per ogni mezzo grado, da o° a 180°; e dal cosiddetto teorema di Tolomeo, sul quadrilatero inscritto in una circonferenza, deduce una formula equivalente al teorema di addizione nel seno.
Opere astronomiche minori di T. sono le Ipotesi dei pianeti (‛Υποϑέσεις πῶν πλανωμένων), posteriori di pochi anni all'Almagesto, in cui si cerca il meccanismo fisico, che possa corrispondere alla combinazione dei cieli sferici; l'Analemma (Περὶ ἀναλήμματος) sull'orologio solare; le tavole astronomiche manuali (Πρόχειροι χανόνες), di cui fa parte il κανὼν βασιλειῶν, indice di re e di regni da Nabonassar ad Antonino Pio; un calendario meteorologico (Φάσεις ἀπλαξῶν ἀστέρων καὶ συναγωγὴ ἐπισημασιῶν). E accanto a questi opuscoli astronomici va ricordato il Planispherium ("Απλωσις ἐπιϕαξείας σϕαίρας), che tratta della proiezione stereografica della sfera.
All'opera astronomica di T. si rieonnette il Tetrabiblos - Opus quadripartitum del Medioevo (Μαϑηματικὴ - o ἀποτελεσματικὴ - σύνταξις τετράβιβλος) - che è dedicato alle teorie astrologiche o, come dice lo stesso autore, ai pronostici per mezzo dell'osservazione delle stelle (τὸ δι' ἀστρονομίας προγνωστικόν).
Si attribuisce a T. anche un'Ottica ('Οπτικὴ πραγματεία), di cui si possiedono solo i libri II-V nella versione latina compiuta su una araba da un siciliano Eugenio, noto sotto il nome di "amiratus Eugenius" (1150). In quest'opera T. espone quanto ai suoi tempi era noto sui fenomeni ottici (visione, riflessione, specchi piani e concavi) e indaga le leggi della rifrazione, riferendo i risultati delle misure - ottenute con un cerchio graduato, munito di mire - per la deviazione del raggio rifratto nel passaggio dall'aria all'acqua, dall'aria al vetro, dall'acqua al vetro. È notevole come egli pensi anche al passaggio dall'etere all'aria, e ne deduca la rifrazione astronomica.
Infine si possiedono di T. gli ‛Αρμονικά in tre libri, che, secondo Porfirio, derivano da uno scritto di Didimo sulla differenza fra la teoria della musica secondo i pitagorici e quella di Aristosseno; e in questa sua rielaborazione T. applica i principî metodologici generali da lui stesso formulati nel suo opuscolo filosofico Περὶ πριτηρίου καὶ ἡγεμονικοῦ.
Altre opere matematiche e astronomiche di T. sono completamente perdute.
Molto discusso è il merito di T. come astronomo. Malgrado le critiche più severe, non si può tuttavia negare che egli non sia stato un matematico provetto e originale, forse sotto alcuni aspetti più geometra che astronomo, come attestano la scoperta dell'evezione lunare, e il sistema, architettato con gran cura, in seguito a un enorme lavoro, del mondo planetario. A lui dobbiamo se le osservazioni e le idee del grande Ipparco sono giunte fino a noi, idee e osservazioni che gli altri astronomi suoi contemporanei non furono capaci di apprezzare e che sarebbero andate certamente perdute se non fossero state incorporate nell'Almagesto.
Poco meno importante della massima opera astronomica di T. è, anche per la larghissima influenza esercitata sulla posterità, l'opera geografica Γεωγραϕικὴ ‛Υϕήγησις - veramente Introduzione geografica - in otto libri; essa è posteriore alla Μαϑηματικὴ σύνταξις, che vi è citata (VII, 2, 3). Nel primo libro l'autore comincia col distinguere fra geografia, o rappresentazione dell'intera ecumene, e corografia, rappresentazione delle singole parti; espone poi quali siano i fondamenti della geografia - dati astronomici, raccolta di dati di distanze, itinerarî, ecc. - si occupa delle dimensioni dell'ecumene e dei sistemi di proiezione; i libri dal II al VII non contengono che lunghissimi elenchi di località, con le coordinate di ciascuna, e qualche altra notizia accessoria (confini di paesi, nomi di popoli, ecc.); è questo il corpo principale ed essenziale dell'opera; l'ultimo libro è di carattere piuttosto astronomico, perché riguarda la divisione della Terra in climi, la durata dei giorni più lunghi nei varî luoghi della Terra, ecc. L'opera è giunta a noi accompagnata da 27 carte, una dell'intera ecumene, 10 dell'Europa, 4 dell'Africa e 12 dell'Asia; si conoscono tuttavia autorevoli manoscritti,. che contengono invece 64 carte, quella generale e 63 regionali. T. si ricollega a un suo grande precursore, Marino di Tiro, noto a noi solo attraverso T., il quale aveva composto un'opera ‛Η τοῦ ξεωγραϕικοῦ πίνακος διόρϑωσις, in tre successive edizioni, l'ultima delle quali era rimasta priva della carta generale del mondo per la morte dell'autore; T. riprende l'opera di questo e intende perfezionarla; per quanto la critichi vivacemente, se ne è certo valso in larghissima misura.
Un primo grave argomento di discussione verte sulla questione se T. abbia egli stesso delineato o fatto delineare carte a corredo del testo della sua opera, ovvero se essa fosse originariamente priva di carte e queste siano state ricostruite in base agli elenchi di coordinate contenute nei libri II-VII che consentono in qualche modo di ricostruirle; inoltre, ammettendo la prima ipotesi, se le carte originali di T. siano giunte fino a noi, attraverso i più antichì e autorevoli codici. Autorevolissimi studiosi, come C. Müller, E. Kiepert, U. Berger, A. Herrmann, ecc., hanno negato che T. abbia egli stesso accompagnato le carte all'opera sua, attribuendole tutte (o almeno quella generale di tutto il mondo) a un Agatodemone alessandrino, altri al contrario hanno ammesso che T. delineasse solo la carta generale. J. Fischer fa invece risalire la paternità di tutte le carte a T. (tanto le 27 della maggior parte dei codici, quanto le 63). Che T. abbia delineato delle carte non sembra si possa dubitare, anzi sembra che questo sia l'intento principale dell'opera, che doveva, come si è detto, sostituirsi alla terza edizione di quella di Marino, rimasta priva di carte; il testo è un commento e male si concepisce senza un corredo cartografico. Ma che le carte originali siano giunte fino a noi è molto dubbio; il Kubitschek e il Cuntz hanno portato argomenti atti a convincerci che le carte dovettero andare presto perdute, e venire ricostruite in base al testo, anzi a un testo già molto inquinato da errori. Ma è anche possibile un'ipotesi intermedia: che cioè le carte si perdessero solo in parte e venissero man mano ricostruite con i dati del testo, mentre altre poterono perpetuarsi, più o meno alterate.
Per le dimensioni generale della circonferenza terrestre T. accoglie il valore di 180.000 stadî attribuito a Posidonio (500 stadî per grado); egli non si è mai occupato, in modo concreto, della possibilità di ripetere la misura delle dimensioni terrestri. Il valore accolto da T., enormemente errato rispetto a quello di Eratostene, fu poi diffuso nel Medioevo e nel Rinascimento, il che ebbe conseguenze di larghissima portata.
Quanto all'ecumene, T. riduce alquanto le esagerate dimensioni date da Marino. Da Thule all'estremo nord (63° lat.) ad Agisymba, il paese più meridionale conosciuto (16° 25′ lat. S.), calcola 79° 25′ o all'ingrosso 80 gradi, ossia 40 000 stadî; dalle Isole Fortunate, estremo punto occidentale (poste tuttavia a soli 3 gradi e mezzo dallo ‛Ιερὸν ακροτήριον = Capo S. Vincenzo, mentre ne distano 9), alla Sera Metropolis, la località più orientale ricordata, calcola 180 gradi, laddove Marino ne aveva calcolati 225; nonostante la forte riduzione, l'estensione in senso ovest-est rimane sempre esageratissima: infatti, pur non essendo nota l'esatta posizione di Sera Metropolis, si può dire che l'errore commesso sia di circa 50 gradi in più; questo errore, sommato con l'altro derivante dall'avere adottato le dimensioni cosiddette posidoniane della Terra, fa sì che l'estensione dell'oceano esterno fra le Isole Fortunate e le estreme coste orientali dell'Asia risulti ridottissima.
Se si prescinda da una piccola porzione a sud dell'Equatore, l'ecumene cade pertanto tutta in un mezzo emisfero settentrionale, in un τετατημόριον, come già si trova scritto da T. nella Μεγάλη σύνταξις.
L'ecumene non ha per T., come già per Marino, natura insulare; la tradizione eratostenica è abbandonata. Le estreme regioni a nord dell'Europa non si conoscono, come ignote sono quelle a sud dell'Africa: le coste sud-orientali dell'Asia si suppone pieghino a sud e ad ovest per congiungersi a quelle dell'Africa orientale, circondando l'Oceano Indiano, che risulta perciò un mare chiuso; è l'errore massimo della figurazione geografica del mondo in T. Ma queste terre sconosciute (forse anche l'Oceano Atlantico si pensava chiuso a sud) erano probabilmente ritenute inabitabili; esse non facevano parte dell'ecumene, limitata a un τεταρτημόριον.
Per le proiezioni usate (o proposte) da T., v. cartografia.
L'opera geografica di T. è il risultato di una larghissima elaborazione di materiali, in gran parte fatta già da Marino, e rappresenta la sintesi delle conoscenze geografiche dell'evo antico, nel momento nel quale l'espansione romana aveva raggiunto i più larghi confini. T. utilizza una buona quantità di peripli e di itinerarî oggi perduti: il maggior numero di errori da lui commessi deriva probabilmente dalla difficoltà di ragguagliare a stadî i dati di distanze computate in giornate di viaggio o di navigazione, e d'inquadrare poi tutto in una rete di posizioni astronomiche, estremamente rada. Ciò si rivela già nella rappresentazione del Mediterraneo, grandemente stirato nel senso ovest-est, nella deformazione della costa africana, nella quale la sporgenza dell'Africa Minore quasi non compare, nella caratteristica torsione della penisola italiana, ecc.
Non potendo qui entrare in molti particolari sulle conoscenze geografiche rispecchiate nell'opera di T., accenneremo solo ad alcuni lineamenti fondamentali. Per l'Europa settentrionale le conoscenze non rappresentano un progresso rispetto a quelle rispecchiate da autori latini precedenti (Plinio, Tacito); le Isole Britanniche sono deformate come figura e posizione, al pari dello Jütland; la Scandia è un'isola; del Baltico non c'è traccia e le coste della Germania si perdono a nord-est nell'incognito. Per quanto riguarda l'Europa di SE., il Ponto Eusino è assai ben raffigurato, mentre la Palude Meotide è esageratissima; essa si addentra tanto nell'Europa, che fra la sua estremità settentrionale e la costa del mare esterno rimane una specie di istmo. Il Caspio è un mare chiuso, ma ha una figura errata, con la maggiore dimensione da ovest a est; in esso si versa il Rha (Volga).
Per ciò che concerne l'Africa, il suo aspetto peninsulare manca del tutto, in conseguenza del già accennato errore che fa dell'Oceano Indiano un mare chiuso. La costa orientale è abbastanza bene conosciuta fino alla penisola dei Somali, dove giungeva, al tempo di Tolomeo, il commercio egiziano; poi prosegue a sud fino al promontorio Rhaptum e indi a SE. fino al promontorio Prasum. Il corso del Nilo è ben noto nell'Egitto e nella Nubia; ma T. conosce anche i due rami del gran fiume, quello etiopico che nasce da un lago, e quello principale che viene da sud, uscendo da due laghi posti a circa 10° lat. S. e fiancheggiati a sud dai Monti della Luna. Nonostante la situazione oltremodo errata in latitudine, non pare che si possa dubitare che si abbia a che fare con vaghe conoscenze, giunte forse per la via dell'Oceano Indiano, intorno ai laghi equatoriali e alle grandi montagne che si ergono in quella regione.
Nell'interno dell'Africa è conosciuto non solo il paese dei Garamanti, ma anche l'Agisymba, raggiunta, attraverso il Sahara, dalla spedizione di Giulio Materno; essa è anzi il paese più meridionale noto a T. A occidente sono figurati, nelle carte tolemaiche, i fiumi Gir e Nigir. È difficile affermare che quest'ultimo corrisponda al Niger, ma probabilmente anche in questo caso le indicazioni rispecchiano vaghe conoscenze di corsi d'acqua sudanesi.
I più gravi problemi si collegano con la rappresentazione dell'Asia. L'Arabia è abbastanza ben conosciuta nei suoi contorni; per contro la penisola indiana è pochissimo sporgente, mancando in sostanza il Deccan, mentre Taprobane (Ceylon) ha dimensioni enormi. Di là dal Gange appare un'altra penisola, la Cryse Chersonesos, l'Indocina dunque, solcata da tre grandi fiumi (corrispondenti al Mekong, Menain e Salwen?); ad est di essa è il Megále kólpos, che dovrebbe, pertanto, corrispondere al Golfo del Tonchino; su tutta la costa sono disseminate stazioni, alle quali arrivava, non direttamente il traffico marittimo greco, ma quello degli Indiani in relazione coi Greci. A sud sono rappresentate e nominate parecchie isole, tra le quali la maggiore Jabadiu è quasi certo Giava (diu, dvipa "isola"). Ma ad est del Megále kólpos la costa volge a sud per congiungersi a quella africana: su questa costa si trovano i Sinai e il loro grande emporio Cattigara; l'identificazione di questa, che dovrebbe essere una località marittima della Cina meridionale, ha suscitato fra gli studiosi moderni vivacissime discussioni, senza che la questione possa dirsi risoluta.
Per l'Asia interna e l'Estremo Oriente la rappresentazione cartografica di Tolomeo è inquinata dal fatto che egli non è riuscito a combinare i dati di itinerarî commerciali terrestri (vie carovaniere) facenti capo alla Cina, con quelli di peripli marittimi, che attraverso l'Oceano Indiano arrivavano pure all'Asia orientale; onde errori, duplicazioni, ecc. A nord dei Sinai si trovano i Seri, cioè gli abitanti del paese della seta, i Cinesi veri e proprî; la loro capitale, Sera Metropolis, la località più orientale nota a T., non si può neppur essa identificare, al pari di molte altre località, corsi d'acqua, ecc. Le grandi catene dell'Asia Centrale figurano con i nomi generici di Imaios e Emodos; tra le località indicate appare di particolare importanza quella detta Λίϑινος πυργος (la porta di pietra), forse in prossimità del Pamir, sulla carovaniera allora più frequentata attraversante questo nodo.
La Geografia di T. cominciò a circolare in Italia al principio del secolo XV, in versione latina di Iacopo Angelo e rapidamente si diffuse esercitando un'influenza enorme. La prima edizione a stampa è quella di Vicenza 1464, senza carte; la prima edizione con carte vide la luce a Bologna tra il 1474 e il 1477; seguirono la celebre edizione romana del 1478, il rifacimento in versi di Niccolò Berlinghieri (1480?), l'edizione di Ulma del 1482, tutte con carte, ecc. In seguito, alle 27 carte di T. si aggiungono delle tavole nuove, sia per prappresentare paesi ignoti a T., sia per dare degli stessi paesi noti agli antichi una figurazione moderna; si ebbero così nel sec. XVI le celebri edizioni curate da S. Münster, da G. Mercator, da G. Gastaldi, da G.A. Magini, ecc., nelle quali le tavole nuove sono in numero sempre maggiore. Dei manosciitti della Geografia il più antico e autorevole a noi noto è l'Urbinate greco 82 (sec. XII o XIII); importantissimi anche il Ven. Marc. gr. 516, il Laurenz. gr. XXVIII, 49; il codice Vatopedi del M. Athos.
Edizioni: Dapprima un'epitome dell'Almagesto fu iniziata da G. Purbach e completata da Regiomontano: Epitome in Almlagestum, Venezia 1496, Basilea 1543; poi si ha la prima edizione latina completa di P. Liechtenstein (una traduzione latina dall'arabo, che si crede dovuta a Gherardo da Cremona nel sec. XII), Venezia 1515. La prima trad. dal greco è quella di Giorgio di Trebisonda, Venezia 1528, e il primo testo greco (da un ms. che fu in possesso di Regiomontano, ma ora è perduto) fu pubblicato da S. Grynaeus, Basilea 1538. Testo greco e trad. franc.: Κλαυδίου Πτολεμαίου μαϑηματικὴ σύνταξις. Composition math. de C. Ptolémée, a cura di N.-B. Halma e con note di J.-B.-J. Delambre, voll. 2, Parigi 1813-16. L'edizione completa del testo greco di tutte le opere astronomiche e matematiche di T. (escluse, quindi, la Geografia e il Tetrabiblo, ma inclusi l'Analemma e il Planisfero, a noi giunti soltanto in traduzioni medievali latine dall'arabo) è stata curata da J. L. Heiberg e F. Boll, C. Ptolomaei opera quae extant omnia, Lipsia 1898-1907. Cfr. inoltre K. Manitius, Des Ptolemäus Handbuch der Astronomie, voll. 2, Lipsia 1912-13 (traduzione ted. dell'Almagesto con note, basata sulla edizione di Heiberg). Per il catalogo di T., oltre le edizioni già citate dell'Almagesto: J. Flamsteed, Historia coelestis, III, Londra 1725, parte 2a, p. 4; H. Montignot, État des étoiles fixes par Ptolémée, Strasburgo 1787; J.-B.-J. Delambre, Histoire de l'Astronomie ancienne, II, Parigi 1817, pp. 265-283; F. Baily, The catalogues of Ptolemy, ecc., in Memioirs R. Astron. Soc., XIII (1843). Splendida edizione è quella di C. H. F. Peters e E. B. Knobel (libri VII e VIII dell'Almagesto), pubblicata dalla Carnegie Institution, Washington 1915, la quale contiene un'introduzione ricca di notizie sulle edizioni precedenti e sui mss. Cfr. inoltre: F. Boll, Die Sternkataloge des Hipparch und des Ptolemaeus, in Bibl. math., II (1901), pp. 185-196. Dell'Analemma una versione latina dall'arabo fu edita da F. Commandino, Roma 1562, e una nuova ediz. di J. L. Heiberg si trova in Abhandl. zur Gesch. der Math., VII, Lipsia 1895, ristamp. con qualche correzione dallo stesso Heiberg in Opera astronomica minora, Lipsia 1907, pp. 187-223. Anche del Planisphaerium esiste una versione latina dall'arabo edita a Basilea (1536) e poi da F. Commandino, Venezia 1558, pur essa ristampata da J. L. Heiberg in Op. astr. min., pp. 225-259, e trad. in tedesco da J. Drecker, in Isis, IX, Bruxelles 1927, pp. 255-278. Il Tetrabiblo ebbe parecchie ediz. in greco e varie trad. in latino, sia dal greco sia dall'arabo. Manca ancora un'edizione critica moderna completa della Geografia, impresa ardua per la difficoltà estrema di ricostituire un testo irto di cifre. L'edizione curata da C. Müller, nella nota collezione Didot (I, 1883; II, 1901), non è completa; quella di Cuntz (1923) comprende il libro II e parte del III; del libro VII si ha un'edizione a cura di L. Renou, Parigi 1925. È in corso un'edizione critica di W. Kubitschek.
Bibl.: Non esiste uno studio critico generale delle opere di T. Cfr. a tale proposito: G. B. Riccioli, Almagestum novum, voll. 2, Bologna 1651; J. S. Bailly, Hist. de l'Astr. moderne, I, Parigi 1779, pp. 170-206, 481, 533, 553, 561, 566; J. F. Montucla, Histoire des mathématiques, I, ivi 1798-99, pp. 290 seg., 310; J.-B.-J. Delambre, Hist. de l'Astr. ancienne, voll. 2, ivi 1817; P. Tannery, Recherches sur l'hist de l'Astr. ancienne, ivi 1893; F. Boll, Studien über Klaudius Ptolemäus, Lipsia 1894; J. L. E. Dreyer, History of the Planetary Systems from Thales to Kepler, Cambridge 1906; P. Duhem, Le système du Monde, I-V, Parigi 1913-17; G. Loria, Le scienze esatte nell'antica Grecia, Milano 1914, pp. 523-552; G. V. Schiaparelli, Scritti sulla storia dell'astronomia antica, Bologna 1925-1927; F. Enriques e G. Diaz de Santillana, Storia del pensiero scientifico, I, Milano-Roma 1932. Sulla Geografia di T. fondamentale l'opera di J. Fischer, Claudii Ptolemaei Geographiae Codex Urb. graecus 82, Leida-Lipsia 1932, voll. 4 (I: De Claudii Ptolem. vita operibus Geographia praesertim, eiusq. fatis). Per le questioni sulle carte, v. inoltre: C. Cebrian, Gesch. der Kartographie, I, Gotha 1923; P. Dinse, Die handschriftl. Ptolemaeuskarten und die Agathodemonfrage, in Zeitschr. Gesellsch. Erdk., Berlino 1913; H. Hermann, Marinus, Ptolemäeus und ihre Karten, ibid., 1914; K. Kretschmer, Die Ptolemäeuskarten, in Peterm. Mitteil., I, 1914; G. Schutte, Ptolemy's Atlas: a study of the sources, in Scott. geogr. Magaz., 1914-15; L. O. Tudeer, On the origin of the Maps attaches to Ptolemys Geography, in Journ. of hellen. studies, 1917; P. Schnobel, Die Entstehungsgesch. des kartographischen Erdbildes des Klaudius Ptolemäeus, in Sitzungsber. der preuss. Akad. der Wissensch., Berlino 1930. Per le questioni geografiche: G. E. Gerini, Researches on Ptolemy's Geography of eastern Asia, Londra 1909; A. Berthélot, L'Afrique saharienne et soudanaise; ce qu'en ont connu les anciens, Parigi 1927; id., L'Asie ancienne centrale et sud-orientale d'après Ptolémée, ivi 1930; Th. Langenmaier, Lexicon zur alten Geographie des südöstlichen Aequatorialafrika, Amburgo 1918.