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Tolomeo da Lucca

di Filippo Cancelli - Enciclopedia Dantesca (1970)
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Tolomeo da Lucca

Filippo Cancelli

T. (o Bartolomeo) dei Fiadoni di Lucca (1236-Torcello 1326 o 1327) fu a Napoli discepolo e confessore di s. Tommaso; divenne indi priore di Santa Maria Novella a Firenze, e infine vescovo di Torcello.

La sua opera, che s'inquadra pienamente, pur con qualche irrigidimento, nel tomismo, vien qui in considerazione per il De Regimine principum, opera assegnata a s. Tommaso, ma in realtà sua soltanto fino al cap. IV del II libro, come risulta anche da indicazioni dei manoscritti. Data l'autorità del nome sotto cui l'opera correva, è indubbio che D. l'abbia conosciuta - e comunque che abbia respirato quel clima culturale filosofico e politico creato e formato anche da essa -: contro la quale, in vista d'idealità rivalutanti la dignità dell'uomo terreno, si colloca polemicamente la Monarchia. Due punti fondamentali si offrono al confronto col pensiero di D.: rapporto tra legge e ‛ sovrano '; rapporti tra potere spirituale e secolare, e, in primis, dell'imperatore con il papa.

T. da Lucca (s. Tommaso Reg. II 8-9), sulla base di Aristotele (Pol. VIII 1286a-1287a), distingue il " dominium regale " dal " regimen politicum " (o " politia "), a seconda che il re domini sulle leggi e ne sia arbitro, o ne sia condizionato o subordinato (pur mostrandosi indifferente sulla preferenza da darsi ai due sistemi politici, dovendosi adeguare ai popoli, giacché se teoricamente sarebbe optabile il secondo, e fu questo il regime proprio dei popoli virtuosi e tra essi specialmente dei Romani, per il gran numero degli sciocchi tra gli uomini, si rende più adatto il primo).

D. distingue, invece, tra politia recta e polizia obliqua (la stessa terminologia è di Agostino Trionfo), e la prima soltanto è valida, perché conforme anche alle leggi imperiali, e quindi i ‛ sovrani ' (consules, rex) sono ministri, cioè servi, degli uomini, e le leggi son poste in subordine e in funzione della stessa politia (Mn I XII 11), e non viceversa. Di gran lunga più importante, ovviamente, per il pensiero di D. è la teoria di T. sui rapporti fra papa e imperatore, e col potere temporale in genere. T. in questo campo va molto oltre il pensiero del maestro, e si allinea, con il suo rigido teocraticismo, con i canonisti e con gli agostiniani più intransigenti (Egidio Romano, Guglielmo da Cremona, Giacomo da Viterbo, Agostino Trionfo).

Sul presupposto che il potere può essere unicamente del primo Ente (Reg. III 1), a cui tutti gli altri si subordinano gerarchicamente, T. assume che fu di Cristo, fin dalla sua venuta in terra, ogni potere spirituale e temporale - quest'ultimo in quanto egli lo assunse sulla sua umanità - deferito poi a Pietro e quindi ai successivi pontefici.

Gli argomenti sono quelli soliti: le parole di Cristo dette a Pietro (III 10), il fine dell'eterna beatitudine (III 3), e la superiorità dell'anima sul corpo: e come la testa è fonte di ogni moto e " sensus " del corpo ‛ vero ', così Cristo e per lui Pietro e quindi il " summus pontifex " impera nel " corpus mysticum " della Chiesa di tutti i cristiani (III 10). Non meno trite le riprove storiche (III 10), tirate anzi a un'interpretazione estremamente conseguente: Costantino cedette l'Impero a papa Silvestro (atto, però, di ricognizione del diritto di questo e non concessione), papa Adriano incoronò Carlomagno, papa Leone conferì l'Impero a Ottone I, e per converso, papa Zaccaria depose il re dei Franchi; Innocenzo III, Ottone IV; Onorio, Federico II.

La " plenitudo potestatis " o " dominii ", tutto il potere spirituale e quello temporale, è dunque del papa (a meno che, per assurdo, non voglia ritenersi che nei loro atti d'investitura e deposizione furono dei tiranni); e non avrebbero senso le obiezioni, argomentando che vi furono imperatori che non dipesero in nulla dal successore di Pietro. Costantino intanto compì la restituzione dell'Impero, e Augusto fu, senza saperlo, ma forse non senza la volontà di Dio, rappresentante di Cristo (III 13). Altri imperatori regnarono indipendentemente dal vicario di Cristo, ma ciò fu per mostrare all'umanità la differenza tra il potere degl'imperatori e quello dei rappresentanti di Cristo. Fu anche per insegnare ai principi l'umiltà (III 16), e umili essi furono nei confronti del papa; quando il loro animo si mutò, il papa provvide a sostituire l'imperatore greco (bizantino) con quello dei Franchi, che lo difendesse dalle prepotenze dei Longobardi: onde l'evidente soggezione dell'imperatore al papa (III 18).

È interessante l'attenzione posta da T. ai Romani, sia pure per trarne argomenti in favore della superiorità e onnicomprensività del potere del papa, dato che ogni potere è ordinato al fine di guidare gli uomini alla virtù e quindi alla perfezione eterna. I Romani, per i loro buoni principi, e qui l'autore si rifà all'autorità della Civitas Dei, specie per essere amanti della giustizia e della patria, meritarono da Dio l'Impero; del resto vi sono uomini destinati a governare e altri, per loro natura, a essere sudditi (III 4; II 10): argomenti valevoli per D. a sostenere la perennità naturale dell'Impero romano e la coordinazione del potere dell'imperatore a quello spirituale.

È superfluo mostrare puntualmente gl'incontri e scontri con la dottrina politica di D., pure e proprio con l'adozione degli stessi argomenti e ‛ dati ' storici passibili di opposta interpretazione in un mondo culturale come quello medievale, che della storia non aveva davvero una visione critica e di prospettiva temporale.

D., in generale, oppone l'argomento fondamentale della dignità umana per sé stessa valevole, prima della perfezione ultraterrena; quindi l'uomo in terra può conseguire una felicità in sé ‛ sufficiente ' non disgiunta nel fine ultimo da quella ultraterrena, eppure per sé e in sé stessa considerabile.

V. anche TOMMASO d'AQUINO, santo.

Bibl. - T. da Lucca, Determinatio compendiosa de iurisdictione Imperii, tractatus anonymus de origine ac translatione et statu Romani Imperii, a c. di M. Krammer, Hannover-Lipsia 1909; ID., De Regimine principum, a c. di G. Mathis, Torino 1924; s. Tommaso Opuscola philosophica, a c. di J. Perrier, I, Parigi 1949.

Studi: I. Taurisano O.P., I Domenicani in Lucca, Lucca 1914, 59-76, 209, 227, 230 ss., 238 ss.; ID., Discepoli e biografi di san Tommaso d'Aquino, Roma 1924, 49-56, 69-71; A. Dondaine O.P., Les " Opuscola fratris Thomae " chez Ptolomée de Lucques, in " Arch. Fratrum Praedicatorum " XXXI (1961) 142-203 (con bibliografia).

Vedi anche
santo Tommaso d'Aquino Tommaso d'Aquino, santo. - Filosofo e teologo (Roccasecca 1225 o 1226 - Fossanova 1274). Fanciullo, oblato nel monastero di Montecassino, studiò poi a Napoli ove ebbe maestri (la notizia è di G. Tocco) Martino di Dacia e Pietro d'Irlanda. Entrato tra i domenicani, ricevette l'abito religioso nel 1243-44. ... órdine domenicano domenicano, órdine Ordine religioso mendicante dei Frati predicatori (Ordo praedicatorum), fondato da s. Domenico di Guzmán (1215), dal cui nome deriva la denominazione di domenicano. Il primo nucleo fu un gruppo di chierici inviati in Linguadoca per la predicazione contro gli albigesi. L'domenicano, ...
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lùccio²
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