GALLIO (Galli), Tolomeo
Nacque a Cernobbio, presso Como, molto probabilmente nel 1526 da Niccolò e da Elisabetta Vailati, terzo di quattro figli maschi. Nonostante le fonti lo considerino spesso di oscura origine, il G. proveniva da una famiglia piuttosto benestante, che fondava le proprie fortune sul commercio con la Germania ed era annoverata nel patriziato comasco già alla fine del XV secolo.
Dotato di buon ingegno, il G. fu affidato al precettore e parente Benedetto Giovio, che gli insegnò la lingua latina secondo i modelli della retorica ciceroniana. Quindi, nel 1544, dopo aver raggiunto ottimi risultati negli studi, fu inviato dal maestro a Roma presso Paolo Giovio, che lo assunse in qualità di copista. Rimase al servizio del celebre letterato fino al 1549, anno in cui Giovio lasciò la città. Non trova sufficiente conferma la notizia (riportata dall'ambasciatore veneziano Paolo Tiepolo) che il G. abbia prestato la sua opera presso monsignor Gerolamo Garimberto, vescovo di Gallese; fu invece tra i segretari del prelato milanese Antonio Trivulzio, più volte nunzio della S. Sede in Francia, creato nel 1557 cardinale da Paolo IV.
Dopo la morte del Trivulzio, nel 1559, stette per un breve periodo al servizio del cardinale fiorentino Taddeo Gaddi, entrando successivamente, nell'autunno 1559, nella familia di Giovan Angelo de' Medici, cardinale milanese, in qualità di segretario. Fu la sua fortuna. Eletto infatti pontefice nel Natale 1559 con il nome di Pio IV, Giovan Angelo de' Medici chiamò il G. all'incarico di secretarius intimus o domesticus, con il compito di attendere alla corrispondenza diplomatica. Egli riferiva quotidianamente al pontefice sulle più importanti questioni relative ai rapporti tra gli Stati cattolici e la S. Sede; riceveva istruzioni da trasmettere a nunzi e legati presso le corti europee; doveva, inoltre, occuparsi delle traduzioni e dei dispacci cifrati. Il G. si dimostrò in queste mansioni un esecutore assai affidabile, e non mancò di affiancare talvolta il cardinale nipote di Pio IV, Carlo Borromeo, nella trattazione delle materie più delicate. Il ruolo del G. nelle questioni riguardanti il concilio di Trento, avviato alla sua fase conclusiva (1562-63), appare piuttosto modesto: tuttavia si impegnò molto alla stesura dei Proposti, vagliati direttamente dal papa e dal cardinale C. Borromeo, e alla redazione del Registro generale della corrispondenza conciliare. Durante tutto il pontificato di Pio IV si occupò inoltre delle suppliche, a lui rinviate in qualità di segretario dei brevi.
Quest'intensa attività procurò al G., nonostante la sua giovane età, una posizione centrale a corte: veniva consultato "in tutte le cose importanti così pubbliche come private" (Relazioni…, ed. Alberi, p. 77) e appariva tramite essenziale per i contatti con Pio IV di personaggi del rango del cardinale Alessandro Farnese e di letterati come Bernardo Tasso e Annibal Caro. Entrò altresì a far parte dell'Accademia Vaticana fondata da C. Borromeo, nella quale si discuteva di teologia con accenti fortemente spiritualistici. Ebbe così occasione di conoscere, oltre a numerosi prelati e letterati, Ugo Boncompagni, futuro Gregorio XIII.
La stima e la riconoscenza di Pio IV si manifestarono con una repentina ascesa nella gerarchia ecclesiastica; nominato alla fine del 1559 arcidiacono di Monopoli, nel 1560 vescovo di Martirano (in Calabria) e il 7 luglio 1562 arcivescovo di Manfredonia, il G. ottenne numerosi benefici ecclesiastici, accumulando, già a partire dal 1563, circa 7000 scudi l'anno, secondo le stime dell'ambasciatore veneziano Girolamo Soranzo. Infine, il 12 marzo 1565, fu creato cardinale del titolo di S. Teodoro (più tardi passò a quello di S. Agata alla Suburra).
Anche dopo la nomina il G. mantenne il suo incarico di segretario, che divenne ancor più centrale dopo la partenza da Roma di C. Borromeo (agosto 1565), il quale intendeva dedicarsi completamente all'applicazione dei decreti tridentini nella sua arcidiocesi di Milano. Il G. rimase in ottimi rapporti con il cardinale e lo tenne costantemente informato sulle vicende della corte papale. Né la sua autorità fu sminuita dalla creazione del nuovo cardinale nipote, Marco Sittico Altemps (Hohenems), personaggio di mediocre profilo. Nel contempo, il G. mosse i primi passi per assicurarsi una solida posizione tra le fazioni del concistoro, offrendo per il tramite del nunzio in Francia, il suo amico Prospero Santacroce, i propri servigi al giovane re Carlo IX e alla regina madre, Caterina de' Medici. L'iniziativa del G. era nel quadro della politica di Pio IV, che, negli ultimi mesi del suo pontificato, volgeva l'attenzione alla corona di Francia, preoccupato per le sorti di quel travagliato Regno, unico baluardo al predominio spagnolo in Italia.
Dopo la morte di Pio IV, nel dicembre 1565, il successore, Pio V, chiamò al posto di segretario Gerolamo Rusticucci e il G. dovette lasciare i suoi incarichi. Avendo egli accumulato una rimarchevole esperienza politico-diplomatica, non scomparve immediatamente dalla scena: tenne, infatti, ancora per qualche tempo contatti epistolari con il cardinale Francesco Giovanni Commendone, legato alla Dieta di Augusta del 1566, e si occupò dei problemi dell'Impero nella congregazione di Germania.
Gli impegni politici del G., tuttavia, scemarono rapidamente ed egli, nell'ottobre 1566, dopo una breve sosta nella villa di Piperno, si trasferì nella sua diocesi di Manfredonia, per curarvi l'applicazione dei decreti tridentini, secondo gli stimoli e l'esempio dell'amico C. Borromeo.
Innanzitutto, nello stesso autunno, fece condurre le visite pastorali; quindi convocò un sinodo del clero della provincia per il febbraio 1567, i cui quarantadue canoni uscirono a stampa a Venezia nello stesso anno. Tuttavia, l'attuazione dei programmi di riforma trovò subito duri ostacoli: il clero sipontino, assai trascurato dalle alte gerarchie ecclesiastiche, versava in condizioni disastrose, mostrandosi scarsamente preparato nonché incline a una condotta di vita molto rilassata. Inoltre, il G. dovette subire l'aperta ostilità delle magistrature civili nelle questioni giurisdizionali e l'opposizione del locale governatore spagnolo. A poco valsero i tentativi di mediazione con il viceré (il duca d'Alcalá, Pedro Afán de Ribera) - che il G., fin troppo cauto, non intendeva urtare - per salvaguardare le sue relazioni con gli ambienti della corte di Roma legati alla Corona spagnola. Che il G. non fosse disposto a uno scontro frontale con il potere politico fu evidente poco dopo: in luglio, infatti, adducendo a pretesto - come molti prelati del tempo in situazioni analoghe - il timore dei fuorusciti e il clima malsano, abbandonò la sua diocesi, trasferendosi nella villa di Piperno. Corse addirittura voce che la sua partenza fosse stata sollecitata con cospicui donativi dal viceré.
Negli anni successivi il fervore riformistico del G. si attenuò, nonostante i continui richiami di C. Borromeo, che otteneva a Milano brillanti successi. Riprese invece la vita di corte a Roma, dove cercò di ricrearsi un sia pur esiguo ruolo politico, e offrì i suoi servigi a Cosimo I de' Medici, duca di Firenze; con costui iniziò una fittissima corrispondenza epistolare. Solo nell'ottobre 1569 si risolse a rientrare a Manfredonia. Ma qui la situazione era resa ancor più difficile dall'acuirsi dei conflitti giurisdizionali tra la S. Sede e la Spagna. Così, più che della riforma del clero, il G. si occupò dell'edificazione di una villa sul Gargano e di un nuovo palazzo arcivescovile. Poco dopo lasciò definitivamente la sua sede: imbarcatosi nel maggio 1570 per Ravenna, egli raggiunse in autunno Como, dove fu trionfalmente accolto dai concittadini.
Tornato a Roma, vi stabilì la sua abituale residenza. Mise quindi a disposizione di Cosimo I, nell'estate 1571, la sua esperienza politica.
La concessione del titolo granducale a Cosimo de' Medici (1569), da parte di Pio V, aveva infatti provocato l'opposizione dell'imperatore Massimiliano II, che non era stato consultato. Per smorzare l'irritazione dell'imperatore, il G. si mise in contatto con il cardinale F.G. Commendone, suo amico e legato a corte: riuscì in questo modo a ottenere i primi risultati diplomatici che facilitarono il riconoscimento imperiale del titolo, avvenuto soltanto nel 1575 con il successore di Cosimo, Francesco I, cognato di Massimiliano II.
Alla morte di Pio V (1° maggio 1572), il G. partecipò al conclave, durante il quale operò alacremente per rimuovere gli ultimi ostacoli posti alla candidatura del cardinale Ugo Boncompagni - "creatura" di Pio IV - da parte della fazione capeggiata da Michele Bonelli, cardinale nipote del defunto pontefice. Il nuovo eletto, che prese il nome di Gregorio XIII (13 maggio 1572), giureconsulto piuttosto privo di esperienza politica, richiamò senza esitazioni il G. alla segreteria, spinto anche dalla lealtà appena dimostratagli. Con il breve papale del 24 giugno 1572, il G. (sebbene formalmente sottoposto al cardinale nipote Filippo Boncompagni) ebbe ampi poteri: riceveva i dispacci dei rappresentanti diplomatici della S. Sede, riassumendoli per il pontefice, con il quale conferiva sulle materie più importanti, e inviando quindi le istruzioni. Le sue missive dovevano essere considerate dai nunzi come quelle siglate personalmente dal pontefice.
Per consolidare la sua posizione, il G. escluse dalla segreteria tutti coloro che erano stati al servizio di Pio V e persino di Gregorio XIII, quando questi era ancora cardinale. Riorganizzò l'ufficio, accentrandolo ulteriormente e si circondò di personale esperto: Giovan Battista Canobio, Attilio Amalteo, Aurelio Savignano, Cristoforo Turrettini, suo segretario particolare, Antonio Boccapadule, segretario dei brevi familiari, Cesare Gloriero, francese, segretario dei brevi apostolici. Il ruolo centrale conquistato dal G. generò non poche perplessità e imbarazzo tra i rappresentanti diplomatici a Roma e non mancò di suscitare molte gelosie tra i parenti del papa, particolarmente nel figlio naturale Giacomo Boncompagni, che aspirava agli incarichi tenuti dal Gallio. Anche l'influente cardinale Altemps si dimostrava ostile al nuovo segretario.
Il G. seppe, tuttavia, allacciare relazioni importantissime per tenersi al riparo della cattiva disposizione della corte: si avvicinò innanzitutto ai personaggi più prossimi al papa, come il gesuita Francesco di Toledo, il canonista Martino Azpilcueta, il maestro di camera pontificio Ludovico Bianchetti; inoltre, dopo aver superato la diffidenza del cardinale Altemps - il cui prestigio, del resto, era destinato a un rapido declino - conquistò il favore e l'amicizia di alcuni influenti cardinali, tra i quali il datario Matteo Contarelli e Giovanni Morone, il più esperto diplomatico della Curia, ascoltato consigliere del papa.
Nonostante il ruolo di indubbio primo piano nella corte, è difficile ipotizzare che il G. godesse di una effettiva capacità di influenzare il pontefice nelle linee generali della sua politica. Egli fu certamente un attivo, instancabile esecutore, talvolta in grado di assicurarsi il favore di Gregorio XIII su questioni particolari. La sua abilità gli permise, inoltre, di affrontare piuttosto agevolmente, dopo i primi affanni, la vita di corte durante il lungo pontificato Boncompagni. Tuttavia, i grandi temi che caratterizzarono il regno di Gregorio XIII - la lotta contro il Turco, la difesa della cattolicità dall'"eresia" protestante, l'attuazione dei programmi di riforma della Chiesa romana - furono certamente frutto dell'autonomo progetto politico-religioso del papa.
Il G. fu innanzitutto un capace mediatore: a lui si rivolse, nell'aprile 1573, l'ambasciatore della Serenissima a Roma, Paolo Tiepolo, per placare lo sdegno del papa causato dalla pace turco-veneziana. Il G. si dimostrò inoltre instancabile fautore del partito spagnolo; infatti, già nell'estate del 1572, subito dopo il conclave, tramite il cardinale Antoine Perrenot de Granvelle prima e il nunzio Niccolò Ormaneto poi, egli era entrato in stabili rapporti con Filippo II. Ben presto i suoi legami con la Spagna divennero tanto stretti che l'ambasciatore francese ebbe ordine di conferire direttamente con il papa, evitando di passare per il segretario. Dal proprio canto, Filippo II ricorse spesso alla collaborazione del G. per attenuare i contrasti con Gregorio XIII, soprattutto in occasione dei gravi conflitti giurisdizionali apertisi, a partire dal 1573, a Milano e a Napoli, tra i rappresentanti del governo regio e alti esponenti della gerarchia ecclesiastica. Preziosa, infine, apparve l'opera del G. per favorire la creazione cardinalizia di prelati spagnoli, come l'arcivescovo di Toledo Gaspar Quiroga (15 dic. 1578). Il G. colse un importante risultato con la successione di Filippo II sul trono portoghese. Nel contrasto apertosi in seguito alla morte del re portoghese Sebastiano I, nel 1578, Gregorio XIII appoggiò decisamente il portoghese Antonio di Crato; il G. invece, com'era prevedibile, prese le parti di Filippo II, giungendo a opporsi senza esitazioni in concistoro, nel marzo 1580, all'invio di un cardinale legato in Portogallo per imporre una mediazione diplomatica.
L'invasione del Regno portoghese da parte dell'esercito del duca d'Alba Fernando Alvarez de Toledo nell'estate del 1580 evitò al G. di perdurare in una posizione molto imbarazzante e gli consentì di dispiegare appieno la sua iniziativa politica a favore di Filippo II. Infatti, Gregorio XIII, posto di fronte al fatto compiuto, avallò ben presto la conquista spagnola. Il G., assai accortamente, riuscì a consolidare questo mutamento di rotta del pontefice, preoccupandosi di rappresentare, nelle corrispondenze diplomatiche, il nuovo indirizzo. Appare, dunque, del tutto comprensibile che il G., dopo l'accordo tra la S. Sede e la Spagna (6 nov. 1581) che assegnava definitivamente a Filippo II il Portogallo, si attribuisse, scrivendo al re, il merito dei patti conclusi.
Altrettanto spregiudicato fu il comportamento del G. nel quadro della politica della S. Sede contro la regina Elisabetta d'Inghilterra. Egli, oltre a lavorare nelle congregazioni cardinalizie, nelle quali si tentava di formare una lega per detronizzare la regina, assunse personalmente, intorno al 1575, l'iniziativa di incoraggiare avventurieri di pochi scrupoli, come Thomas Stukely, e i fuorusciti (come l'irlandese James F. Fitzgerald) che si proponevano per un colpo di Stato a Londra. Questa attiva opera contro la "mala femina d'Inghilterra" ebbe però l'effetto di minare in più occasioni, nel 1582 e nel 1584, la reputazione di imparzialità di Gregorio XIII (cui il pontefice teneva per proteggere i nuclei di cattolicesimo superstiti nelle isole britanniche) e di fornire giustificazioni alla dura repressione del governo inglese contro i papisti, tra il 1584 e il 1585.
In altri teatri il G. agì come consigliere del pontefice o come membro di congregazioni cardinalizie, come quella impegnata nel tentativo di ricostituire una lega antiottomana e la congregazione di Francia, ove fu presente anche durante il successivo pontificato di Sisto V (1585-90), sempre schierandosi con il partito spagnolo. Alcuni gli attribuirono una diretta paternità nella stipulazione della Lega cattolica tra Filippo II e il duca di Guisa (dicembre 1584) per la repressione del partito ugonotto in Francia. Anche la commissione "per le cose di Germania" lo tenne a lungo occupato: per molti anni si susseguirono infatti dispute e lotte per la difesa delle sedi vescovili di Münster (1575-85) e di Colonia (1577-85), che avevano corso il rischio di cadere nelle mani di principi e prelati riformati. D'altro canto, l'applicazione dei dettami tridentini nei territori dell'Impero lo obbligò a continui interventi presso nunzi e legati.
Attivo nella fondazione di seminari, nelle riforme degli antichi ordini religiosi, nello sviluppo dei nuovi, nell'impulso dato all'opera missionaria, il G. appare però più defilato, quasi assente, nella concreta opera pastorale, come era del resto comprensibile a causa degli incarichi ricoperti alla corte papale. Fu così costretto a rinunciare alla diocesi di Manfredonia nel 1573, a favore del suo vicario generale Giuseppe Sappi. A Roma assunse la protezione del cenobio sipontino dei benedettini di Monte Vergine: li aiutò a stabilirsi a S. Agata alla Suburra e nel 1581 divenne cardinale protettore della loro Congregazione.
L'elezione di Sisto V, con il quale il G. si era spesso trovato in contrasto, determinò il suo definitivo allontanamento dagli incarichi di governo. Nell'ottobre 1586 si recò a Como, attendendo per un certo tempo all'amministrazione delle proprietà da lui accumulate nel vicino contado e all'edificazione di splendide residenze. Già intorno al 1557 aveva acquistato, insieme con il fratello Marco, il territorio di Garovo, presso Cernobbio, dove undici anni più tardi aveva fatto edificare una villa, primo nucleo della attuale Villa d'Este. Poi, nel febbraio 1580, Filippo II - forse per ricompensarlo dell'impegno profuso durante la questione della successione portoghese - gli aveva concesso, dietro pagamento di 30.000 lire imperiali, il feudo delle Tre Pievi, eretto a contea, trasmissibile a quello dei nipoti che reputasse più degno. Qui, nel 1583, aveva fatto iniziare a Gravedona, il centro principale, la costruzione sul lago di Como del palazzo Galli o palazzo delle Quattro Torri, rimasto a lungo residenza della famiglia. A questo patrimonio il G. aggiunse una terza villa a Balbiano (acquistata nel 1596 e denominata la Gallietta), a metà strada tra le due. Possedeva anche edifici a Como, dove fece ingrandire il palazzo avito, restaurare la basilica di S. Abondio (di cui era abate commendatario dal 1575), ed eseguire lavori nella chiesa di S. Giovanni Pedemonte, che aveva scelto come sede del proprio monumento funebre. La presenza nella regione di possedimenti e interessi del cardinale era talmente consistente che tra i Grigioni si vociferava di sue mire per il totale controllo della Valtellina. Ma gli anni del pontificato Boncompagni gli avevano permesso anche di concentrare proprietà in altre zone d'Italia: a Frascati, dove aveva fatto erigere una sontuosa residenza - ampliando la villa già di A. Caro - a partire dal 1579 (l'attuale villa Torlonia) e nel Pavese, dove aveva acquistato nel 1582 il marchesato di Scaldasole.
Durante il pontificato sistino ebbe nuovi titoli cardinalizi: il 2 dic. 1587 fu promosso cardinale vescovo di Albano, passando già nel marzo 1589 alla sede della Sabina. Qui, a Magliano, fece convocare, nel maggio 1590, un sinodo che si concentrò principalmente sulla riforma dei costumi del clero.
Alla morte di Sisto V, cui restò sempre inviso, il G. entrò nei successivi tre conclavi del 1590, 1591, 1592: il partito spagnolo fece circolare voci di una sua probabile candidatura, ma fu ostacolato dalle inimicizie maturate durante il pontificato Boncompagni e proprio a causa del fedele servizio alla Spagna.
Nel 1591, sotto il pontificato di Gregorio XIV, gli fu quindi assegnata la diocesi di Frascati. Già a questa data era tornato a Roma e all'attività in Curia, essendo chiamato, dopo la riforma delle congregazioni di Sisto V (1588) a operare in quella per l'attuazione dei decreti del concilio di Trento.
Negli anni successivi si dedicò soprattutto all'amministrazione del suo ingente patrimonio. Il G. poteva infatti contare su entrate assai consistenti: ai 14.000 ducati annui, secondo la stima dell'ambasciatore P. Tiepolo nel 1575, si erano aggiunte le cospicue pensioni assegnategli in segreto da Filippo II. Il G. possedeva, del resto, oltre a censi e rendite di provenienza spagnola, centinaia di titoli di debito pubblico a Roma, benefici ecclesiastici a Isola, Ronago, Mandello (nel Comasco) e introiti di vario genere dalle abbazie di S. Giuliano e Monte Vergine. Il suo patrimonio era così vasto da permettergli un donativo di 60.000 ducati all'anno, a partire dal 1587, a favore del nipote Tolomeo (figlio del fratello maggiore Marco) e prestiti alle città di Milano e Napoli. Nel 1595 acquistò, inoltre, per 150.000 ducati, la contea di Alvito, nella Terra di Lavoro, nel Regno di Napoli, e la cedette al nipote. Il G. dedicò molta cura al patrocinio di alcune opere assistenziali, con zelo tipicamente controriformistico. Protettore già dal 1573 del Collegio germanico, il G. aveva infatti voluto la fondazione di un convitto a Como (con la bolla Immensa Dei providentia del 15 ott. 1583), destinato al mantenimento e all'istruzione di cinquanta giovani orfani. Le rendite necessarie furono garantite da suoi benefici e commende, mentre la reggenza e l'attività di insegnamento vennero affidate ai padri somaschi. Tuttavia, dopo molti lavori di restauro alla sede prescelta, un ex monastero, il convitto, preso il nome di collegio Gallio, che tuttora mantiene, iniziò la sua attività solo nel 1589. A favore degli altri poveri, delle fanciulle senza dote, dell'ospedale comunale, del convento delle orsoline, il G. destinò la fondazione, ancora a Como (tra il 1601 e il 1604), dell'Opera pia Gallio, solida di un patrimonio di 100.000 scudi.
Il G. passò gli ultimi anni a Roma, assai ritirato, occupandosi dell'abbellimento delle chiese di S. Agata dei Goti e S. Maria della Scala. Nominato alla sede di Porto e Santa Rufina (1601), divenne decano del Collegio nel 1603 e titolare delle diocesi di Ostia e Velletri. Morì nella notte fra il 3 e il 4 febbr. 1607. Ottenuta la facultas testandi, aveva lasciato, nel marzo 1596, i suoi beni in fedecommesso al nipote Tolomeo e ai suoi familiari (ai quali raccomandò di servire fedelmente il re di Spagna), non dimenticando di assicurare rendite sufficienti alle opere assistenziali che portavano il suo nome e un donativo di 200 scudi alla Sede apostolica. Per volere di Paolo V, fu ordinato al nipote Marco di trasportare nell'archivio di Castel Sant'Angelo le numerosissime carte, in massima parte corrispondenze diplomatiche della S. Sede, relative agli anni di maggiore attività in corte, delle quali il G. fu sempre geloso custode.
Alcune elegie attribuite al G. sono pubblicate in Periodico della Società storica comense, VIII (1891), pp. 295-300; certamente sue sono le Memorie et osservationi sulla vita di papa Gregorio XIII del sig. cardinale di Como (Bibl. apost. Vaticana, ms. Boncompagni Ludovisi D.5, cc. 5r-102r) parzialmente edite in L. von Pastor, Storia dei papi, IX, Roma 1929, pp. 900-904.
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