TOLONTOT
Dinastia musulmana che dominò praticamente indipendente l'Egitto dal 254 al 292 ègira, 868-905 d. C. Prende il nome dallo schiavo d'origine turca Ṭūlūn, il cui figlio Aḥmad ibn Ṭūlūn fu inviato a governare l'Egitto dal califfo ‛abbāside al-Muātazz, e vi stabilì presto un potere autonomo che poi si trasmise a due suoi figli e due nipoti. Nel 264/877 egli annesse ai suoi dominî la Siria, che restò unita all'Egitto finché nel 292-905 l'autorità califfale fu per breve tempo restaurata nella valle del Nilo, prima d'essere soppiantata dalla nuova potenza ikhshīdita.
L'arte ṭūlūnide. - Aḥmad ibn Ṭūlūn si prefisse il compito di trapiantare in Egitto lo stile ‛abbāside sviluppatosi a Baghdād e alla corte dei califfi a Sāmarrā impiegandolo ovunque nella costruzione della sua nuova residenza al-Qaṭā'i‛. Questa tendenza artistica gli fu particolarmente cara probabilmente perché mise per la prima volta in valore l'elemento turco nel mondo islamico: ad ogni modo, lo stile ṭūlūnide, che dobbiamo alla sua iniziativa, può considerarsi in tutte le sue manifestazioni una variante provinciale della corrente predominante alla corte di Baghdād. Fiorì per circa un secolo in Egitto (868-969), sopravvivendo alla dinastia dei Ṭūlūnidi e perdurando fino alla conquista dei Fatimiti, non essendovi monumenti che attestino un nuovo sviluppo sotto gli Ikhshīditi.
Il monumento più importante di quest'epoca è la grande moschea di Ibn Ṭūlūn, costruita dal 876 al 879, in laterizi, con l'oratorio a cinque file di pilastri sormontati da archi acuti e reggenti un soffitto ligneo piano. Le colonne angolari, anch'esse in laterizî, incastrate nei pilastri, hanno capitelli di stucco; pareti, archi e finestre recano listelli di stucco con ornamenti a incavi obliqui, che trovano il più stretto riscontro nella decorazione di Sāmarrā. La moschea ha una doppia cinta di mura con finestre e ricche merlature. Il minareto, di pietra calcarea, che s'innalza fuori della moschea vera e propria, si compone di un'alta base quadrata e di una parte superiore cilindrica avvolta esternamente da una scala spiraliforme; struttura singolare pur dipendente da modelli del ‛Irāq.
Gli scavi intrapresi nella città dei Ṭūlūnidi dal museo arabo del Cairo hanno messo in luce i resti relativamente cospicui d'una casa di abitazione, forse appartenente alla residenza, con decorazioni di stucco anch'esse in stretto collegamento con quelle di Sāmarrā. Nello stesso museo si trova una collezione straordinariamente ricca di assi decorate provenienti dalla vecchia Cairo, intagliate nella stessa ornamentazione di quella degli stucchi, spesso dipinte o dorate, e anche con motivi di animali vigorosamente stilizzati: se ne può arguire che le case private erano allora abbondantemente adorne di simili rivestimenti lignei e va quindi prestata fede ai racconti di autori arabi secondo i quali Ibn Ṭūlūn fece decorare il suo palazzo con rilievi in legno figurati. Egli cercò pure, come si desume da numerosi ritrovamenti, di rianimare l'industria vetraria che in sostanza si nutriva ancora della tradizione classica; e sotto il suo impulso sorse la fabbricazione della maiolica egiziana a riflessi, seguendo l'esempio delle ceramiche del ‛Irāq a lustri metallici che furono allora importate in grande quantità. Le manifatture statali (ṭiraz), che fabbricavano tessuti di lino con ricami in seta specialmente per conto della corte dei califfi, presero un notevole sviluppo; gli esempî ancora rimasti di oggetti in bronzo e d'oreficeria testimoniano una nuova fioritura anche nel campo della toreutica.
Le decorazioni in stucco (900 circa) del Deir es-Suryānī, uno dei conventi nel Wādī Naṭrūn, forniscono la prova che lo stile ṭūlūnide fu accolto anche dai cristiani copti e abilmente adattato alle loro speciali esigenze religiose.
Bibl.: E. K. Corbett, The life and works of Ahmed ibn Tulun, in Journ. R. Asiatic Soc., 1891; S. Flury, Samarra und die Ornamentik von Ibn Tulun, in Der Islam, 1913; id., Die Gipsornamente des Dêr- es-Suriâni, ibid., 1916; Moh. Zaki Hassan, Les Tulunides, Parigi 1933.