BARISINI, Tomaso
(o Tomaso da Modena)
Pittore attivo in Italia settentrionale tra il secondo e il terzo quarto del sec. 14°, più conosciuto come Tomaso da Modena; nacque infatti a Modena tra il 9 marzo 1325 e il 6 maggio 1326, dal pittorenotaio Barisino Barisini.B. compare in due documenti del 9 marzo 1339 e del 9 maggio 1340; nel 1342 la madre era già morta e il padre Barisino, risposatosi con Bartolomea di Nascimbene Baldo, morì tra il maggio e il giugno 1343. Sino al 1344 B. risiedette in città, ma già nel febbraio 1346 ne era lontano, come risulta da atti rogati dalla famiglia in sua assenza. Tomaso a quell'epoca non aveva ancora concluso la sua educazione artistica, iniziata probabilmente presso la bottega del padre: forse si recò a Bologna, presso Vitale, così come paiono suggerire i tratti stilistici di tutte le sue opere giovanili, oppure, come risulta da un atto rogato a Treviso il 17 marzo 1347, si fermò subito in questa città dove si stabiliva anche il fratello Benedetto con la moglie Agnese. Nel 1348 questi ultimi morirono e Tomaso dovette lasciare Treviso per Modena dove difese il suo diritto all'eredità della cognata, contro le richieste della sorella di Agnese, Giovanna: il 3 gennaio 1349 B. nominò due arbitri a sua difesa, il cronista Bonifacio da Morano e Giacomino da Corte. Il 29 gennaio si recò al convento dei Francescani, dove venne incaricato di far registrare nei Memoriali del Comune il testamento dell'amico Bonifacio da Morano. Il 16 marzo vendette alcune sue terre a Giacomino. Tornato a Treviso fece da testimone in un atto stipulato nella chiesa di S. Vito, insieme al pittore Stefano di Benedetto da Ferrara: nel documento, datato 6 giugno 1349, B. viene per la prima volta definito 'pittore'. Altri atti, stilati il 22 settembre 1350, il 15 aprile e 3 dicembre 1351, lo citano ancora quale testimone presso la chiesa di S. Vito, cosa che farebbe pensare a una sua residenza proprio in quella contrada. Nell'ultimo documento citato B. è nominato esecutore testamentario del conterraneo Giovanni da Modena, prebendato della cattedrale di Treviso. Consimili funzioni il "magistro Thomasio pictore de Mutina" svolgeva il 17 marzo 1354, al palazzo vescovile. A Treviso l'artista rimase per qualche anno ancora, nonostante sia stato chiarito che il documento citato da Bailo (1883), del maggio 1338 (e non 1358), si riferisce al pittore trevigiano Tommaso di Bonaccorso e non a Barisini. Dal 17 luglio 1358 fu nuovamente a Modena, dove nel 1360 sposò Catalina, figlia del notaio Pietro di Nonantola, da cui ebbe il figlio Bonifacio. Il matrimonio modenese, rafforzando i legami di Tomaso con la città natale, induce a credere che egli non abbia più fatto ritorno a Treviso. Il 9 marzo 1368 è citato per l'ultima volta in un documento modenese. Morì forse non molto tempo dopo tale data e comunque prima del 16 luglio 1379, quando il figlio Bonifacio si impegnò a restituire alla madre la cospicua dote già affidata al marito, che in tale occasione viene dichiarato defunto.L'unica data sicura legata a un'opera firmata da B. è il 1352, iscritta nel ciclo affrescato nel Capitolo dei Domenicani di S. Niccolò a Treviso. Una seconda data, di più incerta lettura - 1345 o 1348 -, è apposta al trittico portatile di Modena (Gall. e Mus. Estense), accanto alla firma: Thomas fecit. Su queste scarne certezze è stato ricomposto via via il percorso cronologico e stilistico dell'artista, del quale, ancora ai primi dell'Ottocento, si discuteva la nazionalità: boema, per gli studiosi di ambiente germanico, sulla scorta dello svizzero De Mechel (1794), che interpretava il de Mutina iscritto sul trittico del castello imperiale di Karlštejn - a quell'epoca temporaneamente conservato a Vienna - come la denominazione latina di una località boema; italiana, per gli studiosi italiani, a partire da Federici (1803). A quest'ultimo si devono le prime valutazioni critiche della produzione trevigiana di B., oltre all'opera di salvaguardia e di riproduzione, tramite incisione, degli affreschi del Capitolo del convento di S. Niccolò. A Cavalcaselle (Cavalcaselle, Crowe, 1887) si deve un primo catalogo di opere e un sensibile profilo della personalità di Tomaso, a Coletti (1925) indagini assidue tese a evidenziarne percorsi, influenze e ruolo storico.Appartengono ai primi anni di attività dell'artista il trittichetto della Gall. e Mus. Estense di Modena, forse la sua opera prima, e l'altarolo reliquiario della Pinacoteca Naz. di Bologna. Un affresco mutilo, raffigurante la Madonna con il Bambino, sulla colonna sopra il pulpito della cattedrale di Modena, la cimasa con l'Annunciazione del Mus. Civ. di Storia e Arte Medioevale e Moderna di Modena e l'affresco con la Madonna con il Bambino in S. Michele a Fidenza sono collocabili (sebbene permangano tuttora incertezze attributive) negli stessi anni 1345-1350 circa. Nello stile di queste opere, soprattutto quelle su tavola, B. si mostra profondamente debitore, anche tecnicamente, della cultura bolognese sviluppatasi attorno ai vivaci scriptoria e alle botteghe dei pittori quali lo pseudo-Jacopino, Dalmasio, il 'gotico' Vitale, seppure già incline a smussarne gli scatti più radicali e 'fantastici' a favore di un tono formalmente più composto, ove anche le scelte iconografiche assai rare (anch'esse debitrici di una comune inclinazione culturale di marca emiliana) si raccolgono in un'atmosfera di domestica intimità, preziosa e insieme colloquiale. Anche le rotondità del modellato, morbido e denso, così come la gamma cromatica e l'adozione di una cornice di tipo veneziano, sono qui d'influsso vitalesco, influsso che si ritrova anche in opere di datazione più tarda, come probabilmente è da considerarsi l'altarolo reliquiario (probabile ala destra di dittico) della Walters Art Gall. di Baltimora: qui la raffinata inserzione di vetri églomisés, di altra mano, e di pietre dure lo rivela prodotto destinato a un committente dai gusti piuttosto singolari e precisi, che Pujmanová (1980) ipotizza appartenere al medesimo milieu boemo che commissionò a Tomaso il trittico e il dittico di Karlštejn.Seguono gli anni di attività trevigiana, legati alle commissioni domenicana, francescana e agostiniana, ovvero ai principali e più potenti Ordini monastici del tempo. Nella sala capitolare del convento di S. Niccolò B. ebbe incarico di rappresentare la storia e la gloria dell'Ordine dei Domenicani, attraverso una galleria di ritratti dei suoi membri più illustri, ciascuno ripreso all'interno della cella, intento allo studio, alla lettura, alla meditazione sui testi sacri. La composizione è completata da tre ordini di figure geometriche - situati nella fascia inferiore delle pareti affrescate - entro i quali sono inscritti gli elenchi delle province domenicane e dei conventi della provincia della Lombardia inferiore, nonché nomi e lodi dei maestri generali. È questa un'opera capitale e un punto di svolta decisivo non soltanto per lo svolgimento artistico di B. ma per l'intera area veneto-padana e friulana, che venne immediatamente coinvolta dal suo linguaggio decisamente naturalistico, che qui, per la prima volta, esplode con forza e maturità sorprendenti: il vigore e l'efficacia visiva dei ritratti, delle tipizzazioni - come si direbbe meglio - dei padri domenicani nascono infatti da una icastica quanto intensa caratterizzazione psicologica di ciascun personaggio, dall'individuazione rapida del centro emotivo che fa scattare di volta in volta e l'azione e l'espressione. Nella chiesa del convento di S. Niccolò, sul secondo pilastro a sinistra, B. affrescò un S. Girolamo nel suo studio e un 'trittico' con S. Romualdo, due donatori, S. Agnese (una delle più celebri e delicate figure femminili dipinte dal maestro) e il Battista.I dati storici connessi alle vicende politiche che interessavano Treviso tra il 1356 e il 1358 (i ripetuti assedi da parte di Luigi d'Ungheria), quelli documentari, nonché quelli stilistici e tecnici connessi alle modalità di stesura degli affreschi, punterebbero a far ritenere non del tutto ipotetica una datazione al 1356-1357 (Zuliani, 1979; Gibbs, 1981) delle Storie di s. Orsola nella omonima cappella absidale della distrutta chiesa eremitana (agostiniana) di S. Margherita, riscoperte e salvate con un tempestivo distacco da Bailo nel 1882 e oggi conservate presso il Mus. Civ. Luigi Bailo di Treviso, benché la maggior parte degli studiosi abbia in precedenza preferito una datazione al 1360-1366. Il carattere aristocratico del racconto, la scelta di un tema leggendario quale quello delle undicimila vergini e martiri bretoni, carico di valenze e predilezioni tipiche della civiltà cortese, spinge a individuare un legame di committenza, seppure non univoco, con i Cavalieri Gaudenti (Muraro, 1981), ordine religioso-militare di marca altamente aristocratica, che a Treviso ebbe speciale forza e persistenza. In queste storie affollate e tumultuose si intensificano e si sciolgono, in più dispiegata orchestrazione, i tratti peculiari della personalità di B.: la narratività esuberante subito dispersa e frammentata in episodio, un disinteresse pressoché totale per la definizione a priori dello spazio, sia esso architettonico o meno, ovvero un rifiuto della spazialità razionale di tipo giottesco, con un'adesione, invece, tutta fisica, plastica, emotiva, alla materia delle cose, agli spazi creati dai moti dei corpi e dalle tensioni del racconto, un'inventiva sempre aderente alla sostanza reale dell'evento, incurante di convenzioni iconografiche o rarefazioni emblematiche.Negli stessi anni cadono anche le commissioni imperiali per le due tavole (un dittico e un trittico) conservate al castello di Karlštejn. Il dittico raffigura la Vergine con il Bambino, il 'Cristo passo' con angeli nelle cimase, apostoli e angeli musicanti nei pilastri. Il trittico - ancor oggi 'incastonato' entro una struttura nella quale le figure dipinte da B., ritagliate dal polittico originale, furono inserite tra il 1365 e il 1367 - è situato sopra l'altare della cappella della Croce (completata nel 1367) e raffigura la Vergine con il Bambino affiancata dai ss. Venceslao e Giorgio (altrimenti identificato con s. Palmazio). Le ultime ricerche e riflessioni critiche (Pujmanová, 1980; Gibbs, 1982; Italské gotiké, 1987) portano a considerare il dittico quale opera degli anni 1352-1356, frutto di un ordine di Carlo IV trasmesso al pittore o dall'imperatrice Anna Svídnická e dall'arcivescovo Ernesto da Pardubice, che passarono per Treviso il 22 gennaio 1355, o meglio da Carlo IV stesso, a Treviso nel 1349, o forse ad Avignone, ove nel 1346 l'imperatore, accompagnato dal fedele e coltissimo Juan de Středa, conobbe Petrarca. Una conoscenza diretta tra Carlo di Boemia e B. ad Avignone spiegherebbe più concretamente il raffinato e consapevole omaggio che Tomaso tributa, in entrambe le tavole boeme, alla corrente senese e martiniana, al cui stile aulico, prezioso e sottilmente vibratile, egli piega e sottomette le sue più autentiche e innate propensioni naturalistiche: una 'deviazione' che può essere avvenuta appunto per un esplicito desiderio del sovrano letterato, che prediligeva i sofisticati e 'internazionali' formalismi realizzati dalla bottega avignonese di Simone Martini. Il trittico si data tra il 1356 e il 1365: ineludibile è l'assonanza tra l'iscrizione con cui B. firma l'opera e gli esametri che Petrarca appose al proprio manoscritto con le opere di Virgilio, miniato sul frontespizio da Simone.L'attività trevigiana comprende inoltre: l'affresco per la cappella di S. Giovanni Battista (o cappella Giacomelli) in S. Francesco, con la Madonna e il Bambino in trono e santi, eseguito (1354 ca.) in due tempi e con aiuti; un 'Cristo passo' affrescato su una lunetta del palazzo vescovile e oggi conservato al Mus. Diocesano; i resti di una Madonna in trono con angeli reggicortina nella cappella della Crocifissione della chiesa di S. Lucia (forse del 1355). Con alcune incertezze, sembrano di B. anche i frammenti di un ciclo di Storie di Cristo (post Risurrezione) nella cappella centrale della distrutta chiesa di S. Margherita. Al 1357 ca. appartiene anche l'ala di dittico con S. Giacomo, S. Antonio da Padova e una clarissa donatrice, del Mus. di Castelvecchio, Civ. Mus. d'Arte a Verona.Estremamente scarse sembrano le testimonianze rimaste dell'attività di Tomaso successiva al 1358, quando è documentata la sua presenza a Modena, qualora non si accolga l'ipotesi della sua morte assai anteriore a quel 1379, accettata da tutti, ma non affatto comprovata. Fa eccezione l'affresco della Madonna con il Bambino della chiesa di S. Agostino, sull'altare del Santissimo, databile al 1366-1368, mentre assai controversa è l'attribuzione degli affreschi con Storie di s. Ludovico d'Angiò della cappella Gonzaga, nella chiesa di S. Francesco a Mantova, così come la miniatura della Vergine con il Bambino oggi presso la Fond. Longhi a Firenze, unico presunto indizio di un'attività miniatoria di Barisini.
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