ORSOLINO, Tomaso
ORSOLINO, Tomaso. – Nacque intorno al 1587 da Antonio, «bravo architetto genovese, quantunque nato di padre lombardo» (Soprani - Ratti, 1768, p. 420) e da Concordia Lurago, i quali si erano sposatia Genova, nella parrocchia di S. Sabina, il 29 agosto 1585 (Alfonso, 1985: a questo contributo e a quelli di Belloni, 1988, e Parma Armani, 1988, si rimanda per le notizie riportate, se non diversamente indicato).
Antonio era figlio di Giovanni senior, Concordia dello scultore Rocco Lurago, il quale fu maestro del genero (Soprani, 1674, p. 287). La data di nascita di Tomaso è fissata grazie all’atto di morte del 1675 in cui viene definito «di 88 anni circa», sebbene non sia emersa la registrazione anagrafica né dagli archivi parrocchiali di Ramponio, in Val d’Intelvi, paese d’origine della famiglia, né da quelli genovesi. Nell’archivio di S. Sabina sono invece conservati gli atti di battesimo di altri figli della coppia, nati tra il 1586 e il 1590. Belloni (1988, p. 101), in base a questa serrata successione di nascite, ha posposto l’anno in cui Tomaso vide la luce intorno al 1591. Nel 1604 il padre, per ora poco documentato, risulta già defunto.
Non si possiedono notizie di Tomaso antecedenti il 1616, quando, insieme al cugino Giovanni, figlio dello zio paterno Battista, firmò e datò la Madonna con Gesù Bambino, in marmo di Carrara, nella cappella di testa della navata destra della chiesa di S. Maria delle Vigne a Genova, decorata, come si apprende da documenti del 1619-20, su progetto di Battista, del pittore Giovanni Battista Paggi e dello scultore fiorentino Francesco Fanelli. L’anno successivo fornì la Madonna con Gesù Bambino e s. Giovannino ora nell’edicola settecentesca di piazza S. Brigida. Il modello delle Vigne, elaborato sulla base del gruppo realizzato da Andrea Sansovino e giunto a Genova nel 1503 per essere esposto in cattedrale, ricompare nelle due statue della Vergine, firmate da Tomaso e datate l’una 1618, l’altra 1619, per il coro della chiesa delle clarisse di S. Chiara a Genova Albaro (ora nella sala capitolare) e per la chiesa di S. Domenico a Bonifacio (Franchini Guelfi, 2005, p. 263). Dovrebbe essere precedente la Madonna della Misericordia nella cripta dell’omonima chiesa a Genova Rivarolo.
Tra le numerose sculture mariane che è possibile assegnare a Orsolino – dovendo restituire a Fanelli, come suggeriscono i documenti (Priarone, 2009), il gruppo raffigurante Maria Divina Maestra nella chiesa degli scolopi di Genova, costantemente ritenuta di Tomaso (Franchini Guelfi, 2003B, pp. 273 s.) – si vogliono ricordare, per la bontà dell’attribuzione: una seconda scultura, intronizzata, nel coro della chiesa di S. Chiara a Genova Albaro; la Madonna del Carmine nella chiesa di S. Anna; la Madonna con Gesù Bambino, già sopra la porta di ponte Reale e ora nel piazzale della chiesa dei cappuccini, sempre a Genova; la statua nell’abside del santuario dell’Acquasanta a Genova Voltri e quella nella parrocchiale di Multedo. Tra le Madonne destinate all’esportazione in Francia sono attribuite a Tomaso e alla sua bottega quella nella nicchia esterna della parrocchiale di La Ciotat – la quale però potrebbe anche assegnarsi ai cugini Giovanni o Cristoforo, figli di Battista (Fabbri, 2008, p. 72) – e quella giunta nel 1645 a Riez, oltre alle statue, del tutto simili, di Sisteron (1646) e di Manosque (1664), e quella di Apt (1670), tutte di committenza cappuccina (Franchini Guelfi, 2003A, p. 171). Queste sculture propongono un modello compatto, pressoché invariato nel corso dell’intera attività dello scultore, ove a stento gli angeli o le nuvole di base possiedono vigore dinamico: soluzioni, tanto raffinate quanto di maniera, che ebbero un ruolo trainante anche nei confronti delle botteghe genovesi degli scultori in legno, come quella dei Santacroce e dei Bissoni, e furono perseguite fino ai primi anni Sessanta, quando il berniniano Pierre Puget apportò gli elementi per un totale rinnovamento.
Il nome di Tomaso compare per per la prima volta nei documenti nel 1618 quando partecipò a una riunione della Corporazione dell’artedei marmorari lombardi. Due anni dopo, nel 1620, entrò in società con Luigi Ceresola, condividendo una bottega, ubicata in via Nova presso il palazzo di Carlo Doria, dal cui inventario si apprende la presenza di una Madonna con Gesù Bambino (su prototipo di quella in S. Maria delle Vigne)destinata alla Spagna e di svariate tipologie di manufatti quali camini, piedistalli, tavoli intarsiati, busti e molte sculture. Il sodalizio si sciolse il 28 agosto 1626, quando Ceresola – costretto forse a lasciare Genova – non solo cedette la propria metà della bottega a Tomaso, ma gli affidò l’amministrazione dei marmi che negoziava da Carrara e da Massa per Palermo. Il 25 settembre 1620 Tomaso figura come testimone in un atto nel quale si trattava la vendita di pietre del Finale a Federico De Franchi per l’esecuzione di una fontana, di cui forniva il disegno preparatorio. In questo stesso anno, nell’ambito del complesso decoro della chiesa dei gesuiti a Genova, eseguì la statua raffigurante S. Matteo e l’angelo, posta in una nicchia del presbiterio, e, pochi anni dopo, tra il 1624 e il 1626, il Presepe che, nella cappella Raggio, andò a costituire un non convenzionale paliotto d’altare. Nel 1621 contribuì, con la realizzazione di un angelo, alla richiesta, avanzata dalla stessa Corporazione, di rivestire con marmi la cappella dell’Arte in S. Sabina. Tra il 1625 e il 1629 si occupò della cappella di S. Teresa nella chiesa di S. Maria del Carmine. Il 7 maggio 1626 stipulò il contratto per l’esecuzione del Monumento funebre di Demetrio Canevari, con il personaggio genuflesso sul sarcofago e scortato da putti piangenti, nella testata del transetto destro in S. Maria di Castello, saldato nel 1628. Del 1627 è la statua, siglata, effigiante Giovanni Battista Grimaldi per l’ospedale di Pammatone, mentre dell’anno successivo è quella di Oliviero De Marini (1628): queste magniloquenti sculture, unitamente ad altre otto statue di benefattori aggiunte da Tomasotra il 1651 e il 1666, sono orasparse nei giardini dell’ospedale di S. Martino. Il 22 ottobre 1628, «dovendo far viaggio per Lombardia» (Archivio di Stato di Genova, Notai antichi, Camillo Gherardi; cfr. Alfonso, 1985, p. 20), stese il proprio testamento; in questo periodo si recò infatti a Pavia nel cantiere della certosa, dove, secondo Baldinucci (1681-1728), realizzò 18 statue ed ebbe tra i suoi collaboratori il giovane Ercole Ferrata. In realtà il numero delle statue e dei bassorilievi fu di gran lunga superiore (Bossaglia, 1968).
Alla sua mano si devono le statue raffiguranti Aronne, Mosè, Elia, Abramo e Melchisedek, entro le nicchie alle spalle dell’altare maggiore, i Ss. Pietro e Paolo, in tabernacoli laterali, la Madonna in trono, nel sacrario parietale a sinistra, le sculture inserite nel tramezzo tra coro e presbiterio (ossia la Madonna, S. Giovanni Evangelista, Maria Maddalena, Davide, Isaia e, nella parte inferiore, S. Giovanni Battista e S. Brunone), il paliotto dell’altare di S. Brunone, siglato «T.O», quello della cappella di S. Michele, gli angeli reggi-pala nella cappella del Battista, il coronamento dell’altare dell’Annunziata e il paliotto della cappella di S. Siro. Le datazioni riservate ad alcune di queste opere, in un manoscritto conservato nella Biblioteca Ambrosiana, fanno presupporre un lavoro proseguito in patria e condotto fino agli anni Sessanta del secolo (Bossaglia, 1968; Parma Armani, 1988, p. 74).
Nel 1630 Tomaso è presente tra i 164 membri degli «Sculptores, sive Scalpellini» nella tassazione straordinaria per l’erezione delle nuove mura cittadine con una cifra tra le più alte (25 lire), indice di prosperità economica (Archivio di Stato di Genova, Camera del Governo e Finanze, 2605, c. 12).
Negli anni finali del soggiorno pavese (1634) fu impegnato, unitamente ai colleghi Giuseppe e Giovanni Battista Ferrandino, nell’esecuzione dell’altare maggiore e di altri lavori in marmo, tra cui la corona di angeli su fondo d’alabastro intorno a un’antica immagine mariana, nel santuario di S. Maria di Canepanova. Il 27 novembre 1634 promise a Cesare Cernetti di realizzare una statua di S. Domenico entro il marzo dell’anno seguente, per una destinazione non specificata.
Il rientro a Genova vide l’appalto di due impegnative commissioni, terminate molti anni dopo, come testimoniano le quietanze emesse per i saldi di pagamento: nel luglio 1635, insieme al cugino Giovanni, promise di eseguire per la chiesa della Maddalena, una serie di colonne binate con lesene per i muri perimetrali, un grande tabernacolo da collocare al centro dell’altare maggiore e due varchi per separare coro e presbiterio (saldo nel 1644); nel luglio 1636 fu attivo nel santuario di Nostra Signora del Boschetto a Camogli (saldo nel 1655), per il quale si ricordano l’alzata con angeli dell’altare maggiore e scalini e pavimento della zona presbiterale. Nel 1637 fornì quattro colonne di alabastro per la cappella del Rosario nella chiesa di S. Domenico, non più esistente (Franzone, 1997-99, p. 335), mentre altre 16 gli furono ordinate, per la stessa chiesa, nel 1643.
Il contratto stipulato con Giovanni Battista Lercari, nel 1641, per l’esecuzione di un altare nel suo palazzo, conserva il bel disegno preparatorio (Archivio di Stato di Genova, Notai Antichi, 5774, 23 aprile 1641). Nel 1642 Rocco Pellone venne pagato da Agostino Pallavicino per la sistemazione della controfacciata della chiesa di S. Siro: si suppone che la fornitura di una prima statua del committente e dei quattro rilievi con i Novissimi si debba a Tomaso (Boccardo, 1988, p. 199). Nel 1644 Giovanni Battista Centurione dichiarò di aver conferito mandato a Tomaso di eseguire statue e lavori in marmo da inviare in Spagna (Franchini Guelfi, 2002, p. 242). Nel 1645, insieme a Giovanni Battista, figlio del cugino Giovanni, a Gio Giacomo Porta, Gio Domenico Casella e Stefano Lombardelli, istituì una società per importare marmi da Caunes; nel 1648 i soci fecero stendere l’inventario dei «mischi di Francia bianchi e rossi» giunti a Genova, tra cui si annoveravano 40 colonne (Franchini Guelfi, 2003A, p. 181). Il 2 agosto 1645 vinse il concorso per l’esecuzione dell’altare dedicato a S. Siro nello ‘scurolo’ del duomo di Pavia (saldo richiesto il 4 maggio 1650; altare trasferito nel 1933 nel transetto destro) e, nel luglio 1650, gli fu commissionata anche la relativa ancona marmorea, terminata entro l’anno successivo, come si ricava da una supplica per il saldo avanzata dallo scultore nel 1653.
Con Giovanni Battista fu titolare del contratto, stipulato nel 1650, per la pavimentazione del Sancta Sanctorum, in marmo bianco di Carrara con decorazioni policrome, della certosa di Garegnano presso Milano. Ai primi anni Cinquanta è attestata una sua attività istituzionale in seno alla Corporazione dei marmorari, mentre tra il 1651 e il 1655 risale la scultura mariana siglata e inviata all’oratorio di S. Pancrazio a Ramponio. Nel settembre 1653, su commissione dell’arcivescovo di Avignone, il genovese Domenico De Marini, s’impegnò a rivestire di marmi (altare, pareti, pavimento e un tabernacolo), inviati da Genova, la cripta di S. Marta a Tarascona entro la cattedrale, conclusa nel 1658 (Fabbri, 2001, pp. 71 s.); di tali lavori resta la scultura della santa adagiata sul letto di morte (Franchini Guelfi, 2003A, pp. 175 s.). Anche la Madonna del Rosario, fornita intorno al 1660 a De Marini per contrassegnare la grotta della Sainte-Baume in occasione della traslazione delle reliquie di Maria Maddalena da quel luogo alla cattedrale di Saint-Maximin nell’omonima località, è attribuibile allo scultore (Fabbri, 2000-03, p. 155; Franchini Guelfi, 2003A, p. 175). In quella stessa cattedrale si trova una Madonna Regina, inviata come dono, nel 1659, dalla Repubblica di Genova al padre Maurizio di Tolone, guardiano del convento cappuccino di St. Maximin: l’attribuzione a Tomaso (Fabbri, 2001) non è accolta da Franchini Guelfi (2003A, pp. 171, 188 n. 1). Nel luglio 1654 si impegnò per l’esecuzione di un parapetto marmoreo nell’organo della cattedrale genovese di S. Lorenzo, saldato nel febbraio 1655. A Emanuele Brignole, nel luglio 1655, promise l’esecuzione di un S. Francesco per la casa madre delle brignoline (ora nella sede di Genova Marassi); a Giovanni Battista Raggio, nel maggio 1656, un ‘barchile’ e sei statue raffiguranti le costellazioni; a Paola Maria Spinola, nel giugno 1656, un tabernacolo per l’altare maggiore della chiesa di S. Luca, saldato nel 1659; per questa stessa chiesa realizzò la balaustrata (1656) e sei capitelli (1671). Sempre nel 1656, in società con Giovanni Battista, scolpì una fontana per Giovanni Stefano Centurione su modello del pittore Domenico Fiasella (Belloni, 1975, p. 53) e un’altra fontana, che recava al centro la statua di Apollo, per un committente spagnolo (Franchini Guelfi, 2002, p. 242). Nel 1657 si associò con Giuseppe Ferrandino per l’acquisto di marmi da Carrara e la gestione di due cave in Valpolcevera. Sempre nel 1657, prese in affitto la bottega di un altro figlio di Giovanni, Carlo Antonio che morì nel 1658 e di cui Orsolino sposò la vedova il 4 giugno dello stesso anno. Lo sfruttamento delle cave carraresi, in società con Giovanni Battista, è documentato dal 1656 e ancora nel 1669. Insieme a questi e a Gio. Giacomo Porta, fondò, nel 1661, un’ulteriore società per trasportare e utilizzare il marmo rosso di Caunes nella decorazione della chiesa dei gesuiti di Napoli.
Nell’agosto 1661 si impegnò a sostituire la grande statua di Agostino Pallavicino nella controfacciata di S. Siro, forse da lui eseguita vent’anni prima, con un S. Pietro, oltre a progettarne, come documenta il disegno allegato al documento, l’intero assetto, che comprendeva due nicchie con le statue di Agostino e Ansaldo Pallavicino (Boccardo, 1988, pp. 199 s.; Zanelli, 2004). Nel 1662, insieme a Giovanni Tomaso – figlio di Giovanni Battista – eseguì una fontana con ninfa e unicorno, destinata all’esportazione: allegato al contratto resta il disegno, con il monogramma «TO» (Franchini Guelfi, 2002, p. 243). Nel 1663 per palazzo S. Giorgio eseguì la statua di Andrea De Fornari, cui seguirono nel 1670 l’edicola dell’orologio e, l’anno dopo, la statua di Andrea Chioggia (1671). Nella chiesa di S. Matteo, gentilizia dei Doria, si occupò dell’edificazione della cappella dell’Annunziata, avviata nel 1664 e saldata l’anno successivo. Sempre nel 1664 un «Orzolino» (Tomaso o Giovanni Battista) fu remunerato per la lavorazione di marmi nella cappella della famiglia Moneglia, dedicata a S. Nicola da Tolentino, nell’omonima chiesa a Genova. Nel 1665 gli venne commissionato da Francesco Canari un S. Francesco Saverio per la sua villa di Bastia, attualmente posto in una nicchia sulla facciata della chiesa di S. Carlo Borromeo in questa stessa città (Franchini Guelfi, 2005, p. 263). Nel 1666 s’impegnò a condurre, entro due anni, la cappella dell’Addolorata per i serviti della badia del Boschetto a Genova. Insieme a Carlo Solaro, fu incaricato, nell’aprile 1667, di provvedere al rivestimento marmoreo della cappella Spinola nella chiesa del Gesù e di eseguire l’anno dopo, nel medesimo ambiente, l’altare, la pavimentazione e due statue laterali. In quello stesso anno rivestì con marmi la cappella degli Orefici nella chiesa delle Vigne. Tra il 1669 e il 1670 fornì una serie di colonne con basi e capitelli per le chiese genovesi di S. Sabina e S. Fede.
Il 1° maggio 1670, unitamente a Giacomo Garvo, accettò di realizzare una cappella in marmo nella chiesa genovese di S. Silvestro di Pisa, ove si trovava anche una statua mariana, identificata con quella ora nella chiesa della Maddalena (Parma Armani, 1988, p. 76). Nel maggio dell’anno successivo richiese, insieme a Giovanni Battista Casella e Giacomo Garvo, la fabbricazione di piedistalli per colonne per il collegio gesuita di S. Geronimo agli scultori Vincenzo Saporito e Giacomo Corbellino; nello stesso mese, insieme a Giovanni Tomaso, si impegnò con Gio Carlo Brignole per la fornitura di 30 colonne di marmo per il suopalazzo in strada Nuova (ora Spinola-Doria). Nel 1671 fu terminata la grandiosa cappella della Nazione dei Genovesi nella cattedrale di S. Cruz a Cadice, caratterizzata da una monumentale architettura in marmi policromi, con paliotto squadrato e doppio timpano retto da quattro maestose colonne tortili: il lavoro fu condotto nell’arco di un ventennio, giacché era stato deliberato nel 1651 e affidato a Tomaso e a Giovanni Tomaso,uniti in società dal 1646 (Franchini Guelfi, 2002, p. 241). Da una registrazione contabile del settembre 1671 si apprende la quantità di lavori (cornici, pilastri, scale, balaustre) svolta per il palazzo genovese di Giovanni Giacomo e Giacomo Ottavio Giustiniani, tra i quali anche l’esecuzione di un busto per la loggia raffigurante il Cardinale Vincenzo Giustiniani (Bruno, 2011, p. 164).
Morì a Genova il 12 maggio 1675.
Fu sepolto nella chiesa del Carmine, secondo le disposizioni contenute nei vari testamenti redatti dopo quello del 1628 (11 febbraio 1637; 1° luglio 1669; 7 maggio 1675). Soprani (1674, p. 287) lo definì «egreggio Scoltore», ma non gli dedicò una biografia, «stante il suo vivere».
Battista, figlio di Giovanni senior e fratello di Antonio (padre di Tomaso), nacque a Ramponio intorno al 1553 e giunse da fanciullo a Genova; la prima notizia disponibile risale al 4 settembre 1578, quando stipulò il contratto per una pala marmorea, tuttora conservata, raffigurante l’Assunzione della Vergine e il relativo altare da inviare alla cattedrale di Arles. Il 2 aprile 1585, insieme ad Antonio, accettò di realizzare il portale per il palazzo di Giulio Sale in piazza S. Maria di Castello a Genova, per il quale, il solo Battista, fornì, in successione cronologica, altri lavori in marmo nella loggia e una fontana (1586 e 1591). Il sodalizio con Taddeo Carlone gli fece ottenere le commissioni di svariate cappelle gentilizie nelle maggiori chiese cittadine: la cappella Negrone in S. Maria delle Vigne (1588), la cappella Senarega nella cattedrale di S. Lorenzo (1593), la cappella Spinola nella chiesa della Ss. Annunziata di Portoria (1594) e la cappella Pinelli (1595) nella chiesa di S. Siro. Nel contratto del 18 settembre 1595 per quest’ultima impresa, conclusa nel 1606, Battista è definito lapicida e Taddeo Carlone scultore, competenze che garantivano la fornitura dei rivestimenti marmorei, delle parti ad architettura e degli elementi scultorei di figura. Nel 1593 a Battista fu commissionato da Quirico Fieschi e Giulio Pallavicino il Sepolcro per la beata Caterina Fieschi nella chiesa della Ss. Annunziata di Portoria. Sempre Battista fu il titolare della decorazione delle cappelle Imperiale (1599) e Gentile (1603) nella chiesa di S. Siro e della commissione, ricevuta da Giovanni Andrea Doria nel 1602, del Mausoleo di Andrea Sforza del Carretto nel coro della chiesa di S. Caterina a Finale (ora sulla controfacciata della collegiata di S. Biagio a Finalborgo). Come si è detto, Battista fu responsabile, insieme al pittore Paggi e allo scultore Fanelli, della decorazione della cappella in S. Maria delle Vigne. Risulta particolarmente corposa la documentazione connessa alla sua attività di locazione e di acquisto di case e magazzini, nella zona della parrrocchia di S. Sabina. Nel testamento, steso il 5 luglio 1625, assegnò al nipote Tomaso, «pro quavis eius indigentia» (Archivio di Stato di Genova, Notai antichi, Gio Andrea Celesia; cfr. Belloni, 1988, p. 93), le rendite di una casa in campagna, mentre i restanti beni furono spartiti tra i figli Giovanni e Cristoforo. Morì a Genova in questo stesso anno.
Giovanni, figlio di Battista, nacque a Ramponio nel 1578, come si ricava da un atto del 1607 in cui dichiara 29 anni. Risulta attivo già nel 1600, con il padre, nei lavori della cappella Imperiale nella chiesa di S. Siro. Insieme al cugino Tomaso, firmò, nel 1616, la statua della Madonna con Gesù Bambino nella citata cappella in S. Maria delle Vigne, e, quattro anni dopo, compare nell’atto in cui il pittore Paggi e il padre Battista commissionavano allo scultore Fanelli i bronzi per quella stessa cappella (Varni, 1879). L’11 gennaio 1618 scolpì il gruppo dell’Annunciazione per la chiesa dei Ss. Nazario e Celso ad Arenzano, caratterizzato da una qualità esecutiva impeccabile nella commistione tra il vibrante manierismo di Tomaso e la classica compostezza ereditata da Fanelli. Dal 1625, dopo la morte del padre, si associò con Tomaso che inserì lui e i suoi figli nel testamento steso nel 1628 e in quello del 1637, nel quale gli lasciava in eredità un fondo e due cave. Intorno al 1630 dovrebbero datarsi i complessi lavori (presbiterio, altare con tabernacolo a tempietto, statue e cripta) eseguiti nel santuario di Nostra Signora del Monte a Genova, di concerto con il fratello Cristoforo e ricordati anche da Soprani (1674, p. 333). A loro si devono inoltre le tombe, conservate nello stesso santuario, dei fratelli Saluzzo, costituite da un sarcofago sormontato frontalmente dai busti (Fabbri, 2006, p. 190). Nell’ambito della tassazione del 1630 per l’erezione delle nuove mura, oltre a far parte della categoria degli «Sculptores sive Scalpellini» (Archivio di Stato di Genova, Camera del Governo e Finanze, 2605, c. 12), fu annoverato tra i «Celatores, vulgo Intagliatori» (ibid., c. 20): dunque praticava, unitamente al figlio Giovanni Battista – presente nello stesso documento – anche l’intaglio ligneo (Sanguineti, in corso di stampa). Nel 1632 promise a Simone Ayrolo di realizzare e decorare la sua cappella nella chiesa di S. Francesco da Paola: la scultura in marmo della Madonna Assunta, di cui si è rintracciato in collezione privata l’inedito bozzetto in terracotta, venne scolpita in questa occasione non tanto da Tomaso, come si è supposto (Alfonso, 1985, p. 212), ma probabilmente, per il linguaggio aulico e classicheggiante, da Fanelli. Tra il 1631 e il 1638, unitamente a Cristoforo, realizzò la parte scultorea del colossale Mausoleo del maresciallo Jean-Baptiste d’Ornano e di Marie de Modène Montlor, sua moglie, oggi molto rimaneggiato, eseguito a Genova e trasportato nel duomo di Aubenas da Giovanni Battista e Martino Solaro (Fabbri, 2006). Il 29 luglio 1634 si accordò con un padre francescano per scolpire una tribuna in marmi policromi, di cui si ignora la destinazione. Nel 1635, insieme a Cristoforo, realizzò altar maggiore e tabernacolo (sostituiti nel Settecento), per la chiesa della Maddalena a Genova. Nel 1640, oltre a dichiarare che le cave di pietra di Promontorio erano di proprietà dei suoi avi, s’impegnò a eseguire un tabernacolo per i padri della distrutta chiesa di S. Maria degli Angeli a Genova Sampierdarena, forse in parte trasportato nella chiesa di S. Maria della Cella e adattato a battistero. Nel 1651 ricevette dallo scultore in legno Giovanni Battista Santacroce due piani di una casa in contrada S. Tomaso a saldo dei debiti che la famiglia Santacroce aveva contratto con il padre Battista. Contrariamente a quanto sostenuto da Soprani (1674), non perì durante il contagio del 1657, ma fece ritorno a Ramponio, terra d’origine della famiglia, dove morì nel 1660.
Cristoforo, figlio di Battista, nacque a Ramponio intorno al 1593. Scarsamente documentato, oltre al S. Francesco genuflesso, commissionato nel 1624 per la Provenza – identificabile con la statua firmata posta nella cattedrale dell’Assunta a La Ciotat (Fabbri 2001, pp. 74 s.; 2008, p. 72) – possono essergli attribuite le statue di S. Francesco, di S. Rocco e dei sei angeli, collocate nella zona presbiteriale del santuario di Nostra Signora del Monte, decorato intorno al 1630 insieme al fratello Giovanni. Nel novembre 1633 accettò di rimaneggiare la tomba di Lorenzo Federici nella chiesa di S. Domenico e, l’anno successivo, di ricostruire, nel chiostro della chiesa di S. Francesco, la tomba degli antenati di Vittoria De Franchi, moglie di Federico Federici. Morì a Genova nel 1637, secondo la registrazione nella chiesa di S. Sisto che lo qualifica come «faber di statue marmoree» (Alfonso, 1985, pp. 241-245; Belloni, 1988, pp. 97 s.).
La generazione successiva, non particolarmente documentata, è nota soprattutto per lavori di quadratura: i figli di Giovanni, Carlo Antonio (morto nel 1658) e Giovanni Battista (1605-1661), e il figlio di quest’ultimo, Giovanni Tomaso (1636-1716), sono più volte documentati in società con il vecchio zio Tomaso.
Fonti e Bibl.: R. Soprani, Le vite de’ pittori, scoltori et architetti genovesi..., Genova 1674, pp. 288, 333 s.; F. Baldinucci, Notizie de’ professori del disegno da Cimabe in qua (1681-1728), XIII, Milano 1812, pp. 430-432; R. Soprani - C.G. Ratti, Vite de’ pittori, scultori, ed architetti genovesi, I, Genova 1768, pp. 420, 436 s.; C.G. Ratti, Instruzione di quanto può vedersi di più bello in Genova in pittura, scultura ed architettura, Genova 1780, pp. 114, 243, 361; F. Alizeri, Guida artistica per la città di Genova, I, 1, Genova 1847, p. 335; S. Varni, Ricordi di alcuni fonditori in bronzo, Genova 1879, pp. 52-54; M. Labò, O., T., in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXVI, Leipzig 1932, p. 370; R. Bossaglia, Scultura, in La certosa di Pavia, Milano 1968, pp. 69 s.; B. Cetti, Artisti vallintelvesi, Como 1973, pp. 30-41, 98-100, 144-150; V. Belloni, Caröggi, crêuze e möntae, Genova 1975, pp. 42-61; B. Cetti, T. O. scultore comacino (1587-1675), in Arte cristiana, LXVI (1978), pp. 203-212; L. Alfonso, T. O. e altri artisti di «Natione Lombarda» a Genova e in Liguria dal sec. XIV al XIX, Genova 1985; V. Belloni, La grande scultura in marmo a Genova (secoli XVII e XVIII), [Genova] 1988, pp. 92-108; E. Parma Armani, Gli Orsolino, in La scultura a Genova e in Liguria, II, Dal Seicento al primo Novecento, Genova 1988, pp. 71-76; P. Boccardo, Un exemplum: la controfacciata della chiesa di S. Siro, ibid., pp. 199 s.; L. Baini, Tre altari seicenteschi nella cattedrale di Pavia: note su T. O. e la sua committenza, in Artes, II (1994), pp. 68-97; R. Gariboldi, T. O. alla certosa di Garegnano, in Certosa in nuova luce, Milano 1994, pp. 99-111; M. Franzone, Il cantiere artistico della cappella del Rosario in S. Domenico a Genova, in Studi di storia delle arti, 1997-99, n. 9, pp. 335-342; F. Fabbri, Sculture genovesi nel Sud della Francia in epoca barocca: elementi di rinnovamento artistico e devozionale, ibid., 2000-03, n. 10, pp. 151-168; Id., Le commerce de la statuaire de marbre entre Gênes et la Provence: mécénat et dévotion à l’âge baroque, in Provence historique, CI (2001), 203, pp. 69-84; F. Franchini Guelfi, La scultura del Seicento e del Settecento. Marmi e legni policromi per la decorazione dei palazzi e per le immagini della devozione, in Genova e la Spagna, a cura di P. Boccardo - J.L. Colomer - C. Di Fabio, Genova 2002, pp. 241-259; Id., La scultura del Seicento e del Settecento. Statue e arredi marmorei sulle vie del commercio e della devozione, in Genova e la Francia, a cura di P. Boccardo - C. Di Fabio - Ph. Sénéchal, Cinisello Balsamo 2003A, pp. 171-189; Id., Maria Divina Maestra. Un’iconografia mariana per gli scolopi in Liguria, in Arte cristiana, XCI (2003B), pp. 273-278; A. Dagnino, Per una storia della decorazione marmorea. Altari e giuspatroni, in La chiesa del Gesù e dei Ss. Ambrogio e Andrea a Genova, a cura di G. Bozzo, Genova 2004, pp. 108-124; G. Zanelli, in L’Età di Rubens (catal., Genova), Milano 2004, pp. 518 s., n. 136; F. Franchini Guelfi, La scultura genovese del Seicento e del Settecento in Corsica. Immagini sacre e arredi marmorei per il territorio del dominio, in Genova e l’Europa mediterranea, a cura di P. Boccardo - C. Di Fabio, Cinisello Balsamo 2005, pp. 259-277; F. Fabbri, Marmi e bronzi genovesi per un cenotafio francese. La bottega degli Orsolino ad Aubenas in Ardèche, in Studi di storia dell’arte, 2006, n. 17, pp. 183-196; F. Fabbri, Marmi e statue fra le regioni francesi e la Liguria in epoca barocca: le ragioni di un commercio, i risultati di un interscambio, in Studiolo, VI (2008), pp. 65-87; M. Priarone, Gli scolopi in Liguria. Scelte artistiche e iconografiche, Genova 2009, pp. 19-21; M. Bruno, Volti scolpiti: il percorso parallelo della scultura in marmo, in D. Sanguineti, Genovesi in posa. Appunti sulla ritrattistica tra fine Seicento e Settecento, Genova 2011, pp. 154-174; D. Sanguineti, Assetti corporativi tra obblighi e rivendicazioni: gli scultori in legno e i bancalari nella Repubblica di Genova, in Atti della Società ligure di storia patria, in corso di stampa.