TOMBA (τάϕος, τύμβος; sepulcrum, locus sepulturae)
generalità. - La t., di cui il monumento funerario costituisce l'interpretazione architettonica (v. monumento funerario), è ancestralmente connessa, attraverso un'ampia gamma di variazioni, con atteggiamenti psicologici dei gruppi, prima che individuali, di fronte alla morte, da cui si enucleano i concetti della sopravvivenza e del culto funerario collettivo e familiare. Tali concetti si complicano progressivamente, specie in età storiche, con componenti di natura anche soggettiva, come è naturale in una materia che così profondamente incide sul pensiero e si arricchisce di fattori d'ordine religioso, sociale, economico, volta a volta preponderanti. Ciò spiega perché la casistica sia così varia, financo contradditoria. Per quanto riguarda in ispecie gli strati culturali più antichi, solo fino ad un certo punto sono validi ed utili i confronti con i dati dell'etnologia comparata desunti dalle situazioni delle popolazioni primitive recenziori, non potendosi ipotizzare un primitivismo assoluto, eguale per tutte le aree e per tutte le circostanze, cui riferirsi come a denominatore comune. Nemmeno il concetto della impurità del morto o l'atteggiamento di terrore di fronte al possibile ritorno (connesso quest'ultimo con l'interrogativo angoscioso sullo stato successivo al decesso) possono essere assunti in valore assoluto, allo stesso modo dei varî sistemi di trattamento del cadavere (inumazione semplice o rannicchiata, scarnificazione, seppellimento secondario, imbalsamazione, cremazione) che solo parzialmente possono ricondursi a determinare stadi di cultura oppure a qualificare gruppi etnici distinti. Da tutte queste molteplici circostanze sono condizionati l'esistenza o meno della t., il suo aspetto materiale ed il suo contenuto. È fuor di dubbio che soltanto a stadî relativamente evoluti si riportino i fondamenti del diritto funerario delle civiltà storiche, riconducibili al principio di una netta separazione tra mondo dei vivi e mondo dei morti, che ha portato costantemente, fin quasi alle soglie del Medioevo, alla precisa destinazione delle aree destinate al seppellimento, separate da quelle destinate alla vita delle comunità organizzate.
1. Egitto. - Le t. dell'età più antica sono semplici cavità, non molto profonde, scavate nella sabbia del deserto, nelle quali il morto era collocato disteso sopra un fianco e a gambe rannicchiate, coperto da una pelle di animale o da una stuoia o anche da una grande giara di terracotta. Attorno erano deposti vasi per il cibo e la bevanda, armi in pietra, la paletta per la truccatura degli occhi. Persone più agiate hanno vasi in pietra e oggetti d'avorio. La t. del povero era coperta da una stuoia sulla quale i familiari deponevano nei giorni commemorativi una scodella di pane e una brocca di birra. Le t. della classe più elevata erano rese visibili da una sovrastruttura in pietre o in mattoni. Mentre t. di questo tipo, nel deserto, rimasero sino alla fine della civiltà egiziana, le t. dei poveri, quelle dei notabili e dei principi ebbero uno sviluppo d'ineguagliata grandiosità, in armonia con le particolari credenze egiziane sulla sopravvivenza dopo la morte. È una costante della lunghissima escursione storica della civiltà egiziana la concezione della t. come elemento architettonico, generalizzata, come generalizzato almeno a partire dalla V dinastia, è il processo tipico di conservazione (mummificazione) del cadavere deposto entro contenitori in legno o pietra, non di rado multipli. La conservazione del corpo e la dottrina del "doppio" (Ka) qualificano la t. come punto fisso di riferimento per la parte spirituale dell'essere umano, anche se la complessa religione della sopravvivenza ammetteva il viaggio ultraterreno e la sede definitiva dell'anima dopo diverse prove e il giudizio divino.
La t. egizia, qualunque sia il suo aspetto esteriore (v. egiziana, arte) è costantemente a camera, costruita e in un secondo tempo scavata, sempre con il requisito dell'inviolabilità. Tali sono le piramidi e le mastabe e tali gli ipogei funerarî, realizzati gli uni e gli altri, non di rado, con l'occultamento dell'accesso. Il culto funerario si separa nettamente dal locus sepulturae, praticandosi in un'area esterna, che nei casi delle t. dinastiche o principesche assume carattere templare. La moltiplicazione dell'unica camera originaria sviluppa le superfici destinate a ricevere rilievi o pitture allusive alla vita ed alle imprese del defunto, al suo ruolo sociale, alla sua famiglia ed ai suoi passatempi. Quindi la t. assume anche il carattere di ricostruzione in pieno della personalità del defunto, non per i viventi, ma in funzione del defunto medesimo: le scene figurate assumono pertanto un valore collaterale o integrativo del corredo, che è specificatamente pratico e strumentale, e degli uèabti (v.), "doppî" destinati al servizio del defunto. Particolare anche della civiltà è non solo la concezione della t. come enùtità architettonica concepita e risolta coscientemente quale problema estetico, oltre al requisito della durabilità, ma l'inserimento dell'architettura funeraria in una più vasta ed articolata programmazione per cui essa si allinea con l'architettura templare cultuale- in realtà l'architettura funeraria è in Egitto religiosa- e con quella dinastica e pratica, con scambi anzi di iconografie, di forme e di dettagli.
2. Asia anteriore. - Il seppellimento di inumati entro ciste di pietra è attestato insieme con diverse altre forme: l'urna a capanna (Khedeira, Palestina, IV millennio), il tumulo a circolo di pietre (el-Adeiméh). L'inumazione rannicchiata (entro dolio) è documentata pure (Alisar), mentre a Cipro (Vounos) si seppelliva in complessi a camere plurime subrettangolari o rotonde o in costruzioni considerate precedenti della thòlos (Enkomi). Più tardi compaiono in Siria le t. a cassa e a pìthos, equivalenti del dolio, a Rās Shamrah dove pure in corrispondenza del Tardo Elladico si hanno t. a camera a vòlta semicircolare, in opera quadrata, con scale d'accesso e nicchie alle pareti e nella vòlta stessa, nascente dal piano del pavimento, considerate conseguenza di sollecitazioni egee. Certo esse modificano profondamente la tradizione del megalitismo anatolico e siriano, di cui possono considerarsi conseguenze, allo stesso modo delle thòloi micenee. Come esempio di t. a camera megalitica, forse di età neolitica, può considerarsi quella di Gamir Kalesi. Nell'orizzonte dei rapporti o dei parallelismi con l'Egeo va posta la t. a cupola paflagonica di Isik Dagh, con dròmos, ambiente circolare e un secondo ambiente rettangolare con nicchie, di tecnica submegalitica. Lo stesso può dirsi delle t. a vòlta siriane circa del XIII sec. e delle coeve t. megalitiche palestinesi. Seguono in Cipro t. a thòlos e a corridoio coperte con lastre spioventi, già dell'Età del Ferro (Tamassos).
Nell'area anatolica il grande sviluppo delle t. architettoniche e monumentali è relativamente tardo, con varianti locali sensibili, ma con il tema dominante della facciata rupestre che rivela la camera scavata (generalmente assai meno monumentale dell'esterno) anche dove il vero e proprio accesso è dissimulato per garantire l'inviolabilità del sepolcro. Ma più spesso il vano interno si apre in corrispondenza della fronte. In Lidia i gruppi principali datano a partire dal VII sec. a. C.: la camera interna regolare è spesso unica, più tardi a due stanze disposte sullo stesso asse, occupate da loculi per inumazione. Nel IV sec. a. C. si hanno anche stele e segnacoli. Le t. a pseudocupola di Orachuki e quelle circolari e a vano rettangolare di Gökçeler in Caria sono di data malsicura. Dall'VIII-VII sec. a. C. all'età ellenistica si sviluppano le t. frigie con fronti rupestri a rilievo basso e grandi dimensioni (Demir kale; Aslankaya, Yazilikaya, ecc.) i cui elementi pseudoarchitettonici si complicano con acquisizioni egizie e poi greche ed ellenistiche. Lo stesso avviene in Licia, dove le facciate rupestri riproducono strutture lignee come i monumenti isolati e a torre, con il caratteristico coronamento ogivale lidio. Nelle t. rupestri, che spesso occupano a più livelli intere pareti di roccia (Köycik, Duran; Köybahçe, ecc.) quali necropoli a sviluppo verticale, la prevalenza dell'elemento esterno sull'interno è costante. Si rileva da tutti questi esempî più di un carattere comune: la discendenza, con progressivo sviluppo formale architettonico, dalla t. preistorica a grotticella, la tendenza a monumentalizzare e rendere durevoli nella pietra forme di un'architettura fatiscente in materia deperibile e quindi un interesse per la durabilità, concentrato esclusivamente sulla tomba. Il contrario avviene per altre civiltà architettoniche come la hittita, dove l'interesse primario è concentrato- come del resto nelle civiltà mesopotamiche- sulle costruzioni dinastiche, pubbliche e religiose. È probabile si possano mettere in rapporto con la diffusa pratica anatolica le più grandiose t. ipogee dell'Urartu, come la complessa "camera di Argishtis" presso il Van, con camerette provviste di nicchie parietali organizzate su di un ampio vano rettangolare centrale (VIII sec. a. C.). Continuazione della tradizione delle thòloi è in età ellenistica la t. galatica di Karalar con due vani assiali ineguali coperti con una pseudocupola a blocchi disposti in quadrati progressivamente sfalsati, dove l'esperienza ellenistica delle finiture dà un nuovo senso alla tradizione megalitica che ai Celti poteva rinnovare il ricordo di manifestazioni proprie delle loro aree d'origine centroeuropee e occidentali. Le tradizioni locali sono singolarmente persistenti e le loro irradiazioni si ripercuotono largamente: le t. con fronte architettonica e rilievi della Licaonia sono di età imperiale romana e così le facciate monumentali di Petra (v.), sulla cui formazione i precedenti anatolici come quelli egizî non sono stati certamente estranei. Insistono invece maggiormente sullo sviluppo e sull'organizzazione dei vani interni, anche a più piani, le t. reali di Sidone (fine del sec. IV a. C.) con deposizioni entro grandiosi sarcofagi. Nonostante la presenza di t. a tumulo nella preistoria anatolica, sembra un elemento estraneo la cosiddetta t. "di Tantalo" sul Yamasilar Dagh presso Smirne, di data incerta: un tumulo regolarizzato geometricamente in un tamburo e in un cono, con segnacolo alla sommità.
3. Civiltà cretese e micenea; egeo. - L'urna capanniforme è presente nella più antica civiltà cicladica (Amorgo, Milo) insieme con l'urna fittile biconica o sferoidale. In Creta assai tardi si concreta un'architettura funeraria: il grande complesso della t. santuario di Cnosso, con una sequenza di camere rettangolari precedute da una corte cui si accedeva attraverso il dròmos è della fine del Minoico Medio. Più tarda (TM II) è la t. con camera a vòlta di Isopata, con camerette secondarie sul corridoio non assiale. Contemporanee pure a Isopata sono le t. terragne scavate in roccia, cui seguono le làrnakes a forma rettangolare (Haghìa Triada) o a vasca (Gurnià) in terracotta dipinta, anche coperte con un coperchio tettiforme (Palaikastro). Nella civiltà micenea, cioè protoellenica, la t. si concreta nei grandi recinti con fosse terragne segnate da stele (Micene) e nelle costruzioni monumentali a thòlos (v.), tutte con eccezionale ricchezza di corredo. Anche entro le t. a thòlos il seppellimento avveniva entro fosse. La thòlos è comune a tutta l'area greca continentale e si affianca a t. terragne rivestite e coperte di lastre e a t. a pseudocupola di tecnica submegalitica, a Micene stessa al seppellimento entro pìthoi. Ciò che forse interessa sottolineare è la tendenza a disporre le aree sepolcrali fuori dell'abitato e la costante elevazione del tema funerario fra i grandi programmi architettonici, in modo che trova un parallelo solo in Egitto. La civiltà greca nel suo successivo sviluppo abbandonerà questa posizione, per riprenderla saltuariamente solo in età ellenistica (v. minoico-micenea, civiltà; greca, arte). Tombe in grotta artificiale sono comuni nell'area di irradiazione micenea (Sicilia, v.).
4. Grecia arcaica e classica; tracia; macedonia; civiltà ellenistica. - All'arcaismo come al classicismo è pressoché sconosciuto il grande monumento architettonico, più frequente in ogni caso nei territorî coloniali (Cirene) che in quelli metropolitani. La cosiddetta t. di Cleobulo a Lindos è un'eccezione (inizî del sec. VI a. C.). Più frequente il tumulo come sepolcro gentilizio e forse come t. collettiva di carattere ufficiale. Parimenti cadono in disuso l'ipogeo architettonico e la t. a camera scavata in roccia, prevalendo le t. a fossa scavate in terra e nella roccia, in questo caso coperchiate. La t. greca insiste sull'elemento comunicativo esterno. Le fosse semiriempite del Dipylon lasciano emergere il grande vaso per offerte dipinto con scene funerarie (v. geometrico). Seguono nell'ordine di tempo la tràpeza, il tömbos o piccolo tumulo rivestito di stucco dipinto, e i segnacoli marmorei commemorativi per lo più figurati, statue, stele e vasi di forme slanciate e ad alto collo, talora decorati di rilievi (loutrophòroi) in marmo. L'esteriorizzazione greca del segnacolo (v. stele) incide soprattutto sulla definizione della personalità individuale del defunto è poi sul rapporto effettivo con i suoi e sul commiato dalla vita. La configurazione interna del sepolcro, semplice elemento contenitore dei resti, non ha interesse. Formalmente greche, ma concettualmente anelleniche sono le t. anatoliche monumentali (v. sopra, 2), dal Monumento delle Nereidi di Xanthos (v.) al Mausoleo (v.) sulle quali, come nel recinto di Giolbashi (v. trysa), si rinnova il concetto della t. come heròon, per cui va ricordato anche il monumento di Cambasli in Cilicia, con quello di Assos; il tempio t. eretto da Arpalo in Attica per l'etera Pythionike è una trasposizione asiatica, come l'esemplare di Delfi. Altro senso avevano infatti costruzioni come il monumento di Cnido, a camera interna a thòlos. Enormi heròa come quello di Leonte a Kalydon (v.) e il Charmyleion di Coo, sviluppato su più piani e una cripta, appartengono già alla koinè culturale ellenistica. Alla t. concepita come tempio-heròon si annettono le derivazioni specialmente siriache, poi anche mediterranee occidentali del Mausoleo (v. monumento funerario).
Un tipo particolare di t. a tumulo si afferma in Tracia e raggiunge la sua forma definitiva nel corso del IV sec. a. C. Sono camere funerarie di non grandi dimensioni, coperte a falsa vòlta di forma particolare ("a bottiglia") precedute da una o due anticamere e da un corridoio più o meno lungo. L'esempio più grandioso è dato dalla t. di Mezek (presso Svilengrad, Bulgaria merid.) con dròmos di 19 m di lunghezza, in accurata struttura a pietre squadrate. Allo stesso tipo appartiene anche la tomba di Kazanlak (v.) decorata da pitture, la cui cupola è però costruita in mattoni. Nei tumuli traci di proporzioni più modeste la t., non accessibile, è costituita da un cassone di circa in 3,50 × 4, costruito in lastroni, a copertura piana.
La t. a tumulo con fronte architettonica, vestibolo e camera interna architettonici è rimessa in voga nella Macedonia ellenistica (Pella, Vergina, Pidna, Palatitsa, Niausta, Langaza ecc.) e per influenza macedone si ripete in Asia Minore (Termessos, Pergamo) e in Egitto (Alessandria), nonché in Eubea (Eretria, Vathy). Questa corrente porta alla traduzione in forme e con tecniche ellenistiche delle camere dei sepolcri (kurgan) delle zone ellenizzate della Russia meridionale. L'apparato interno delle camere rettangolari a vòlta, con letti e troni, insieme col rapporto esterno-interno, palesa la reviviscenza di tradizioni ancestrali, concettualmente indipendenti dalla grecità classica. Con l'ellenismo si riprendono anche su larga scala le t. ipogee, esempî classici delle quali sono offerti dalle necropoli di Alessandria (Mustafà Pascià, Kom es-Shogafa, Anfushy) e di Hermoupolis, a camere multiple realizzate architettonicamente talora con una corte centrale, per cui, come a Paphos (I sec. a. C.), si riafferma la modellazione sulla casa. La t. alessandrina punta sul concetto dello spazio colorato, della decorazione figurata, che talora unisce elementi greci ed egizî, con un'acquisizione della tradizione locale. Sulla esperienza ellenistica si modellano le t. ipogee dell'Italia meridionale (Taranto, Canosa, ecc.). La grandiosità e la vistosità della t. ellenistica nelle sue diverse accezioni, pur rifacendosi in gran parte formalmente alla tradizione classica, è un documento della novità di orientamento (v. ellenismo) che incide anche sull'architettura e la decorazione della casa; concepita non più in funzione puramente strumentale, rappresenta anche un distacco dalla tradizione sostanzialmente egualitaria del classicismo, cui si rifàceva Demetrio del Falero col suo provvedimento limitativo (315 a. C.) del lusso dei sepolcri, che provocò un arresto temporaneo dell'arte funeraria attica e la diaspora degli artigiani interessati. La stele del resto non cessò mai di essere nel mondo greco uno degli elementi preferiti dell'ambito funerario.
5. Europa antica. - Seppellimenti sicuri datano dal Paleolitico Superiore, con alternanza del rannicchiamento alla deposizione in decubito dorsale e presenza di elementi di corredo come i copricapi di conchiglie o spoglie animali (Laugerie Basse, Balzi Rossi), generalmente in grotta con scarso apprestamento: profondità limitata, pietre a sostegno del capo (Balzi Rossi) talora a protezione della testa (Balzi Rossi, Grotta dei Fanciulli), rivestimento in pietre del fondo della fossa (t. I della Barma Grande). Si precisa più tardi il rapporto con il focolare (seppellimenti solutreani in parte inseriti nei focolari) insieme con la contiguità della tomba e dell'abitazione, il che ha fatto pensare ad un già definito culto funerario familiare in una forma che si estende indifferentemente a larghi strati del Neolitico. La presenza del corredo, interpretato come documento della coscienza della vita ultraterrena, sottolinea e specifica la qualificazione del defunto. Non sembra tuttavia che prima del Neolitico, periodo nel quale la vita e l'attività umana si organizzano anche socialmente ed economicamente in forme che propriamente iniziano lo sviluppo che seguirà, si abbia il concetto della t. come vera e propria "casa" del morto: i seppellimenti nell'ambito stesso diretto della vita in svolgimento sembrano escluderlo, affermando invece una continuità di appartenenza del defunto al gruppo. Del resto questo concetto della "sede" del defunto è abbastanza vago e differenziato e viene determinato dalle idee che si avevano sul rapporto fra parte spirituale e materiale dell'uomo, la "sede" dell'anima- ammessa questa come entità autonoma può non coincidere con i resti deposti del corpo, identificandosi con altro elemento, donde il segnacolo sepolcrale (v. stele). Il concetto di casa è specificato nelle ciste megalitiche a forma appunto di casa (e si protrae fino ai cinerari capanniformi dell'Età del Ferro e, con traslato, alle steles-maisons in Francia ed eccezionalmente anche in Italia fino all'età romana), ma il monumento megalitico in sé lo esclude, dal momento che molto presto si è compresa l'impossibilità di riconoscere delle abitazioni nei dolmen e nelle gallerie megalitiche. Piuttosto lo sforzo- che presuppone una collaborazione di gruppo- volto alla monumentalizzazione della t. con esplicito carattere di durabilità, in contrasto con la fatiscenza delle costruzioni d'uso pratico, è indice di nuovi concetti attuatisi in tempi diversi in aree diverse e lontane, se mai di una circolazione di idee che non s'identifica con un cambiamento etnico e solo in parte forse, per l'Occidente, con una recezione di idee mediterraneo-orientali. Mentre le ciste sotto tumulo esprimono la ricerca dell'inviolabilità della t., non altrettanto può dirsi forse delle costruzioni assai comuni in cui la camera è preceduta da un dròmos, dimensionalmente prevalente. Non è possibile per queste forme di megaliti occidentali dell'Età del Bronzo invocare paralleli stretti con le t. dell'area micenea (v. tholos) e piuttosto è possibile riconoscere in esse riproduzioni artificiali della grotta sepolcrale. Esiste ad ogni modo uno scambio in diverse aree, per cui, al contrario, la thòlos è imitata scavando artificialmente cavità nel terreno. Il principio peraltro è unico, quello per cui la t. è intesa come costruzione intenzionale e come spazio preordinatamente definito, anzi per molti settori la t. rappresenta, accanto a costruzioni più rare di carattere, pure, religioso come il cromlech, la prima embrionale manifestazione architettonica, se non altro appunto come affermazione dell'esigenza della durabilità. La modellazione del tumulo (circolare, allungata, ad esedra) presuppone inoltre un intenzionale rapporto con l'esterno e afferma l'evidenziazione della t. come forma costruita (v. monumento funerario). Per questo è indifferente che i tumuli coprano una sola camera, come è il caso più comune, oppure camere multiple indipendenti (Fontenay nel Calvados) oppure camere articolate in più vani (Grotte des Fées, Bouches du Rhòne; New Grange, Irlanda), con copertura a pseudo-vòlta. La costruzione funeraria megalitica segna inoltre, nella forma più vistosa, il definitivo distacco della t. dall'ambito della casa o del villaggio, che è del resto frequentissimo, anche se non esclusivo di tutte le culture almeno eneolitiche, anche nelle aree non interessate dal megalitismo, dove si hanno sepolture in grotta, in grotticelle artificiali o in tombe terragne; le grotticelle assumono in genere una forma regolare e una regolarità anche nell'apertura di accesso, quando non anche una riquadratura incavata che le renda riconoscibili dall'esterno. Altrove appaiono- e si estendono fino all'Età del Bronzo, costruzioni funerarie affini morfologicamente alla casa, in ispecie nell'area germanica (t. con ante di Haldorf, Hessen Nassau; Helmsdorf, Theningen, t. a cupola di Nierstedt; da richiamare pure il modello votivo di casa di Baierseich e analoghi più antichi modelli nell'ambito delle culture balcaniche).
Non si avverte un preciso distacco, ma solo un graduale trapasso con persistenze nell'iniziale Età del Bronzo; una diffusa ma non generale e assoluta semplificazione avviene col diffondersi del rito crematorio. Il problema della cremazione, discusso all'infinito, è determinato da varie istanze e circostanze concorrenti, che solo in parte possiamo determinare: è stato messo in rapporto col nomadismo, ma è accettato largamente anche da popolazioni con cultura agricola. La cremazione ha avuto come movente di diffusione, fra l'altro, il fatto di accelerare la demolizione del cadavere, uno dei problemi più gravi della preistoria anche per ragioni igieniche e pratiche; d'altra parte essa può anche essere intesa come una valorizzazione della parte spintuale dell'uomo, appunto attraverso la rapida eliminazione dei resti materiali. Certo è che la cremazione ammette costantemente la presenza di un corredo e porta a mettere in rilievo l'individualità del singolo, anche nella forma apparentemente più indifferenziata dei campi d'urne; di qui procede nell'Età del Ferro l'antropomorfizzazione del cinerario (canòpi, Gesichtsurnen). Nessuna tradizione in pratica si perde, aggiungendosi alle nuove acquisizioni, anche perché la cremazione per quanto largamente diffusa, non è mai esclusiva e spesso si alterna all'inumazione nell'ambito di uno stesso aspetto culturale. Così avviene che, pur riducendo il locus sepulturae virtualmente al semplice contenitore delle ceneri, l'aspetto esterno e la configurazione interna della t. possono non cambiare: si conservano in effetto camere e grotte sepolcrali, tumuli e le stesse costruzioni tradizionali dell'area megalitica. Nei seppellimenti in vani regolarmente destinati si precisa ormai la distinzione degli oggetti di corredo in rapporto alla giacitura del cadavere o del cinerario. Il corredo mantiene la specificazione dell'individuo, tende anzi a generalizzarla, a costituirne un fatto comune e inderogabile, come pur accadrà diffusamente nell'Età del Ferro. Singolare nelle "catacombe" della zona del Donez, grotte artificiali, la separazione della camera contenente la deposizione e il corredo separata mediante pietre verticali da un vano antistante contenente resti sacrificali.
L'affermazione che nell'Età del Ferro si perda il concetto della t. come casa ha una comprensione relativa; in realtà diverse aree (tazio, Gallia orientale) conservano nel cinerario o nel segnacolo l'analogia morfologica con l'abitazione reale. Aree più vaste perseguono la sepoltura sotto tumulo oppure la tradizione delle estese necropoli dei campi d'urne; in aree più ristrette il cinerario si antropomorfizza oppure prende forma umana il segnacolo funerario (stele menhiriche). Un concetto diverso è portato dalle tombe a carro, diffuse presso i ceti dominanti in aree anche lontane: si trovano infatti in Gallia, nella Russia meridionale e fino all'Altai: la deposizione su carro, specifica della prima Età del Ferro gallica, considera in effetto la t. come conclusione definitiva dell'accompagnamento funebre; nell'area orientale delle t. a carro la deposizione è accompagnata dal sacrificio dei servi e dei cavalli e comprende disposizioni particolari degli uni e degli altri attorno al vano centrale destinato alla sepoltura principale. Il tumulo di copertura (kurgan nell'area russa) è tale da assicurare insieme la inviolabilità e l'evidenza della sepoltura, non di rado attraverso proporzioni grandiose. In occidente anche spesso il tumulo ha dimensioni rilevanti, con tendenza, specie nell'area della Civiltà di Hallstatt, a ridursi di grandezza diventando peraltro non indiscriminato ammasso di materiale, ma disposizione regolare curvilinea, sia in pianta che in alzato, riflettente anche sollecitazioni mediterranee (resti di porte). L'Italia pre e protostorica non conosce la sepoltura a tumulo, ma solo le t. a fossa, a corridoio, a pozzetto, a dolio.
6. Etruria. - Nell'ambito cronologico della civiltà etrusca (v. etrusca, arte) e cioè dall'acquisizione delle forme orientalizzanti in poi, la t. diventa uno dei temi principali dell'architettura, in quanto unico programma per cui si esigesse il requisito della durabilità. Le t. etrusche, costantemente, o quasi, ipogee, si riconnettono per ciò stesso a tradizioni pre e protostoriche. Acquisizioni alquanto seriori sono rappresentate dall'evidenziazione per mezzo delle facciate rupestri, poi dalle versioni di questo tipo (Sovana, v.) isolatamente- e di cronologia dubbia- gli edifici funerarî per sé stanti. La camera artificialmente costruita sotto un tumulo appartiene allo stadio più arcaico ed alle regioni litoranee o permeate di influssi transmarini. In ogni caso, la t. monumentale etrusca deve essere di quando in quando aperta. Ciò non toglie che il suo apparato di decorazioni architettoniche, di pitture allusive o simboliche, di statue e corredi, sia praticamente e in permanenza incomunicabile rispetto all'esterno. Il problema della t. etrusca, che è senz'altro in relazione con la t. a corridoio- secondo il famoso esempio arcaico della T. Regolini Galassi (Caere)- e con la t. a fossa, è quello della analogia iconografica con la casa e quindi si riconnette al concetto della t. come abitazione. Che questo concetto sia presente nel mondo etrusco e nelle aree, come quella laziale, soggette alla penetrazione culturale etrusca, è provato dal ripetersi e dal persistere di urne a capanna e poi à palazzetto (v. urna); tuttavia esso si ripresenta a proposito della t. (escluse le thòloi orientalizzanti a camera unica o con camere accessorie), concerne le t. scavate in generale e quelle a tumulo a vani multipli con esse chiaramente in rapporto. Il tumulo copre indifferentemente camere costruite (Quinto Fiorentino, Casal Marittimo, ecc.) e camere scavate in roccia (Cerveteri). Queste ultime, fino agli esempî più tardi (Cerveteri, Tarquinia principalmente, Vulci, isolatamente Chiusi) sono a più camere simmetriche organizzate sull'asse di un vano centrale, in cui immette il dròmos e che si conclude con un vano principale di fondo. Sono queste t. scavate- per cui non si deve dimenticare il rapporto tecnico, e concettualmente primario- con le t. a camera e a grotticella pre- e protostoriche- che si configurano con elementi e decorazioni pseudoarchitettoniche e recano fregi dipinti. Molto spesso le camere racchiudevano sarcofagi (già dal VI sec. in Caere) con o senza figure sdraiate e fregi figurati sulla cassa, conformati a klìne; oppure il loculo era direttamente anch'esso scavato nella roccia, così i letti funebri e i bancali per la deposizione del corredo. La t. a camera non è tuttavia esclusiva dell'ambito etrusco: si continuano le t. a dolio (Chiusi, Felsina), a fossa semplice o rivestita di ciottoli, di lastre di pietra (Marzabotto) o di tavoloni di legno (Spina). Particolare delle aree con t. a fossa è la presenza del segnacolo sepolcrale, stele a cippo (rarissimo solo a Spina) con rappresentazioni individuali o con scene aventi lo stesso significato e tematica affine a quelle dei fregi dipinti delle t. a camera. La tipologia diversa documenta la varietà di recezioni e di tradizioni raccolte nel formarsi della civiltà etrusca. In età ellenistica la diffusione della cremazione porta ad affiancare ai sarcofagi le urne (v.) spessissimo concentrate in t. a camera. La t. perugina dei Volumni presenta il caso di un "monumento interno" nel supporto a fornix che sorregge l'urna, forse come conseguenza di influenze romane.
7. Età romana. - A Roma, in Italia e nei territorî romanizzati, a parte qualche sopravvivenza circoscritta, il concetto del rapporto con la casa è inesistente. La t. romana, legata al concetto del culto familiare e gentilizio ed a quello del rapporto dell'individuo con la famiglia e la gens (nell'Impero più specificatamente con la prima che con la seconda), indifferentemente a inumazione o ad incinerazione, sottolinea la persistenza del dialogo fra i defunti e i viventi (all'unità di morti e vivi nella comunità e nella tradizione familiare si riferiva del resto la consuetudine delle imagines e degli stemmata), presto esteso al di fuori dell'ambito familiare, donde le frequenti apostrofi ai passanti nei testi epigrafici.
Perciò la t. romana è di frequente monumentale, nell'accezione più lata del termine, sia come vero e proprio edificio o complesso architettonico (v. Monumento funerario) sia come area delimitata e distinta da un segnacolo (v. stele). Edificio ed area si esigono sempre accessibili o praticabili agli aventi diritto; alla ricerca dell'inviolabilità materiale si sostituisce il principio dell'inviolabilità giuridica che si precisa col tempo: alle più antiche deprecationes contro i violatori di t. si sostituiscono precise comminazioni di pene. Tutto ciò è in puntuale rapporto con le tipologie delle t., le quali, architettoniche o no, individuali, familiari, o collegiali, non possono prescindere dalla delimitazione dell'area, sovente attualizzata in recinti o complessi murarî. La quale area è anche non di rado praticamente utilizzata per il culto funerario e per l'incinerazione (ustrinum). La forma apparentemente più dimessa e meno appariscente, quella a fossa coperta di tegoli, detta "alla cappuccina" che comprende un arco cronologico amplissimo, passando anche al Medioevo, va molto spesso connessa con l'area nella quale la t. materialmente e giuridicamente si configura. Sicché l'interpretazione architettonica è per così dire facoltativa, non tassativamente necessaria. Non esiste infatti un tipo caratteristico di t. romana, variando essa a seconda delle tradizioni locali, familiari e poi anche delle idee e preferenze del singolo. Non conosciamo t. romane del periodo regio e dell'alta Repubblica. La più antica conosciuta, la t. degli Scipioni, è un ipogeo a più camere destinate a contenere sarcofagi come gli ipogei etruschi contemporanei; l'ipogeo dei Cornelii Scipiones era rivelato all'esterno da una vistosa facciata architettonica, una delle prime applicazioni note in Roma di un ordine classico. Il sepolcro dell'Africano maggiore, a Literno, era sormontato da una statua. La tradizione dell'ipogeo si conserva in Roma saltuariamente fino all'Impero molto avanzato ed è ripresa sistematicamente nelle catacombe (v.) cristiane in grandi complessi organizzati, anche se raramente con intenti architettonici. L'edificio funerario romano è peraltro generalmente fuori terra, in quanto assume spesso esso stesso la fisionomia di segnacolo. Ciò non toglie che il seppellimento vero e proprio avvenisse assai spesso sotto terra, sia nel caso delle deposizioni a inumazione che a cremazione (humi condere, donde l'augurio, epigraficamente espresso, sit tibi terra levis) per cui l'urna cineraria si trova non di rado in un loculo allà base del monumento, quando l'osteoteca non è praticata nel corpo stesso del segnacolo come in una serie di cippi e stele veneti.
Il tipo di t. varia anche in rapporto alla densità della popolazione e alla disponibilità delle aree: lungo le grandi strade extraurbane e nei terreni privati era possibile la costruzione di grandi monumenti e la delimitazione di grandi aree; già nel I sec. a. C. i moralisti riprovavano la riserva di aree sepolcrali estese per una sola persona, senza diritto di successione (heredem non sequitur), ma non solo in Italia, anche in provincia la t. nell'età imperiale può essere concepita con una infinità di servizî e di annessi, con una regolamentazione testamentaria dell'uso e del culto. In corrispondenza di grossi agglomerati è frequente la concentrazione delle sepolture, possibile specialmente se il rito era crematorio: è il caso di colombarî (v.) familiari o collegiali, parzialmente ipogei. Nei centri medi e piccoli il colombario non esiste, si hanno invece aree collegiali con concentrazioni rilevanti, sia con seppellimenti a inumazione che a cremazione. Nel medio e tardo Impero, con la ripresa della inumazione e l'uso frequente del sarcofago (v.), l'edificio tombale diventa la custodia dei sarcofagi, quando questi non erano monumenti per sé stanti allo scoperto. Esistono necropoli di sarcofagi (esempio in Italia, Concordia, ma anche Ravenna e Modena), con un uso che si continua nell'ambito cristiano, dove la inumazione è obbligatoria; allora la tendenza a seppellire ad martyres porta all'infittimento delle deposizioni nelle aree sacre e ad escludere sia il monumento che la t. autonoma, anche quando si perdette la tradizione originaria del seppellimento indifferenziato. La sistemazione di t. di martiri o di personaggi segnalati (arcosolia e simili) porta la t. ormai fuori dell'ambito strettamente funerario (v. martyrion. v. anche Reallexik. Antike u. Christentum, s. v. Bestattung e Domus aeterna).
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