BENCI, Tommaso
Nacque nel 1427 da Lorenzo di Giovanni di Taddeo; dedicatosi all'attività mercantile paterna di commerciante di stoffe, il B. non disdegnò la poesia, attingendo in alcune composizioni un livello d'arte molto superiore a quello raggiunto dal padre; dal quale ereditò anche l'amore per i libri, che raccolse e custodì con gran cura: a lui appartennero, tra gli altri, il cod. Magliabechiano II. IX. 137, il Laurenziano Pl. LXXXX sup. 89 e il Laurenziano Tempi 2, che era stato comprato dal nonno Giovanni.
Di lui ci restano cinque sonetti e due canzoni prevalentemente d'argomento amoroso (codici: Magliab.: II. IV. 79, c. 68r, son. "Quand'io penso talvolta all'ultim'ora"; II. IV. 250, c. 57r, son. "Mosso da gientil fiamma in che sta il core" ; IL IX. 137, cc. 123r e ss., canz. "L'abscosa fianma ch'al cor dà più varipo" ; Laurenziano Pl. LXXXX sup. 89, c. 89 v, son. "Giove il suo figlio aveva a ber mandato" ; ibid., c. 167r, son. "O dolce amante con candida vesta"; ibid., c. 168r, son. "Perché deposta vita ogni uom s'interra". Riccardiano 1188, c. 67r, canz. "Amor, da poi ch'io son dentro al tuo regno" ); sedici ottave inserite dopo l'episodio dell'Annunciazione nella Rappresentazione di Santo Giovanni Battista di Feo Belcari; e alcuni volgarizzamenti (della Medea di Seneca, delle Georgiche), tra i quali emerge quello del Pimander, un'opera ermetica greca attribuita al mitico Mercurio Trismegisto, che il B. tradusse in volgare basandosi sulla versione latina di Marsilio Ficino, del quale il B. stesso era conphilosophus assieme al fratello Giovanni ("Saluta Tomaso e giovanni benci nostri conphilosophi" chiede il Ficino a Lionardo di Tone Pagni "suo compare carissimo" in una lettera del 2 ag. 1462).
Che questo Giovanni sia il fratello del B., e non il figlio di Amerigo, è evidente per ragioni cronologiche: Amerigo infatti nacque dopo il 1431 (anno del matrimonio del padre Giovanni con Ginevra Peruzzi), e anche se si accetta l'ipotesi del suo matrimonio in giovanissima età, poniamo intorno ai vent'anni (1452), Giovanni suo figlio avrebbe avuto nel 1462 soltanto nove anni e non potrebbe essere pertanto il "conphilosophus" del Ficino.
Segno della grande amicizia e dell'ottima stima che il grande umanista nutriva per il B. sarà appunto l'affidare a lui "non come a più docto, ma come a persona a cui egli per sua benignità forse maggiore affectione portava; (prefaz. dello stesso B. al volgarizzamento) la traduzione del Pimander; ma soprattutto il presentarlo alcuni anni dopo, nel suo commento al Simposio di Platone, nelle vesti di Socrate; onore che, a giudizio del contemporaneo Carlo Lenzoni (cfr. pref. di questo al Pimandro) "per la integrità de' costumi suoi e per la grave et Platonica litteratura oltre a la nobiltà del sangue, la virtù de' parenti, gli onori della famiglia et suoi, meritò...".
Il volgarizzamento del Pimander fu pubblicato per la prima volta col titolo: Il Pimandro di Mercurio Trismegisto tradotto da T. B. in lingua fiorentina, a Firenze, nel 1545 per le stampe del Torrentino; ed ebbe poi diverse ristampe (1547, 1548, 1549; ne è stata fatta una ristampa a cura di S. Giovene, Milano 1944). Se ne conservano anche alcune copie manoscritte, tra le quali è particolarmente interessante quella contenuta nel cod. Laur., pluteo XXVII, cod. 9, che è, con ogni probabilità, la copia di dedica destinata al Ficino. Dall'explicit di questa copia risulta che la versione venne compiuta nel settembre del 1463, quindi a breve distanza dalla versione latina ficiniana, che risale all'aprile dello stesso anno.
Alla sua opera di traduttore il B. premise una dedica che è, in realtà, una specie di "circolare" ad alcuni amici, perché la si trova indirizzata, nelle varie copie, a diversi personaggi fiorentini del tempo, e che è assai interessante in quanto fornisce alcune notizie sull'origine e la fortuna della versione ficiniana del Pimander e dello stesso volgarizzamento. Narra infatti il B. che quando Marsilio ebbe pubblicata la sua traduzione dello scritto ermetico fu subito pregato dagli amici che non conoscevano il latino di volgerlo anche in volgare. Ficino, già occupato in quel momento nella traduzione dei Dialoghi platonici, ne commise l'incarico al B., che vi dedicò tutto il tempo che gli lasciava libero la sua professione di mercante. Nella stessa prefazione si allude inoltre ad un preteso scritto di Calcidio che, in realtà, è un altro scritto pseudoermetico, noto anche col nome di Alcidius, Altividius, ecc., che godé di notevole fortuna nella cultura umanistica fiorentina.
Al B. è attribuita da alcuni anche la versione, anonima nei codici, del De furore divino del Ficino. È comunque probabile che altre opere egli abbia volgarizzato o composto, se il Lenzoni poté parlare di "grave et Platonica litteratura".
Questione importante è quella che conceme la parentela tra il B. e Amerigo Benci, nominati insieme come auditori del Ficino dal 1462 circa in poi. Il Della Torre e, pensiamo sulle sue orme, tutti gli altri studiosi che dei B. o di Amerigo Benci hanno parlato - eccetto il Kristeller, che sembra ignorare il problema - affermano essere Amerigo zio di Tommaso. Non abbiamo potuto identificare la fonte di questa notizia, la quale, comunque, ci pare non abbia alcun fondamento. Anzitutto Tommaso di Lorenzo non potrebbe essere nipote di Amerigo, che è suo coetaneo, o quasi; sappiamo poi che Lorenzo era già adulto nel 1399, e stupisce quindi tra due fratelli una differenza di trent'anni. È anche da escludere, sempre per ragioni cronologiche, che Giovanni di Taddeo si fosse sposato due volte, e che pertanto Lorenzo e Amerigo fossero fratellastri: all'epoca del secondo matrimonio, il 1431, Giovanni di Taddeo avrebbe toccato i 70 anni; sappiamo inoltre che Ginevra de' Peruzzi ebbe, oltre Amerigo, parecchi figli. Ad escludere poi definitivamente che Lorenzo e Amerigo fossero fratelli sta il fatto che il Giovanni padre di Amerigo sposò Ginevra de' Peruzzi nel 1431, e che perciò non prima del 1432 avrebbe potuto nascere Lorenzo: il contrasto cronologico è su questo punto evidentissimo. Che il Della Torre d'altra parte non vagliasse accuratamente queste notizie che forniva sta a dimostrarlo il fatto ch'egli afferma essere Giovanni, gonfaloniere di giustizia nel 1443, "padre di Lorenzo e di Amerigo"; ma come poteva essere padre di Lorenzo, nato intorno al 1380, e gonfaloniere all'età di più di 80 anni? Tra l'altro nel documento originale, cui il Della Torre avrebbe potuto risalire, invece di fermarsi alla citazione parziale che trovava nelle Istorie Fiorentine dell'Ammirato (p. 341), è chiaramente specificato che il gonfaloniere era "Giovanni di Amerigo di Simone Benci", mentre il padre di Lorenzo era Giovanni di Taddeo. Pensiamo pertanto di poter concludere che la notizia che fa di Amerigo lo zio del B. derivi dall'aver affrettatamente identificato Giovanni di Amerigo con Giovanni di Taddeo. La "nobiltà del sangue, gli onori della famiglia et suoi" di cui parla il Lenzoni a proposito del B. troverebbero conferma nella nota che Lorenzo appose al cod. Laur. Tempi 2 nel 1399 (f. 161), nella quale si intitola "de' Baroni da Signa"; mentre nessuna nobiltà di sangue, sembra, insignì i Benci banchieri; anzi, dai documenti che abbiamo potuto consultare risulta chessi discendevano da una famiglia Usacchi o Isacchi (ebrei?), che abitava Oltramo sin dai primi del '300, la quale mutò intorno al 1310 il proprio cognome in quello "de' Benci" (Delizie degli eruditi toscani, XI [1778], p. 112). L'unica possibilità di fare del B. il nipote di Amerigo rimarrebbe quella di supporre l'esistenza di un altro Tommaso figlio di un fratello di Giovanni d'Amerigo, sdoppiando di conseguenza il Tommaso poeta, che nei codici è sempre dichiarato figlio di Lorenzo, e il Tommaso volgarizzatore e accademico platonico, per il quale non ci sono date indicazioni della paternità. Ma, a parte che l'identità tra i due ci pare provata dal fatto che nella prefazione del Pimandro lo stesso traduttore afferma di non essere esperto in tale arte "essendo etiamdio occupato dal mio exercitio molto agli studi; contrario... exercitandomi ancora ne' traffichi mercantili", un tale sdoppiamento, almeno allo stato attuale delle nostre conoscenze, ci pare oltremodo improbabile. Per quanto riguarda la parentela tra i Benci linaioli e i Benci banchieri ci,sembra di poter concludere che essa è assai lontana, trovandosi probabilmente l'anello di congiunzione tra i due rami almeno quattro generazioni avanti.
Il B. partecipò come accademico al banchetto platonico a Careggi il 7 nov. 1468 (e non nel 1474, come erroneamente ripetuto da molti studiosi; alcuni dei quali dubitano che il convito si sia svolto realmente); fu in quella ricorrenza che il Ficino fece commentare al B. l'orazione di Socrate, ch'egli incluse poi nel suo Commento al Simposio platonico. Il B. morì a Firenze il 16 apr. 1470. Il suo necrologio è contenuto nel cod. Laurenziano Tempi 2, alla carta 169v.
Bibl.: G. M. Crescimbeni, Dell'istoria della volgar poesia, I, Venezia 1731, p. 299; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 2, Brescia 1760, pp. 789 s.; F. Flaxnini, La lirica toscana del Rinascimento, Pisa 1891, pp. 543 s.; A. Della Torre, Storia dell'Accademia Platonica di Firenze, Firenze 1902, pp. 29, 555, 573; P. O. Kristefler, Supplementum Ficinianum, Florentiae 1937, I, pp. XV, 98 s., 102, 135; Il, pp. 169, 329; E. Garin, Una fonte ermetica poco nota, in La Rinascita, III (1940), p. 202, n. 1; Id., La Filosofia, Milano 1947, I, pp. 291 ss.; Id., Studi sul platonismo medievale, Firenze 1948, pp. 91 ss.; R. Marcel, Marsile Ficin. Commentaire sur le banquet de Platon, Paris 1956, pp. 30, 31, 33 s., 43, 116, 136, 137, 199; E. Garin, La cultura filosofica del Rinascimento italiano, Firenze 1961, pp. 152, 395; A. Chastel, Art et humanisme à Florence au temps de Laurent le Magnifique, Paris 1961, pp. 250 e n. 3, 407 (trad. ital., Torino 1964, pp. 255 e n. 418); Sacre Rappresent. del Quattrocento, a cura di L. Banfi, Torino 1963, pp. 32, 105 ss.