BERNETTI, Tommaso
Nato a Fermo il 29 dic. 1779 dal conte Salvatore e da Giuditta Brancadoro, dopo aver compiuto nella città natale gli studi di giurisprudenza si recò nel 1800 a Roma, ove, ricevuta la tonsura (21 febbr. 1801), divenne primo assistente di studio del giureconsulto V. Bartolucci, e quindi segretario dell'uditore di Rota per la Catalogna mons. D. Bardaxy de Azara.
Nel 1809 accompagnò in Francia lo zio, card. Cesare Brancadoro, deportato insieme con il papa e con molti altri cardinali, e lo seguì poi nel domicilio coatto di Reims, dopo il rifiuto opposto dai "cardinali neri" ad assistere al matrimonio di Napoleone con Maria Luisa. Il B. approfittò della relativa libertà di movimento, di cui personalmente godeva, per mantenere le relazioni fra i membri del Sacro Collegio, disperso in varie città.
Il 24 luglio 1813, essendo giunta notizia dei contatti che avvenivano a Praga fra le grandi potenze per giungere ad una pace generale, il B., che nel gennaio aveva potuto raggiungere con lo zio il papa a Fontainebleau, fu incaricato da Pio VII di far pervenire all'imperatore d'Austria, Francesco I, un dispaccio in cui si rivendicavano i diritti della S. Sede su tutti i territori posseduti prima della pace di Tolentino. Il B., giunto a Maastricht, affidò il dispaccio all'amico belga Paul van der Vrecken, che poté consegnarlo al nunzio di Vienna, card. A. G. Severoli.
Ritornato nella primavera del 1814 nello Stato pontificio, durante l'occupazione di Gioacchino Murat il B. seguì il pontefice a Genova. Con la definitiva restaurazione., creato prelato domestico, fu nominato dalla Suprema Giunta di Stato (3 maggio 1815), nonostante il parere contrario del Consalvi, delegato apostolico per le tre marche di Macerata, Fermo, Ascoli e per il ducato di Camerino, con l'incarico di effettuare il passaggio dei poteri dalle mani degli Austriaci all'autorità pontificia. Giunto a Tolentino animato da fieri propositi reazionari (fra l'altro avrebbe voluto che tutte le vendite dei beni ecclesiastici fossero considerate nulle), nonostante il suo fermo atteggiamento, poté compiere la sua missione soltanto quando il governo provvisorio austriaco delle Marche cessò dalle sue funzioni, con l'attuazione delle decisioni del congresso di Vienna (10 luglio 1815). Il B. fu, quindi, inviato a Ferrara come pro-legato (18 luglio) fino alla nomina del legato, card. Tommaso Arezzo (agosto 1816): in questo ufficio si manifestò avverso alla politica riformatrice del Consalvi.
Richiamato a Roma, ricoprì per alcuni anni la carica di assessore alle Armi (1816-20), partecipando nel 1818 alla congregazione di prelati e cardinali che respinse il progetto di codice civile presentato da V. Bartolucci, perché giudicato una copia di quello napoleonico. Nel 1820 subentrò a mons. Tiberio Pacca nella carica di governatore di Roma, di vicecamerlengo e di direttore generale di polizia, dimostrando particolari doti di energia nel reprimere le trame cospirative dei carbonari e nel mantenere l'ordine pubblico durante il conclave del 1823. Con l'avvento di Leone XII il B. accentuò, in senso rigoristico, il suo reazionarismo, con la pubblicazione di alcuni editti (1° genn. 1824 sui teatri, 28 febbraio sui cimiteri e 31 marzo sulle bettole), tendenti a salvaguardare l'ordine e la moralità pubblica. Il papa, che aveva apprezzato in modo particolare la capacità dimostrata dal B. durante l'anno santo del 1825, desiderando riaprire i contatti diplomatici con la Russia interrotti trent'anni prima, contro il parere del segretario di stato Giulio Maria Della Somaglia - che stimava sufficiente la presenza dell'arcivescovo di Varsavia mons. Skarzewski - lo inviò a Mosca come legato per assistere all'incoronazione di Nicola I. Partiva così da Roma il 13 giugno 1826.
Dopo una breve sosta a Ferrara per conferire con il card. Arezzo, che era stato l'ultimo rappresentante pontificio presso lo zar, giunse a Vienna il 19 giugno. Qui, dopo aver trattato con il Metternich, con esito favorevole, la questione della nomina dei vescovi nelle sedi vacanti della Dalmazia e avere espresso il non gradimento pontificio alla nomina dei Lebzeltern a ministro austriaco a Roma, il B. consegnava all'imperatore una lettera di Leone XII, che smentiva decisamente l'approvazione della S. Sede alle dottrine degli Ultramontani. Si chiariva, così, uno degli scopi principali della missione del B.: reinserire la Chiesa come forza politica tra gli Stati europei della Restaurazione, mediante la stretta alleanza fra trono e altare.
Lasciata la capitale austriaca il 5 luglio, il B. si ammalò durante il viaggio, e giunto a Mosca non poté assistere né all'incoronazione (3 settembre), né all'udienza generale concessa al corpo diplomatico (5 settembre). Nei primi contatti avuti col Nesselrode notò, comunque, la totale avversione del governo russo non solo ad accettare una rappresentanza diplomatica della S. Sede, ma anche a fare qualsiasi concessione relativa ai problemi ecclesiastici che interessavano i cattolici: la libertà di comunicazione dei vescovi con Roma, la giurisdizione matrimoniale in Polonia, il ristabilimento dei gesuiti, la difficile situazione della Chiesa rutena, la povertà delle chiese e soprattutto l'eliminazione della negativa influenza del Collegio ecclesiastico sulla disciplina dei clero. A Pietroburgo il B. fu ricevuto dallo zar il 22 Ottobre, e la sua visita ebbe un carattere puramente protocollare: la decorazione dell'Ordine reale dellAquila bianca di Polonia, che gli veniva concessa, mascherava il totale fallimento della sua missione.
Ripartito da Mosca il 23 ottobre, per Riga e Berlino il B. giunse a Parigi il 20 novembre, coll'incarico di sondare il govemo francese sulla possibilità per la S. Sede di avere dei compensi per la cessione di Avignone, ma, scoraggiato dal ministro degli Esteri Damas, non ne fece alcun cenno nel colloquio avuto con il re Carlo X. Nella capitale francese il B. trovò anche la berretta cardinalizia, concessagli da Leone XII nel concistoro del 2 ott. 1826 e recatagli dall'ablegato B. Cordella, ma, probabilmente per evitare gli obblighi che comportava una dignità ecclesiastica così elevata (si ricordi che non aveva mai preso gli ordini sacri), la rifiutò e solo al suo rientro in Italia fu costretto ad accettarla dalle mani di Leone XII, che gli assegnava il titolo diaconale di S. Michele in Cesareo (29 genn. 1827).
Nominato il 27 giugno legato di Ravenna, il B. non volle lasciare Roma a causa della difficile situazione della Romagna, ove dopo l'attentato al cardinal Rivarola operava una commissione speciale, e, appoggiato dal papa, vinse le insistenze del Della Somaglia.
Quando il 31 maggio 1828 questi lasciò la segreteria di stato a causa della tarda età, Leone XII, dopo alcune candidature rientrate, scelse come successore il B., che si raccomandava sia per l'energico attivismo sia per non esser legato ad alcun gruppo cardinalizio. Gli "zelanti" però, che paventavano un ritorno a quel rigido centralismo che già aveva caratterizzato il periodo consalviano, chiesero di limitare il potere del segretario di stato con l'istituzione di congregazioni cardinalizie permanenti: il provvedimento, insieme con iniziative personali del papa, rese inefficiente sul piano interno l'attività dei B., che curò invece quasi esclusivamente la politica estera.
In questo campo la preoccupazione dominante fu quella di evitare ogni attrito con le potenze europee, sacrificando anche importanti interessi religiosi per garantire la sopravvivenza dei dominio temporale del papato. Ciò appare evidente dall'atteggiamento assunto di fronte alle ordinanze del 21 aprile e 16 giugno 1828, con cui il governo francese limitava fortemente il predominio ecclesiastico nell'insegnamento: contro le aspettative dell'episcopato e del gruppo lamennaisiano, il B., per salvaguardare la posizione del regime di Carlo X, osservava un prudente silenzio, accogliendo in sostanza le richieste del ministero Martignac.
Morto Leone XII il 10 febbr. 1829, nel conclave che segui, contro le candidature De Gregorio e Cappellari patrocinate dal B. e dagli "zelanti", si affermò il partito dell'Albani, che il 31 marzo portò all'elezione del cardinale Castiglioni. Questi, assunto il nome di Pio VIII, nominò l'Albani segretario di stato, inviando il B. come legato a Bologna, ove dovette fronteggiare, soprattutto dopo la rivoluzione di luglio in Francia, la crescente irrequietezza dei liberali con energici provvedimenti polizieschi: nell'ottobre 1830 il B. fu autorizzato dalla segreteria di stato a chiedere aiuto, in caso di necessità, al duca di Modena e agli Austriaci.
Morto il 30 nov. 1830 Pio VIII, il B. affidò la legazione nelle mani, inesperte, del vicelegato N. Paracciani-Clarelli per partecipare al conclave, che si concluse soltanto il 2 febbr. 1831 con l'elezione di Gregorio XVI. Artefice principale ne era stato il B. che, vista fallire la candidatura De Gregorio, aveva fatto abilmente confluire i voti sul Cappellari, evitando anche di favorire le pressioni delle grandi potenze. Eletto pro-segretario di stato (10 febbraio) in un momento difficilissimo per lo Stato pontificio sia per la situazione interna, politica ed economica, sia per quella internazionale, il B. dovette affrontare anzitutto la rivolta che dalle Legazioni stava dilagando in tutto lo Stato. Riluttante a un intervento degli Austriaci, di cui temeva l'ingerenza negli affari interni e la reazione che avrebbe potuto suscitare nel governo di Luigi Filippo, il B., dopo aver tentato invano un'azione controrivoluzionaria con la missione del card. G. A. Benvenuti, fu costretto a chiedere aiuto al Metternich (27 febbraio). Ristabilito l'ordine dalle truppe austriache nell'ultima decade di marzo, si presentava il problema della riorganizzazione dello Stato, per impedire altre convulsioni rivoluzionarie. A tale scopo fu indetta dalle grandi potenze, nonostante il non gradimento mal simulato del B., la Conferenza diplomatica di Roma, a cui parteciparono la Francia (Saint-Aulaire), l'Austria (Lützow), la Russia (Gagarin), la Prussia (Bunsen) e l'Inghilterra (Brook Taylor), che si concluse con un Memorandum.
Questo accoglieva in sostanza il programma riformistico del delegato francese: amnistia generale per i compromessi nella rivoluzione, creazione di istituti governativi a carattere elettivo al centro e alla periferia, con la partecipazione di elementi laici. Anche il Lützow, che avrebbe desiderato un programma meno liberale, rimasto isolato, aveva sottoscritto il documento, nell'intento di rafforzare il prestigio del ministero francese Périer, che dava ogni garanzia di moderazione. Ma il B., che già il 14 aprile aveva concesso una amnistia molto limitata per porre la Conferenza di fronte al fatto compiuto, si oppose energicamente all'attuazione del Memorandum, presentatogli il 21 maggio. Oltre alla mitigazione dell'editto di amnistia, da parte pontificia si concesse soltanto il motu proprio del 5 luglio 1831,concernente la riorganizzazione degli enti locali, secondo un modulo di decentramento amministrativo che il B. guardava con favore. Il suo atteggiamento portò al fallimento della Conferenza e al ritiro degli Austriaci dalle Legazioni, che rimasero affidate a prolegati laici e alla guardia civica locale, senza che le grandi potenze avessero offerta alcuna garanzia per il mantenimento dello status quo nello Stato pontificio (luglio 1831).
Nominato il 10 agosto segretario di stato, mentre fomentava un'azione controrivoluzionaria e preparava l'esercito pontificio a rioccupare le Legazioni, il B. chiese all'Austria la promessa di un immediato intervento in caso di necessità; il Mettemich, però, la subordinò alla concessione di nuove riforme che pacificassero le popolazioni. Ma poiché le nuove leggi, che miglioravano alcune branche della pubblica amministrazione e la magistratura, non placarono l'agitazione, il B. fece pressioni su Gregorio XVI per giungere a un'azione militare. All'inizio di dicembre fu nominato commissario straordinario per le Legazioni il card. Albani, e il 10 genn. 1832 il B. faceva giungere ai rappresentanti del corpo diplomatico accreditato a Roma una nota che preannunciava l'occupazione militare della Romagna. Iniziata sotto favorevoli auspici, l'avanzata delle truppe pontificie si trovò di fronte a tali difficoltà da decidere l'Albani, consigliato in tal senso dal barone Mareschal, che era stato inviato dal Metternich per coadiuvare l'opera del cardinale, a chiedere l'intervento austriaco (22 gennaio). Il B., forse per evitare la temuta reazione francese, che si concretò poi nell'occupazione di Ancona, mostrò subito di disapprovare la fretta con cui l'Albani aveva effeftuato tale passo. In effetti la ingerenza austriaca si stava facendo sempre più pesante e con la missione a Roma del consigliere aulico G. M. Sebregondi minava le basi della politica immobilistica perseguita dal B., facendone rilevare il pieno fallimento sul piano interno: particolari critiche furono mosse alla sua politica finanziaria, che aveva portato a un pauroso dissesto.
Senza dubbio fu questa precisa situazione a consigliare lo sdoppiamento della segreteria di stato, con la creazione di una segreteria degli Affari di stato interni (chirografo pontificio del 20 febbr. 1833), affidata al card. A. D. Gamberini, riservando al B. gli Affari esteri, l'esercito e l'alta polizia. Comunque, la necessità di una riforma in tal senso era già stata avvertita nel 1823 da Leone XII, come reazione al centralismo del Consalvi; in seguito, erano stati avanzati vari progetti più o meno innovatori (T. Pacca, G. L. Brignole); infine lo stesso B. aveva propugnato l'istituzione di una Congregazione di stato (un vero e proprio consiglio dei ministri) di sette membri, di cui quattro cardinali (segretario di stato, camerlengo, presidente della Congregazione di Revisione e prefetto degli Studi) e tre prelati (governatore di Roma, tesoriere e sostituto segretario di stato). La decisione di Gregorio XVI, che aveva anche interpellato il Sebregondi senza accoglierne il suggerimento, fu un compromesso tra le discordanti opinioni dei cardinali, e non accontentò lerichieste degli "zelanti", che, pur essendo ormai contrari al potere del B., avrebbero desiderato fosse soltanto accentuata l'importanza delle congregazioni cardinalizie, che dopo il 183o erano state convocate molto di rado.
Il B., che aveva visto la sua posizione deteriorarsi rapidamente, rimaneva isolato: mondano, talvolta scanzonato, abile diplomatico (e queste caratteristiche lo hanno talvolta, a torto, presentato come un moderato), aveva in comune con lo zelantismo la convinzione che soltanto una rigida politica reazionaria avrebbe potuto salvare la S. Sede: una convinzione questa che aveva assorbita fin dalla giovinezza, nell'atmosfera della prima Restaurazione, dopo la parentesi giacobina, e durante l'esilio in Francia, accanto ai "cardinali neri". Degli "zelanti" però gli mancava non soltanto il bigottismo, ma anche la sensibilità per i problemi religiosi, e ciò lo portava a sacrificare spesso gli interessi della Chiesa alle necessità della lotta contro i governi liberali: significativo è il fatto che, durante il suo segretariato, non fu stipulato alcun nuovo concordato, ma anzi si giunse alla rottura diplomatica con diversi Stati.
Con la Francia il B., che credeva il regime di Luigi Filippo instabile e guardava con favore ai tentativi controrivoluzionari delladuchessa di Berry, instaurò rapporti molto freddi, tanto che, nell'aprile del 1831, si giunse al richiamo del nunzioL. Lambruschini, non gradito dal governo francese, lasciando come semplice incaricato d'affari A. Garibaldi. Nei confronti delledottrine del Lamennais il B., temendo che l'alleanza da questo vagheggiata fra Chiesa e democrazia corrodesse le basi autoritarie su cui poggiava il papato, contribuì a spingere Gregorio XVI a una energica e pronta condanna.
Neppure la rivoluzione di Polonia, che pur destava simpatia in molti cattolici, valse ad attenuare la sua difesa ad oltranza dell'autoritarismo: dopo essersi rifiutato di prendere l'iniziativa per una conferenza internazionale, come gli era stato chiesto dall'inviato polacco, S. Badeni (2 luglio 1831), il B. si limitò a qualche timida avance con Vienna.
Nella penisola iberica, caratteristico è il diverso comportamento della S. Sede nei confronti dei nuovi regimi. In Portogallo il B. riconobbe affrettatamente, nonostante il parere contrario del Metternich, il sovrano reazionario don Miguel, giustificandosi con la necessità di provvedere alla nomina dei vescovi. Ciò provocò la violenta rappresaglia di don Pedro, quando nel 1833 ebbe il controllo della situazione. il quale chiese l'immediata partenza del nunzio A. Giustiniani da Lisbona (luglio 1833): l'anno successivo furono interrotte del tutto le relazioni diplomatiche, che non vennero riprese neppure con l'ascesa al trono di Maria Gloria, uscita di minorità. In Spagna, al contrario, la cautela usata dal B., dopo la morte di Ferdinando VII (29 ott. 1833), col non riconoscere Isabella II fu dovuta in sostanza al desiderio di affiancare l'azione dell'alto clero, favorevole al reazionario don Carlos: a nulla valsero le pressioni del nunzio, L. Amat di San Filippo, che nel 1834 vedeva ormai persa la causa dei carlisti, perché si riconoscesse il governo spagnolo in modo da salvaguardare gli interessi ecclesiastici in Spagna. Dopo vani tentativi di compromesso, fu inevitabile la rottura delle relazioni nel luglio 1835, motivata ufficialmente con la soppressione della Compagnia di Gesù.
Difficile era anche la situazione in Svizzera, ove la conferenza di Baden (20 febbr. 1834) proponeva l'istituzione di una Chiesa cattolica, retta da un arcivescovo metropolitano. La condanna papale, che colpiva particolarmente il governo cantonale di Lucerna, reo di aver approvato i principi enunciati dalla conferenza (enciclica Commissum divinitus,1° giugno 1835), provocava una tale reazione dell'opinione pubblica liberale da costringere il nunzio, F. De Angelis, ad abbandonare la residenza e a trasferirsi a Schwitz.
Non esce dal quadro già delineato neppure l'istituzione della nunziatura del Belgio (4 luglio 1835), che, contro il parere dell'episcopato locale, fu consigliata da motivi esclusivamente politici: rafforzare le tendenze autoritarie del sovrano Leopoldo I, esercitando un controllo sul clero belga imbevuto delle dottrine lamennaisiane anche dopo l'enciclica Mirari vos.
In sostanza il bilancio della politica del B. alla fine del 1835 era fallimentare e l'opposizione, in seno al Sacro Collegio, si faceva sempre più veemente, in quanto anche gli "zelanti" non potevano approvare che la soluzione delle questioni ecclesiastiche fosse rimandata indefinitamente, nell'attesa della riscossa delle forze reazionarie sognata dal Bernetti. Fu agevole, perciò, al Metternich, che giudicava pericolosa l'ostinazione del B. nel voler creare e potenziare dei corpi irregolari sanfedisti quali i Centurioni e i Volontari pontifici, provocarne la caduta, quando il segretario di stato, fornendo a Gregorio XVI notizie esageratamente ottimistiche sulla situazione nelle Romagne, chiese l'allontanamento delle truppe austriache.
Esonerato nel dicembre 1835 dall'incarico di provvedere all'esercito (egli, infatti, alla fine dell'anno avrebbe voluto smobilitare le forze regolari per dare impulso ai corpi volontari controrivoluzionari), il B. fu spinto a presentare le dimissioni il 20 genn. 1836, ufficialmente per motivi di salute. Il 15 maggio 1838, nominato plenipotenziario, venne incaricato di concludere una convenzione per la delimitazione dei confini fra lo Stato pontificio e il Regno delle Due Sicilie: le trattative, svolte con i rappresentanti napoletani F. Del Carretto e G. C. Ludolf, si conclusero il 30 sett. 1840 con reciproca soddisfazione. Frattanto nel 1839 il B. fu ordinato sacerdote dal fratello Alessandro, vescovo di Recanati e Loreto. Nel concistoro del 22 genn. 1844 fu creato vicecancelliere di Santa Romana Chiesa, optando per il titolo presbiteriale di S. Lorenzo in Damaso, e contemporaneamente fu chiamato a far parte di una commissione per la riorganizzazione dell'esercito pontificio. Dopo che nel conclave del 1846 l'Austria aveva fatto pesare l'esclusiva contro di lui, il B. entrò nella Commissione esecutiva di governo che assisté Pio IX nei primi tempi del suo pontificato. Nel 1848, fatto segno all'ostilità dei liberali dopo l'allocuzione papale del 29 aprile, il B. lasciò Roma in seguito all'assassinio di Pellegrino Rossi, rifugiandosi a Porto Sant'Elpidio, donde raggiunse poi il papa a Gaeta. Restaurato il governo pontificio, si ritirò, per le cagionevoli condizioni di salute, a Fermo, ove morì il 21 marzo 1852.
Fonti e Bibl.: Manca una completa biografia del B.; per un primo orientamento si vedano le voci in Dict. d'Hist. et de Géogr. Eccl., VIII, coll. 828-830; Enc. italiana, VI, p. 756; Enc. cattolica, II, coll. 1445 s.; più o meno utili anche i necrologi: Brevi mem. del cardinale T. B., Pesaro 1852; Notice sur le cardinal T. B. vicechancelier de l'Eglise romaine, in Révue catholique, IX (1852), pp. 271-279, 329-341; Elogio funebre del cardinale T. B., Loreto 1853 (con importanti note documentarie). Sul periodo di esilio in Francia, cfr. Mem. stor. del card. Pacca,Roma 1830, pp. 369 s, Sull'attività dal B. svolta dal 1815 al 1823: Arch. Segr. Vat., Segreteria di Stato, Esteri, rubr. 242, busta 387, n. 11: Mgr. B. incaricato di prender possesso delle Marche da Tolentino; Corrispondenza ined. dei cardinali E. Consalvi e B. Pacca nel tempo del congresso di Vienna, a cura di I. Rinieri, Torino 1903, pp. 514 s.,575, 587, 589; M. Petrocchi, La Restaurazione, il cardinal Consalvi e la riforma del 1816, Firenze 1941, pp. 61 s., 85; Id., La Restaurazione romana, Firenze 1943, pp. 65 s.,221-226; G, Forchielli, Un progetto di codice civile nel 1818nello Stato pontificio,in Scritti della Facoltà giuridica di Bologna in onore di Umberto Borsi, Padova 1955, p. 17 dell'estratto. Sul periodo del pontificato di Leone XII (1823-1829): L. Artaud de Montor, Storia del Pontificato di Leone XII, III, Milano 1844, pp. 12, 41, 73 s.,104, 182, 192, e R. Colapietra, La Chiesa tra Lamennais e Metternich,Roma 1963, passim; in particolare, sulla missione in Russia del 1826, si veda la relazione del B. in Arch. Segr. Vat., Affari eccl. straord., Polonia e Russia, III, pp.821 ss.; Arch. della S. Congregaz. di Propaganda Fide, Moscovia, Polonia e Ruteni, XIX, Memoriale Caprano e relazione Bornetti (il fascicolo relativo alla missione, già in Arch. Segr. Vat., Segr. di Stato, Esteri 268, busta 575, richiesto dal Quirinale il 22 ott. 1847 e non più rimesso a posto, risulta irreperibile); si veda anche A. Boudou, Le Saint Siège et la Russie, Paris 1922, pp. 26, 142-146, 165 s., 176-178, 190, 196, 206, 221, 224, 248, 420, 503, 547, 557; S. Olszamowska-Skowronska, Le concordat de 1847 avec la Russie d'après les documents authentiques, Roma 1963, pp. 458-461, 463, 649, 659. Sull'azione dal B. svolta durante i conclavi del 1829 e 1830-31: Diario dei conclavi del 1829 e del 1830-31 di mons. Pietro Dardano, a cura di D. Silvagni, Firenze 1879, passim; Giorn. del conclave per la morte del Sommo pontefice Leone XII, a cura di R. Colapietra, in Critica storica,I(1962), pp.517-541, 636-661, passim. Sul B. segretario di stato di Gregorio XVI, vedi in generale: J. Schmidlin, Histoire des papes de l'époque contemporaine, II, Lyon-Paris 1940, passim; L. C. Farini, Lo Stato romano dall'anno 1815 all'anno 1850, I, Firenze 1850, pp. 27 ss., 58 s., 61, 72, 77, 86, 89, 172, 173; L. Caffo Alberti, La corte Pontificia vista dal rappresentante sardo a Roma (1824-1836), in Rass. stor. del Risorg., XIX (1932). pp. 24-69, passim; De Marco, Il tramonto dello Stato pontificio. Il papato di Gregorio XVI, Torino 1948, pp. 78, 232, 260, 276; Gregorio XVI. Misc. commemorativa, Roma 1948, passim; in particolare, sulla rivoluzione del 1831-32 nelle Legazioni e la politica interna; R. Gamberale, Gli inizi del Pontificato di Gregorio XVI. La conferenza diplomatica in Roma e le riforme,in Rass. stor. del Risorg., XIV(1927), pp. 657-715, passim (che presenta il B. come un moderato, erede del riformismo consalviano); R. Del Piano, Roma e la rivoluzione del '31, Imola 1931, passim; U. Beseghi, Progetti di restauraz. Pontificia nelle Legazioni durante la rivoluzione del 1832, in Atti e mem. della Deputaz. di Storia patria per l'Emilia e Romagna, VIII(1942-43), pp. 247-304; N. Nada, L'Austria e la quest. romana dalla rivoluz. di luglio alla fine della conferenza dipl. romana, Torino 1953, passim; L, Pásztor, Icard. Albani e Bernetti e l'intervento austriaco nel 1831, in Riv. di storia della Chiesa in Italia, VIII(1954), pp. 95-128; N. Nada, Metternich e le riforme nello Stato pontificio. La missione Sebregondi a Roma (1832-36), Torino 1957, passim; L. Pásztor, L'intervento austriaco nello Stato Pontificio nel 1832 e i cardinali Albani e Bernetti, in Studi romagnoli, VIII(1957), pp. 529-595; Id., La riforma della segreteria di stato di Gregorio XVI, in La bibliografia, LX (1958), pp. 285-305; E. Morelli, La rivoluz. del 1831 nello Stato pontificio e la più recente storiografia, in Chiesa e Stato nell'Ottocento, Miscell. in on. di P. Pirri, Padova 1962, pp. 555, 558-562. Per la politica estera, oltre allo studio generale di E. Morelli, La politica estera di T. B., segretario di Stato di Gregorio XVI, Roma 1953, può essere ancora utile N. Bianchi, Storia documentata della diplomazia europea in Italia, III,Torino 1867, passim; cfr. anche M. Degli Alberti, La politica estera del Piemonte sotto Carlo Alberto, I, Torino 1913, pp. 114, 120-122. Manca però uno studio completo sulla politica ecclesiastica seguita dal Bernetti. Per i rapporti con l'Austria e la Germania, oltre ad una più completa utilizzazione dei dispacci in Arch. Segr. Vat., Segreteria di Stato, Esteri, rubr. 247, buste 405-407 (nunziatura di Vienna) e rubr. 254, buste 488-489 (nunziatura di Monaco), cfr. H. Baastgen, Forschungen und Quellen zur Kirchepolitik Gregors XVI., Paderborn 1929, passim; F.Maas, Der Yosephinismius. Quellen zu seiner Geschichte im Osterreich 1760-1850, V, Lockerung und Aufhebung des Yosephinismus 1820-1850, Wien-München 1961, pp. 27 ss., 48, 109, 124, 126, 259-261, 381-401, 407-412, 415, 441-448. Per i rapporti con la Francia: Arch. Segr. Vat., Segreteria di Stato, Esteri, rubr. 248, buste 419-420 (i dispacci sono pubblicati in Parte da G. Procacci, Le relazioni diplomatiche fra lo Stato Pontificio e la Francia, 2 serie, 1830-1848, I, 18 luglio 1831-21 dic. 1833, Roma 1962; II, 4 genn. 1830-28 luglio 1831, Roma 1963); E. Piscitelli, Stato e Chiesa sotto la monarchia di luglio, Roma 1950, passim; L.M Manzini, Il cardinale L. Lambruschini, Città del Vaticano 1960, passim; per l'"affare" Lamennais: F. Dudon, Lamennais et le Saint Siège, Paris 1911, pp. 119, 126, 159,164, 227 s., 254, 258, 321; G. Verucci, Félicité Lamennais, dal cattolicesimo autoritario al radicalismo democratico, Napoli 1963, pp. 137, 141 n., 207 n., 209, 211 s., 229 n., 237 n., 241 n., 242 n. Per i rapporti con il Belgio: Arch. Segr. Vat., Segreteria di Stato, Esteri, rubr. 256, buste 505-507; A. Simon, Documents relatifs à la nonciature de Bruxelles (1834-38), Bruxelles-Rome 1958, passim; per la Svizzera: Arch. Segr. Vat., Segreteria di Stato, Esteri,rubr. 254, buste 488-489, mentre, pur mancando una pubblicazione particolareggiata, per un orientamento generale sul periodo, si v. T. Schweger, Geschichte der katholischen Kirche in der Schweiz, Stans 1945 (ìl B. non è citato). Manca anche una moderna ricerca sui rapporti con la Spagna (Arch. Segr. Vat., Segreteria di Stato, Esteri, rubr. 249, buste 438-439), il Portogallo (ibid., rubr. 250, buste 443-444) e il Brasile (ibid., rubr. 251, buste 448-451). Infine sui rapporti con il Regno delle Due Sicilie, vedi Arch. Segr. Vat., Segreteria di Stato, Esteri, rubr. 252, buste 464-467; W. Maturi, La convenzione del 29 ag. 1839 tra la S. Sede e il regno delle Due Sicilie, in Arch. stor. per le prov. napoletano, n.s., XXXIV (1953-54), pp. 319-369, passim. Notizie sul negoziato col Regno delle Due Sicilie (1838-40) in G. Moroni, Diz. di erud. storico-ecclesias., LXV, p. 311. Sul conclave del 1846 e sugli avvenimenti successivi. T. Buttini, La morte di Gregorio XVI e l'elezione di Pio IX nelle lettere del vice console L. Basso al conte Solaro della Margherita, in Rass.stor. del Risorg., XXVII(1940), pp. 41-68, passim; A. M. Ghisalberti, Nuove ricerche sugli inizi del pontificato di Pio IX e sulla consulta di Stato, Roma 1939, pp. 5, 10 s., 16; S. Bertolotti, Metternich e l'Italia nel 1846, Torino 1945, pp. 105 ss.