BOZIO, Tommaso
Nacque a Gubbio nel 1548 da Onofrio, di nobile famiglia corsa trasferitasi in Umbria agli inizi del secolo, e da Drusiana Semarchia.
Il B. fin dall'adolescenza manifestò le sue inclinazioni per gli studi letterari; nel 1565 si recava a Perugia per seguirvi i corsi di giurisprudenza nel locale Studio e vi si laureava in utroque nel 1567. Tornato a Gubbio, dopo un anno di soggiorno nella casa paterna, si trasferiva a Roma, per intraprendervi l'esercizio dell'avvocatura.
La vocazione umanistica, il giovanile tirocinio negli studi di letteratura greca e latina lo fecero presto entrare in dimestichezza con il cardinale Sirleto a cui il B. dedicò i suoi primi scritti di erudizione ecclesiastica e una raccolta di epigrammi greci. Fu l'incontro con s. Filippo Neri a distogliere bruscamente il B. da una carriera mondana di giurista e letterato, a cui la preparazione e i primi successi sembravano avergli spianato la strada.
Nell'agosto del 1569 egli prendeva a frequentare l'oratorio di S. Girolamo della Carità, ove il Neri aveva costituito il primo nucleo della sua Congregazione. Affascinato dalla personalità di questo, attraverso la pratica della confessione il B. venne sempre più legandosi a lui e al gruppo dei primi oratoriani, abbandonando nel contempo le occupazioni forensi, vendendo la ricca biblioteca appena raccoltà e destinandone il ricavato alla beneficenza.
La crisi religiosa del B., il mutamento profondo che impresse alla propria esistenza furono causa di contrasto con la famiglia, in particolare con il padre Onofrio che gli tolse ogni aiuto economico. Il B. rifiutava anche l'offerta d'un beneficio ecclesiastico che gli era venuta dal cardinale Sirleto, accettando invece il modesto incarico di insegnante privato di grammatica che il Neri gli aveva proposto.
Nell'ottobre del 1571 il B. entrava nel convitto creato dal Neri presso la chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini per i suoi discepoli; insieme con lui venivano a far parte della Congregazione anche Nicolò Gigli e Antonio Talpa, al quale ultimo egli si legava di profonda amicizia, testimoniataci da un ricco carteggio tra i due oratoriani, che risale ad un'epoca successiva, quando il Talpa sarà trasferito dalla Congregazione alla casa di Napoli e che costituisce una delle fonti documentarie più importanti per la ricostruzione della vita del Neri e delle vicende della Congregazione (Arch. dell'Oratorio Romano, Cor., B. III).
Divenuto sacerdote nel 1572, il B. si dedicava con passione all'apostolato presso la chiesa parrocchiale di S. Maria in Vallicella. Furono, questi, anni di intensa pratica religiosa all'interno e all'esterno dell'Oratorio, durante i quali il B. acquistò fama di buon confessore e di capace organizzatore. Ricoprì così cariche di sempre maggior rilievo nella Congregazione fino a venirne eletto rettore nel 1590. Nel 1593 gli veniva affidato l'incarico della preparazione dei novizi a cui già negli anni precedenti si erano dirette le cure del suo apostolato, facendosi tra l'altro promotore di un'Accademia giuridica, scuola privata di diritto per la formazione dei giovani che frequentavano la Congregazione.
Tra i primi frequentatori della scuola era stato il fratello del B., Francesco, che il padre gli aveva affidato nel 1575, all'età di dodici anni; questi, partecipe fin dalla più giovane età delle pratiche religiose e dell'insegnamento degli oratoriani, entrò in seguito nella Congregazione.
L'intenso apostolato religioso, la completa dedizione alla vita della Congregazione tennero per un decennio il B. lontano dall'esercizio della sua vocazione di letterato ed erudito; ma non per questo egli interruppe i suoi studi, allargando anzi l'ambito della propria preparazione soprattutto in campo teologico.
Fu il Neri a riportare il B. sulla strada degli studi di erudizione ecclesiastica e di polemica teologico-politica. L'8 marzo 1582 un decreto della Congregazione incaricava il B. di aiutare Cesare Baronio nella revisione degli Annales ecclesiastici, alla cui redazione il cardinale attendeva fin dal 1566 secondo un piano di lavoro di cui Filippo Neri era stato il primo patrocinatore. È difficile valutare il contributo che il B. portò alla redazione definitiva degli Annales; è certo che egli venne destinato a questo ufficio dalla Congregazione per la sua acquisita cultura teologica e le sue doti di apologista, che costituivano un ausilio utile nella revisione dell'opera, data la destinazione polemica di quest'ultima, volta a controbattere le tesi dell'Illirico e dei suoi collaboratori.
La collaborazione data al Baronio riportò il B. agli studi letterari, eruditi e teologici. Nel 1588, l'anno di pubblicazione del primo volume degli Annales, egli dava alle stampe in Roma una sua raccolta di Carmina latina. I motivi apologetici e di polemica antiprotestante connessi all'opera del Baronio, largamente sentiti nell'ambiente dei filippini, spinsero d'altra parte il B. sulla strada della polemica teologico-politica. Nel 1591 pubblicava a Roma il suo trattato De signis Ecclesiae Dei contra omnes haereses, che ebbe il favore di numerose ristampe in Francia ed in Germania.
Opera apologetica, per l'appunto, volta a segnare la supremazia della Chiesa romana sulle altre confessioni cristiane, utilizzava gli "argumenta" teologici dei "signa" e delle "notae" con cui il Cristo avrebbe qualificato l'unicità e originarietà della Chiesa. Per questa via il B. operava una singolare mediazione tra l'apologetica dogmatica del Bellarmino, e quella storica del Baronio. L'"argumentum" dei "signa" consentiva al B., oltre ad una felice ed efficace esemplificazione polemica, di far leva su tutto il bagaglio eclettico della sua cultura. Facendo ricorso alla sua vasta erudizione, nonché alle sue cognizioni di storia naturale egli elencava più di un centinaio di "signa", esemplificati in personaggi illustri ed episodi salienti della storia civile e religiosa dei popoli cristiani. Particolare interesse assumono in quest'ambito i "signa temporalis felicitatis", cioè l'accento posto sulle scoperte e le applicazioni tecniche e scientifiche, quello che il Poni ha chiamato, forse impropriamente, "l'argomento della superiorità tecnologica" della tradizione cattolica rispetto a quella protestante.
La collaborazione col Baronio e la pubblicazione del trattato conferirono al B. un'autorità nell'ambiente della Curia romana, a cui egli non volle mai far seguire i passi necessari della carriera ecclesiastica. Nel 1590 e nel 1591 rifiutò la nomina a vescovo di Urbino a cui era stato sollecitato una prima volta da Francesco Maria Della Rovere e una seconda volta dallo stesso Sisto V. Con l'elezione al pontificato di Clemente VIII i rapporti del B. con la Curia si fecero tuttavia più stretti, favoriti anche dal rapporto del Baronio col nuovo pontefice. Nel 1592 stendeva, evidentemente su commissione, uno Scriptum de non admittendo Navarro (Archivio Segr. Vat., Segn., 48, ff. 12-24v), sulla conversione di Enrico IV. In quello stesso anno, su invito del pontefice, prese a lavorare intorno a quella serie di trattati "adversus Machiavellum" che costituiscono il tratto più saliente della pubblicistica del Bozio.
Col Ribadeneira il B. è certamente la figura di maggior rilievo nella polemica antimachiavelliana della cultura controriformistica. Egli investì l'intera opera del Machiavelli d'un sistematico commento polemico che si stacca decisamente, per la sua portata politica ed ideologica, dal livello delle critiche del Iudicium del Possevino o delle Ennarationes del Polito, nonché delle confutazioni del Pole, dell'Ossorio e del Molan.
Il primo di questi trattati fu il De robore bellico diuturnis et amplis catholicorumregnis, pubblicato a Roma nel 1593 (altre edizioni a Colonia nel 1594 e 1601) e dedicato al pontefice Clemente VIII e al cardinal nepote Pietro Aldobrandini. La polemica contro i motivi classici dell'Arte della guerra, quelli della milizia cittadina e della guerra patria, viene condotta in nome del "bellum iustum", la "ratio bellica" cioè della Controriforma con la sua galleria apologetica di condottieri militari e di sovrani guerrieri.
Quell'anno stesso il B. dava alle stampe un secondo trattato, De imperio virtutis sive imperia a veris virtutibus non a simulatis debent... (Romae 1593 e assieme al De robore bellico nelle edizioni di Colonia del 1594 e del 1601), dedicato anch'esso a Clemente VIII e a Cinzio Aldobrandini, cardinale di S. Giorgio.
Qui la polemica del B. affronta il nucleo centrale della teoria della "ragion di Stato". Su questo terreno il B. si differenzia dalla tradizionale tematica controriformistica, poiché non tenta il recupero del principio della ragion di Stato, trasferendolo nell'ambito della precettistica etico-politica cattolica, ma segue una linea di obiezioni interamente di carattere etico e teologico. Da questo rigoroso angolo visuale egli ripropone la sistemazione tomistica del De regimine principum, il concetto medievale della "potestas" vincolata dal diritto naturale e divino e dai principî della fede cristiana. La precettistica del B. rimane dunque saldamente vincolata al terreno dell'etica, a cui si commisurano la "virtù" del principe e la "fortuna" o "decadenza" degli Stati.
Il principio della felicità pubblica terrena interamente connessa a quella spirituale viene ripreso ed ampliato nel terzo trattato, il De ruinis gentium et regnorum (Romae 1595), dedicato a Clemente VIII e ai cardinali Benedetto Giustiniani e Pietro Aldobrandini. In esso il B. amplia il raggio della sua polemica dal Machiavelli "adversus omnes impios politicos"; la casistica si fa così più minuta e l'unità della vita politica e di quella religiosa è singolarmente riproposta attraverso l'esempio del mondo classico e delle religioni pagane.
L'ultimo dei trattati del B. "adversus Machiavellum", il De antiquo et novo Italiae statu, edito a Roma nel 1595 (del 1595 è pure un'edizione di Colonia e del 1596 una seconda edizione romana), nel progetto iniziale dell'opera complessiva doveva costituire il primo approccio polemico. In effetti il trattatello dato per ultimo alle stampe fu redatto per primo dal B. e l'approvazione del revisore Piombino porta la data del giugno 1593.
In esso il B. metteva in evidenza la funzione civilizzatrice della Chiesa nella storia italiana. Tornano ad operare nell'analisi del B. i "signa temporalis et spiritualis felicitatis" che costellano la rinascita religiosa e civile dell'Italia medievale per opera della Chiesa dopo la caduta dell'Impero romano e rivivono i motivi ideologici della tematica guelfa e attraverso di essi la confutazione del giudizio storico e politico del ruolo disgregatore del Papato ai fini del conseguimento dell'unità politica nazionale.
Questo recupero in termini apologetici della tematica teocratica medievale è uno dei contributi caratteristici del B. alla cultura della Controriforma, che trova la sua più compiuta espressione in un'opera più tarda, il De iure status sive de iure divino et naturali ecclesiasticae libertatis et potestatis (Romae 1600; un compendio venne edito sempre a Roma nel 1660), in cui si ripropone tutto l'apparato concettuale che era proprio della canonistica medievale intorno al tema della "spiritualis potestas".
Negli ultimi anni della sua vita il B. venne sistemando il vastissimo materiale raccolto al tempo della sua collaborazione alla revisione degli Annales del Baronio. Nacquero così i dieci volumi degli Annales Antiquitatum, due dei quali furono pubblicati postumi dal fratello del B. Francesco (Romae 1637), e i rimanenti rimasero manoscritti (Biblioteca Vallicelliana, codd. 78-98).
La Biblioteca Vallicelliana conserva inoltre, nei codd. 75, 76 e 77, una ricca messe di scritti miscellanei di diritto canonico, di erudizione ecclesiastica, di soggetto teologico del Bozio.
Il B. morì a Roma il 9 dic. 1610.
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