Bozio, Tommaso
Nato a Gubbio nel 1548, studiò a Perugia e a Roma, dove si trasferì per fare carriera come giurista. Sacerdote dal 1572, strinse amicizia con Guglielmo Sirleto e con altri esponenti della cultura postridentina, divenne rettore della Vallicella (1590) e aiutò Cesare Baronio a comporre gli Annales Ecclesiastici. A proposito della scomunica gravante sul re di Francia, Enrico IV, vergò un parere de non admittendo Navarro (1592) circolato manoscritto. In quel contesto mise al servizio della controversia la sua penna di polemista, stilando uno dopo l’altro i De signis Ecclesiae Dei [...] libri XXIV (1591) e una serie di scritti antimachiavelliani: De robore bellico diuturnis et amplis Catholicorum regnis liber unus adversus Machiavellum (1593), De imperio virtutis sive imperia pendere a veris virtutibus non a simulatis libri duo adversus Machiavellum (1593), De antiquo et novo Italiae statu libri quatuor adversus Machiavellum (1594); e, contro i fautori della ragion di Stato e gli ‘empi’ politiques, gli otto libri del De ruinis gentium et regnorum (1596), tutti più volte ristampati.
In difesa dei privilegi del clero e della potestas directa dei papi compose poi un De iure status sive de iure divino et naturali Ecclesiasticae libertatis et potestatis (1600); si impegnò anche nella guerra di scritture che divise la curia e Venezia, quando Paolo Sarpi attaccò le pretese politiche e spirituali di Roma (1606). Morì a Roma nel 1610.
Diversamente da Baronio e da Roberto Bellarmino, contro la propaganda riformata B. sfruttò non solo la storia e la teologia, ma anche i segni mondani e ‘attuali’ che dimostravano quale fosse la vera Chiesa. Per esaltare il carattere autentico della fede romana non gli bastarono i martiri e i santi, i miracoli e la continuità apostolica, ma volle richiamare il successo economico dei Paesi cattolici, la loro abilità nell’inventare, nell’innovare la scienza, nel navigare, nel conquistare nuove terre, nell’estendere gli imperi, nell’accrescere la popolazione e nel tenere lontano conflitti fratricidi. Ai suoi occhi, la forza militare della Spagna era la prova che l’obbedienza ai papi acquistava il favore di Dio (De signis), mentre la disobbedienza recava divisione civile e distruzione del benessere spirituale e materiale (De ruinis). L’avversione per la Francia, inoltre, lo convinse che M. era il vero maestro dei politiques e del simulatore Enrico di Navarra, l’ispiratore delle lotte intestine e di chi anteponeva la ragion di Stato a quella della Chiesa.
Su un fronte opposto rispetto a Innocent Gentillet, egli ne condivise la tesi secondo cui M. aveva insegnato come annientare la pace politica, fingere la fede e usare l’astuzia contro i nemici; e forse proprio dall’eretico Gentillet B. attinse quel poco che sapeva degli scritti del Segretario fiorentino. In ogni modo, negli anni in cui l’Indice discusse per l’ultima volta se emendare M., per poi condannarlo definitivamente nel novero degli autori perniciosissimi, i suoi fluviali tomi – come già gli scritti di Juan Ginés de Sepúlveda e di Jerónimo Osório – attaccarono in particolare la tesi di M. secondo cui la religione cristiana aveva infiacchito e reso imbelli gli animi perché esaltava una tensione ultramondana opposta ai valori pagani della virtus e della gloria (Discorsi II ii, a cui replicò con il De robore bellico e in parte con il De imperio virtutis, scritto anche contro Principe xviii-xx) e quella per cui la presenza della curia papale in Italia aveva distrutto la pietà e la forza politico-militare della penisola (Discorsi I xii, a cui replicò con il De antiquo et novo Italiae statu). Dedicati al pontefice, gli scritti di B. – che esaltavano i moderni contro gli antichi e i soldati cattolici contro i consoli romani – non ebbero la durevole fortuna delle Relationi di Giovanni Botero (1588), ma influenzarono i teorici seicenteschi dell’imperialismo spagnolo perché santificavano la conquista del Nuovo Mondo, l’espansione in Asia e il dominio militare dei devoti Asburgo.
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