BUONINSEGNI (Boninsegni), Tommaso
Nacque da Alessandro a Siena verso il 1531 e gli fu imposto il nome di Claudio. Secondo una notizia dell'Ugurgieri Azzolini, accolta da Quétif-Echard e quindi ripresa da altri, nelle prima giovinezza avrebbe esercitato attività bancaria e solo più tardi avrebbe vestito l'abito domenicano. È invece documentato che già a sedici anni, il 19 maggio 1547, entrò nel fiorentino convento di S. Marco, dove fece la professione religiosa il 20 maggio 1548, assumendo il nome di Tommaso. È facile confonderlo con un omonimo, anch'egli senese e domenicano, il quale fu priore di S. Maria della Quercia, a Viterbo, e nel 1545 divenne priore del convento di S. Caterina a Pisa.
Il B. nel 1569 venne designato maestro di studi a Perugia, dove restò due anni. Conseguito il magistero in teologia il 9 apr. 1573, nell'ottobre seguente fu nominato pubblico lettore di questa disciplina nell'università teologica di Firenze, della quale divenne attivo decano nel 1589. Teologo di Cosimo I, fu priore di S. Maria Novella, "diffinitore" per la provincia romana al capitolo generale domenicano del 1600, e - nel 1603 - esaminatore sinodale fiorentino. Arricchì, anche a spese proprie, di libri sacri e profani la biblioteca del convento di S. Marco e utilizzando un legato testamentario di padre Antonino Mattoncino ne fece sistemare in locali migliori il fondo greco.
Visse in concetto di santità e s'acquistò grande lustro per le sue prediche, specie per le quaresimali che tenne nel 1595 a S. Marco, e per l'illuminato consiglio prestato a chi lo consultava tanto in materia teologica quanto per gravi casi di coscienza, soprattutto nella pratica degli affari. Particolarmente lodato fu il panegirico che pronunciò in latino nel refettorio del convento domenicano in occasione della traslazione della salma di s. Antonino il 9 maggio 1589.
Dobbiamo al B. una versione latina dell'opera di Girolamo Savonarola sull'astrologia, integrata da una vivace difesa degli argomenti che vi sono sostenuti; ma l'espressione più originale del suo pensiero è contenuta nei trattati che dal 1573 andò pubblicando sulla legittimità morale di alcune pratiche nella condotta degli affari, col proposito di fornire un orientamento sicuro agli operatori - ma anche ai confessori - in un'epoca nella quale l'irrigidirsi controriformistico dell'autorità ecclesiastica s'accompagnò con una grande trasformazione delle istituzioni commerciali e creditizie.
Prive delle oscurità e degli orpelli eruditi così frequenti in questo genere di scritti, sostenute da una sottigliezza di ragionamento che tuttavia non appare mai eccessiva, tali dissertazioni si ispirano a un vivo senso della realtà. Il B. rifugge infatti dal "parlare in universale", sottolineando l'opportunità d'applicare "la dottrina alla pratica e alle cose particolari". Egli rivela una conoscenza sicura del mondo economico e il lettore moderno ne apprezza segnatamente la nozione approfondita delle tecniche, che pone le sue opere fra le fonti più ragguardevoli per lo studio delle operazioni bancarie e commerciali del Cinquecento, specie in questioni come quella dei cambi. Perché abbiano una diffusione maggiore, il B. preferisce esprimersi in latino, benché riconosca questa lingua inadeguata alla materia e perciò - per farsi meglio intendere dai mercanti - ricorra talvolta al volgare. La raccolta dei suoi trattati viene pubblicata prima in latino, nel 1587, con una dedica ad Alessandro de' Medici, e solo l'anno seguente in una traduzione italiana di Vitale Zuccoli, peraltro alquanto scorretta (basti dire che Bisenzone è sorprendentemente scambiata con Bisanzio, e quindi la discussione finisce col vertere su inesistenti cambi di Costantinopoli), ma i trattati sui cambi e sulla vendita a credito e quelli sullo sconto e sul gioco erano già apparsi in italiano, i primi due nel 1573, gli altri nel 1585.
Il B. condanna soprattutto la smodata avidità di guadagno (neppure il gioco diventa per lui peccato mortale quando questa manchi e siano rispettate le regole, tanto più che rimettersi alla fortuna gli sembra in realtà un modo d'affidarsi alla divina provvidenza), e uno dei cardini del suo pensiero, che si rifà in questo all'insegnamento di s. Antonino, è la ferma opposizione alla tendenza a giustificare l'interesse facendolo rientrare nel "lucro cessante" o in categorie analoghe, da qualche tempo invalsa presso molti teologi soprattutto per la preoccupazione di offrire ai problemi morali, posti dall'evolversi delle realtà economiche, soluzioni più aperte.
Tale tendenza gli appare estremamente pericolosa, come quella che potrebbe aprire una larga breccia all'interesse. Per legittimare moralmente la riscossione di un interesse, egli sostiene, non basta il generico venir meno di un utile potenziale, perché per questa via, con l'argomento che la somma mutuata si sarebbe potuta in teoria impiegare in modo fruttifero in altri affari, si giungerebbe a fornire una comoda copertura a tutti i prestiti non gratuiti: occorre invece che la perdita del guadagno sia effettiva, come accade nel classico esempio di chi disinvesta denaro da un negozio lecito e onesto per sovvenire un amico in difficoltà; né tale perdita deve trasferirsi integralmente sul debitore, ma bisogna valutarla entro limiti discreti, da rimettersi al giudizio di un uomo "prudente e da bene". Inoltre è necessario che essa sia sofferta contro volontà: tipico è il caso del creditore vittima dell'inadempimento e analoga la condizione dei minori, che, in quanto obbligati per legge a depositare il loro denaro nei Monti pubblici, hanno titolo a un "interesse giusto". In realtà meno indulgente di altri teologi moralisti del suo tempo, i quali guardarono con maggiore larghezza di vedute alle necessità della pratica mercantile, il B. restringe notevolmente con queste distinzioni il campo delle speculazioni lecite, benché faccia mostra di lodare come confacente alla carità l'impegno di giustificare alla luce dell'etica cristiana certe operazioni creditizie che siano di pubblica utilità. Egli è di regola molto cauto nel procedimento, familiare a teologi e a giuristi, di ammettere la conformità morale di talune pratiche riconducendone sottilmente gli elementi essenziali a un contratto nominato diverso dal mutuo, che per comune affermazione era lo strumento usurario di più spiccata evidenza. Infatti - se accoglie l'opinione prevalente che il cambio non sia un mutuo né una locazione d'opere bensì una compravendita caratterizzata dalla differentia loci - egli fa una netta distinzione fra il cambio consistente in una "negotiatione di permutare denaro con denaro" nello spazio, "per commodo delle mercanzie", e il cambio che si esercita con fini puramente speculativi: perciò, se gli appare legittimo che il denaro lontano abbia una valutazione minore di quello vicino, condanna aspramente il "cambio secco" e non fa mistero della sua diffidenza per i cambi di Bisenzone, soprattutto per le quotazioni che senza alcun beneficio per la collettività un ristretto numero di mercanti, prevalentemente genovesi, attribuiva arbitrariamente all'andata e al ritorno.
Perché un cambio sia giusto occorre che sia concluso al prezzo corrente della piazza e che non vari in funzione della lunghezza del termine. Per il B., infatti, il prezzo che "nasce dai mercanti che liberamente contrattano", regolato dalla domanda e dall'offerta, è "giusto prezzo" e in nessun caso nella sua formazione può tenersi conto della circostanza che se ne procrastini il pagamento. Scrivendo sui cambi il B. non può tradire lo spirito della bolla pontificia del 1571, ma i principî ai quali egli s'informa trovano un'applicazione pratica anche nella vendita a tempo, dove l'epoca del pagamento non deve costituire un elemento determinante: applicare a una medesima cosa due prezzi differenti, uno in contanti e uno a credito, attribuendo così una rilevanza economica al fattore tempo, è senza scampo una forma d'usura. E nella controversa questione della liceità dello "sconto", nel senso di una riduzione di prezzo accordata al debitore in caso di pagamento anticipato, egli consiglia di astenersi da questa forma di guadagno, pur non condannandola recisamente; ma contro l'opinione del cardinale Gaetano che riconosceva in tale contratto una compravendita e pertanto non lo riteneva usurario, egli disapprova la pratica del "tagliar le dette" e cioè la deduzione di uno sconto nella misura fissa dell'8%, divenuta consueta a Firenze, nella girata dei crediti. A tale questione è dedicato uno speciale trattato, in cui si dimostra che questo negozio altro non è che un prestito dove il compratore si sostituisce al venditore, mentre per legittimare moralmente il minor prezzo al quale si subentra nel credito è irrilevante la motivazione dell'incertezza dell'adempimento, perché i mercanti che praticano queste operazioni sanno benissimo in chi possano riporre fiducia, e perciò si guardano dall'intricarsi con debitori poco solvibili. Il B. non si lascia trarre in inganno neppure dalla vendita con patto di riscatto, la quale gli si presenta meno coi caratteri della vendita che con quelli del pegno.
Il rigorismo del B. si manifesta nitidamente anche nel suo discorso sui censi, dove tratta i problemi pratici dell'applicazione della bolla di Pio V; è molto importante l'affermazione che queste regole obbligano non soltanto coloro che sono soggetti all'autorità temporale pontificia, ma tutti i credenti. Alla Chiesa, del resto, egli attribuisce piena autorità anche in materia di principî di diritto naturale, siano o meno rivelabili alla luce delle Sacre Scritture, ed è la concezione che ogni potere ha origine da Dio che gli fa riconoscere la validità delle leggi civili, ovviamente quando non siano in contrasto con quelle divine e naturali.
Di grande interesse è il suo trattato sul Monti, soprattutto per le notizie sull'attività del Monte di Pietà di Firenze, che s'era venuto trasformando in un grosso istituto di credito. Il B. configura i depositi volontari come contratti di società e quindi concede che siano fruttiferi, in quanto soggetti a certi rischi, e ammette che i poveri che beneficiano dei prestiti debbano pagare una percentuale da destinarsi alle spese d'amministrazione, perché "chi sente commodo debbe anche sentirne il peso", non sembrandogli giusto - come molti allora sostenevano - che questo carico dovesse gravare sulla collettività.
Pur restando ancorato a un rigoroso tradizionalismo, il pensiero del B. non è angusto né privo di originalità e notevoli sono i suoi apporti alla grande discussione sulla valutazione morale delle nuove pratiche che s'andavano imponendo nella vita economica che impegnò così a fondo i teologi moralisti del Cinquecento. Di tale discussione - anche se non godé della fama e dell'autorità di un Soto o di un Navarro - egli si pone fra i più validi interlocutori.
Morì a Firenze il 7 genn. 1610, senio confectus, come informa il Razzi che gli fu a lungo confratello a S. Marco, dopo essersi preparato piamente al trapasso già tre mesi prima, con la rinuncia ad ogni occupazione non spirituale. Volle essere sepolto senza pompe accademiche e canoniche nella chiesa del convento.
Opere: Discorso del vendere a tempo, Firenze, Giunti, 1573; Dei cambi trattato risolutissimo nel quale si dichiarano i modi hoggi usitati ne i cambi et la giustizia che in quelli si contiene, Firenze, G. Marescotti, 1573; Hier. Savonarolae opus eximium adversus divinatricem astronomiam,ex italico in lat. translatum,interprete f.T. Boninsegnio. Accedit eiusdem interpretis apologeticus adversus huius operis vituperatores, Firenze, G. Marescotti, 1591; Trattato delli sconti e del tagliare le dette, Firenze, D. Manzani, 1585; Del giuoco,discorso nel quale si dimostra in che modo e quando il giocare sia peccato e se quelli che giocando guadagnano son tenuti a restituire, Firenze, G. Marescotti, 1585; Tractatus ad justas negociaciones inter homines fieri consuetas summe necessarij, Firenze, Sermartelli, 1587 (trad. ital. di V. Zuccoli, Venezia 1588 e 1591); Oratio encomiastica in translatione corporis divi Antonini archiepiscopi Florentini, Firenze, Sermartelli, 1589; Descrizzione della traslazione del corpo di S. Antonino... fatta nella chiesa di S. Marco l'anno MDLXXXIX..., Firenze, Sermartelli 1589.
J. Quétif e J. Echard, che, accogliendo una notizia del Gozzeo, ascrivono al B. anche degli Opuscula de incarnatione et de angelis, informano che in appendice alla Summa di s. Tommaso egli pubblicò a Venezia, nel 1588, due "quaestiones" - Utrum principium individuationis sit materia in corporalibus e De motoribus corporum,an a Deo immediate moveantur - che egli aveva scoperto in un codice della biblioteca del convento di S. Marco, attribuendole all'Aquinate e illustrandole con molte note; tale attribuzione fu poi riconosciuta erronea dallo stesso B. e pertanto le due "lucubratiunculae" non comparvero nelle edizioni successive.
La Biblioteca Vaticana conserva una sua dissertazione De concordia liberi arbitrii humani cum divina praedestinatione (cod. Vat. lat. 4722; la medesima opera in un ms. secentesco della Bibl. univ. di Barcellona, n. 432, pp. 150-190).
Fonti e Bibl.: Firenze, Bibl. Laurenziana, cod. 370, pp. 114, 199-200; Ibid., Archivio della Curia arcivescovile, Privilegi di Dottori(1466-1675); S. Razzi, Istoria de gli uomini illustri... del sacro ordine de gli Predicatori, Lucca 1596, p. 341; I. Ugurgieri Azzolini, Le pompe sanesi, Pistoia 1649, I, pp. 354 s.; L. Cerrachini, Fasti teologali..., Firenze 1738, pp. 293 s.; C. G. Joecher, Allgemeines Gelehrten-Lexicon, I, Leipzig 1750, p. 1485; D. Moreni, Bibliografia storico-ragionata della Toscana, I, Firenze 1805, pp. 192 s.; G. Prezziner, Storia del pubblico studio e delle società scientifiche e letterarie di Firenze, Firenze 1810, II, pp. 36, 42, 56; L. De Angelis, Biografia degli scrittori sanesi, Siena 1824, pp. 178-182; U. Gobbi, L'economia politica negli scrittori italiani del secolo XVI-XVII, Milano 1889, pp. 194-207; B. M. Reichert, Monumenta ord. Fratrum praedicatorum historica, X, Roma 1901, pp. 110, 180, 380; L. Thorndike, A History of Magic and esperimental Science, VI, New York 1941, p. 187; G. Mandich, Le Pacte de Ricorsa et le marché italien des changes au XVIIe siècle, Paris 1953, pp. 7, 48-50, 134 s., 144, 168, 173; R. De Roover, L'étolution de la lettre de change, Paris 1953, ad Indicem;R. Ehrenberg, Le siècle des Fugger, Paris 1955, pp. 242, 314; H. Lapeyre, Une famille des marchands: les Ruiz, Paris 1955, pp. 127, 247, 332; O. Marinelli, La Compagnia di s. Tommaso d'Aquino di Perugia, Roma 1960, p. 120; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., X, col.1221; J. Quétif-J. Echard, Scriptores ordinis Praedicatorum..., Paris 1721, II, pp. 370 s.