Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il testo più noto di Campanella è la Città del Sole, manifesto idealizzato della fallita congiura di Calabria, ma il suo pensiero è complesso e multiforme, e si presenta come un audace, originale tentativo di riformare ogni campo del sapere e di rifondare la vita associata dell’uomo alla luce di un’esuberante filosofia della natura.
La giovinezza, la congiura
Il 10 agosto 1599 due oscuri cittadini di Catanzaro inviavano al viceré di Napoli una denuncia, nella quale dichiaravano che Tommaso Campanella, e altri frati domenicani, avevano organizzato una congiura per far ribellare i popoli contro la tirannia del sovrano spagnolo e la malvagità dei suoi ministri, che, a loro dire, “vendevano come all’asta pubblica il sangue umano, e la giustizia e tutto, usurpando… il sudore dei poveri con tanti tributi e pagamenti e assassinii” (Amabile, Congiura, I, p. 226). Nel progettato complotto confluivano personaggi disparati – vescovi, aristocratici, fuorilegge – e alcuni di loro avevano preso accordi anche per un intervento della flotta turca. Capo spirituale e organizzatore della ribellione era un domenicano poco più che trentenne, che l’anno precedente aveva fatto ritorno nei luoghi d’origine (era nato a Stilo, il 6 settembre del 1568) dai quali era stato lontano per una decina d’anni. Dopo i primi studi nei conventi calabresi, Campanella aveva trascorso una giovinezza tumultuosa, nel corso della quale aveva già dovuto fronteggiare ostacoli e conflitti, soprattutto a causa della sua adesione alla filosofia nuova di Bernardino Telesio, tutta protesa a ricercare la verità non sui libri e le parole di Aristotele, ma con un’indagine diretta del mondo naturale. Nel 1589, spinto dal desiderio di incontrare di persona Telesio, le cui dottrine avevano riempito il suo animo di gioia (Telesius me delectavit), indicandogli nuovi contenuti e nuovi metodi di ricerca della realtà, Campanella si dirige a Cosenza: dove non può che apporre dei versi reverenti al catafalco dell’anziano filosofo, morto proprio in quei giorni. In un sonetto che in seguito indirizzerà Al Telesio cosentino Campanella – autore anche di uno straordinario canzoniere filosofico – ne individuerà il merito precipuo nella simbolica “uccisione” di Aristotele, il tiranno degli ingegni: un parricidio necessario per sgombrare il campo del sapere da false dottrine e soprattutto da ogni principio di autorità, incompatibile con la libertà intrinseca alla verità filosofica (Poesie, p. 278).
Anni giovanili irrequieti, ma anche fervidi di incontri e di nuove conoscenze. Giunto a Napoli, Campanella ha modo di frequentare vivaci ambienti intellettuali e di conoscere Giovanbattista della Porta, uno dei più noti esponenti della magia naturale: e proprio dalle discussioni con lo studioso prende forma una delle sue opere più significative, il Del senso delle cose e della magia, che a Firenze dedicherà al granduca Ferdinando I, senza però riuscire, come aveva sperato, a trovare una sistemazione in Toscana. Ripartito per Padova, conosce Galileo: un incontro di due giovani all’inizio dei loro percorsi, che si separeranno ben presto per tornare a congiungersi a molti anni di distanza. I sospetti nei confronti del giovane domenicano a causa dell’impetuosa adesione alla filosofia telesiana, che per il suo antiaristotelismo sembra presentarsi come incompatibile con l’ortodossia scolastica, prendono corpo in un processo da parte dell’Inquisizione che si conclude nel Sant’Uffizio romano con la condanna dell’imputato all’abiura per veemente sospetto di eresia e l’ingiunzione di fare ritorno nei Paesi d’origine. Rientrato in Calabria, Campanella si deve confrontare con una situazione socialmente degradata, dominata dalla violenza di faide sanguinose, dal marasma economico, dall’ingiustizia e dai soprusi. La morte del re Filippo II nel settembre 1598, dopo un regno durato più di 40 anni, sembra aprire concrete possibilità di cambiamenti, e Campanella inizia a predicare l’approssimarsi di una profonda renovatio, che sembra annunciata, nell’imminenza del nuovo secolo, da inconsueti segni celesti e terrestri – comete, terremoti, alluvioni, visioni aeree. L’avvento di un’epoca nuova si traduce nell’esigenza di rifondare l’associazione sociale e politica alla luce di principi razionali e naturali, entro un contesto profetico, le cui molteplici voci sono concordi nell’auspicare un profondo rinnovamento della cristianità.
Tutto precipita con la denuncia dei due affiliati che si dissociano. Il viceré si affretta a inviare truppe armate al comando di Carlo Spinelli il quale, per stroncare sul nascere l’insurrezione, dà inizio a una feroce repressione, con massicci arresti ed esecuzioni sommarie. L’8 novembre 1599 giungono a Napoli quattro galere, dalle cui antenne pendono, impiccati, diversi prigionieri; all’entrata nel porto altri due vengono squartati vivi, come duro monito alle masse accorse per assistere al macabro spettacolo. Fra i prigionieri c’è Campanella il quale, superate le durissime prove delle fasi processuali, riesce ad evitare la pena capitale, che non poteva venire inflitta ai pazzi, grazie alla simulazione della follia, ratificata con la terribile tortura della “veglia”: evento cui allude nella chiusa della Città del Sole, a prova che la volontà umana è libera e non può essere costretta neppure dalle pressioni fisiche più estreme.
La filosofia naturale
Nei quasi trenta anni trascorsi in carcere, Campanella si dedica alla gigantesca impresa della rifondazione dell’intera enciclopedia del sapere, costruendo un’architettura entro la quale ogni campo delle conoscenze viene affrontato e riformato alla luce dei suoi principi filosofici e metafisici: dalla medicina all’astrologia, dall’etica alla religione naturale, dalla teologia alla metafisica, esposta in un imponente tomo che l’autore non esiterà a definire con orgoglio “bibbia dei filosofi”.
Un posto primario è occupato dalla filosofia della natura, ispirata a quella di Telesio, secondo la quale il mondo ha origine dall’azione che il caldo e il freddo, due principi originari attivi, diffusivi, incorporei, esercitano sulla massa materiale, di per sé oscura e informe, ma idonea a modificarsi e ad assumere ogni forma e figura, malleabile come la cera. I primi corpi e le sedi dei due principi sono il Sole – caldissimo, luminosissimo, mobile – e la Terra – immobile, tenebrosa e pesante. Ogni ente deriva dal conflitto dei due principi, che sono gli strumenti di cui si serve Dio per produrre e organizzare la mirabile statua del mondo, in cui egli esprime le idee e i modi infiniti della sua sapienza creatrice. Al centro della scena, un ruolo dominante è giocato dalla nobiltà e dal primato del calore celeste che, assimilato all’anima del mondo, è il soffio caldo che, infuso in ogni minima fibra della realtà, conferisce connessione e vita a tutti gli esseri.
Il mondo è un animal grande e perfetto (Poesie, p. 37), un organismo vivente le cui singole parti sono dotate di vita e del grado di sensibilità idoneo a garantirne l’autoconservazione. Ogni ente, dunque, possiede, secondo gradi e modalità diverse, il “senso”, vale a dire la capacità di distinguere ciò che risulta positivo e giova alla propria vita, e che pertanto viene ricercato, da ciò che, percepito come distruttivo, viene rifuggito ed evitato. Alcuni enti, come i corpi celesti e la luce, possiedono un senso più acuto e puro; altri, come i minerali e i metalli, un senso più ottuso e oscuro, a causa della pesantezza della materia. Gli organismi più complessi degli animali e degli uomini sono dotati altresì dello spiritus, il soffio caldo originato dall’estrema rarefazione della materia prodotta dal calore solare. Sottile, mobile, passibile, identificato con l’anima organica, lo spiritus ha sede nel cervello, da dove, scorrendo per i sottilissimi canali nervosi, entra in contatto, attraverso gli organi di senso, con la realtà esterna, registrando quelle modificazioni da cui hanno origine tutte le sue passioni e conoscenze. Ed è alla luce delle nozioni di sensus e di spiritus che Campanella reinterpreta la tradizione della magia naturale, per spiegare i rapporti di simpatia e antipatia, affinità e ripulsioni che intercorrono fra gli enti naturali. Il mago naturale è il sapiente che è in grado di indurre sullo spiritus determinate alterazioni e passioni. Egli sa come potenziare i valori vitali, suggerendo cibi, bevande, climi, suoni, rimedi di erbe e di animali; conosce i segreti della generazione e delle malattie, ed è capace di suscitare passioni adeguate a conseguire determinati fini. Inoltre, sa spiegare fenomeni insoliti come le premonizioni e la profezia naturale, in quanto le cause degli eventi, già presenti nell’aria, possono venire percepite prima che essi si verifichino; o le metamorfosi di coloro che sono morsi da un cane rabbioso o dalle tarantole, in quanto i loro temperamenti vengono alterati dal diffondersi e dal prevalere dello spirito dell’animale che li ha aggrediti. Poiché il senso può permanere anche dopo la morte, e poiché l’aria, che è una specie di anima comune, può collegare eventi anche molto lontani e conservare le passioni in forme latenti e sopite, che si possono risvegliare in determinate occasioni, risultano spiegabili fatti come il sanguinare di un cadavere in presenza del suo assassino, o l’efficacia dell’“unguento armario”, in virtù del quale si credeva possibile guarire una ferita agendo sull’arma che l’aveva provocata.
L’immagine di una natura come organismo vivente e sensibile in ogni sua parte si presenta come molto lontana da quella galileiana di una natura come un libro scritto in caratteri matematici. In verità Campanella, a partire dal lontano incontro giovanile a Padova, nutrì nei confronti dello scienziato un’amicizia costante e una profonda stima, mostrando la più grande attenzione per le scoperte celesti da lui comunicate, nonostante esprima dissenso su taluni aspetti delle sue dottrine e, soprattutto, prenda le distanze da ogni eventuale concezione atomistica e democritea della realtà. All’inizio del 1616, in occasione delle prime denunce all’Inquisizione delle dottrine copernicane, Campanella scrive una Apologia pro Galileo, che più di una difesa dell’eliocentrismo, difficilmente conciliabile con le dottrine telesiane, si configura come un coraggioso manifesto a favore della libertas philosophandi, nel quale egli rivendica la piena liceità da parte dello scienziato di leggere direttamente il libro della natura – divino al pari di quello della Scrittura – per emendare i libri umani, sempre bisognosi di correzioni e integrazioni. Nell’operetta, di non ampia mole, ma dottissima e fitta di citazioni, ridefinendo i rapporti fra filosofia, scienza e teologia, Campanella individua con lucidità che il nodo del problema va cercato nell’indebito valore dogmatico conferito alla filosofia aristotelica: la quale, invece, come ogni dottrina umana, andrà modificata, corretta, o abbandonata, alla luce di nuovi dati e scoperte, senza che per questo la teologia corra alcun rischio. Negli anni Trenta, a Roma, Campanella avrà occasione di incontrare di nuovo Galileo a distanza di quasi quarant’anni e, allarmato per la tempesta che si stava scatenando sull’amico, si offrirà come suo difensore: candidatura che verrà seccamente respinta da Roma, e a Campanella, amaramente consapevole che le passioni umane possono offuscare la ragione e l’amore per la verità, non resterà che esprimere i propri timori per la pericolosità di giudici incompetenti: “Dubito di violenza di gente che non sa” (Lettere, p. 242).
Il pensiero politico
Uno dei settori più vivaci della riflessione di Campanella è senza dubbio quello del pensiero politico: un pensiero multiforme, ma entro il quale è possibile individuare motivi unitari e la costanza di alcuni temi, fra i quali risulta dominante il proposito di rintracciare principi idonei a conferire unità, ordine, razionalità a una realtà disgregata e dominata dalla violenza e dai conflitti.
Superate le terribili prove dei primi tempi di carcerazione, e conseguito il bene supremo della conservazione della vita, Campanella compone la sua opera più famosa, la Città del Sole, in forma di “dialogo poetico” fra un marinaio di Colombo e un cavaliere dell’Ordine degli Ospitalieri. Come già affermava il curatore della sua prima edizione (Francoforte, 1623), questa “idea di repubblica filosofica” risulta superiore ai modelli proposti da Platone nell’antichità e da Thomas More in tempi recenti, per il fatto di ispirarsi al grande modello della natura. In effetti, il rinvio alla natura, intesa come espressione dell’intrinseca “arte” e saggezza divina – rinvio che va di pari passo con la critica della società esistente, ingiusta e infelice proprio perché da quel modello si allontana –, è la chiave di lettura più semplice e persuasiva dell’utopia campanelliana. Se la natura tutta è un organismo vivente, anche la comunità sociale sarà un “corpo di repubblica”, in cui le parti e le singole membra, molteplici e diversificate per funzioni, si integrano in un tutto unitario e risultano coordinate al benessere comune. Una società basata sull’amor comune, e non sull’amor proprio egoistico: ed è per questo che, eliminato il possesso individuale, ogni bene, ogni attività, ogni legame è comune, compresi i figli, in modo che, audacemente, i confini delle famiglie singole si dissolvano nella più ampia famiglia sociale. In tale prospettiva nessuna attività è vile o bassa, ma ha pari dignità se contribuisce al benessere comune: e questo in polemica con Aristotele, che escludeva dalla virtù e dal novero di cittadini di pieno diritto gli artigiani, i contadini e quanti esercitavano lavori manuali, per privilegiare l’attività contemplativa. Il fatto che ognuno lavori, a seconda delle proprie capacità fisiche e delle attitudini, rende possibile l’abolizione della condizione servile e la nuova dignità riconosciuta al lavoro viene a ribaltare un assurdo concetto di nobiltà, non più identificata con l’ozio, che risulta spregevole in quanto corrompe le persone e la società tutta. Uno degli aspetti più innovativi della nuova città riguarda poi la conoscenza e il suo apprendimento. Le pareti dei palazzi, dipinte e istoriate con le immagini di tutte le arti e le scienze, diventano le quinte di uno straordinario teatro del sapere, un’enciclopedia aperta a tutti, la cui rappresentazione visuale favorisce un apprendimento più rapido e più efficace e i cui contenuti derivano dall’esperienza e dalla lettura del libro vivente della natura, non dalle parole dei libri “morti” degli uomini.
Uno dei nodi teorici più complessi e controversi del pensiero politico di Campanella riguarda la riflessione sul rapporto fra religione e politica e la polemica nei confronti di Machiavelli. Da un lato Campanella sottolinea i limiti filosofici del Segretario fiorentino che, isolando l’esclusivo momento “politico” da un reticolo causale più complesso degli eventi umani, propone una visione riduttiva della realtà politica stessa: i suoi insegnamenti pertanto, basati sull’empiria e l’astuzia, e non su un’autentica prudenza, risultano intrinsecamente fragili, effimeri e destinati al fallimento, come è provato dalle morti ingloriose, o solo banali, dei suoi presunti “eroi”. Ma d’altro lato Campanella riprende e reinterpreta, entro un diverso contesto, la considerazione della religione come il più potente dei vincoli della comunità umana. Vincolo, però, che non si presenta come uno spregiudicato instrumentum regni: come afferma in particolare nell’Ateismo trionfato, da lui chiamato anche Antimachiavellismo, la religione non è, secondo quanto affermano i sostenitori della ragion di Stato, un’invenzione umana, un utile figmentum escogitato dall’astuzia sacerdotale e dai prìncipi per conseguire e mantenere il potere, bensì una virtus naturalis intrinseca nell’uomo e in tutta la natura.
Entro la prospettiva di ripensare le modalità della ricostituzione dell’unità cristiana, ridefinendo i rapporti fra politica e religione, fra potere temporale ed ecclesiastico, occupa un posto di rilievo la proposta di una monarchia universale mirata alla riunificazione dell’unico gregge sotto il solo pastore. Nel periodo giovanile, il ruolo del mistico Ciro – che, in accordo con il pontefice, viene investito della missione provvidenziale di riunificare i popoli in un’unica fede in cui tutti possano confluire – è attribuito al re di Spagna, ma a partire dagli anni Trenta il testimone passa al sovrano francese. Già negli anni romani (1626-1634), seguiti alla liberazione delle carceri di Napoli, Campanella scrive un vivace Dialogo a tre voci, il cui motivo centrale è la difesa della politica di Richelieu, volta non all’acquisizione di un egoistico potere personale, bensì al rafforzamento dello Stato contro le forze che attentano alla sua unità. Dando inizio a un sistematico confronto tra la monarchia spagnola e quella francese, nel dialogo si afferma che la Francia, nonostante le difficoltà e i dissidi, sta percorrendo una fase ascendente di espansione e di crescita, mentre la Spagna mostra tutti i sintomi della crisi e di un inarrestabile declino. Posizioni che vengono riprese e sviluppate negli anni di Parigi, città in cui Campanella è costretto a trasferirsi al cadere del 1634 per timore di nuove minacce da parte degli Spagnoli. In particolare nel biennio 1635-1636, in una vivace ripresa della sua riflessione politica, denuncia il declino della Spagna, causato, oltre che da vizi quali l’ingiustizia, la superbia, la crudeltà, l’ingratitudine, l’ipocrisia religiosa, da una politica economica rovinosa e dall’incapacità integrare le popolazioni nell’impero, ciò a cui è conseguita un’allarmante contrazione demografica e lo sterminio delle popolazioni che il sovrano spagnolo non era in grado di governare, come è successo nel Mondo Nuovo. Da un’analisi comparata delle due potenze, la Francia presenta un’oggettiva superiorità basata una popolazione di gran lunga più numerosa, una maggior quantità di approvvigionamenti alimentari, una più compatta unione naturale, un’economia più solida e risorse intellettuali più vivaci. Ma per uno strano paradosso la Francia sembra non avere fiducia nelle proprie forze e Campanella, per ristabilire il corretto rapporto fra apparenza e realtà, finzione e verità, assume su di sé il ruolo di smascherare gli inganni e rivelare l’intrinseca fragilità della potenza spagnola condannata al declino, esortando i Francesi, una volta diventati consapevoli della propria superiorità, a farsi carico della responsabilità di porsi come liberatores orbis.
In occasione della sospiratissima nascita del Delfino, il futuro Re Sole, Campanella, a 70 anni, riprendendo le prospettive profetiche a lui care, compone un’ispirata Ecloga latina, nella quale, ancora una volta, esprime la fiducia nell’approssimarsi di un’epoca rinnovata, in cui gli uomini rifiuteranno i foschi colori del pianto e dell’ignoranza (Poesie, p. 651), per indossare candide vesti su candidi cuori e si riconosceranno fratelli in quanto figli di uno stesso padre.
Colto da tristi presagi per l’approssimarsi di un’eclisse solare, dopo avere invano cercato di sventarne le minacce, muore all’alba del 21 maggio 1639.