CAMPEGGI, Tommaso
Terzogenito di Giovanni Zaccaria e di Dorotea di Tommaso Tebaldi, nacque tra il 1481 e il 1483 a Pavia, ove il padre era professore di diritto civile; trascorse però la giovinezza a Padova, alla cui università il padre insegnò dal 1483 la stessa materia. Nell'ateneo padovano il C. studiò filosofia, materia che poi insegnò nel 1505-1506 a Bologna, ove suo padre esercitava dal 1503 la professione legale. Solo ora il C. portò a termine i suoi studi legali conseguendo il dottorato utriusque iuris il 9 dic. 1512. Nel marzo del 1513 Leone X lo nominò internunzio presso il duca di Milano affidandogli, insieme al fratello Lorenzo, l'incarico specifico di reincorporare nello Stato pontificio i ducati di Parma e Piacenza, che il viceré spagnolo Cardona aveva occupato a nome dello Sforza durante la sede vacante. Contemporaneamente assunse anche la carica di vicegovernatore di Piacenza, nella quale non sembra aver dato buona prova: il cronista A. F. Villa lo definì infatti "uomo di poca esperienza" (Nasalli Rocca, p. 11). Sempre all'ombra di Lorenzo, nel frattempo creato cardinale, il C. lo accompagnò nella sua legazione in Inghilterra; a Greenwich, ove la legazione fu solennemente accolta da Enrico VIII, pronunziò "in elegantissimo latino" il discorso inaugurale usuale. Il 17 marzo del 1519, in un dettagliato discorso pronunziato dinanzi ai pari d'Inghilterra, motivò la necessità di arginare la potenza turca.
Al ritorno dall'Inghilterra il C. entrò nella carriera curiale come referendario della Segnatura apostolica, e a questa magistratura, che lo poneva in contatto personale col pontefice, appartenne per oltre quarant'anni, seppure non ininterrottamente. In seguito alla rinunzia del fratello Lorenzo, il C. fu nominato vescovo di Feltre il 1º giugno 1520. Sotto Adriano VI fu tra i pochi italiani che godettero la fiducia di questo papa diffidente e isolato. Il 26 nov. 1522 venne nominato a succedere a Francesco Guicciardini nella carica di governatore di Parma. Vi rimase però solo poche settimane, ché già il 30 dicembre gli veniva conferita la nunziatura a Venezia "ob nonnulla ardua negotia".
Principale incarico del C. era di riconciliare la Repubblica di S. Marco con l'imperatore, al fine di rendere possibile una alleanza difensiva contro i Turchi, che assediavano Rodi (la conquistarono il 21 dic. 1522). Il Gaeta, che ha raccolto i frammenti della sua corrispondenza relativa a questa epoca, ritiene che il C. dimostrò "la souplesse necessaria" nelle difficili trattative con la Signoria. Inizialmente riconfermato nella nunziatura da Clemente VII, cadde in disgrazia di questo papa per aver notificato alla Signoria, probabilmente su istigazione dell'arcivescovo di Capua Nikolaus von Schönberg, l'alleanza stretta dal pontefice con Carlo V dopo la battaglia di Pavia. Successivamente tentò, senza esserne stato incaricato dal papa, di trarre Venezia dalla parte dell'imperatore, venendo così a trovarsi in aspro contrasto col più intimo consigliere di Clemente, il francofilo Giberti. Poco dopo la conclusione della lega di Cognac (22 maggio 1526) fu perciò richiamato in disgrazia; il pontefice lo dichiarò non idoneo alle trattative diplomatiche e giunse persino a chiamarlo "scempio".
Nel corso del colpo di mano effettuato a Roma da Pompeo Colonna (20 settembre del 1526) il C. ebbe la sua casa, situata in Borgo, saccheggiata; ma non fu principalmente l'impressione della catastrofe che lo spinse a prendere, il giorno di Natale del 1526, gli ordini maggiori (ricevette la consacrazione episcopale per mano di Giampiero Carafa). Era una decisione scaturita da un precedente mutamento spirituale, sotto l'influenza dei teatini e del loro capo, appunto il Carafa. A quest'ultimo il C. promise di dedicarsi alla propria diocesi, cioè di adempiere al postulato della Riforma cattolica, come testimonia M. Sanuto (Diarii, XLIII, Venezia 1895, pp. 610 s.). L'8 sett. 1528 fece il suo solenne ingresso in Feltre, ma la sua attività episcopale vi fu assai limitata, tanto che l'Alberigo lo accusa di "infedeltà all'impegno preso nei confronti del Carafa".
Il giudizio sfavorevole di Clemente VII spiega perché sotto questo pontefice il C. non ottenne più incarichi politici autonomi. Accompagnò purtuttavia il fratello Lorenzo quando questi, nel 1530, fu inviato come legato pontificio alla Dieta imperiale di Augusta, e spesso ebbe a fungere da intermediario nelle trattative, poiché Lorenzo, sofferente di gotta, era frequentemente costretto a letto (Nuntiaturberichte aus Deutschland, a cura di G. Müller, I, suppl. 1, Tübingen 1963, pp. 124, 131, 160). Nel gennaio del 1531 era a Colonia per consultazioni con eminenti uomini di chiesa tedeschi circa le modalità della promozione, da parte della Curia romana, di una edizione di scritti polemici cattolici contro il luteranesimo. Collaborò anche alla stesura delle raccomandazioni relative ai Gravamina della nazione tedesca che vanno sotto il nome di suo fratello Lorenzo (ibid., I, suppl. 5, pp. 341-421). Sotto Paolo III il C. svolse un'intensa attività in qualità di consigliere giuridico del pontefice, e ottenne di nuovo anche incarichi politico-ecclesiastici.
Il suo memorandum sulla riforma della Curia romana (ed. in Festgabe Josef Lortz, a cura di E. Iserloh e P. Manns, I, Baden-Baden 1958, pp. 405-17), comparabile per importanza al famoso Consilium de emendanda Ecclesia (1537), poggia sul concetto fondamentale che la riforma deve eliminare abusi evidenti, senza però sconvolgere la tradizione curiale depositaria di un'esperienza plurisecolare. Per tutelare i giusti diritti dei funzionari curiali questi debbono essere ammessi ai consigli. Questo parere, seguito da papa Paolo III, ha certamente contribuito a far sì che la riforma della Curia non facesse alcun progresso; altre proposte di riforma del C., come la restrizione delle competenze dei penitenzieri e della Camera apostolica, vennero invece realizzate, da Pio IV e da Pio V. In un successivo memorandum sulla riforma della Dataria (Conc. Trid., XII, pp. 155-58)egli difese, giudicandole non simoniache, le composizioni, prassi consueta di questa magistratura.
Il C. raggiunse l'apice della sua carriera curiale con la nomina a reggente della Cancelleria apostolica, il 1º luglio 1540. Il 1º ottobre dello stesso anno fu nominato, "in testimonium acquisitae iam per vos doctrinae", a partecipare in qualità di nunzio ai colloqui sulla religione tra cattolici e protestanti, svoltisi a Worms. Peraltro il nunzio ordinario Giovanni Morone, cui il C. era stato in tal modo affiancato, ebbe ad esprimersi assai sfavorevolmente sulle attitudini diplomatiche del C.: "insufficientia et poca memoria et maggior facilità nel parlare ché non sarebbe bisogno a trattare negotii" (Nüntiaturberichte, I, suppl. 6, p. 121). Ma non fu certo colpa del C. se quell'incontro non portò al ristabilimento dell'unità della Chiesa; essa non venne ristabilita neppure nel prosieguo dei colloqui a Regensburg nel 1541, cui sovrintese, quale legato pontificio, il cardinale Gasparo Contarini. Quando, dopo il ritorno del Contarini dalla Germania, il concilio venne convocato a Trento (22 maggio 1542) il papa chiese l'opinione del C. sul concilio stesso (Conc. Trid., XII, pp. 301-13), e un abbozzo per le istruzioni da impartire ai legati conciliari (ibid., IV, pp. 272-75). Lo stesso C. si recò a Trento, cogliendo l'occasione per visitare la sua diocesi di Feltre. Ma il concilio non ebbe luogo, allora.
Quando esso fu finalmente inaugurato nel 1545, il C.partecipò attivamente alle discussioni nella sua qualità di "prelato di autorità" (secondo il cardinal Santafiora, ibid., X, p. 573). Fu su iniziativa del C. che il. concilio decise, il 22 genn. 1546, di trattare parallelamente dogma e riforma. Nel dibattito sulla Vulgata, il C. chiese che venissero stabiliti testi autentici della Bibbia anche nelle lingue greca ed ebraica, ed appoggiò una riforma del messale e del breviario, e la compilazione di un compendio della teologia ad uso dei parroci. Benché sempre di tendenza filo imperiale, votò per il trasferimento del concilio a Bologna, pur dubitando dell'opportunità dello stesso, e successivamente 1548)redasse una risposta alla protesta presentata dall'imperatore contro il trasferimento (ibid., XIII, 1, pp. 30-41).
Giulio III si era scontrato ripetutamente col C. quando era legato al concilio, e giudicava tutta la famiglia Campeggi arrogante e "poco rispettivi verso il suo principe" (ibid., XI, p. 777). Il 1º maggio 1550 il C. dovette lasciare la sua carica di reggente della Cancelleria e dopo il primo anno di pontificato di Giulio III non appare più neppure come referendario della Segnatura. Benché allontanato dagli uffici partecipò anche alla seconda sessione del concilio e pronunziò un voto sul sacrificio della messa che è degno di nota ("in missa esse sacrificium" invece di "missam esse sacrificium"). Intervenne anche perché ai protestanti presentatisi al concilio fosse dato modo di difendere il proprio punto di vista. Accolse con favore l'elezione di Paolo IV, cui dedicò il suo libro sull'autorità del pontefice; nella primavera del 1556 partecipò anche alle sedute della commissione sulla riforma. Il 17 apr. 1559 rinunziò al vescovato di Feltre in favore del nipote Filippo Maria. Apparentemente non approvò la successiva evoluzione di Paolo IV, il suo nepotismo e il suo zelo inquisitorio; non si spiegherebbe altrimenti il fatto che Pio IV lo chiamò immediatamente tra i suoi consiglieri, prima di riconvocare il concilio a Trento (ibid., VIII, pp. 109 ss.; XIII, 1, pp. 452-55, 563-72).
Il C. opinò che il concilio era da considerarsi la continuazione del precedente concilio tridentino; il suo consiglio scaturiva da una lunga esperienza: "Existimo sacrum concilium simile generoso equo, qui sola virgae umbra regitur, quem si freno et calcaribus urgeas, excusso sessore infrenis, hinniens et calcitrans non nisi multo labore et insequentium sudore ad dominum reduci potest (ibid., XIII, 1, p. 571).
Il C. non partecipò all'ultima sessione del concilio e sopravvisse solo di poche settimane alla sua conclusione. Morì a Roma il 21 genn. 1564.
Né uomo d'azione né grande diplomatico, il C. non fu purtuttavia una figura marginale, nell'epoca del concilio di Trento, bensì uno dei più influenti rappresentanti di una riforma, che ha preso atto della realtà storica senza però eliminare radicalmente tutti gli abusi. Ben versato nella storia dei concili e ottimo conoscitore della prassi curiale, egli tracciò il cammino intrapreso dal concilio nel campo della riforma della Chiesa. Per cultura teologica sovrastava la maggioranza dei suoi colleghi dell'episcopato italiano. Giovanni della Casa (Opere, Firenze 1807, V, p. 271) lodefinì "un vero gentiluomo".
Opere: Doctrina Christiana, composta prima del 1549(cfr. Lainii epistolae, in Mon. Hist. Soc. Jesu, I, Madrid 1912, pp. 110, 118):finora non se ne è trovata alcuna copia; De coelibatu sacerdotum non abrogando, Venetiae 1554, scritto già nel 1549:cfr. F. Lauchert, Die italienischen literarischen Gegner Luthers, Freiburg 1912, pp. 615 ss.; De auctoritate et potestate Romani Pontificis et alia opuscula, Venetiae 1555, presso Paolo Manuzio; contiene, oltre al De auctoritate, ventuno brevi trattati riguardanti in gran parte la Curia romana, tra i quali De residentia episcoporum, De annatarum institutione, De reservationibus, De commendis beneficiorum. Il De auctoritate è ristampato presso G. T. Rocaberti, Bibliotheca Maxima Pontificia, XIX, Romae 1699, pp. 568-618;undici tra questi trattati nei Tractatus illustrium in utraque iuris facultate iurisconsultorum, XV, 2, Venetiae 1584, ff. 531-533, 535-539; De auctoritate sacrorum concilior, Venezia 1561, ristampato nei Tractatus universi iuris, XIII, 1: cfr. Lauchert, cit., pp. 618 a.
Fonti e Bibl.: H. Jedin, T. C.Tridentinische Reform und kuriale Tradition, Münster 1958; G. Alberigo, I vescovi italiani al Concilio di Trento, Firenze 1959, pp. 169-173; E. Nasalli Rocca, Prime esperienze politiche di T. C. vescovo di Feltre, in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le province di Romagna, n.s., XV-XVI (1963-65), estratto, Bologna 1967. Cfr. anche E. Tolomei, La nunziatura di Venezia nel pontificato di Clemente VII, in Riv. stor. ital., IX (1892), pp. 577-628; F. Gaeta, Origine e sviluppo della rappresntanza stabile pontificia in Venezia, in Annuario dell'Istituto storico italiano per l'età moderna e contemporanea, IX-X(1958), pp. 178-226 (corrispondenza del C. negli anni 1522-1526). I memoriali sul concilio di Trento e notizie sull'attività del C. al concilio, in Concilium Tridentinum, ed. Soc. Goerresiana, IV-XIII, Friburgi Br. 1904-1961, ad Indicem;H. Jedin, Storia del concilio di Trento, III, Brescia 1972, ad Indicem.