CEVA, Tommaso
Fratello minore del matematico Giovanni e maggiore del letterato gesuita Cristoforo, nacque a Milano il 20 dic. 1648 da Carlo Francesco e Paola de' Colombi, in una famiglia benestante. Ammesso il 24 marzo 1663 nella Compagnia di Gesù, trascorse la sua vita nella capitale lombarda, godendo della protezione delle autorità spagnole e imperiali. Nominato professore presso il Collegio braidense, vi insegnò per più di quarant'anni retorica e matematica.
Nel 1690 pubblicò a Milano, con dedica a Giuseppe I re de' Romani, il poema in esametri latini Iesus puer, subito ristampato in Germania, dove venne ripubblicato altre due volte prima della seconda edizione milanese (1699) e dove fu edito e tradotto quasi altrettanto spesso che in Italia, più di cinque volte tra Settecento e Ottocento.
Il successo dell'opera, che narra in nove canti l'infanzia di Gesù, fu determinato tanto dall'argomento sacro quanto dalla maestria descrittiva dell'autore, che pose la sua ricca cultura umanistica al servizio di precisi intenti didattico-religiosi con fini di diletto poetico e di educazione morale. Nel quadro della varia produzione di poesia sacra del tempo il C. si propose di imitare per lingua, metro e struttura i poemi latini del Sannazzaro (De partu Virginis, 1526) e del Vida (Christias, 1535); di fatto nelle immagini di Cristo bambino, nelle scenette di vita agreste, la tradizione secentesca dell'allegoria e dell'argutezza sopravvive nonostante la ricerca di semplicità e di naturalezza che caratterizza il gusto poetico dell'ambiente lombardo a fine sec. XVII. Il risultato è una grazia alquanto manierata, arcadico-gesuita, cui manca proprio ciò che il C. stesso, nel libro sul Lemene, definirà "quel decoro, non mai a bastanza raccomandato, che deve essere inseparabil compagno del verisimile; altrimente l'imitazione cade in milensaggini e divien bene spesso ridicola e fanciullesca" (Memorie, Milano 1718, p. 193).
Alle composizioni poetiche il C. alternava ricerche matematiche: a Milano si legò di stretta amicizia con Pietro Paolo Caravaggio (1617-1688), professore di matematica alle scuole palatine, e successivamente con il figlio omonimo (1658-1723), succeduto al padre nell'insegnamento e interessato a problemi geometrici, di cui si occuparono tanto Giovanni quanto Tommaso Ceva. Nella scuola di Brera egli ebbe allievo carissimo il giovane confratello Girolamo Saccheri in compagnia del quale frequentò l'Accademia dei Vigilanti promossa, intorno all'anno 1720, dalla contessa Clelia Borromeo del Grillo. Attraverso queste conoscenze il C. entrò in rapporto con i matematici toscani: Vincenzo Viviani, già in corrispondenza con i Caravaggio e suo fratello Giovanni, e il camaldolese Guido Grandi, professore di filosofia e poi di matematica all'università di Pisa, amico di casa Borromeo. Nel 1695 il C. diede notizia di un apparecchio polisettore da lui ideato: Instrumentum pro sectione cuiuscumque anguli rectilinei in partes quotcumque aequales; la memoria stampata a Milano fu pubblicata contemporaneamente negli Acta eruditorum di Lipsia (giugno 1695, pp. 290-294).
Nell'epistolario del Grandi con il C. (A. Paoli, La scuola di Galileo nella storia della filosofia... Corrispondenza del padre Grandi col padre C., in Annali delle università toscane, XXVIII [1908], pp. 1-44) si trovano frequenti accenni a questo strumento; in una lettera del 1708 il Grandi lo informa che G. de L'Hôpital nel Traité analytique des sections coniques, uscito postumo l'anno precedente a Parigi, aveva registrato l'apparecchio polisettore senza fare menzione di lui. Dell'incidente il Grandi fece in seguito pubblica protesta in più scritti, come ricorda anche il Giornale de' letterati d'Italia nel tomo XVII del 1714 (p. 421).
Il C. proseguì intanto i suoi studi sulla divisione degli angoli per via geometrica e per via matematica con la descrizione di alcune curve settrici che chiamò "cicloidi anomale" in uno scritto (De cycloidibus anomalis pro sectione anguli rectilinei in quotvis partes aequales) unito al precedente negli Opuscula mathematica (Mediolani 1699), tra i quali raccolse altre brevi note geometriche sugli sviluppi in piano delle superfici coniche e cilindriche, stampate anche in fascicoli separati. Nello stesso 1699 pubblicò (sempre a Milano) l'opera di fisica De natura gravium in cui sosteneva le teorie newtoniane e, al termine di un decennio dedicato prevalentemente a ricerche scientifiche, le Sylvae, una ventina di componimenti in versi latini: favole, idilli, apologhi, frammenti di satire e di prolusioni oratorie. Vi si ritrova l'introduzione in esametri alla Escuela de Palas o sea Curso mathematico, uscita anonima a Milano nel 1693 ma opera dello stesso D. F. Guzmán marchese di Leganés, governatore di Milano, cui le Sylvae sono dedicate. Le altre composizioni nelle quali il C. discorre dello studio della lingua latina, dell'imitazione degli antichi, del Pervigilium Veneris, della traduzione del Tasso in latino ad opera del fratello Cristoforo, e che destina ad Antonio Magliabechi, a Nicola Giannettasio, a Carlo Maria Maggi, a Francesco de Lemene, testimoniano i suoi interessi umanistici ed eruditi e precisano le cerchia delle sue conoscenze. Di questa fanno parte anche il gesuita C. A. Cattaneo, suo collega di retorica, di cui curò la stampa di alcune opere postume, e i corrispondenti Segneri, Bartoli ed Ettorri. Non compare in questi testi il nome del Muratori, a Milano dal 1695, ma è certo che il C. lo conobbe attraverso i comuni amici Carlo Maria Maggi e Francesco de Lemene.
Le Sylvae furono ristampate più volte (Mediolani 1704, 1718 e 1723; Venetiis 1732) e furono unite sotto il titolo di Carmina al Iesus puer e ad un nuovo poema in esametri latini, la Philosophia novo-antiqua (Mediolani 1704). Nelle sei dissertazioni che la compongono il C. si sforza di distinguere il metodo sperimentale delle scienze fisiche da ogni forma di materialismo e di razionalismo filosofico, nel vano tentativo di restaurare "philosophiam veterem inventis recentiorum quam plurimis" (p. 20). Alla confutazione di Epicuro e di Lucrezio segue, nonostante i molti distinguo e l'elogio della matematica, quella di Gassendi e di Cartesio; tuttavia gli argomenti, tratti in parte dalla scolastica in parte dal sistema esposto nel De natura gravium e ripreso nella Neo-statica (1708) del Saccheri, non valgono a sostenere la polemica esplicitamente anticopernicana.
La Philosophia novo-antiqua, che tra il 1704 e il 1732 ebbe cinque riedizioni e una traduzione italiana, finì con l'essere al centro di una vivace polemica culturale, in cui all'autorità dei gesuiti si oppose in Toscana il prestigio di altri ordini religiosi come gli scolopi e i camaldolesi, più aperti alla scienza e alla filosofia moderne. L'opera fu attaccata proprio da Guido Grandi, che, dopo la morte di Cosimo III protettore dichiarato dei gesuiti a Firenze, pubblicò nel 1724 con lo pseudonimo di Q. L. Alfeo la Diacrisis in secundam editionem Philosophiae novo-antiquae (s. l.).
Nel frattempo il C., nominato teologo cesareo, socio dal 1718 dell'Arcadia con il nome di Callimaco Neridio, continuava per incarico della Compagnia a redigere vite di religiosi, di illustri milanesi e di personaggi della casa d'Asburgo, scritti encomiastici e cronachistici (relazioni di cerimonie ufficiali per funerali, nascite, visite, per le quali preparava anche disegni e progetti di macchine per fuochi d'artificio), un gran numero d'oratori per lo più d'argomento sacro. Tra gli opuscoli biografici valore a sé hanno le Memorie d'alcune virtù del signor conte Francesco de Lemene, edite a Milano nel 1706 e ivi ristampate nel 1718 con alcuni inserti di notevole interesse critico, sollecitati probabilmente dal dibattito aperto dalla pubblicazione della Perfetta poesia italiana (1706) del Muratori e della Ragion poetica (1708) del Gravina, opere alle quali essi fanno più o meno esplicito riferimento.
L'interesse delle Memorie, prive del tutto di dati anagrafici e cronologici, consta, assai più che nella testimonianza di ammirazione per il Lemene, nell'occasione che esse offrirono all'autore per chiarire il suo pensiero sulla poesia e la critica.
Un estratto di quest'opera fu ristampato da Saverio Bettinelli a Milano nel 1755 con il titolo Discorso sopra la poesia come prefazione ai propri Versi sciolti. Nelle pagine delle Memorie, il cui pregio si rivela anche nella scrittura rapida, colloquiale e figurata, si esprime la sensibilità di un lettore educato al gusto della poesia barocca, l'esperienza dell'umanista attento ai concreti problemi dell'espressione, la riflessione del critico che ha meditato a lungo sull'estro, sulla fantasia e sulla ragione e infine un atteggiamento antiprecettistico nutrito dalla consapevolezza delle difficoltà che ostacolano l'arte poetica. Il risultato è la celebre definizione della poesia che si legge nel capitolo V della parte II: "un sogno che si fa in presenza della ragione", nella quale sembra riflettersi il dualismo in cui si dibatte tutto il pensiero estetico del primo Settecento. Essa si ritrova nell'Entusiasmo delle belle arti (1769) del Bettinelli, conferma del fatto che, almeno nell'ambito della cultura gesuitica, il C. si inserisce come teorico nella tradizione della trattatistica poetica che dal Del bene (1644) dello Sforza Pallavicino, attraverso Il buon gusto (1696) dell'Ettorri, giunge senza interruzioni al saggio del Bettinelli.
Negli anni successivi il C. si impegnò nell'importante polemica apertasi sul fronte dell'evangelizzazione gesuita in Cina. Nella controversia che opponeva i cattolici più intransigenti ai gesuiti propensi ad ammettere accanto alla liturgia ortodossa alcuni riti tradizionali cinesi (il culto degli antenati, per esempio), il C. difese le posizioni della Compagnia, e a lui si attribuiscono almeno tre dei molti opuscoli anonimi che uscirono sull'argomento a partire dal 1709 (Riflessioni sopra la causa della Cina,doppo venuto in Europa il decreto dell'Eminentissimo di Tournon, s.n.t.; Alcune riflessioni intorno alle cose presenti della Cina, s.n.t.; Risposta ad un libro contro le dodici riflessioni intitolato Difesa del Giuditio formato dalla S. Sede Apostolica nel dì 20 nov. del 1704, s.n.t). Il C. riprese ad occuparsi di questioni teologiche nel 1723 traducendo un'operetta antigiansenista del gesuita francese J. Brun (Le cento una proposizioni estratte dal libro delle Riflessioni morali sul Nuovo Testamento… considerate come contenenti il sistema di Giansenio e come dannabili per se stesse..., Milano 1723).
L'età avanzata non interruppe la sua attività di pubblicista: l'edizione veneziana annotata di una scelta delle Orazioni ciceroniane è del 1725, del '26 l'opuscolo Rischio che si corre nell'uscir di carrozza mentre i cavalli sono in fuga (Milano), del '27 la seconda edizione del Plinii Panegyricus cum notis (Venetiis, già edito a Milano nel 1702). Negli ultimi anni fu afflitto da una paralisi resa più grave dalla sordità e dalla cecità, fino alla morte avvenuta a Milano il 3 febbr. 1737.
Fonti e Bibl.: Gli scritti del C., oltre una trentina, più volte ristampati nei secc. XVIII e XIX e tradotti in varie lingue, sono elencati da C. Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, Bruxelles-Paris 1891, II, coll. 1015-24, dove si fa cenno anche a manoscritti, carte e lettere ined. conservate per la maggior parte a Milano nella Bibl. naz. Braidense. Notizie biogr. si trovano nelle vite scritte dai contemporanei G. C. Cordara, Vita del p. T. C., in Le vite degli Arcadi illustri, V, Roma 1751, pp. 131-52; G. Ferrari, De T. C. commentarius, in A. Calogerà, Raccolta di opusc. scient. e filolog., XLIV, Venezia 1750, pp. 259-78 (ristampato in G. Ferrari, Opere, VI, Milano 1791, pp. 36-53 e raccolto in A. Fabroni, Vitae Italorum..., XVIII, Pisis 1799, pp. 205-28); F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, Mediolani 1745, coll. 417-420, 1976. Le storie della letter. italiana dal Settecento in poi ricordano il C. soprattutto in quanto autore del Iesus puer;una interessante valutazione della sua opera critica si legge solo in G.Tiraboschi, Storia della letter. italiana, VIII, Venezia 1796, p. 440, e in F. S. Salfi, Manuale della storia della letter. italiana, II, Milano 1834, p. 107. Gli storici della matematica lo ricordano soprattutto come inventore dello strumento per la divisione degli angoli: J. F. Montucla, Histoire des mathématiques, II, Paris 1799, pp. 95-96; C.Rovida, Prolusione agli studi nel solenne aprimento del Liceo di Milano in Porta Nuova, Milano 1813, pp. 46-48; P. Riccardi, Biblioteca matematica ital., Modena 1870, I, coll. 343-44; A. Pascal, L'apparecchio polisettore di T. C. e una lettera inedita di G. Grandi, in Rendiconti dell'Istituto lombardo di scienze,lettere e arti, s. 2, XLVIII (1915), pp. 173-81; G. Loria, Storia delle matematiche [1929-31], Milano 1950, pp. 552-54 e passim; A. Masotti, Matematica e matematici, in Storia di Milano, XVI, Milano 1962, pp. 758-59. Nel nostro secolo, dopo che G. Maugain (Etude sur l'évolution intellectuelle de l'Italie de 1657 à 1750 environ, Paris 1909, pp. 168-174) e B. Croce (Storia dell'età barocca in Italia, Bari 1929, pp. 221-223) hanno valutato l'opera del C. nel contesto della cultura sei-settecentesca, l'attenzione degli studiosi si è concentrata sul suo contributo alla critica letteraria: in opere generali come quelle di M. Fubini, Dal Muratori al Baretti, Bari 1968, ad Ind.; F. Ulivi, Settecento neoclassico, Pisa 1957, pp. 19-24; W. Binni, Il Settecento letterario, in Storia della letter. italiana, a cura di E. Cecchi-N. Sapegno, VI, Milano 1968, pp. 350-51; e in contributi specifici: R. Ramat, La critica del padre C., in Civiltà moderna, X (1938), pp. 385-95; XI (1939), pp. 139-66 (ristampato a Firenze nel 1947 e successivamente in Sette contributi agli studi di storia della letteratura italiana, Palermo 1958, pp. 5-44); V. Masiello, Critica e gusto di T. C., in Convivium, XXVII (1959), pp. 288-313, e Le idee estetiche di T. C., ibidem, XXVIII (1960), pp. 298-317. Sul Iesus puer vedi: G. B. Cereseto, Storia della poesia in Italia, I, Milano 1857, pp. 347-369; L. Settembrini, Lezioni di letter. italiana, Firenze 1964, pp. 875-879; C. Berardi, Un poema sacro dell'ultimo Seicento, in Studi di letter. italiana, IX (1909), pp. 71-88; B. Croce, Nuovi saggi sulla letter. italiana del Seicento, Bari, 1931, pp. 149-52. Sulla Sylva "Cippus": B. Cotronei, Curiosità di gesuiti umanisti. Il "Cippus" di T. C., in Atene e Roma, IX (1906), pp. 65-78. Sulla Philosophia novo-antiqua: Giornale de' letterati d'Italia, VII (1711), pp. 113-36; XXXV (1724), pp. 426-27; XXXVIII (1727), pp. 418-420; G. Procacci, Una battaglia professorale nella prima metà del sec. XVIII, in Rassegna settimanale, VIII (1881), 191, pp. 135-37.