CHAULA, Tommaso
Nato nella seconda metà del sec. XIV a Chiaramonte, nella contea di Modica, il C. negli antichi documenti è spesso chiamato "de chaula" oppure solo "chaula" (pron. "ciaula"). Poiché la parola in siciliano vuol dire gazza, qualcuno ha pensato che possa trattarsi di un soprannome derivato dalla loquacità o dalla logorrea letteraria. Poeta "laureato", fiorì nei primi decenni del Quattrocento, negli anni di regno di Martino I e di Alfonso d'Aragona. Non è possibile stabilire in quale periodo della tua vita si collochino i viaggi per "totamEuropam et magnam Asiae partem", cui lo stesso C. accenna in una sua opera (Gestorum per Alphonsum..., l. II, cap. IV, p. 42 dell'ediz. Starrabba). Da altre sue testimonianze (v. un altro suo poema, il Bellum Parthicum, cod. 426 della biblioteca del conte di Leicester a Holkham Hall nel Norfolk, c. 107v) sappiamo che trascorse un decennio a Bologna ("me tenuit musis bino Bononia lustro") e qualche tempo a Roma ("Et nunc romanus me quoque Paulus habet") e che da qui raggiunse Parigi. Fu certamente in rapporto con Ludovico Alidosi, signore di Imola sino al 1424, cui dedicò il poema Bellum Macedonicum, e con Carlo Malatesta, signore di Rimini fino al 1429, cui dedicò il ricordato Bellum Parthicum.
Fu "magister scholarum" a Palermo (nel 1417-18 e poi dal 1419-20 al 1422-23) e a Catania (nel 1418-19). Il 6 ott. 1423 fu nominato da Alfonso - secondo la linea dell'integrazione mecenatistica del ceto intellettuale da questo inaugurata nell'Italia meridionale - "gaytus" (giudice) della Segrezia di Palermo, una magistratura a quel tempo assai probabilmente privata di reali funzioni e assegnata come beneficio in compenso di prestazioni culturali (fu poi del Panormita).
Ricoprì forse tale carica sino alla morte, avvenuta, come opina lo Starrabba (nell'introd. all'ed. cit., p. XXII), nel 1433 o nel 1434, quando, a quel che apprendiamo da un privilegio di re Alfonso del 14 luglio 1434, gli successe appunto il Panormita.
Al C. fu affidato, nel 1421, il compito di rendere omaggio a nome della città di Palermo al re Alfonso, venuto per un breve soggiorno mentre si accingeva a passare nel Mezzogiorno continentale d'Italia, chiamato da Giovanna II di Napoli. Pronunciò un'orazione, da lui riportata nell'opera storica citata, tutta impostata sul tema degli effetti benefici della residenza stabile del re nei confini del suo regno. Un tema non retorico, ma rispondente agli interessi reali della Sicilia, che da quasi un decennio non era più sede dei suoi re e rischiava quindi di retrocedere dal rango di centro governativo e politico, e soprattutto dei ceti borghesi cittadini, che aspiravano all'ordine e all'efficienza amministrativa.
Abbiamo notizia di alcune sue opere, ora perdute: poemi epici, un Bellum Macedonicum in ventiquattro libri e un De bello Cimbrico a C. Mario Arpinate gesto in dieci libri, dedicato ad Alfonso e quindi posteriore al 1416, e tragedie latine. Del poema macedonico e delle tragedie ebbe copia manoscritta il Fazello; il poema cimbrico invece, noto al Mongitore, è registrato in un anonimo catalogo tardocinquecentesco (Aeternae memoriae Viri A. Augustini Archiepiscopi Tarraconensis Bibliotheca..., Tarraconae 1586, n. 510 dei manoscritti latini). Dell'esistenza di un codice del Bellum Macedonicum presso la Biblioteca Suardi di Bergamo (cod. 61) informa il Weiss sulla base di appunti delle carte Novati presso la Società storica lombarda. In tale codice, di cui però oggi non si ha traccia, il poema constava di dodici libri. Si può presumere che opere siffatte si inscrivessero entro il cerchio di interessi umanistici per il poema epico-storico e per la tragedia, instaurati nel Trecento dal Petrarca e dal Mussato. Allo stesso cerchio di interessi apparteneva il Bellum Parthicum in dodici libri, modellato su Lucano e dedicato alla narrazione delle gesta di Ottaviano, Antonio e Lucio Ventidio: un'opera di impianto ed ispirazione del tutto letterari.
Possediamo anche l'opera che gli valse la carica di "gayto", in cui, secondo il documento regio di nomina, mostrò "virtutem et poeticam scienciam laude dignam et meritam" (cfr. ediz. cit., p. XXXIV): i Gestorum per Alphonsum Aragonum et Siciliae regem libri quinque menzionati. Si conserva in un codice dell'Arch. di Stato di Napoli (ne dette notizia B. Capasso nel 1902) che non pare autografo: autografe sono probabilmente molte correzioni. Sul codice comunque si individuano interventi correttori di più mani. Non è da escludere l'ipotesi che a Napoli sia giunto da Messina, sottratto forse nel 1848 (se si deve credere ad A. Gallo, che lo sapeva posseduto da tal Pietro Romeo messinese) a una biblioteca privata ad opera di saccheggiatori borbonici. Iniziata dopo il 1420, quando hanno inizio le vicende riferite, ma più probabilmente dopo l'incontro palermitano del '21 con Alfonso, l'opera era in corso di elaborazione nell'anno della nomina a giudice, nel 1421 come attesta il documento regio, che fa cenno dell'impegno assunto da Tommaso "diligenti studio... circa composicionem in scriptis strenuorum agendorum nostrorum ut perpetua comendentur memoria..." (ed. cit., p. XXXIV). Fu forse completata, come si dirà, non molto dopo. Narra i fatti che videro Alfonso tra i maggiori protagonisti, dal maggio 1420 al giugno 1424, cioè dalla decisione della regina Giovanna II - maturata nel clima di destabilizzazione del Regno di Napoli dopo la morte di Ladislao - di rivolgersi a lui per aiuto, adottandolo come erede al trono, al voltafaccia di costei e all'abbandono di Napoli da parte del re e al tramonto - sia pur temporaneo - delle sue fortune in Italia dopo la guerra mossagli dai Visconti di Milano e la caduta di Napoli, riconquistata dal partito della regina, e dopo la morte dell'alleato Braccio di Montone, sconfitto nella battaglia dell'Aquila del 1424. Si conclude col resoconto del ritiro da Napoli in Sicilia dell'infante Pietro. Non si comprenderebbero le ragioni di una tale delimitazione di periodo, se non pensando che il lavoro fu iniziato e portato avanti finché le sorti dell'impresa furono favorevoli ad Alfonso (valga la testimonianza del decreto di nomina dell'ottobre 1423). L'ultimo libro, relativo alle vicende del 1424, venne forse messo assieme quando l'esito ultimo della vicenda non era ancora nettamente delineato. Lo scacco del re - che dové sembrare definitivo ai contemporanei - impedì poi la prosecuzione ulteriore.
Un'opera anch'essa di argomento storico dunque, concepita in rispondenza alla propensione per la storiografia propria della cultura umanistica, anche di quella meridionale. E tuttavia non è mossa da un vero interesse storiografico o ideologico, ma è soprattutto destinata a una funzione panegiristica. Lungi infatti dal porsi obiettivi di interpretazione o anche solo di rigorosa, e documentaria, ricostruzione dei fatti, essa è un esempio, tra i più antichi però, di quella storiografia umanistica, dedicata ad eventi contemporanei, tutta funzionale all'esaltazione delle imprese del principe, ormai divenuto committente. L'assenza poi di una linea ideologica o di una visione del mondo è connessa al fatto che l'interesse reale del C. è soprattutto quello retorico-letterario: il gusto di rifare i modi e le tecniche di rappresentazione sia di Livio (soprattutto) sia di Lucano, secondo un indirizzo che era largamente praticato nei centri preumanistici dal Mussato in poi. A questo, vanno ricondotti sia l'adozione di un registro epicizzante (non senza un formulario specificamente poetico) e il rilievo assegnato ai momenti descrittivi, sia il ricorso, frequentissimo, al discorso diretto dei personaggi, spesso nella forma dell'orazione, sia la presenza, come unico e non centrale elemento ideologico, del motivo della fortuna regolatrice dei destini umani. Una struttura che denuncia il limite di aggiornamento culturale dell'autore, confermato anche da certi residui preumanistici del suo stile. E tuttavia, data l'arretratezza complessiva della cultura siciliana del tempo, il C. può aver svolto un suo ruolo di mediazione e di animazione.
L'ediz. diplomatica dei Gestorum si deve a R. Starrabba: Thomae de Chaula... Gestorum per Alphonsum Aragonum et Siciliae regem libri quinque, Palermo 1904, vol. I della collana "Aneddoti storici e letterari siciliani" (cfr. recens. di M. Faraglia, in Arch. storico per le prov. napoletane, XXX [1905], pp. 82-85). I Gestorum... sono stati tradotti in italiano a c. di C. Melfi di San Giovanni: Le Gesta di Re Alfonso d'Aragona e di Sicilia in V libri di Tommaso de Chaula da Chiaramonte, Noto 1928.
Fonti e Bibl.: Quanto sappiamo del C. si deve a un docum. catanese relativo al 1418-19, pubbl. da R. Sabbadini nella sua Storia documentata della R. Univ. di Catania, Catania 1898, doc. 15, p. 54; a quelli dei Quaderni di atti,bandi e provvistedel Comune di Palermo, 1417-18, 1419-20, 1420-21, 1421-22, 1422-23, e a quelli di un registro di lettere dell'Archivio della Segrezia di Palermo, ff. 108a, 109f, 110a. Questi e i precedenti si conservano nell'Archivio comunale di Palermo e furono pubblicati da R. Starrabba nella sua edizione dei Gestorum..., pp. XXXIV ss. Menzione del C. fu fatta per la prima volta da T. Fazello, in Derebus Siculis Decades duae, Panormi 1560, dec. I, l. X, p. 228. Sono altresì da consultare le opere: R. Pirri, Sicilia sacra, I, Panormi 1644, p. 688; A. Mongitore, Bibliotheca Sicula, Panormi 1707-14, sub voce; F. S.Quadrio, Della storia e dellaragione d'ogni poesia, IV, Milano 1749, p. 665; V. Amico, Lexicon topographicum Siculum, I, Panormi 1757, sub voce Clarus mons; V. Lancetti, Mem. dei poeti laureati d'ogni tempo e d'ogni nazione, Milano 1839, p. 130; A. Gallo, Mem. patrie, in Riv. sc. lett. ed artistica, I(1855), 2-3, pp. 13, 51; A. Narbone, Bibl. sicula sistematica, IV, Palermo 1855, p. 379; Id., Istoria della lett. siciliana, Palermo 1852-63, X, pp. 92 s., 117; B. Capasso, Le fonti della storia delle provincie napolitane, Napoli 1902, p. 203; R. Starrabba, prefazione all'ed. cit., pp. VII-XXXIII; C. G. Gottini, Saggio di biblioteca basilicatese, Matera 1908, p. 10; R. Weiss, Intorno a T. C., in Boll. del Centro distudi filologici e linguistici siciliani, IV (1956), pp. 385 ss.; G. Resta, in A. Panhormitae Liber rerumgestarum Ferdinandi regis, a cura di G. Resta, Palermo 1968, p. 30 n. 1.