CLARY, Tommaso
Nacque a Napoli nel 1798 da un alto ufficiale borbonico. Anch'egli intraprese la carriera militare, ma la abbandonò nel 1844 per l'impiego di conservatore delle ipoteche ad Avellino. Ritornato nell'esercito, fu comandante di battaglione nel corpo di spedizione inviato a Messina per reprimere l'insurrezione del settembre 1847 e in tale circostanza rimase ferito.
Nel 1860 fu coinvolto nell'ultima fase della conquista garibaldina della Sicilia. Egli comandava col grado di brigadiere il presidio di Catania con circa novecento uomini (e non trecento come riportato dal Diz. del Ris. naz.), quattro squadroni di cavalleria e dodici obici. Con queste forze si trovò a fronteggiare il 31 maggio una rivolta capeggiata da Giuseppe Poulet e da altri liberali catanesi, sotto la cui guida combattevano anche i minatori delle zolfare. Dopo alcuni attacchi dei rivoluzionari, mentre il C. si era limitato per diverse ore a contenere il nemico, il colonnello Ruiz diede fuoco alle case che servivano di riparo ai ribelli, consentendo il decisivo intervento della cavalleria. Questa disperse i nemici, catturando tre dei sei cannoni.
Fu un successo poco importante e poco glorioso, per la superiorità in uomini e mezzi dei Borbonici e per le molte perdite subite dai vincitori: centottanta tra morti e feriti. Il C. inoltre va considerato del tutto estraneo a questa vittoria, essendo stato "impassibile" e nel conflitto e prima, quando la rivolta veniva tramata sotto i suoi occhi. Eppure Francesco II fece coniare una medaglia commemorativa della vittoria - magnificata più del dovuto tra i tanti insuccessi - e il C. ottenne la promozione a maresciallo di campo, l'onorificenza della commenda di S. Giorgio e il comando della roccaforte di Messina dove - nonostante la vittoria - gli veniva ordinato di ritirarsi.
Il 3 giugno il C., che aveva invano protestato contro tali ordini, non convinto dell'opportunità di lasciare Catania ai ribelli dopo averli respinti, partì per Messina e passando per Acireale impose a questa città una contribuzione di guerra di 17.000 ducati: un provvedimento impopolare, condannato dagli stessi Borbonici, che il Palmerston definì nella Camera dei comuni "ultima manifestazione di un governo fattosi ostinatamente negazione di Dio" (Nisco). Il 7 giugno il C. giunse a Messina e il 15, con la promozione a maresciallo, venne nominato comandante della divisione militare, mentre la piazza era sotto gli ordini del Rivera. Subito dopo egli si recò a Portici, dove il 19 giugno fu ricevuto dal re, al quale espose un piano per riconquistare Catania e Palermo. Per attuare questo suo piano il C. ottenne il richiamo a Napoli del Rivera e il comando della piazza di Messina e di tutte le truppe della Sicilia orientale (nei forti di Siracusa, Augusta e Milazzo).
Tornato a Messina il C. tentennava, non osando muoversi, ora per un motivo ora per un altro. Il 24 giugno il re gli ordinava perentoriamente di passare all'azione, inviandogli anche diversi reggimenti, per cui il 25 egli poteva disporre - secondo il De Sivo - di circa 30.000 uomini, 600 cavalli e 40 cannoni. Ma il C. - che era demoralizzato per la costituzione appena concessa - non ubbidì, ritenendo di non avere truppe sufficienti ed efficienti e temendo di lasciare Messina sguarnita mentre il Medici avanzava. Tuttavia, mentre il governo costituzionale appariva propenso a rinunciare alla Sicilia, considerata persa, il C. il 14 luglio inviò il col. F. B. del Bosco con circa 3.000 uomini verso Milazzo, considerata importante baluardo per la difesa di Messina, con l'ordine di non attaccare. Il 17 le truppe del Bosco si scontrarono in due riprese con i garibaldini, respingendoli e procurando loro gravi perdite.
Secondo la pubblicistica borbonica, questi scontri avrebbero potuto costituire l'inizio di una controffensiva in tutta la Sicilia, con l'intervento delle numerosissime truppe a disposizione del C.: questi, invece, ritenendo tra l'altro che il Bosco avesse disubbidito al suo ordine di non attaccare, apparve ancora estremamente indeciso. Adducendo diversi motivi, nettamente confutati dagli scrittori borbonici, quali il non poter lasciare Messina indifesa, la mancanza di navi e l'insicurezza della via di terra, decise di inviare a Milazzo il solo capitano Fonseca con sette soldati, per comunicare la risposta negativa al Bosco che gli aveva chiesto aiuti per telegrafo. Anche nei giorni successivi il comportamento del C. fu estremamente singolare: il 19, in un momento di suprema indecisione, fece imbarcare quattro compagnie, che fermò al momento della partenza; il 20, mentre Milazzo era assalita dai garibaldini e il re gli ordinava di sorprendere il nemico alle spalle, stette sul punto di partire, ma poi decise di attendere; il 22, infine, quando ormai la capitolazione del Bosco era imminente, telegrafava di non arrendersi perché stavano arrivando i rinforzi: tali aveva creduto essere le navi inviate da Napoli per raccogliere i difensori superstiti e trattare la resa. Questo comportamento del C. farà parlare di tradimento gli scrittori filoborbonici (De Sivo, Buttà), mentre da altri (Agrati, Pieri) sarà ritenuto frutto di incapacità, della gelosia e rivalità col Bosco e della "psicosi da guerra".
Il 25 le avanguardie garibaldine entravano a Messina senza incontrare nessuna resistenza da parte del C., che già dal giorno precedente si era ritirato nella cittadella. Il giorno dopo egli stipulava con il Medici una convenzione, ratificata il 28 dopo l'assenso del governo napoletano. La città era ceduta a Garibaldi e la cittadella con alcuni forti rimaneva in mano ai borbonici. Il C. otteneva inoltre di poter inviare sul continente buona parte delle sue truppe, cosa che - pare - stava già facendo da qualche giorno, e la libertà di commercio marittimo, ma non - come avrebbero voluto il re e il governo - un impegno di Garibaldi di cessare le ostilità.
All'inizio di agosto il C. veniva apertamente contestato dalla truppa; alcuni generali lo andavano finanche accusando di collusione con Garibaldi. Finalmente il 9 arrivava il richiesto ordine di lasciare la Sicilia. Arrivato a Napoli il 14 il re non volle riceverlo e il ministro della Guerra. Pianell, gli disse che "la patria aveva molto a dolersi" di lui. Dopo questa amara accoglienza il C. fu emarginato dall'esercito che combatté i garibaldini sul continente. Il 7 settembre si era recato a Gaeta, forse perché chiamatovi da Francesco II. Fu però trattato assai ostilmente: prima sottoposto ad arresti domiciliari e poi cacciato dalla città.
Si recò allora a Roma dove di lì a poco si sarebbero rifugiati il re e la corte e dove ebbe stretti contatti col conte di Trapani, fratello del re e capo del legittimismo borbonico, e con lo stesso Francesco II, dal quale non ottenne però nessuna pensione. Il C. fu uno dei più attivi dirigenti del cosiddetto brigantaggio politico e in particolare organizzò nel 1861, insieme con Fulco Ruffo, principe di Scilla, il tentativo dello spagnolo J. Bories.
Contattato a Parigi dal Ruffo, il Borjes ricevette a Marsiglia dal C. il 5 luglio 1861 istruzioni sullo sbarco, la campagna e i modi per unirsi ai briganti calabresi e lucani. Tali istruzioni, che prevedevano una grande adesione popolare all'iniziativa del Borjes e in breve tempo il ristabilimento dell'autorità borbonica nel Sud, da un lato denotavano la faciloneria e l'imprevidenza del C., dall'altro ebbero l'effetto di illudere il Borjes, che partito con pochi uomini fu presto sconfitto. Dopo il fallimento di questa spedizione, il C. ebbe tra l'altro contatti con un certo marchese Dubuisson, che doveva portare sei battaglioni francesi nelle Calabrie e con Henri de Cathelineau, famoso legittimista francese, che doveva organizzare tre battaglioni a Roma. Entrambi ottennero molto denaro dal re, ma non fecero nulla.
La frenetica attività del C., che era dunque - come ha notato il De Cesare - più rumorosa che fruttuosa, fu troncata nell'estate 1863, quando su pressioni del governo italiano il comando francese a Roma lo fece relegare a Civitavecchia, dove rimase per qualche tempo. In seguito comunque il C. dovette continuare caparbiamente a tramare se è vero che nel 1868 il suo nome fu messo in relazione con la scoperta di un comitato borbonico a Palermo.
Nulla si sa della sua vita dopo la presa di Roma nel 1870. Continuò probabilmente a vivere a Roma, dove morì nel marzo 1878.
Fonti e Bibl.: Una biografia del C. è nel Diz. del Risorgimento naz., II, p. 709. Sugli avvenimenti sicil. di cui il C. è protagonista si soffermano - spesso in modo approfondito - alcune opere chiaramente filoborboniche: G. De Sivo, Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861, II, Napoli 1964, pp. 82 ss., 116-131; G. Buttà, Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta. Memorie della rivoluz. dal 1860 al 1861, Napoli 1966, pp. 53 s., 60-65, 67 ss., 80-88; A. Mangone, L'armata napolet. dal Volturno a Gaeta, Napoli 1972, pp. 23, 116, 281, 287. Gli stessi avvenimenti sono ampiamente ricordati da C. Agrati, Da Palermo al Volturno, Milano 1937, pp. 54 ss., 128 ss., 141 ss., 208 ss., 219-223, 228-235. Alcuni cenni ed opinioni sul C. sono anche nei seguenti saggi: F. Guardione, Il dominio dei Borboni in Sicilia dal 1830 al 1861in relaz. alle vicende nazionali con documenti inediti, Torino 1907, ad Indicem; Id., IMille, Palermo 1913, pp. 271, 277, 279; N. Nisco, Storia del Reame di Napoli dal1824 al 1860, Napoli 1908, pp. 41 s., 69; R. De Cesare, La fine di un regno, Roma 1975, II, pp. 298 ss.; H. Acton, Gli ultimi Borboni di Napoli(1825-1861), Milano 1968, pp. 124 ss. Un'ottima sintesi degli avvenimenti siciliani è infine in P. Pieri, Storia militare del Risorgimento, Torino 1962, pp. 677-683. Notizie sul periodo legittimista del C., del suo soggiorno romano e dei suoi rapporti col Bories sono, oltre che nel citato saggio del Nisco (pp. 203, 217), in R. De Cesare, Roma e lo Stato del Papa dal ritorno di Pio IXal 20settembre, Roma 1907, II, pp. 177 s., 210 s., 214, 219; P. Calà Ulloa, Un re in esilio. Lacorte di Francesco II a Roma dal 1861 al 1870, Bari 1928, pp. 3, 8 s., 46 ss., 191 s., 196; F. Molfese, Storia del brigantaggio dopo l'Unità, Milano 1966, ad Indicem. Le istruzioni del C. al Borjes, riportate in diverse cronache del brigantaggio, furono pubblicate per la prima volta da M. Monnier, Notizie stor. documentate sul brigantaggio nelle provincie napoletane, Firenze 1862, pp. 98 ss.