CORREA, Tommaso
Nacque a Coimbra nel 1536.
Della sua vita non si hanno notizie precise e neanche si conoscono il periodo o i motivi personali che dal Portogallo lo condussero in Italia, dove ricoprì l'incarico di lettore nell'università di Roma, sotto il pontificato di Gregorio XIII. Notizie più dettagliate coincidono con l'arrivo del C. nello Studio di Bologna, dove giunse nel 1586 a ricoprire la cattedra di umanità appartenuta al Sigonio e che Aldo Manuzio il giovane aveva abbandonato, scontento per il trattamento economico. Da questo momento è possibile seguire la vicenda culturale del C. e definire in misura appropriata le caratteristiche fondamentali del suo tipo di insegnamento.
Pur essendo un valente erudito, egli segnò all'interno dello Studio un passo indietro rispetto a quanto prima di lui avevano compiuto Sebastiano Corradi e il Sigonio, che avevano operato uno sforzo considerevole di sintesi, rendendo particolarmente vivo lo studio degli autori classici nel rigore di una metodologia storica, considerata elemento indispensabile di conoscenza. Il C., pur nella fama che accompagnò le sue lezioni, che furono tenute, data l'affluenza di studenti, nel salone dei Giuristi, con accesso dalla scala speciale, tuttavia ebbe un modesto concetto dell'insegnamento umanistico, come si rileva dalla lettura del discorso che pronunciò, non appena giunto in Bologna.
Si tratta dell'Horatio habita in prima ingressione in Gymnasium Bononiense (Bononiae, apud Io. Rossiurn, 1586), la quale era stata da lui scritta secondo le regole più rigorose dell'orazione accademica, che prevedeva una spiegazione ragionata dei programmi fino all'enunciazione del proprio modello di insegnamento. Il quale appare legato ad una utilizzazione pratica di ogni materiale classico, considerato come linea ininterrotta tra gli studiosi passati e quelli futuri "ad omnem aeternitatem".
Successivamente appaiono le opere più interessanti del C. perché più intimamente legate all'incarico universitario, dove ancora meglio è possibile individuare le caratteristiche e i forti limiti in cui la sua indagine sì ferma. Nel 1587 pubblicò a Venezia, presso F. dei Franceschi, De arte poetica Q. Horatii Flacci explanationes.
Il commento, assolutamente esterno, si limita alla spiegazione lessicale, ovvero verifica un concetto oraziano, raffrontandolo con luoghi desunti da altre opere del medesimo autore; anche quando l'interpretazione appare più estesa (col ricorso a Virgilio, Platone, Cicerone e Seneca) l'analisi non guadagna in profondità, risultando un affastellamento di richiami incapace di garantire una coerenza finale. Ogni dimostrazione pertanto, al di là di una normale ambizione didascalica, riproduce, in un'affannosa "congeries rerum", un insieme indefinito di nozioni, dove più che il filologo o l'erudito appare il curioso di letteratura antica.
Nel 1590 il C. pubblicò a Bologna altri due lavori, un De elegia... libellus e un De Epigrammate.
Quest'ultimo genere in particolare viene giudicato molto positivamente dal C. in quanto, per la concisione di cui si serve, appare adatto a sviluppare una capacità continua di espressione, creando nello stesso tempo un testo ampiamente godibile. Dall'esame etimologico del nome che caratterizza il genere, fissa le norme di struttura che presiedono alla realizzazione di una scrittura "pura, lecta, sincera, elegans", utilizzando come modello prossimo Catullo, nella cui maggiore ricchezza di temi e articolazione di timbri la capacità riflessa dell'opera critica trova più disponibile varietà esemplificativa.
Il C. quindi si dedicò alla composizione di un diffuso trattato di eloquenza, De Eloquentia libri quinque, pubblicato a Bologna (Benacci), nel 1591.
Prendendo le mosse dalla storia della retorica e utilizzando soprattutto il principio della confutazione e della dimostrazione, analizza l'eloquenza classica e umanistica per ottenere un quadro d'insieme molto dettagliato. Innanzitutto dimostra come essa possa considerarsi sia "arte" sia "scienza": "Rhetorica duobus modis accipitur, aut avulsa ab omnibus causis et distracta... aut copulata cum re certa". Dopo questa prima definizione ne riferisce accuratamente l'uso cinquecentesco, passando ad esaminare il ruolo dell'oratore che viene visto come una figura totalizzante cui è necessario "rerum omnium cognitio".
Successivamente il C. esamina in dettaglio l'uso dello strumento retorico, partendo di solito da sentenze di più immediata, didascalica comprensione.
Al di là di questi contributi sul piano dello studio diretto dell'antichità latina, il C. pubblicò anche brevi composizioni che rappresentano un'espressione coerente ed una verifica di tutti quegli elementi che costituiscono la struttura delle opere teoriche ed in particolare del trattato sull'eloquenza. Nel 1586 aveva pubblicato a Roma presso G. Tornieri una Oratio in funere sapientissimi viri doctoris Navarri per la morte di Martiri Azpicueta.
La composizione funebre, oltre il significato immediato, assume un carattere esemplarmente didascalico nella descrizione del personaggio visto come uomo di cultura e tutto volto attraverso la scienza "ad divina". Il C. dedicò anche una composizione alla vittoria di Lepanto (Carmina in victoriam habitam de classe Turcica Non. Octobris ..., Romae, apud heredes A. Bladii, 1571), inserita nella linea della eloquenza politica che dovette rappresentare un tentativo, attraverso l'uso di celebri modelli dell'antichità, di restituire al latino "artificioso" una dimensione di attuale naturalezza.
Tuttavia il linguaggio risente della mancanza di un severo impegno. "Verba" e "res" restano due unità distinte che non riescono in alcun modo a fondersi insieme, ma progressivamente perdono di compattezza e si ispessiscono in una ripetizione costante, prolissa, incapace di rendere il momento analitico un passaggio per una costruzione di sintesi tra passato e presente.
Il C. morì nel 1595, e venne seppellito nella chiesa dei carmelitani in Bologna.
Bibl.: L Carafa, De professoribus Gymnasii Romani, Romae 1751, p. 317; S. Mazzetti, Repert. di tutti i professori antichi e moderni della famosa Università e del celebre Istituto delle scienze di Bologna, Bologna 1847, p. 100; F. Cavazza, Le scuole dell'antico Studio bolognese, Milano 1896, p. 280; E. Costa, La prima cattedra d'Umanità nello Studio bolognese durante il sec. XVI, in St. e mem. Per la st. dell'Univ. di Bologna, 10907), pp. 23-63; N. Spano, L'Università di Roma, Roma 1935, pp. 30, 337; L. Simeoni, Storia dell'Università di Bologna, Bologna 1940, p. 45.