CORSI, Tommaso
Nato a Livorno il 6 marzo 184 da Matteo e da Maria Romagnoli, ancora fanciullo rimase orfano del padre, commerciante, e la madre, per offrirgli maggiori opportunità, poiché dimostrava notevoli attitudini intellettuali, si trasferì a Pisa. Qui il C. seguì gli studi fino alla laurea in giurisprudenza; tra i condiscepoli ebbe anche A. Mari con il quale si legò di stretta amicizia. Fece il tirocinio nello studio di V. Salvagnoli, che lo scelse come aiuto, e acquistò presto una buona notorietà professionale, specializzandosi in vertenze commerciali e divenendo uno dei maggiori esperti toscani nella materia; il che gli offrì l'occasione di frequenti viaggi all'estero, specialmente a Parigi e Londra.
Verso la fine degli anni Quaranta, il C. cominciò a partecipare alla vita politica, assumendo posizioni liberali avanzate. La partecipazione divenne più attiva nel corso del '48, quando il Guerrazzi lo volle come uno dei principali collaboratori de L'Inflessibile, organo dell'opposizione democratica che condusse una decisa battaglia contro il governo Ridolfi. Ma il C., insieme a F. Ranalli, era in rapporti anche con quella parte dei moderati che avversavano la politica del Ridolfi, giudicata incerta e debole, e il programma e le tendenze "municipalistiche" del governo Capponi. Lo dimostra il fatto che, ancora nel novembre, stilava, insieme al Ranalli, il programma del Circolo politico fiorentino (Proposta di un programma del Circolo politico fiorentino, Firenze 1848), composto in gran parte da moderati favorevoli alla ripresa della guerra. Era anche attivo nel democratico Circolo del popolo; ma, quando in seno ad esso cominciarono a manifestarsi posizioni sempre più radicali, il C. dichiarò apertamente la sua opposizione alla proclamazione dell'unione con Roma e si espresse in modo deciso anche contro ogni soluzione repubblicana.
Dopo la formazione del governo Montanelli-Guerrazzi, la fuga del granduca e la costituzione del governo provvisorio, nel clima teso in cui si svolsero le elezioni per la Costituente toscana, rimase vicino al Guerrazzi (marzo 1849). È significativo che il suo nome comparisse nella lista per la Costituente formulata dai quotidiani L'Alba, Monitore toscano (organo ufficiale del governo) e La Costituente italiana che presentavano candidati comuni, cercando di unire tutti gli elementi più in vista tra i sostenitori del governo. Il C. fu però presente anche nella lista dei Circolo del popolo che era stato costretto ad accettare, insieme ad esponenti radicali, anche la candidatura di personalità più moderate. Il 12 marzo '49 fu eletto alla Costituente toscana; ma già il 29, all'indomani dell'attribuzione al Guerrazzi dei poteri dittatoriali, rinunciava al suo mandato (Assemblee del Risorgimento, Toscana,III, p. 513). Non per questo ruppe i rapporti con il Guerrazzi, che rimasero saldi anche dopo la restaurazione granducale. In qualità di legale il C. fece parte, infatti, del collegio di difesa nel famoso processo di lesa maestà intentato contro l'ex dittatore, che ebbe inizio nell'agosto del '53.
Il processo rivelò non soltanto l'abilità del legale, ma anche il coraggio dell'uomo politico. Sollevando la questione dell'incompetenza della Corte a giudicare il Guerrazzi e il diritto di questo ad essere giudicato dal Senato, il C. muoveva un attacco, anche se indiretto, allo stesso granduca che aveva sciolto gli organi rappresentativi e abrogato lo statuto. In relazione al processo aveva già steso e pubblicato una Memoria a difesa di F. D. Guerrazzi per il ricorso avanti la Corte suprema di cassazione (di cuisi hanno due edizioni con lievi varianti), Firenze 1851, e una Prova testimoniale e atti relativi per la difesa di F. D. Guerrazzi, ibid. 1852; e, nel corso del '53, sempre a Firenze, apparve anche il Discorso detto in difesa del chiarissimo avvocato Francesco Domenico Guerrazzi dall'avv. Tommaso Corsi e riassunto dall'avv. T. Menichetti.I rapporti del C. con l'ex dittatore si mantennero cordiali e affettuosi, oltre che durante la prigionia, anche nei primi anni dell'esilio, come si rileva dalle varie lettere che i due si scambiarono e da alcuni scritti del Guerrazzi. Più tardi le relazioni si deteriorarono, via via che il C. si avvicinava ai maggiori rappresentanti del moderatismo toscano con i quali, del resto, intratteneva anche relazioni professionali. E infatti, alcuni anni dopo, il Guerrazzi scrisse amareggiato: "il cuore gli dette la volta per cagione d'interesse; da parecchio tempo adoperato in affari lucrosi all'amico povero e assente preferì il marchese ricco e presente" (lettera del 22 nov. '59 a L. Romanelli, in A. Savelli, L. Romanelli e la Toscana del suo tempo, p. 312), con un chiaro riferimento ai rapporti tra il C. e Cosimo Ridolfi. già sottolineati anche in altre lettere.
Comunque, nel decennio seguente al 49, la sua attività si svolse in sintonia con i gruppi politici di varia origine e formazione che andavano avvicinandosi e collaborando in previsione di una nuova crisi e di una ripresa liberale. Fu infatti uno dei partecipanti alla cosidetta "combriccola" che si riuniva nella casa del marchese Ferdinando Bartolommei, di cui facevano parte anche L. Cempini, R. Busacca, T. Menichetti, F. Zannetti, ai quali si univano spesso anche L. Cipriani, il Salvagnoli, L. Galeotti e il Mari. Anche quando il Bartolommei, nel '52, fu condannato all'esilio, il C. gli rimase vicino affettuosamente e ideologicamente; e, mentre lo informava dell'andamento del processo Guerrazzi, deprecava i tempi e la situazione toscana.
Sullo scorcio del '57 fu tra i promotori della "Biblioteca civile dell'Italiano", fondata con lo scopo d'istruire l'opinione pubblica sulle "più vitali questioni che agitano alla giornata il mondo civile" e sui "problemi più rilevanti che... l'umanità si propone a risolvere".
Il comitato di compilazione, già formato prima del 4 dic. '57, comprendeva oltre il C., il Ridolfi, B. Ricasoli, U. Peruzzi, il Cempini e C. Bianchi. Buona parte del fronte moderato toscano giudicò addirittura sconveniente che uomini come Ridolfi, Ricasoli e Peruzzi si coalizzassero con "estremisti" o "rossi" come il C., il Cempini e il Bianchi. Ma va detto che le antiche ideologie erano fortemente attenuate tanto da consentire una proficua collaborazione.
È probabile che il Manifesto della "Biblioteca" sia stato opera del C., che fu sicuramente il redattore del primo volumetto, apparso però anonimo, Apologia delle leggi di giurisdizione, amministrazione e polizia ecclesiastica, pubblicate in Toscana, sotto il regno di Leopoldo I, pubblicato tra il 23 febbraio e il 2 marzo del '58. Il nucleo principale dell'opera è costituito dalla ristampa della Prefazione alla storia dell'Assemblea dei vescovi della Toscana attribuita al proposto Reginaldo Tanzini, e l'attacco è diretto contro la Curia romana, gli Ordini religiosi in generale e i gesuiti in particolare. La pubblicazione suscitò veementi reazioni e proteste del Vaticano e della stampa cattolica, e provocò un processo che però non entrava in merito al contenuto dell'opera, ma mirava solo a stabilire se la "Biblioteca" aveva trasgredito le norme riguardanti le pubblicazioni periodiche. Il processo fu intentato solo contro lo stampatore Barbera, ma vi fu coinvolto anche il C. come diretto responsabile della pubblicazione. L'azione giudiziaria si concluse però con un verdetto di non luogo a procedere e la "Biblioteca" poté continuare la sua attività, pubblicando nel '58 altre due opere: Dell'avvenire del commercio europeo e in modo speciale di quello degli Stati italiani, di L. Torelli, e I Piemontesi in Crimea, di M. D'Ayala.
Intanto, dal dicembre '58, la situazione politica generale in Italia stava rapidamente mutando e avviandosi verso lo sbocco della guerra. Il C., di ciò ben consapevole, già a metà gennaio scriveva a M. Castelli, a Torino, per chiedere al governo piemontese una "parola d'ordine", per evitare "inconvenienti gravissimi", giacché, altrimenti, "molte fila" si sarebbero disgregate; e insisteva perché un toscano si recasse a Torino, per incontrarsi con il Cavour, o un piemontese venisse in Toscana (M. Castelli, Carteggio politico, a c. di L. Chiala, I, Torino 1890-91, p. 179). La richiesta fu accolta; il Cavour, il 18 febbraio, invitava uno o più editori della "Biblioteca" a recarsi a Torino per prendere accordi sui piani da eseguirsi. Così, dal 28 febbraio al 3 marzo, il C., il Ridolfi. e F. Carega furono nella capitale piemontese.
Proprio in questo periodo i suoi rapporti con il Guerrazzi, già affievoliti, entrarono in crisi, per l'evidente proposito del C. di prendere le distanze dall'ex dittatore. In numerose lettere e in altri scritti il Guerrazzi attribuì appunto all'amico, che doveva fare da intermediario fra lui e i maggiori rappresentanti del moderatismo toscano, il fallimento del suo tentativo di ritornare in Toscana e di avere una parte rilevante negli eventi che si delineavano. Certo un uomo dell'esperienza politica del C., anche se prima del 27 aprile aveva fatto balenare certe speranze all'amico in esilio, dové presto comprendere che la presenza del dittatore del '49 avrebbe costituito un grosso problema e causato non lievi difficoltà in una situazione già di per sé pericolosa e gravida d'incognite come quella toscana.
I rapporti tra il gruppo della "Biblioteca" e il governo piemontese si facevano, intanto, sempre più stretti. Seguendo le direttive del Cavour, gli editori abbandonarono la primitiva idea di pubblicare un giornale politico e si accordarono sulla pubblicazione di un'altra opera, Toscana ed Austria, scritta da C. Bianchi, che doveva rappresentare l'inizio di un'azione risolutiva volta ad ottenere l'adesione della Toscana alla politica piemontese.
Le vicende legate alla stampa di questo volumetto sono ben note: la perquisizione illegale della tipografia Barbera, il sequestro delle copie rinvenute, l'emanazione di un decreto che stabiliva la censura preventiva per tutta la stampa. Contro il sequestro venne divulgato un parere legale steso dal Galeotti e firmato da tutti gli avvocati fiorentini, mentre il gruppo della "Biblioteca" cercò nuovi contatti con gli esponenti dell'unitaria Società nazionale, capeggiata a Firenze dal Bartolommei.
Comunque, nell'imminenza della guerra tra Austria e Piemonte, il C. si adoperava, in stretto rapporto con V. Malenchini, per favorire l'arruolamento di giovani volontari toscani nell'esercito sardo e per far sottoscrivere diverse quote del prestito piemontese; era anche in corrispondenza, oltre che con il Castelli, con L. C. Farini e G. La Farina. Infine, il 24 aprile, partecipò alla seduta comune tra i moderati e gli unitari della Società nazionale, nel corso della quale fu deciso il moto del 27. E alle posizioni della Società nazionale il C. rimarrà vicino, fino ad essere incluso, nel febbraio del '60, nel comitato di Firenze.
Dopo la partenza del granduca, il governo provvisorio nominò il C. prefetto di Firenze, carica che tenne però solo fino alla fine di maggio. Fu inoltre membro della Consulta di Stato e candidato per il collegio di Livorno alle elezioni per l'Assemblea dei rappresentanti, ma non fu eletto. In una successiva elezione suppletiva vinse nel collegio di Greve. L'elezione, con rammarico dell'Assemblea, fu però annullata per gravi irregolarità (Assemblee del Risorgimento, Toscana, III, pp. 692 s.); ma, ripetute le elezioni, fu nuovamente rappresentante dello stesso collegio, rientrando nell'Assemblea il 7 novembre (ibid., pp. 715 s.). Più importante fu la sua attività ufficiosa svolta per il governo toscano, sia come Consulente del ministro della Giustizia, sia con altri incarichi all'estero. Nell'ottobre e poi nel novembre si trovava, infatti, a Torino dove si tratteneva a lungo, insieme al banchiere P. Bastogi che aveva avuto l'incarico di contrarre un prestito per il governo toscano; ed alla fine di novembre, a Londra, assisté l'inviato toscano Neri Corsini negli ultimi giorni della sua vita.
Dopo l'unione della Toscana al Piemonte fu eletto dal collegio di San Casciano Val di Pesa deputato al Parlamento subalpino per la VII, e poi per l'VIII legislatura. L'8 apr. '60 venne nominato ministro senza portafoglio nel ministero Cavour e, quindi, l'8 luglio, ministro dell'Agricoltura e Commercio, conservando la carica sino al 27 marzo '61, quando, proclamato il Regno d'Italia, il governo Cavour fu ricostituito su basi diverse.
In questo periodo mantenne rapporti assai stretti con i moderati toscani dei quali condivise poi sempre le idee e le scelte politiche e, specialmente, con il Ricasoli al quale era legato anche da rapporti professionali. Proprio al C. questi si rivolgeva, nel giugno del '60, per manifestare le sue apprensioni nei riguardi di un assorbimento totale e frettoloso delle nuove regioni e la sua avversione ad una "piemontizzazione" della Toscana, auspicando, invece, un ordinamento nuovo, rispettoso delle libertà municipali e compartimentali.
Quando il Ricasoli fu presidente del Consiglio (giugno '61-marzo '62), il C. ne sostenne la linea politica di uniformità legislativa e amministrativa, continuata poi dal governo Rattazzi. Fra l'altro, proprio durante questo ministero, giunse al termine del suo iter parlamentare il progetto di legge per l'istituzione in tutto il Regno delle Camere di commercio, già preparato dal C. quando era ministro. Poi, durante il ministero Farini-Minghetti, fu tra i deputati governativi che il 5 dic. '63 votarono un ordine del giorno a favore del governo, dopo le interrogazioni sugli abusi commessi in Sicilia dalle autorità militari.
L'anno seguente il C., che sedeva nel Consiglio di amministrazione della Società italiana per le strade ferrate meridionali, fu coinvolto nell'inchiesta parlamentare aperta per vagliare i gravi sospetti contro il presidente della società P. Bastogi, accusato di aver corrotto alcuni deputati. Dimessosi dal mandato, il C. indirizzò un opuscolo Ai miei elettori del collegio di San Casciano. Schiarimenti (Firenze 1864). Nondimeno nelle elezioni che ne seguirono, nell'agosto '64, venne rieletto, sempre nello stesso collegio, dopo un ballottaggio con il Guerrazzi.
Durante il secondo ministero La Marmora si tornò a discutere in Parlamento la controversa soppressione degli Ordini religiosi, dopo la presentazione di un progetto da parte del ministro di Grazia e Giustizia G. Vacca, in linea con le esigenze del Sella di volgere a profitto dello Stato buona parte dei beni ecclesiastici. La commissione parlamentare esaminatrice del progetto, presieduta dal Ricasoli ebbe tra i componenti il C., che presentò un controprogetto ispirato alle idee del Ricasoli stesso e ne fu relatore alla Camera (7 febbr. '65).
Rimproverava al governo di aver preparato un progetto che non teneva conto dei principi generali del diritto pubblico ecclesiastico e trasformava i religiosi in stipendiati statali, cosicché si rendevano ancor più strette "le pastoie le quali tengono vincolato lo Stato alla Chiesa" (Atti parlam., Camera, Discuss., Legisl. VIII [tornata 19 apr. 1865], p. 9717).II suo controprogetto - sosteneva - avrebbe invece assicurato ad entrambi la più completa libertà, raggiungendo così la netta separazione tra Stato e Chiesa, in quanto attribuiva l'amministrazione del patrimonio destinato al culto alla comunità dei fedeli. La relazione Corsi fu presentata dopo la convenzione di settembre; la discussione fu lunga e contrastata e terminò senza esito, con la chiusura della legislatura, il 16 maggio '65.
Le elezioni per la IX legislatura videro, per la prima volta, un movimento organizzato per l'ingresso dei cattolici in quanto tali alla vita politica. Anche il C., di nuovo candidato nel collegio di San Casciano, ebbe come avversario un clerico-reazionario, Stefano San Pol, e fu costretto al ballottaggio che vinse però con duecentodiciannove voti contro novantasei. Ugualmente vinse le elezioni del '67, per la X legislatura, nonostante dovesse sostenere il ballottaggio con lo stesso Garibaldi. La sua attività parlamentare fu sempre intensa: alla fine del febbraio '68 presentò un progetto di legge per la nomina di una commissione d'inchiesta sulla circolazione monetaria e i rapporti delle banche con il governo, che fu approvato; lo stesso anno, fu presidente della "commissione dei diciotto", incaricata di esaminare i progetti di legge presentati dal ministro delle Finanze Ferrara, tra i quali quello relativo alla tassa sul macinato. Sedette alla Camera sino alla fine della legislatura (novembre '70). Il 6 nov. '73 fu nominato senatore.
Nel settembre del '74, fedele alle sue concezioni giuridiche ed economiche che erano, del resto, comuni a gran parte dei moderati toscani, fu uno dei promotori e poi uno dei vicepresidenti, insieme al Bastogi, della Società Adamo Smith, fondata a Firenze per "promuovere, sviluppare, propagare e difendere la dottrina della libertà economica", che esprimeva gli interessi dei ceti finanziari e imprenditoriali toscani. Non a caso, nell'imminenza delle nuove elezioni alla Camera, il C. fece parte del comitato elettorale costituitosi a Firenze, il 10 ott. '74. che, al di là del programma immediato della risoluzione dei rapporti tra Stato e Chiesa, sottolineava la necessità della progressiva liberazione dall'ingerenza statale a favore dell'iniziativa privata. Ed è significativo che, tra il marzo e l'aprile del '76, presiedesse un ciclo di conferenze della Società Adamo Smith nel corso del quale si discusse del riscatto ed esercizio governativo delle ferrovie, problema che, negli stessi giorni, determinò la caduta della Destra storica proprio ad opera dei "consorti" toscani.
Molti ancora furono i suoi impegni pubblici e professionali: consigliere comunale a Firenze, deputato al Consiglio provinciale di cui fu a lungo vicepresidente, per quattordici volte presidente del Consiglio dell'Ordine degli avvocati, presidente della sezione di economia pubblica dell'Accademia dei Georgofili. Il suo nome e pure legato alla lunga preparazione del nuovo Codice di commercio, entrato in vigore il 1° genn. 1883; tra l'altro, il 13 febbr. '78, il C. presentò al Senato il disegno di legge che dava al governo la facoltà di pubblicarlo e metterlo in esecuzione.
Morì a Firenze il 4 marzo 1891.
Nel corso della vita aveva raccolto una biblioteca ricchissima di cui ci è pervenuto il catalogo, redatto in occasione della vendita da parte degli eredi: Catalogo della importantissima biblioteca composta di oltre 30.000 scelti volumi riguardanti scienze giuridiche e sociali, economia, politica, arte, storia, letteratura ecc. ecc., appartenenti al fu sig. comm. av. T. C. senatore del Regno, Firenze 1891.
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