CORSINI, Tommaso
Nato nell'ultimo scorcio del sec. XIII da Duccio di Corsino "valente huomo e grande mercante", morto nel 1300 al ritorno "dal perdono di Roma" (Ricordanze, p. 4), fu probabilmente l'unico dei quattro figli maschi di Duccio ad essere avviato verso gli studi e la carriera giuridica, mentre i fratelli continuarono l'attività mercantile del padre. Il C., "il quale fu giudice e chiamossi messer Tommaso", secondo la puntualizzazione del nipote Matteo di Niccolò nelle Ricordanze domestiche dei Corsini, dovette ben presto raggiungere la fama di valente uomo di legge, se nel 1321 veniva chiamato ad insegnare diritto civile nello Studio senese, di recente istituzione. Sposato in prime nozze a Bartolomea di Neri del Bene, alla morte di costei avrebbe contratto un matrimonio socialmente più vantaggioso con Ghita figlia di Filippo di Lando degli Albizzi, famiglia con la quale i Corsini avrebbero condiviso le scelte politiche ed il ruolo rilevante nella vita pubblica fiorentina. Da Ghita il C. avrebbe avuto otto figli, ai quali si sarebbero aggiunti, nella casa che egli possedeva nel "popolo" di San Felice in Piazza, quelli del fratello Niccolò, che, rimasti in tenera età orfani del padre, sarebbero stati affidati alla sua tutela. Nel febbraio del 1326 lo incontriamo tra i capitani della prestigiosa compagnia dei Laudesi della Madonna di Orsanmichele, la più vicina, tra le confraternite fiorentine, al concetto "pubblico" di assistenza. Nello stesso anno compare tra i Priori, durante la signoria del duca di Calabria, e due anni dopo, nel novembre 1328, lo troviamo insieme a Donato Acciaiuoli ed a Giotto Peruzzi, tra i più attivi protagonisti di quella riforma delle imborsazioni con la quale la città si dette nuovi ordinamenti all'indomani della morte del duca. Il nome del C. torna nuovamente nel 1329 tra quelli dei Priori in un momento difficile della storia politica di Firenze, minacciata dalla presenza di Ludovico il Bavaro e delle sue truppe, che fomentava nelle città toscane risvegli ghibellini. Chiamato a far parte della balia dei Dodici cittadini a cui Firenze aveva affidato la condotta della guerra contro lo scomunicato imperatore ed i suoi sostenitori, il C. ebbe anche larga parte nella sottomissione di Pistoia. Il 31 maggio 1329 fu tra i testimoni dell'atto con cui la pace con Pistoia venne ratificata. Tuttavia l'obiettivo principale di questo momento della politica estera fiorentina è rappresentato dalle note vicende connesse con la compra di Lucca, che proprio in questo anno, dopo reiterate quanto vane offerte ai Fiorentini, Marco Visconti vendette a Gherardino degli Spinoli. Nel dispiegarsi di questa infelice vicenda, destinata a procurare tanti problemi alla classe dirigente fiorentina, il C. nel 1330 partecipò ai Consigli come uno dei Sedici gonfalonieri di compagnia, carica che ricoprì anche nell'anno successivo. Nel 1332 era dei Dodici buonuomini. In questo periodo venne chiamato, in seguito alla decisione dei Pistoiesi di darsi in signoria a Firenze, a riceverne la dedizione, e fu uno dei sei cittadini incaricati di riformarne il governo. L'anno successivo lo vide impegnato come ambasciatore dapprima in una legazione presso il marchese di Ferrara, poi in una missione di pacificazione tra Pisa e Siena, che si contendevano Massa ed altri castelli della Maremma. Nel 1334 fu nuovamente dei Sedici gonfalonieri, e ancora dei Dodici buonuomini l'anno successivo, quando veniva costituito sindaco per trattare, il 15 maggio 1335, insieme a Nerozzo di Meo Compagni, con Spinetta Malaspini. Conclusa questa missione, nel gennaio convenne a Staggia con gli oratori dei Senesi per trattare una lega decennale tra le due repubbliche. Sul finire dell'anno analoghe incombenze diplomatiche lo portarono a Perugia, con cui, per conto di Firenze, strinse una lega contro il ghibellino Pietro, detto Saccone, dei Tarlati, il quale tentava di avvicinarsi a Mastino della Scala, signore di Lucca, e principale fonte delle preoccupazioni dei Fiorentini. Nel luglio del 1361 Firenze e Perugia mossero contro Arezzo, mentre la Repubblica stringeva una lega con Venezia contro i signori della Scala. Il Tarlati, interessato a spezzare la coalizione dei nemici naturali di Arezzo, preferì accordarsi con uno di essi: si giunse così ad una pacificazione tra Arezzo e Firenze, per trattare la quale la Signoria delegava il C., che si recò in quella città nel gennaio 1337. Il 7 marzo successivo si firmarono i capitoli della pace; di lì a poco Pietro Tarlati dava la signoria della città a Firenze domandando per se e per i suoi consorti la cittadinanza fiorentina. L'anno seguente il C. tornò ad Arezzo per pacificare i Tarlati e gli Ubaldini, dai quali riuscì inoltre ad ottenere la cessione a Firenze di alcuni castelli. Per una analoga funzione mediatrice nelle lotte di fazioni veniva inviato l'anno successivo a Colle Val d'Elsa. Nel 1340 era nuovamente tra i Dodici buonuomini, quando Mastino della Scala offrì ai Fiorentini l'acquisto di Lucca.
Il Villani, testimone diretto di questi avvenimenti come uno degli "stadichi" che il Comune di Firenze aveva inviato a Ferrara - dove Obizzo d'Este si era fatto mediatore della trattativa - in garanzia della compra, ricorda con parole di condanna la "folle impresa" dell'acquisto di Lucca gestito, dal luglio 1341, da una Balia di venti cittadini di cui egli rifiuta di ricordare i nomi "perocché non son degni di memoria di loro virtù o buone operazioni per lo nostro comune" (Villani, XI, cxxx). Com'è noto infatti, mentre i Fiorentini patteggiavano con Mastino, Pisa passò a vie di fatto assediando Lucca. La Balia, a giudizio del Villani reagì con una azione militare condotta con insipienza e inettitudine, mentre al contempo si affrettava a scegliere il partito di "prendere possessione di terra assediata" (ibid., cxxxiii). "E incontamente mandarono due altri di loro compagni [sempre i venti della balia] e altri ambasciatori insieme con quelli di messer Mastino al marchese di Ferrara, ch'era mediatore per migliorare i patti" (ibid.).
Il C. fu uno dei principali esponenti di questa delegazione, come risulta dagli atti dei capitoli del Comune, ed anche su di lui, come sugli altri mandanti o esecutori della compra, dovette ricadere l'accusa di baratteria che il Villani ha tramandato quale opinione diffusa; di lì a poco l'esercito fiorentino sarebbe stato sconfitto dai Pisani sotto le mura di Lucca e questa pesante quanto costosa umiliazione che vanificava l'acquisto della città avrebbe aperto in Firenze le porte alla signoria del duca d'Atene. Il C., gonfaloniere di compagnia nel 1341, fu uno degli uomini di fiducia di Gualtieri di Brienne, il quale gli affidò compiti diplornaticiin ossequio alla sua consolidata esperienza di ambasciatore. A lui infatti spettò l'ingrato compito delle trattative di pace con i Pisani, che fu firmata il 9 ott. 1342 e ratificata il 13. Sempre in quel mese il C. fu destinato ambasciatore in Lunigiana ed in Versilia, per ricevere, a nome del duca, le dedizioni di Pietrasanta, Barga, Coreglia e di altre comunità. Dopo i fatti del 26 luglio 1343 e dei giorni successivi, che portarono alla cacciata del tiranno, ritroviamo il C. tra i testimoni dell'istrumento con il quale si affidava ad una balia presieduta dal vescovo Angelo Acciaiuoli la riforma del governo cittadino. Il mutamento politico non incise molto sulla sua vita di diplomatico; così come il crollo delle compagnie mercantili verificatosi intorno alla metà del Trecento, crollo che coinvolse anche il banco dei Corsini (Villani, XI, cxxxviii; XII, lv), non intaccò grandemente il suo prestigio economico e sociale. Nel maggio del 1344 lo incontriamo come ambasciatore a Siena in vista di una lega che Firenze intendeva stringere con Perugia ed Arezzo; ed un analogo incarico assolse nuovamente nell'aprile dell'anno successivo. Nel 1347 veniva destinato a presentare al re d'Ungheria Ludovico, allora in Italia, l'ossequio e l'antica amicizia dei Fiorentini verso la casa d'Angiò. Questa ambasceria, a differenza di altre più importanti missioni del C., è stata consegnata alla storia per la testimonianza del Villani, che gli dedica tre capitoli del XII libro della sua Cronaca (cviii-cx, sotto il titolo "Ambasciata esposta in Rimini per gli ambasciatori di Firenze al re d'Ungheria mandati, recitata nel cospetto del re e nel suo consiglio per messer Tommaso Corsini, in grammatica con molti alti latini fatta volgarizzare per seguire lo stile"). Reduci dall'ambasceria gli oratori sarebbero stati accolti con onoranze solenni dal Comune. Sopravvissuto alla peste del 1348 ritroviamo il C. impegnato nei Consigli per promuovere l'istituzione di uno Studio a Firenze. Chiamato a far parte della balia destinata a rendere esecutivo il progetto, non solo ottenne allo Studio privilegi pontifici, ma si adoperò anche perché vi fossero chiamati all'insegnamento i giuristi più famosi. Egli stesso fu tra gli eletti, e tenne per tre anni la cattedra di istituzioni civili. Nel 1350, durante una ripresa delle endemiche ostilità con gli Ubaldini, questa volta alleati dell'arcivescovo di Milano Giovanni Visconti, allora anche signore di Bologna, il C. venne inviato come commissario all'assedio che i Fiorentini avevano posto a Pistoia nel timore che quest'ultima, col prevalere della fazione dei Panciatichi, si alleasse anch'essa a Milano. La campagna si risolse nella sottomissione della città. L'anno successivo, in virtù dei legami di personale amicizia che lo legavano a Niccolò Acciaiuoli, gran siniscalco del Regno di Napoli (delle cui ultime volontà il C. sarebbe stato esecutore testamentario) fu eletto procuratore per la cessione della terra di Prato che i reali di Napoli facevano a Firenze. Il contratto, di cui rimane testimonianza nei Capitoli del Comune, venne stipulato il 23 febbr. 1350. Dalle memorie del Velluti sappiamo che nel 1351 era impegnato in un arbitrato per comporre una vertenza tra Albizzi e Ricci. Nel luglio di quell'anno venne inviato ambasciatore a Bologna presso Giovanni da Oleggio, ed a Milano, presso Giovanni Visconti, nel tentativo di porre fine alle ostilità create dall'arcivescovo in Toscana. Nel novembre, sempre nel quadro di questa politica antiviscontea, stipulò in Siena, per conto di Firenze, un accordo con quella città e con Perugia per evitare infiltrazioni ghibelline in Arezzo, che doveva essere mantenuta fedele al partito guelfo con ogni mezzo. Nel maggio dell'anno successivo prendeva parte ad una ambasceria destinata a convincere Carlo IV di Lussemburgo e Venceslao di Boemia a scendere in Italia per muovere guerra al Visconti. Nel corso di questa missione gli oratori fiorentini toccarono anche tutte le corti dei potentati di Romagna e di Lombardia per stringere leghe e radunare un esercito poderoso da opporre all'arcivescovo. Sul finire del 1352 ascese nuovamente al gonfalonierato di Giustizia proprio mentre uno scandalo rischiava di compromettere la credibilità delle istituzioni.
Costretto dalle pressioni di un potente gruppo familiare, un cui membro era stato coinvolto in una serie di furti, il gonfaloniere uscente aveva ingiunto al podestà di non procedere contro l'accusato. Il podestà, piuttosto che cedere al sopruso, aveva rinunciato al suo mandato, con grave scandalo della popolazione. Al C. spettò il compito di far eseguire giustizia e richiamare il podestà, che per protesta si era rifugiato a Siena. Durante questo secondo gonfalonierato del C. iniziarono le trattative per la pace col Visconti che, mediatore Pietro Gambacorti di Pisa, si sarebbero concluse a Sarzana nel 1353.
Con questo significativo episodio si chiuse anche l'attività pubblica del Corsini. Colto da una crisi spirituale - cui non dovettero rimanere estranei l'amicizia e l'esempio dell'agostiniano Simone da Cascia -, si convertì alla vita religiosa, vestendo l'abito della Milizia della gloriosa Vergine Maria (i cui appartenenti erano comunemente noti col nome di "frati gaudenti") e votandosi, insieme con la moglie, alla castità. Si ritirò quindi ad abitare in una piccola casa fuori porta Romana, a San Gaggio, in prossimità di un convento, alla cui costruzione egli aveva contribuito, delle terziarie del suo stesso Ordine (queste ultime, a Firenze, vennero perciò chiamate "le suore di messer Tommaso"). Lì si spense il 23 febbr. 1366. Il suo corpo venne solennemente tumulato in San Gaggio, in un imponente monumento funebre, che fu poi trasferito nel secondo chiostro del convento di S. Spirito, che ospita le sepolture dei Corsini.
Il C. aveva svolto a lungo anche le funzioni di estensore delle riformagioni, in ossequio alla tradizione, che voleva deputati a tale compito uomini di cultura. Della sua attività di giurista sono rimaste alcune consultazioni legali, conservate nei codici della Biblioteca nazionale di Firenze, ed un trattato, il Consilium matrimoniale, edito a Francoforte nel 1580 (Passerini). Lasciava i figli estremamente ricchi per i proventi di una fortunata attività mercantile e d'un vasto patrimonio fondiario. Per testamento, legò alle suore di San Gaggio, dove avrebbe trovato rifugio sua moglie Ghita, alcuni beni e la sua biblioteca.
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