GRASSI, Tommaso de'
Figlio naturale di Cristoforo, detto Bertoldo, de' Grassi, discendente di una facoltosissima famiglia di mercanti che aveva avuto un notevole rilievo politico nella Cantù tardocomunale, nacque a Milano, probabilmente verso il 1420. Padre di Cristoforo era stato Luchino, morto nel 1419, fra i più attivi nel traffico della lana tra la Lombardia e la Francia alla fine del Trecento.
Legittimato nel 1426 e dichiarato erede di tutta la sostanza paterna, il G. alla morte del padre, avvenuta nel 1444, entrò in possesso di un vasto patrimonio immobiliare e monetario, che gli fu subito contestato dalla vedova di Cristoforo, Giovannina Montorfano, e dalle quattro figlie legittime, le quali erano state provviste dal padre della sola dote di 2000 ducati ciascuna. Il G. riuscì a risolvere la vertenza mediante una transazione con la quale cedeva alla controparte un complesso di beni terrieri per 1600 fiorini.
Il grande patrimonio rimastogli consentì al G. di proseguire le attività, comuni alla sua famiglia, della mercatura e del prestito usurario. Con sottile fiuto politico egli preferì non condividere la difficile e precaria esperienza della Repubblica Ambrosiana, sorta a Milano dopo la morte del duca di Milano Filippo Maria Visconti, e, nel periodo tra il 1447 e il 1450, trasportò il volume dei suoi affari lontano da Milano, dove comunque riprese i suoi negozi bancari all'avvento della signoria sforzesca. La sua attività feneratizia fu però colpita da una condanna inflittagli il 15 apr. 1469 dall'arcivescovo di Milano, Stefano Nardini: essa comportava, a espiazione delle usure commesse, l'erogazione in usi pii di 350 ducati d'oro. Probabilmente in seguito a questa condanna il G. fu colto da scrupoli religiosi e progettò una serie di iniziative benefiche: così il 4 sett. 1473 donò alla venerabile scuola delle Quattro Marie una casa nella contrada de' Ratti con altri stabili e terreni - ma con riserva di usufrutto e sempre che il donante morisse senza figli - con l'onere di istituire e mantenere nella casa sopra accennata una scuola gratuita per duecentocinquanta ragazzi poveri, ai quali avrebbero dovuto impartire l'insegnamento cinque maestri. Nel 1474 costituì sui redditi di alcune botteghe di armi un fondo per la liberazione dei carcerati, in particolare per i detenuti a causa di debiti.
Nel 1479 il G. ebbe dalla moglie, Elena de Rixiis, sposata probabilmente in quello stesso torno di anni, una figlia di nome Margherita. Il G. era ormai uno dei personaggi più in vista della società milanese, tanto che Ludovico il Moro non stimò disdicevole nel corso del 1480 conchiudere col G. un'impegnativa di matrimonio, con promessa dote di 12.000 ducati, tra Margherita e il proprio figlio naturale Galeazzo, anch'egli ancora bambino. Il 23 dicembre di quell'anno il G. faceva testamento: in esso riconfermava alla venerabile scuola delle Quattro Marie, nonostante gli fosse nata la figlia Margherita, la donazione sopra ricordata della casa, permutando però con una rendita annua di 400 fiorini gli altri immobili precedentemente donati; lasciava poi alla sola figlia metà della sua sostanza e il rimanente agli altri figli che gli fossero nati, sostituendo, in caso di mancanza di questi, la Veneranda Fabbrica del duomo, col divieto di alienare i beni e chiamando erede in luogo di essa, se si fosse contravvenuto al suo divieto, l'ospedale Maggiore di Milano.
Il G. morì a Milano all'inizio del 1482 e la Fabbrica del duomo entrò in possesso di metà delle sue sostanze, mentre la figlia Margherita, lasciata in tutela a Battista Simonetta, sposò nel 1492, essendo morto nel frattempo il promesso sposo, Giulio Sforza, figlio naturale del duca Francesco e fratellastro di Ludovico. Il G. aveva anche avuto un figlio naturale, Luchino, entrato già al tempo della sua morte nell'Ordine degli eremitani di S. Agostino con il nome di fra Leonardo.
Secondo la convincente ipotesi di G. Barbieri, la vicenda della conversione di questo banchiere senza scrupoli fu raccontata e trasfigurata da Matteo Bandello in una novella (Novelle, III, 53); in essa la vicenda del ricco Tommasone Grassi toccato dalla predicazione di Bernardino da Siena è, probabilmente per rispetto a persone ancora viventi, ambientata nella prima metà del Quattrocento e riferita, con un processo di sovrapposizione, a un omonimo del G., banchiere e mercante anch'egli. Le scuole istituite dal testamento del G. cominciarono a funzionare probabilmente subito dopo la sua morte e rimasero in vita fino al 1787 quando, a seguito delle riforme dei luoghi pii volute da Giuseppe II, le loro rendite furono cumulate in una più grande "massa per l'istruzione della gioventù". Si hanno notizie certe del loro funzionamento solo a partire dalla metà del Seicento: nella casa delle scuole risiedevano, con un capo maestro, tre maestri, i quali tenevano lezione a cinquanta alunni selezionati dal priore o dai deputati della venerabile scuola delle Quattro Marie. Dei tre insegnanti uno insegnava grammatica, un altro a leggere, a scrivere e l'aritmetica, il terzo aveva lo speciale incarico di "formare le figure de' numeri per introdurre li poveri figli a fare li conti" (Giulini).
Fonti e Bibl.: A. Giulini, T. G., le sue scuole e le relazioni sue cogli Sforza, in Arch. stor. lombardo, s. 4, XVIII (1912), pp. 271-283; G. Barbieri, L'usuraio T. G. nel racconto bandelliano e nella documentazione storica, in Studi in onore di A. Fanfani, II, Milano 1962, pp. 19-88; A. Noto, Gli amici dei poveri di Milano, Milano 1953, pp. 94, 102; Id., Profili di antichi benefattori. Un usuraio. T. G., in Solidarietà umana, IX (1955), giugno; L. Pascalino, Le scuole pubbliche laiche milanesi prima della riforma teresio-giuseppina (secc. XV-XVIII), tesi di laurea, Università di Milano, 1961.