DEL NERO, Tommaso
Nacque a Firenze il 13 marzo 1545 da Agostino di Piero e da Nannina di Tommaso Soderini. Ebbe due fratelli: Nero e Francesco.
Secondo la descrizione di alcuni suoi contemporanei, il D. era di corpo sano, bello e profondamente buono. Giovanissimo cominciò a studiare latino, greco, musica ed ebbe una profonda passione per il disegno, la pittura e l'architettura, benché queste ultime fossero arti che non si addicevano per quei tempi alle sue condizioni sociali. Sposò nel 1564 Luisa, figlia del senatore e cavaliere Lorenzo Ridolfi, fratello del cardinale Niccolò. Nel 1570 ebbe un figlio, Agostino, e sembra che, al momento della morte del marito, Luisa aspettasse un secondo figlio.
Di questo episodio tuttavia, riportato soltanto dal Sassetti nella sua orazione funebre Orazione inedita in morte di T. D., non si trova conferma in nessun altro testo o documento. Comunque anche il figlio Agostino, come il padre, morì giovane all'età di ventuno anni, nel 1591.
Il D. premorì al padre, che cessò di vivere nel maggio 1576, lasciando suoi eredi universali gli altri due figli Nero e Francesco, ciascuno per una terza parte e per l'altra terza parte, Agostino suo nipote, figlio del D.; infine aveva lasciato a Luisa, vedova del figlio, una dote che pero in seguito revocherà, avendole già fatto dono di essa in vita. Il testamento fu redatto a Firenze nel convento di S. Iacopo tra Fossi e rogato da Francesco Parenti, notaio pubblico fiorentino, il 3 ott. 1572.
Il 9 maggio 1552 il padre Agostino comprò per 3.350 scudi una casa posta nel "popolo" di S. Lucia de' Magnoli nell'attuale piazza de' Mozzi a Firenze (odierno pal. Torrigiani), dai creditori di Roberto Nasi. La ricostruzione e il restauro del palazzo, che sarebbe diventato la dimora ufficiale e cittadina della famiglia Del Nero, comportò un lavoro lungo ma appassionante, e a un certo punto il D., che aveva buone disposizioni alle arti, assunse la direzione dei lavori. Sembra infatti che, dietro alcuni suoi suggerimenti, fu completata l'artistica facciata posteriore prospiciente il "pratello", ristrutturato l'interno con artistiche costruzioni e decorazioni ma soprattutto sembra che sia suo merito anche la realizzazione del salone del piano nobile, dove avrebbe eseguito alcuni eleganti affreschi. Ne fecero grandi elogi i contemporanei e anche M. G. Cinelli nel suo Le bellezze della città di Firenze (p. 288) mise a confronto l'opera di Baccio d'Agnolo, il quale già aveva dato il suo contributo alla realizzazione della struttura e delle decorazioni del palazzo, con quella del Del Nero. Venne apprezzato anche dai Medici, signori di Firenze: il granduca volle portarlo con sé in certi viaggi e tanto il D. seppe farsi stimare che ne fu ricambiato in aiuti e favori.
Il D. è ricordato come il principale promotore dell'Accademia degli Alterati. Il 20 genn. 1568, strabiliando tutte le persone di cultura del tempo causa la sua giovane età (aveva appena ventitré anni), fu eletto console dell'Accademia Fiorentina, confermando i consiglieri Bastiano Antinori e Alessandro Canigiani e censore l'avvocato Francesco Lenzoni. Il 17 febbraio, però, insieme ad altri, fondò una nuova Adunanza che privilegiava rispetto alla precedente l'arte letteraria, tanto da farla ritenere in seguito per molti versi la precorritrice della più celebre Accademia della Crusca. Il D. ne fu il principale promotore insieme a Giulio Del Bene il Desioso, Renato de' Pazzi il Quieto, Vincenzo Acciaiuoli lo Sconsigliato, Vincenzo Corbinelli, Alessandro Canigiani il Soave e Antonio Albizzi il Vario.
L'impresa della nuova Accademia degli Alterati fu un tino pieno di uva con il motto "Quid non designat" tratto da una epistola di Orazio. Almeno nei primi tempi, i membri di questa Adunanza, tra i quali, oltre agli illustri nomi già citati vi era anche quello di Nero Del Nero, fratello del D., si riunirono in quel salone dei palazzo di via de' Mozzi che, non a caso, lo stesso D. aveva ornato con lo stemma dell'Accademia e con una iscrizione che ne ricordava la fondazione: "Erigitur ab alteratis academia scribendi dicendique studio creata A. MDLXVIII". A questo proposito si può anche ricordare che il figlio Agostino fu tale ammiratore del padre che cercò di imitarlo fondando anch'egli una nuova Accademia, che si chiamò dei Desiosi, dando pure ad essa come sede la propria casa. Il sodalizio era governato da un reggente che rimaneva in carica sei mesi ed era eletto dagli stessi accademici. Il D., soprannominato lo Sconcio, fu il terzo reggente. Gli Alterati non trascurarono nessuna scienza come appare nel loro diario (Diario dell'Accademia degli Alterati, Ms. Ashburnhamiano 558della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, dove giorno per giorno venivano descritti tutti gli avvenimenti dell'Accademia), ma centro del loro interesse fu la letteratura. Nell'ambito dell'Accademia anche il D. scrisse le accuse e le difese, che sottolineavano la scadenza del mandato dei reggitori, insieme ad Orazioni, lezioni ed altri componimenti in volgare. Leonardo Salviati, avendo composto la commedia il Granchio, la donò al D. che si prese cura di farla stampare, dedicandola con una lettera a Francesco de' Medici, figlio di Cosimo I, datata 9febbr. 1566.
In questa il D. non perde occasione per elogiare il suo sodalizio. Oggi l'unica opera completa che ci è rimasta del D. sono alcune stanze contenute nel codice 2949della Biblioteca Riccardiana di Firenze (Stanze di messer Tommaso Del Nero). Non si sa quando queste Stanze siano state da lui scritte, ma, stante l'elogio funebre del Sassetti, sembrerebbe che si possa circostanziarle agli ultimi anni di vita. Infatti in questo periodo per uno strano presentimento, lui che era sempre stato tanto religioso, lo era diventato ancora di più, e quando seppe che l'unica malattia della sua vita era così terribile che sarebbe stata anche l'ultima, cercò di nasconderla ai familiari. Alle domande della madre che un giorno lo trovò in contemplazione estatica del cielo, rispose che stava riflettendo sulla miseria delle cose terrene, come se, aggiungeva il Sassetti, fosse già chiamato alle cose celesti. Le Stanze sembrano l'espressione poetica di tali pensieri. In tutto il componimento sono chiare e forse cercate alcune reminiscenze dantesche: da Amore che guida l'autore come Virgilio guidava Dante, ai palesi versi: "ond'io pel gran desio le braccia apersi / tre volte e tante strinsi l'aura in vano". Il Sassetti in una lettera indirizzata il 22apr. 1578da Madrid a G. B. Strozzi gli raccomanda le Stanze del D. e lo prega di scrivere qualche rigo di introduzione a queste (E. Marcucci, pp. 118, 120).
Il D. morì il 4 agosto 1572 e fu sepolto nella chiesa di S. Felicita di Firenze, nella cappella di famiglia dove era stato sepolto il padre insieme ai suoi antenati. Il Sassetti, che pronunciò il discorso funebre davanti agli Alterati, disse che tutta Firenze, che aveva sempre tanto amato il D., lo pianse come fosse stato un parente stretto, tanto in lui erano state ricche le doti di bontà e di umanità.
Fonti e Bibl.: Firenze, Biblioteca nazionale, Mss. Magliab. cl. IX, 79: A.M. Biscioni, Giunte alla Toscana letteratura. Scrittori toscani, II, ad nomen;Archivio di Stato di Firenze, Ins. 396: Estratto dei documenti e foglicomponenti l'Archivio della casa dei Signori Baroni del Nero, I, passim;Ibid., Raccolta Sebregondi, n. 3804;Ibid., Archivio Ceramelli-Papiani, n. 3388;Ibid., Mediceo del principato, f. 334 cc. 166, 171, 190-192, 202; f. 360 cc. 7, 74, 105, 120, 129; Tratte 1530-1555, n. 72. F. Sassetti, Orazione inedita in morte di T. D., Bologna 1856;M. G. Cinelli, Le bellezze della città dì Firenze, Firenze 1677, p. 288; S. Salvini, Fasti consolari dell'Accademia Fiorentina, Firenze 1717, pp. 202 ss.; L. Cantini, Vita di Cosimo de' Medici, primo granduca di Toscana, Firenze 1805, p. 462; E. Marcucci, Lettere edite e inedite di F. Sassetti, Firenze 1855, pp. 118, 120;M. Maylender, Storia delle Accademie d'Italia, Bologna 1926, I, p. 154; B. Weinberg, Argomenti di discussione letteraria all'Accademia degli Alterati (1570-1600), in Giorn. stor. della letter. ital., CXXXI (1954), p. 175;L. Ginori Lisci, Ipalazzi di Firenze nella storia e nell'arte, Firenze 1972, II, p. 677.