EBOLI, Tommaso di (Tommaso da Capua, Thomas Capuanus)
Nel febbraio 1215 è ricordato come arcivescovo eletto di Napoli. Dato che secondo il diritto canonico l'età minima necessaria per ricevere un vescovato era di trent'anni, l'anno di nascita dell'E. non può essere posteriore al 1185. Come provano il nome, le sue lettere e la testimonianza di Riccardo di San Germano, era originario di Capua. Suo padre era un "dominus Ebolus", mentre nulla si sa della madre.
Nella bibliografia più antica egli è indicato come membro della famiglia romana dei Savelli e come nipote di papa Onorio III, ovvero come membro della famiglia capuana dei de Episcopo. Ma la sua esatta origine risulta da una lettera di Innocenzo IV del 14 nov. 1245 (Berger, n. 1684), nella quale il pontefice concede al "magister Iohannes de Obulo" (Ebulo) un'altra prebenda per onorare la memoria del cardinale diacono Tommaso di S. Sabina (cioè dell'E.), indicato come zio paterno ("patruxis") di Giovanni. La nobile famiglia degli Eboli, che traeva il nome o dalla località di Eboli o da un antenato di nome "Ebulus", possedeva terreni in varie località della Terra di Lavoro. Specie a Capua, durante il sec. XIII, risiedevano num erose persone con questo cognome.
Per gli anni anteriori al 1215 sappiamo solamente che l'E., dopo aver frequentato la scuola del duomo di Capua, prese gli ordini minori a Napoli e ricevette un canonicato nella città natale che tuttavia lasciò ancora giovane. Egli va probabilmente identificato con il "dominus Thomasius canonicus Capuarius" menzionato in un documento del 25 luglio 1209 tra i "syndici" e i "procuratores" dello "Studium generale" di Vicenza (MittarelliCostadoni, IV, pp. 213 s.). Avrebbe dunque frequentato l'università di Vicenza che fu creata nel 1204 da professori e studenti provenienti da Bologna e che ebbe breve vita. Ai suoi studi di diritto civile e canonico ("generalia et communia iura") l'E. accenna in una lettera (Summa, VII, 7). mentre la sua Arsdietandi si apre con una citazione del Breviarium extravagantium del canonista Bernardo da Pavia redatto verso il 1190.
In una data a noi ignota Innocenzo III lo ordinò subdiaconus domini papae, carica alla quale era allora legato l'ingresso nella cappella pontificia, e lo promosse a notaio della Cancelleria. Insieme con questo ufficio l'E. dovette anche ottenere il titolo di "magister", con il quale è ricordato qualche volta a partire dal 1216 e che sicuramente non indica il possesso di un grado accademico. Non ci è noto per quale via l'E. sia approdato alla Curia: se per contatti personali, per raccomandazioni o grazie alla sua formazione giuridica e retorica. Ebbe comunque un protettore nello spagnolo Pelagio Galvani (dal 1213 al 1232 cardinale vescovo di Albano): è perciò lecito ritenere che l'E. sia identificabile con quel "Magister Thomas" nominato nell'aprile 1213 insieme con altri curiali, nel testamento della regina Maria d'Aragona come destinatario di un legato (Teulet, pp. 390 s., n. 1044).
Nonostante la sua nomina ad arcivescovo di Napoli, l'E. rimase in Curia, forse per desiderio del pontefice. A partire dal febbraio 1215 datò privilegi papali e nel novembre successivo prese parte al quarto concilio lateranense. Alla fine di febbraio o inizio marzo 1216 Innocenzo III lo nominò cardinale diacono di S. Maria in via Lata e in aprile cardinale prete di S. Sabina, e perciò l'arcivescovato di Napoli fu concesso ad un altro prelato. Anche da cardinale l'E. continuò a datare i privilegi pontifici e in pratica diresse la Cancelleria fino alla morte di Innocenzo III (16 luglio 1216).
Sotto il successore di questo, Onorio III, egli amministrò temporaneamente il vescovato di Albano, il cui titolare, il cardinale vescovo Pelagio, dal 1218 al 1222 soggiornò in Egitto e in Terrasanta. Forse nel 1219 Onorio III lo pose a capo della Penitenzieria: in questo modo l'E. divenne il responsabile delle assoluzioni e delle dispense nelle questioni pastorali riservate al papa. Inoltre, come già era avvenuto sotto Innocenzo III e sarebbe stato in seguito sotto Gregorio IX, prese parte a numerosi processi in veste di uditore o di giudice delegato.
Con il pontificato di Gregorio IX, eletto nel 1227, ebbe inizio una nuova fase della vita del cardinale. Il nuovo papa lo incaricò infatti di importanti missioni politiche e nel 1227 respinse perciò anche la richiesta dei prelati della Terrasanta di nominare l'E. patriarca di Gerusalemme. Il principale problema del pontefice, in quel momento, erano i rapporti con l'imperatore Federico II, visto che l'egemonia degli Svevi nel Regno di Sicilia e nel Regno d'Italia stringeva il territorio dello Stato della Chiesa in una morsa pericolosa. Nel suo regno ereditario Federico II aveva ripreso la politica ecclesiastica dei suoi predecessori normanni e si trovava quasi di continuo in lite con la Curia per l'assegnazione dei vescovati vacanti. Inoltre, l'imperatore esitò a lungo prima di realizzare il voto fatto nel 1215 di organizzare una crociata, nonostante i luoghi santi della Palestina fossero stati sottratti alla Cristianità già dal 1187 e Gregorio IX, dopo la sfortunata spedizione contro Damietta (1217-1221), premesse per una nuova spedizione.
L'esercito crociato si raccolse a Brindisi nell'agosto 1227 ma fu decimato da un'epidemia. L'8 settembre l'imperatore prese comunque il mare ma cadde anche lui malato e si recò ai bagni di Pozzuoli per curarsi. Gregorio IX interpretò la malattia come una simulazione e il 29 settembre scomunicò Federico II per non aver osservato il voto. Il 18 novembre la scomunica fu ribadita. In dicembre il papa inviò l'E., insieme con Ottone cardinale diacono di S. Nicola in Carcere Tulliano, alla corte imperiale a Foggia. Federico non era tuttavia disposto a soddisfare le richieste del pontefice che andavano ben al di là della crociata, sicché in gennaio l'E. se ne dovette tornare a Roma senza aver concluso nulla. Perlomeno in questa occasione dovette allacciare buone relazioni personali con l'imperatore, cosicché a partire da quel momento, fu il principale diplomatico pontificio in tutte le trattative con Federico II.
L'E., del resto, era quasi predestinato a questo ruolo di mediatore: come capuano egli era un filius Regni; dalla Campania provenivano, inoltre, numerosi funzionari imperiali e pontifici che talvolta erano imparentati tra loro. Anche l'E. aveva legami di parentela con ministri di Federico II. Suo fratello Pietro da Eboli era giustiziere di Terra di Lavoro, il figlio di questo, Marino, nipote dell'E., ricopriva importanti uffici nell'amministrazione imperiale in Italia settentrionale e meridionale. Due altri parenti, Enrico da Eboli e Rainaldo de Guasto, erano pure al servizio dell'imperatore. La famiglia degli Eboli era inoltre imparentata con i conti di Aquino e con i Filangieri. Infine, come mostrano le sue lettere, l'E. proteggeva diverse famiglie nobili in Campania e in Abruzzo-Molise che si opponevano a Federico II; tra queste in particolar modo i conti di Celano, con i quali egli era forse entrato in più stretti rapporti tramite Rainaldo da Celano, arcivescovo di Capua dal 1204 al 1212. Due nipoti dell'E., i cappellani Giovanni e Marino da Eboli, erano impiegati in Curia. Quest'ultimo, nel 1244, divenne vicecancelliere di Innocenzo IV e in questa veste diresse la propaganda pontificia contro Federico II. D'altro canto già nel 1216 l'E. era stato considerato un partigiano di Federico Il e del re di Francia a lui alleato, e anche in seguito cercò di mantenersi in buone relazioni con l'imperatore. Intrattenne rapporti amichevoli con i principali personaggi della cerchia imperiale, quali il gran maestro dell'Ordine teutonico Hermann von Salza, l'arcivescovo Berardo da Palermo, Giacomo di Capua e probabilmente anche Pietro Della Vigna, giudice della Magna Curia e capo della Cancelleria imperiale.Questi rapporti favorirono l'E. quando il papa gli conferi l'incarico più importante della sua carriera. Alla fine di giugno 1228 l'imperatore, colpito da scomunica, si imbarcò per la crociata. Per vie pacifiche, attraverso negoziati con il sultano d'Egitto, riottenne Gerusalemme e parte della Terrasanta. Il 10 giugno 1229 era di ritorno a Brindisi, dove si trovò dinanzi una situazione densa di rischi. Gregorio IX aveva sciolto tutti i sudditi dell'imperatore dal loro giuramento di fedeltà verso il sovrano e invocato la protezione militare della Lega lombarda. Quando poi il luogotenente di Federico, il marchese Rainaldo di Spoleto, era entrato nella Marca d'Ancona che apparteneva al Patrimonio di S. Pietro, nel gennaio 1229 il papa aveva inviato in Campania un esercito mercenario al comando del cardinal Pelagio e di Giovanni di Brienne, che occupò San Germano e Montecassino. Contemporaneamente numerose città nelle regioni confinanti con lo Stato della Chiesa e in Puglia defezionarono. Ma Federico II riusci a riconquistare rapidamente Puglia e Campania (ad eccezione di Gaeta e di Sant'Agata de' Goti). Al confine con lo Stato pontificio si arrestò e tramite Hermann von Salza propose negoziati.
Questi ebbero inizio nel novembre 1229 ad Aquino e terminarono solo nell'agosto dell'anno dopo con il trattato di pace di San Germano. Da parte pontificia le trattative furono condotte in primo luogo dall'E. e dal cardinale vescovo di Sabina, Giovanni. Come si può ricavare dalle lettere e dai registri della legazione redatti dall'E. (ed. Hampe, Acta), che - caso raro nel Medio Evo - offrono uno sguardo sui retroscena del negoziato, esse furono lunghe e difficili. Entrambe le parti diffidavano l'una dell'altra; Gregorio IX in particolare esitò a lungo tra la pace e la guerra, soprattutto perché nel Collegio cardinalizio vi era un gruppo accesamente ostile all'imperatore, dal quale l'E. dovette difendersi: si deve solo a lui e alla stima di cui egli godeva presso Federico II se alla fine un accordo fu raggiunto. All'E. e al suo collega di legazione, il vescovo di Sabina Giovanni, toccò anche l'incarico di sciogliere Federico dalla scomunica, il che avvenne a Ceprano il 28 ag. 1230.
Anche in seguito l'E. si adoperò a favore della pace. Dall'ottobre 1232, insieme con il cardinale vescovo Rainaldo di Ostia, tentò di comporre il contenzioso tra Roma e Viterbo, ma vi riusci soltanto nell'aprile 1233. Nel febbraio 1235 era a Viterbo, allorché i cardinali tentavano di porre termine al conflitto tra Bologna e le altre città settentrionali guidate da Modena. Negli anni successivi i rapporti tra Gregorio IX e Federico II si guastarono di nuovo a causa delle città lombarde; l'imperatore pretendeva lo scioglimento della Lega lombarda e il ripristino degli antichi diritti imperiali sulle città italiane; il papa difendeva invece l'autonomia della Lega per controbilanciare il potere dell'imperatore nel Regno d'Italia. Inoltre, Federico II tentò di legare a sé una parte della nobiltà romana e di influenzare in tal modo la politica della Curia. Questa manovra dovette irritare particolarmente Gregorio IX che riusciva a controllare la situazione a Roma solo a tratti e con fatica. Ad inasprire tale situazione si era aggiunto il fatto che il papa aveva incaricato delle trattative, che si protraevano ormai da molto tempo, il cardinale vescovo Giacomo di Palestrina, acerrimo nemico di Federico II, il quale si rifiutò sempre di riceverlo.
L'E. si adoperò per evitare il conflitto aperto che minacciava di scoppiare. Possediamo una sua lettera dell'estate 1236 indirizzata a Hermann von Salza a proposito della questione romana e lombarda: l'E. assicura che il papa è pronto ad una benevola composizione, già in considerazione della questione della Terrasanta e dell'Impero d'Oriente, e invita Hermann a intervenire in tal senso presso l'imperatore (Reg. Imp., V, n. 11.188). Al contempo il cardinale esortava Federico a prendere misure contro gli agitatori a Roma e ad operare per una pacifica convivenza tra Chiesa e Impero (ibid., n. 11.199). In questo clima fu perciò un successo del partito curiale favorevole alla pace il fatto che l'E. e Rainaldo di Ostia, alla fine di novembre 1236, fossero inviati dal papa in Italia settentrionale.
Di questa legazione sappiamo solamente che i due cardinali si sforzarono soprattutto di comporre conflitti locali. A Bologna intervennero perché fosse riservato ai prigionieri di guerra un trattamento umano; a Vercelli tentarono di appianare le tensioni tra il Comune e il vescovo (Summa, I, 2-4). Nel maggio 1237 si recarono di nuovo al Nord per porre fine ai conflitti riaccesisi tra le città nemiche e per discutere con i rappresentanti della Lega un compromesso da proporre all'imperatore. I colloqui ebbero luogo a Mantova e a Brescia, ma, nonostante l'intervento favorevole di Hermann von Salza e di Pietro Della Vigna, le trattative riprese in luglio a Fiorenzuola d'Arda fallirono definitivamente a causa dell'irriducibilità dell'imperatore e della Lega. Una rassegnata lettera del cardinale Giovanni di S. Prassede del 18 ott. 1237 lamenta l'insuccesso dei legati e annuncia il loro prossimo rientro in Curia (Reg. Imp., V, n. 7181).
Nei suoi ultimi anni l'E. appare solo raramente nei documenti in qualità di uditore o di giudice delegato, ma non svolse incarichi politici. Doveva essere ancora in vita quando Gregorio IX nel marzo 1239 scomunicò di nuovo l'imperatore, eliminando l'ultima speranza di un riappacificamento tra Chiesa e Impero, per il quale l'E. aveva costantemente operato. Tuttavia Federico II gli conservò la sua benevolenza fino alla fine: quando, dopo la scomunica, ordinò a tutti i chierici originari del Regno di abbandonare la Curia, fece un'eccezione per lui.
Morì ad Anagni (prov. Frosinone), dove si trovava la Curia, nell'agosto 1239. Un necrologio di Montecassino indica come giorno della sua scomparsa il 22; Riccardo di San Germano indica invece il 18 o il 19 agosto.
L'E. non fu solo un importante cancelliere, giurista e diplomatico pontificio, ma fu anche sollecito nei compiti pastorali. Numerose lettere mostrano una profonda devozione e gli fu particolarmente a cuore il destino della Terrasanta. La sua attività di mediatore va vista anche sotto questo aspetto, dato che la discordia tra Chiesa e Impero influiva negativamente sulle crociate e i cristiani in Oriente. Come capo della Penitenzieria l'E. era responsabile anche della propaganda per le crociate e probabilmente è lui l'autore di alcuni appelli pronunciati da Onorio III su questo tema. Nell'interesse dell'attività pastorale, l'E. favori anche gli Ordini religiosi. In particolare fu vicino ai domenicani. Lo stesso s. Domenico di Guzmán, nei suoi ultimi anni, abitò sovente sull'Aventino nella chiesa titolare dell'E., S. Sabina, e fu certamente in rapporti personali con lui. Dopo la morte del santo, nel giugno 1222 Onorio III, col consenso dell'E., trasferi la chiesa al generale dell'Ordine Giordano di Sassonia e ai suoi confratelli, sicché l'E. fu in continuo rapporto con l'Ordine dal quale provennero infatti molti penitenzieri. In una lettera pregò il generale dell'Ordine di inviare alla chiesa di S. Sabina un doctor che istruisse i funzionari della Curia e con altre missive intervenne a favore di domenicani a Capua, Trani e in tutto il Regno di Sicilia. Lo stesso fece per i francescani, con il cui generale Elia da Cortona ebbe contatti. Particolarmente significativo fu un intervento dell'E. a favore del nuovo Ordine della penitenza di Gesù Cristo. Ma anche gli Ordini più antichi dei benedettini e dei cistercensi, nonché i giovanniti e i templari nel Regno godettero dell'appoggio del cardinale. Sembra aver intrattenuto rapporti particolarmente stretti con l'abbazia di Montecassino; l'abate del monastero benedettino di S. Trinità in Monte Sacro nel Gargano, Gregorio, gli dedicò il suo lungo poema De hominum deificatione.
Gregorio poteva contare sull'attenzione dell'E., dato che egli stesso era autore di versi sacri. Di lui conosciamo inni, antifone e sequenze su s. Francesco e la Vergine, e gli è stato attribuito anche un distico satirico su Roma. Tuttavia l'E. deve la sua fama non tanto a questi componimenti religiosi o all'attività di diplomatico, giurista e pastore, bensi alla sua profonda conoscenza della lingua latina e dello stile latino.
Testimoni di questa sua maestria sono tre opere: l'Ars dictandi, iniziata probabilmente sotto Innocenzo III e portata a termine solo dopo il 1220, doveva servire a rendere familiari ai funzionari della Curia, specie della Cancelleria, le regole dello stile curiale. Il trattato si colloca nella tradizione della retorica antica e medievale, si distingue tuttavia per una certa autonomia e per l'esposizione elegante commisurata alle particolari esigenze della Curia. Come fonti l'E. utilizzò le Rationes dictandi di Ugo di Bologna (cc. 1119-1130) e in particolare la Summa dictaminis del bolognese Guido Faba, suo contemporaneo.
Per la Penitenzieria pontificia l'E. compilò dopo il 1219 un formulario, organizzato sistematicamente, intitolato Forme Romane Curie super casibus penitentie, nel quale sono raccolte numerose delibere del pontefice e del penitenziere, spesso di notevole importanza dal punto di vista della storia culturale, in materia di assoluzioni, penitenze e dispense.
L'opera più cospicua che l'E. ha lasciato sono le sue circa 700 lettere e mandati. La maggior parte di questi testi non sono solamente capolavori di stile ma anche preziose fonti storiche, specie per i pontificati di Innocenzo III, Onorio III e Gregorio IX, nonché per i rapporti del Papato con l'imperatore Federico II e gli altri regnanti europei. Vi si leggono altresi numerosi particolari sulla gestione della Curia, sulle richieste presentate, soprattutto a proposito di benefici, sui procuratori, i processi e anche sulla corruzione dei funzionari. Molte lettere, di carattere privato, offrono uno scorcio dietro le quinte della politica dei papi e dei cardinali e danno anche un'idea della personalità dell'Eboli. La maggior parte delle epistole, 623 pezzi, sono tramandate insieme con l'Ars dictandi in un'unico corpus, la cosiddetta Summa dictaminis Thome Capuani.
Le lettere, in dieci libri, sono divise sistematicamente per argomento, in modo che un funzionario della Cancelleria pontificia potesse trovare agilmente, attraverso gli indici, i modelli cui ispirarsi. Data la destinazione a uso interno della Cancelleria, i riferimenti storici e i nomi di persona e di luogo sono spesso cancellati. La Summa, di cui si conoscono oggi 65 manoscritti, non fu composta dall'E. stesso. Essa contiene infatti anche lettere di Alessandro IV, di Urbano IV e di Clemente IV, nonché una serie di lettere di Giordano Pironti da Terracina, che fu notaio pontificio nel 1246, vicecancelliere nel 1257, cardinale diacono dei Ss. Cosma e Damiano nel 1262 e mori nell'estate 1269. Molto probabilmente è a Giordano che va attribuita la redazione della Summa: fu lui a operare una cernita delle schede e delle copie lasciate dall'E., a riordinare i testi per tema, rielaborandoli nel contenuto e forse anche nella forma, e a riunirli in un solo codice. Dato che la più recente lettera databile risale al 1268, la Summa, cosi come altre grosse raccolte di lettere pontificie, fu composta verosimilmente durante la lunga vacanza della Sede apostolica che segui la morte di Clemente IV, dunque tra il novembre 1268 e il settembre 1271, quando l'attività della Cancelleria languiva.
Accanto alla Summa altre 32 raccolte trasmettono senza alcun ordinamento gruppi più o meno cospicui di lettere dell'E. e tra questi diverse missive che non figurano nella Summa. Si tratta certamente di materiale epistolare che durante la compilazione del corpus fu scartato e disperso. Queste raccolte sono di grande valore perché conservano i testi non ancora rimaneggiati, completi dei destinatari e dei nomi dei personaggi citati che nella Summa sono omessi. Purtroppo non esiste ancora un'edizione moderna né della Summa né delle altre lettere. L'edizione di Hahn si basa su un manoscritto frammentario e si limita ai soli libri I e II; alcune lettere sono state pubblicate altrove, singolarmente o a gruppi.
Opere: le Forme Romane Curie super casibus penitentie, sono state pubblicate da H. Ch. Lea con il titolo A formulary of the papal Penitentiary in the Thirteenth Century, Philadelphia 1892; l'Ars dictandi da E. Heller, Die Ars dictandi des Thomas von Capua, in Sitzungsberichte der Heidelberger Akademie der Wissenschaften, XIX (1928/29); la Summa dictaminis in S. F. Hahn, Collectio monumentorum veterum etrecentium ineditorum, I, Brunsvigae 1724, pp. 279-385 (solo I, 1-III, 1). Altre lettere sono pubblicate in J.-L-A. Huillard Bréholles, Historiadiplomatica Friderici secundi, I-VI, Paris 1852-1861; Acta Imperii inedita saeculi XIII, a cura di E. Winkelmann, I-II, Innsbruck 1880-1885; Monum. Germ. Hist., Epistolae saeculi XIII eregestis Pontificum Romanorum selectae, a cura di C. Rodenberg, I, Berolini 1883; Regesta HonoriiPapae III, a cura di P. Pressutti, I-II, Roma 1888-1895; Les registres de Grègoire IX, a cura di L. Auvray, I-IV, Paris 1896-1955, L. Bertalot, in Bibliofilia, XXV (1924), pp. 156-159, Acta pacis ad Sanctum Germanum annoMCCXXX initae, a cura di K. Hampe, in Monum. Germ. Hist., Epistolae selectae, IV, Berolini 1926; E. Heller, Der kuriale Geschäfisgang inden Briefen des Thomas von Capua, in Archivfür Urkundenforschung, XIII (1935), pp. 198-318; Id., Zur Frage des kurialen Stileinflusses inder sizilischen Kanzlei Friedrichs II., in Deutsches Archiv, XIX (1963), pp. 434-450.
Poesia religiosa: H. Felder, Die liturgischen Reimoffizien auf die heiligen Franciscus und Antonius, Freiburg i. Br. 1901, p. 51, G. M. Dreve s.Cl. Blume, Ein Jahrtausend lateinischer Hymnendichtung, I, Leipzig 1909, pp. 319-322; Analecta franciscana, X (1936), 4, pp. 378-401; G. Abate, Inni e sequenze francescane, in Miscell. franc., n. s., XXXVI (1936), pp. 488 ss.; Quaternus de excadenciis et revocatis Capitinatae, Monte Cassino 1903, p. XV.
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