FREGOSO (Campofregoso), Tommaso
Nacque forse a Genova da Pietro (I) e da Teodora Spinola in data non conosciuta, ma senz'altro anteriore al 1370, anno in cui la madre risulta già defunta. La sua educazione, pur non tralasciando l'addestramento militare, fu di stampo umanistico e lo portò in contatto con famosi letterati del suo tempo.
Come per molti uomini politici genovesi dell'epoca, i suoi primi successi politici furono strettamente intrecciati con l'attività commerciale; nel 1389, infatti, venne condotto a Famagosta, nell'isola di Cipro, dove il padre aveva numerosi interessi finanziari. Ivi il F. risulta essersi fermato a lungo venendo eletto, appena ventenne, capo della colonia mercantile genovese e capitano della città.
Le fonti cronachistiche tornano a occuparsi del F. nel 1400 quando, di nuovo a Genova, aveva cercato di impadronirsi del governo della città - retta da un governatore francese - insieme col fratello Orlando e con l'appoggio della famiglia Adorno. Il suo tentativo di sovvertire la dominazione francese su Genova non ebbe tuttavia esito fortunato: nella lotta venne, infatti, catturato e imprigionato, riuscendo poi con difficoltà a fuggire. L'avvento di un nuovo governatore francese, Jean Le Meingre, detto Boucicaut, portò una relativa pace e il F. venne destinato alla carica di governatore di Corsica e in seguito ammesso nel Consiglio degli anziani. Essendo nel frattempo subentrato al dominio francese quello del marchese di Monferrato Teodoro (II) Paleologo, il F., considerato un pericoloso rivale, fu allontanato da Genova con la nomina a podestà di Pera, carica di grande prestigio che lo portò per alcuni mesi (agosto 1410 - febbraio 1411) ad amministrare un potere che si estendeva su tutte le colonie nel Levante. Al suo ritorno a Genova, dopo un breve soggiorno a Roma presso il papa di obbedienza pisana Giovanni XXIII (Baldassarre Cossa), con cui i Fregoso erano in ottimi rapporti, tentò di nuovo di impadronirsi della città in assenza del marchese. Insieme con il fratello Orlando e accompagnato da 400 armati, si scontrò con le truppe del luogotenente Enrico Del Carretto, ma fu gravemente sconfitto. In seguito alla rivolta Orlando perse la vita, mentre il F. venne esiliato nei territori di Lucca. Scaduto il periodo di confino, nel 1412 si stabilì a Chiavari sotto la stretta sorveglianza del governo genovese. Successivamente, grazie a un accordo con l'inviato del Paleologo, Benedetto Negroni, fu concesso alla famiglia Fregoso di risiedere a Ferrara o in Romagna nei territori soggetti ai Malatesta. Nel marzo del 1413, a causa dell'imprigionamento di Giorgio Adorno, scoppiò a Genova una rivolta e il F., nuovamente tornato a Chiavari, si precipitò in città assumendone la guida e costringendo alla fuga il luogotenente e le truppe di Teodoro (II). In seguito venne costituito un governo provvisorio di otto rettori (tra cui il F.) in carica per alcuni giorni fino all'elezione di Giorgio Adorno, appena liberato, al dogato. Il F. ritornò allora all'attività commerciale e ai traffici con l'Oriente, in particolare con Caffa.
Nel 1415, una confusa situazione politica condusse l'Adorno alle dimissioni e, dopo un breve periodo di transizione nel quale la città fu retta da due Priori (il F. e Giacomo Giustiniani) si giunse all'elezione di Barnaba Guano. Quest'ultimo tuttavia fu accusato dal F. e da Giorgio Adorno di ingratitudine e deposto il 3 luglio 1415: il giorno successivo il F. venne nominato doge.
Si presentò subito con un atto di grande munificenza: al momento della sua proclamazione donò al pubblico erario 60.000 ducati d'oro per ammortizzare i debiti della Repubblica. Distribuì, poi, tra i suoi fratelli le più alte cariche militari e amministrative, riunì nel palazzo ducale una corte degna di un sovrano accogliendo splendidamente papi e regnanti in onore dei quali organizzò feste e banchetti (gli storici dell'epoca ricordano gli onori tributati a Oddo di Lusignano, fratello del re di Cipro, e a Giovanni XXIII, in viaggio verso il concilio di Costanza). In politica estera si preoccupò soprattutto di stringere cordiali relazioni con i più importanti sovrani: fornì al re di Francia Carlo VII otto navi per il conflitto contro l'Inghilterra, appoggiò le pretese degli Angiò contro Giovanna II di Napoli e strinse rapporti di alleanza con il Comune di Firenze e con il duca di Savoia Amedeo VIII.
La Repubblica di Genova tuttavia non attraversava certo un periodo di pace, sia ai confini, sia all'interno; ciò costrinse il F. a impegnarsi nell'ampliamento delle mura cittadine e nella fortificazione del porto e a finanziare spedizioni contro nemici interni ed esterni; tra il 1416 e il 1418 dovette organizzare rappresaglie militari, comandate dai fratelli Battista e Spinetta, contro il marchese Gabriele Malaspina di Villafranca che aveva fatto assassinare il luogotenente del vicario di La Spezia Olderico Biassa e contro il marchese Tommaso Malaspina di Cremolino, colpevole di dare asilo e protezione ai fuorusciti genovesi. Nel 1418 una rivolta interna minacciò il potere dei Fregoso: Teramo Adorno, figlio del deposto doge, pur legato da vincoli con il F. avendo sposato la sorella di sua moglie, strinse un'alleanza con i Guarco e i Montaldo, ottenendo l'appoggio finanziario e militare del marchese del Monferrato, prima, e in seguito del duca di Milano Filippo Maria Visconti. Tre corpi di spedizione assalirono i territori genovesi da Sarzana, dal Finale e dalla Val Polcevera, impegnando con agguati e scaramucce le truppe fedeli al F. e occupando tutti i territori genovesi della Valle Scrivia. Nel frattempo i rinforzi inviati in sostegno di Genova dai suoi alleati Filippo Arcelli, signore di Piacenza, Pandolfo Malatesta signore di Fano, Bergamo e Brescia, e dalla città di Firenze, venivano respinti e le forti spese per la guerra crearono un pesante malcontento interno.
In tali circostanze il F. fu costretto a chiedere la pace e ad accettare nel febbraio 1419 un trattato in cui Genova doveva cedere al duca di Milano il territorio compreso tra Serravalle Scrivia e Busalla oltre a pagare 200.000 ducati di tributo. La critica situazione nella quale si trovava il F. favorì il divampare di una rivolta in Corsica capeggiata da Vincentello d'Istria e appoggiata da Alfonso V d'Aragona: il F., per organizzare una spedizione navale senza imporre nuovi tributi si trovò costretto a impegnare gli stessi beni di famiglia. La repressione della rivolta fu però coronata dal successo e dopo nove mesi di assedio del porto di Bonifacio da parte del fratello del F., Giovanni, gli Aragonesi furono costretti ad abbandonare l'impresa.
La Repubblica genovese era uscita tuttavia molto indebolita dal lungo periodo di conflitti e poté resistere ben poco a un nuovo attacco da parte del duca di Milano: Genova venne assalita da due eserciti guidati da Guido Torelli e dal Carmagnola, la flotta ligure fu sbaragliata dalle navi catalane assoldate dai Milanesi. Per evitare un disastroso assedio alla città il F. si decise alla resa e propose al Consiglio della Repubblica di cedere il governo della città a Filippo Maria Visconti. Il 3 nov. 1421 il F. depose le insegne dogali e, in base agli accordi conclusi, ricevette in compenso 30.000 fiorini e l'investitura della signoria di Sarzana (estesa a tutta la Lunigiana) con la clausola di non poterla alienare se non in favore della Repubblica di Genova.
Nei 15 anni di esilio il F. non rinunciò a tentare la riconquista del potere. Dopo essersi assicurata l'alleanza di Firenze dando il suo feudo in accomandigia al Comune toscano, nel 1425 armò delle navi e, avanzando lungo la Riviera di Levante, occupò Sestri e Moneglia; nonostante il successo conseguito contro l'esercito mandato dal Visconti, la contemporanea sconfitta dei Fiorentini bloccò l'avanzata del Fregoso. Per due volte egli tentò da Sestri, nel 1426 e nel 1427, di introdursi a Genova con uomini armati, ma venne sempre respinto con gravi perdite. Quindi, tra il 1430 e il 1432, l'esercito visconteo comandato dal Piccinino passò al contrattacco riconquistando Sestri e Moneglia e costringendo nuovamente i Fregoso nel loro feudo.
Verso la fine del 1435, tuttavia, un avvenimento imprevisto sconvolse l'assetto politico della città di Genova.
Filippo Maria Visconti si era schierato a favore della casa d'Angiò nella delicata questione relativa alla successione al trono del Regno di Napoli apertasi con la scomparsa di Giovanna II (febbraio 1435). Genova, sollecitata dallo stesso Visconti, inviò nel Tirreno una flotta che, all'altezza dell'isola di Ponza, catturò Alfonso V d'Aragona, anch'egli pretendente al Regno di Napoli, insieme con altri nobili catalani. A dispetto degli accordi, i prigionieri furono poi liberati dal Visconti senza che la flotta genovese fosse ricompensata con un adeguato riscatto. Una rivolta cittadina, guidata da Francesco Spinola, divampò allora nella città di Genova dichiarando decaduto il dominio dei Visconti.
Dopo una reggenza provvisoria di tre mesi da parte di otto capitani della Libertà e il breve dogato dell'anziano Isnardo Guarco (eletto il 28 marzo 1436), il F. fece il suo ingresso in città con un esercito e si impadronì del governo facendosi nominare doge per la seconda volta (3 apr. 1436). La sua prima preoccupazione fu quella di contrastare le mire dei Visconti formando un'alleanza con Firenze e Venezia. Il duca di Milano, allora, non potendo riconquistare Genova militarmente, cercò di riavere il controllo sulla città mettendo in cattiva luce il F. presso papa Eugenio IV, che si era assunto il compito di riportare la pace tra le parti; fallite queste trattative il Visconti iniziò a sostenere finanziariamente l'ambizione di potere di Battista, fratello del Fregoso. Il 24 marzo 1437, infatti, Battista tentò di impadronirsi del seggio dogale approfittando della momentanea assenza del fratello. Il tentativo fu di breve durata, perché lo stesso giorno il F. riuscì a scacciare il fratello e a riprendere le redini del governo. Verso Battista egli si dimostrò magnanimo e, nonostante il parere contrario del Consiglio degli anziani favorevole alla condanna a morte, il F. lo perdonò; da parte sua Battista continuò a congiurare ancora contro il fratello.
Nel corso del suo secondo dogato furono emanate per la prima volta leggi suntuarie, volte a limitare le spese e il lusso eccessivo nelle occasione mondane. Tali leggi, perfezionate successivamente, ponevano limiti al lusso dei vestiti e dei gioielli e, soprattutto, limitavano le spese delle cerimonie; l'argomento era allora molto sentito a Genova dato che, come si vedrà, una delle cause della deposizione del F. sarebbe stato il lusso eccessivo dei funerali tributati al fratello Battista.
Alla fine del 1437 la situazione politica sembrava essere del tutto favorevole al Fregoso. Egli aveva, infatti, riconquistato Sarzana, Levanto, Portovenere, Monaco, Voltaggio e altri castelli minori ancora in mano a Filippo Maria Visconti o a ribelli appoggiati da Milano. Sempre per contrastare le mire politiche del duca milanese, che ora appoggiava Alfonso V d'Aragona nella disputa per il trono di Napoli, il F., in alleanza con Eugenio IV, si schierò dalla parte di Renato d'Angiò e, per appoggiare le sue rivendicazioni, allestì una flotta affidandone il comando al fratello Giovanni. Questo ennesimo atto di nepotismo gli attirò l'avversione della vecchia nobiltà genovese, per tradizione detentrice delle cariche militari; tale ostilità e il malumore provocato dalle eccessive spese sostenute per i funerali tributati in forma regale al fratello Battista (morto il 20 giugno 1442 dopo essersi riconciliato con il fratello) affrettarono la caduta del doge. Il 18 dic. 1442 un gruppo di armati guidati da Giovanni Antonio Fieschi e Raffaele Adorno, probabilmente finanziati dal duca di Milano e dal re d'Aragona, riuscì a introdursi in città e, fallite le trattative per le dimissioni pacifiche del doge, assaltò il palazzo ducale conquistando agevolmente il potere.
Durante i due successivi dogati di Raffaele e di Barnaba Adorno, ossia per più di quattro anni, il F. fu tenuto prigioniero prima nella torre della Lanterna e in seguito nel castello di Savona. Oggetto, secondo i cronisti, di minacce di morte e di tentativi di avvelenamento, venne finalmente liberato dal nipote Giano Fregoso salito al seggio dogale il 30 genn. 1447. Nel 1448 il F. venne reintegrato nel feudo di famiglia di Sarzana e ottenne dagli Adorno il risarcimento dei danni subiti nel saccheggio del palazzo ducale. Nel 1450, dopo la deposizione di Ludovico Fregoso, succeduto a Giano nel dogato, la massima carica fu nuovamente proposta al F. ormai ottantenne il quale, ritiratosi dalla vita politica, declinò la candidatura consigliando l'elezione del nipote Pietro, figlio di Battista. Il 18 luglio 1448 aveva venduto al doge Giano Fregoso il feudo di Sarzana, cedendo il ricavato ai tre figli del fratello Spinetta e alla moglie, e si ritirò a Savona presso il nipote Tommasino, governatore della città e qui fece testamento il 9 marzo 1452.
Il F. morì a Savona nel febbraio 1453.
Sposato una prima volta con Clemenza, figlia di Antoniotto Adorno (Litta, Battilana) o secondo altri genealogisti, fra i quali Levati, figlia di Azzone Malaspina e in seguito con Marzia di Gian Galeazzo Manfredi, signore di Faenza, il F. non lasciò figli legittimi; il Buonarroti ne ricorda uno naturale, chiamato Paolo Battista.
Tutti gli storici della sua epoca riconobbero al F. eccezionali qualità politiche che lo portarono a condizionare per trent'anni le sorti di Genova e a esserne doge per tredici anni, situazione veramente unica nella storia genovese.
Oltre all'attività politica di cui si è parlato, deve la sua fama anche all'impegno profuso nell'ambito degli studi umanistici cui diede un notevole impulso. Fin da giovane il F. coltivò l'amore per la lettura dei classici e fu in relazione con umanisti e letterati, ma la sua attività in questo campo fu massima negli anni del suo esilio a Sarzana tra il 1421 e il 1436. In tale periodo, infatti, cercò di creare una biblioteca comprendente soprattutto opere di autori classici e contemporanei. Tanti interessi lo portarono a farsi mecenate e a raccogliere intorno a sé i maggiori letterati: al maggiore umanista ligure, Giacomo Bracelli, affidò l'importante carica di cancelliere della Repubblica genovese, mentre nominò bibliotecario personale e istruttore dei nipoti l'oratore Bartolomeo Guasco. Il F. fu inoltre in contatto con altri uomini di lettere, quali il poeta e grecista Giovanni Aurispa che gli dedicò alcune traduzioni, lo storico e letterato Bartolomeo Fazio, il poeta Antonio Astesano, Giovanni Mario Filelfo, il siciliano Antonio Cassarino che gli fece omaggio di una traduzione di Plutarco e altri.
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