GIAQUINTO, Tommaso
Figlio di Giuseppe e di Porzia Del Giudice nacque tra il 1661 e il 1662 molto probabilmente a Trochiati, frazione di Montoro Superiore (oggi in provincia di Avellino), località in cui la famiglia risiedeva da generazioni e dove è documentato siano nati i suoi quattro fratelli.
Il G. rimase a Trochiati fino al 1682 quando si trasferì a Napoli, come emerge dallo stato libero del 26 giugno 1685 rilasciatogli in vista del matrimonio (Abbatiello, p. 55). Secondo De Dominici, che lo chiama erroneamente Giovan Tommaso, il G. si spostò a Napoli per studiare presso Luca Giordano "tirato dalla sua grande fama, e molto profittò della sua scuola". Sempre De Dominici accenna poi all'amicizia, trasformatasi successivamente in aperta ostilità, con un altro allievo di Giordano, Tommaso Fasano. Quanto la lezione di Giordano e di altri pittori, quali F. Solimena e P. De Matteis, abbia influito sulla formazione del G. rimane di difficile valutazione poiché non si conoscono opere a lui attribuibili in questi primi anni.
Il 30 giugno 1685 sposò Giovanna Fianelli; e l'anno dopo nacque la loro unica figlia Petronilla. Nove anni più tardi, il 28 ag. 1695, venne accolto nella "Nobile Congregazione dei Signori Pittori sotto il titolo di S. Anna e S. Luca" di Napoli (Strazzullo, p. 28), il che induce a pensare che a quella data egli dovesse aver già raggiunto una discreta fama.
Non sono note le ragioni che indussero il pittore ad abbandonare Napoli, né si conosce la data precisa della sua partenza. Nel 1702 risulta residente con tutta la famiglia a Sant'Agata dei Goti. La presenza del G. nella zona deve però risalire già ad alcuni anni prima; nel 1698 eseguì, infatti, quella che è la sua prima opera certa, una tela, firmata e datata, raffigurante l'Intercessione di s. Agata e s. Stefano per la cappella del Ss. Sacramento nella cattedrale di Sant'Agata. In questa stessa chiesa devono essere attribuite al G., per affinità stilistiche, anche due altre tele, conservate nella cappella del Purgatorio, in cui sono rappresentate L'intercessione della Vergine e s. Michele Arcangelo e la Madonna della Libera.
I temi pietistici e devozionali di queste opere sono rafforzati da un gusto quasi tardomanieristico e controriformistico che ne accentua il tono didascalico e vagamente popolaresco. Si tratta di un recupero della pittura napoletana del Cinquecento alla luce di nuovi e aggiornati linguaggi figurativi che, come ha rilevato Bile (p. 26), inseriscono le opere del G., seppur in un'ottica provinciale, in una tendenza che coinvolge, negli stessi anni, anche artisti come Domenico Antonio Vaccaro e Giacomo Del Po.
Negli anni seguenti il G. realizzò una fitta serie di opere, prevalentemente di carattere sacro, per diverse chiese di Sant'Agata dei Goti e in alcune località dei dintorni. Nel 1701 affrescò nella chiesa di S. Elpidio a Casapulla le volte e la cupola della cappella dell'Arciconfraternita del Monte dei Morti in cui il tema della morte e della redenzione assume un'iconografia inconsueta seguendo un programma forse suggerito dalla stessa Arciconfraternita; in particolare, nella prima volta di ingresso, entro ricche cornici di stucco, è rappresentato il Trionfo della Morte sui quattro continenti, figure allegoriche con sembianze di scheletri. Nel 1702 dipinse per la chiesa dell'Addolorata a Sant'Agata dei Goti una tela, ora perduta, con la Nascita di Gesù e, per la chiesa di S. Francesco, una tavola con L'Annunciazione, firmata e datata. Quest'ultima opera riprende la composizione dell'Annunciazione di Tiziano che allora si trovava nella chiesa di S. Domenico Maggiore a Napoli, riproposta in una copia anche da L. Giordano. Nel 1703 firmò e datò quattro tele con S. Pietro, S. Giuda Taddeo, S. Luca e S. Giovanni Evangelista nella chiesa del Carmine di Sant'Agata dei Goti che riprendono "in forma dialettale e volgarizzata" i ritratti di santi e filosofi dipinti da J. de Ribera (ibid., p. 45). Sempre nel 1703, realizzò nella chiesa di S. Sebastiano a Moiano il suo più importante ed esteso ciclo di affreschi.
L'impianto iconografico, che segue il tema della salvezza e della redenzione, si apre con il Concerto degli angeli nella controfacciata e continua nella navata con gli Episodi della vita di Mosè e con i due episodi della Cacciata dei mercanti dal tempio e dell'Annunciazione ai pastori sull'arco trionfale. Rotili (1971, p. 204) ha notato nelle storie del Vecchio e del Nuovo Testamento un rimando preciso alle Storie della vita di s. Gregorio Armeno affrescate, tra il 1679 e il 1681, da L. Giordano in S. Gregorio Armeno a Napoli. Il percorso continua nelle lunette del presbiterio con il Martirio di s. Sebastiano e l'Uccisione di s. Sebastiano raffigurazioni di forte espressività dipinte con colori chiari e un intenso chiaroscuro che richiama la pittura di Mattia Preti; al contempo le solenni figure dei profeti Geremia, David, Giona e Giobbe, nei pennacchi, memori dei quattro evangelisti dipinti da G. Lanfranco nella chiesa dei Ss. Apostoli di Napoli, risaltano per la loro saldezza in contrasto con la vivacità delle storie nel presbiterio. La decorazione si conclude nella cupola in cui è rappresentata la Gloria celeste e opere di misericordia. Tra le scene collocate alla base raffiguranti le opere della carità si distingue, per intensità e verità poetica dello sfondo architettonico, quella dedicata all'opera di soccorso alle vittime del terremoto, ispirata probabilmente dal disastro sismico che aveva colpito la zona. In tali affreschi il disteso e luminoso colorismo di L. Giordano appare raffrenato "in senso classicistico", dimostrando come il pittore avesse colto a Napoli anche gli ultimi sviluppi compiuti dall'arte di F. Solimena (Rotili, 1971, p. 204). Esso rivela una sintesi dell'esperienza napoletana, memore della libertà inventiva e della foga pittorica di Giordano, della pittura di Mattia Preti, nell'attenzione a certi particolari naturalistici, e della visione grandiosa di G. Lanfranco.
Dopo il 1704 il G. non risulta più registrato negli Stati delle anime di Sant'Agata dei Goti (Abbatiello, p. 56); ma la sua permanenza nella zona è documentata da una serie di opere, spesso datate e firmate. Nel 1705, dipinse, su commissione del vescovo F. Albini, la tela con S. Menna solitario per la cappella dedicata al santo nel duomo di Sant'Agata dei Goti; a questo periodo risale probabilmente anche l'affresco con due Santi entro medaglioni nella cappella di S. Biagio della chiesa dell'Annunziata. Tra il 1709 e il 1710 eseguì la tela, perduta, per la volta della chiesa di S. Bartolomeo Apostolo nella frazione di Faggiano (Rotili, 1971, p. 213) e, nel 1710, nella chiesa di S. Francesco a Sant'Agata dei Goti, le Storie del Vecchio Testamento, ubicate tra il cornicione e il soffitto della navata e alternate da finestre entro cornici barocche. Il pittore raggiunge in queste scene un tono più pacato e misurato rispetto a quello presente nelle Storie di Mosè dipinte nella chiesa di Moiano. A questi anni risale probabilmente anche la tela con il Compianto su Cristo Morto nella chiesa parrocchiale di Bagnoli.
L'unica opera con soggetto profano finora nota del pittore è l'affresco con Diana e Atteone, nello studiolo del palazzo ducale di Sant'Agata dei Goti, commissionatogli nel 1710 dal duca Marzio (III) Carafa che nel 1696 aveva acquistato il feudo. Secondo Abate (p. 62) gli devono essere attribuite anche alcune tele nelle sale del castello (in restauro dal 1993) da altri ritenute di un altro allievo di L. Giordano, Nicola Malinconico.
Le ultime opere documentate del G. sono la Madonna di Monte Partenio, dipinta nel 1713 per la chiesa di S. Maria di Montevergine su commissione del vescovo Albini, e il disegno del 1714 per il paliotto dell'altare maggiore della cattedrale di Sant'Agata dei Goti, realizzato da Lorenzo Fontana.
De Dominici racconta che poco prima di morire il G. aveva eseguito "nella real chiesa di S. Domenico" tutti i medaglioni con I miracoli di Pio V eseguiti al tempo della sua canonizzazione nel 1712. Secondo Rotili (1971, p. 201) si tratta di una serie di affreschi dipinti in S. Domenico Maggiore a Napoli, andati perduti nell'Ottocento durante la ristrutturazione della chiesa da parte dell'architetto Federico Travaglini; Bile (p. 30) al contrario pensa si tratti della chiesa di S. Domenico in Santa Maria a Vico, oggi santuario di S. Maria dell'Assunta, in cui forse aveva insegnato da semplice domenicano il futuro papa: in alcune antiche guide di questa chiesa vengono infatti descritti nelle sale del convento "medaglioni, imbiancati alla metà del secolo scorso, raffiguranti episodi della vita di quel papa domenicano".
Il G. morì a Napoli il 21 febbr. 1717 e venne sepolto nella chiesa del Gesù Nuovo.
Fonti e Bibl.: B. De Dominici, Vite de' pittori, scultori e architetti napoletani, III, Napoli 1744, p. 447; G. Ceci, La Corporazione dei pittori, in Napoli nobilissima, VII (1898), pp. 11 s.; W. Rolfs, Geschichte der Malerei Neapels, Leipzig 1910, p. 383; M. Rotili, L'arte nel Sannio, Benevento 1952, p. 125; F. Strazzullo, La Corporazione dei pittori napoletani, Napoli 1962, pp. 28 s. (con appendice documentaria); M. Rotili, T. G. ritrovato, in Studi di storia dell'arte in onore di Valerio Mariani, Napoli 1971, pp. 201-213; F. Abate - I. Di Resta, Le città nella storia d'Italia. Sant'Agata dei Goti, Bari 1984, pp. 60-62; P. Ruotolo, La Valle Caudina, in Città da scoprire…, III, Italia meridionale e insulare, Milano 1985, p. 36; U. Bile, Il "colorito" e il "disegno": la pittura di T. G., in T. G. "ritrovato". Un itinerario pittorico in Valle Caudina (catal., Moiano), Napoli 1993, pp. 17-34; A. Abbatiello, Il pittore T. G. da documenti inediti, ibid., pp. 53-59; M.A. Pavone, Pittori napoletani del primo '700: fonti e documenti, Napoli 1997, pp. 110 s.; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIII, p. 590.